mercoledì 1 agosto 2012

Fare pace con le nostre Chimere

Da Cassandra's Legacy. Traduzione di Massimiliano Rupalti




La statua etrusca conosciuta come “la Chimera di Arezzo”. E' un'antica rappresentazione della creatura chiamata “Chimera” che venne uccisa dall'eroe Bellerofonte. Questo post deriva da una conferenza sul mito della Chimera che ho tenuto a Firenze nel 2010. La sostanza della mia conferenza era che il mito è ancora molto rilevante oggi per noi e che possiamo sopravvivere alle sfide che stiamo affrontando solo se possiamo fare pace con le nostre Chimere. Ecco una versione scritta della conferenza in cui ho aggiunto dei sottotitoli per renderla più chiara. (nota: una versione diversa di questo articolo è stata pubblicata nel 2010 su "Effetto Cassandra")


Introduzione

Signore e signori, è un grande piacere per me essere qua oggi e, prima di tutto, vorrei presentarmi. Non sono qui in veste di archeologo o di storico, come gli illustri colleghi che mi hanno preceduto. La mia ricerca è su materie molto diverse. Quindi, vi parlo solo come un amico della Chimera. E se vi dico che sono un amico della Chimera lo sono talmente che ho scritto un intero libro sull'argomento “Il Libro della Chimera”. L'ho scritto principalmente perché non riuscivo a trovare un libro simile. Si scrive sempre il libro che si vorrebbe leggere.

Così, dopo così tanto lavoro, oggi posso raccontarvi molte cose sul mito della Chimera ma, come potreste sapere, l'arte di annoiare consiste nel dire tutto. Quindi, vorrei solo raccontarvi in che modo questo mito potrebbe ancora essere rilevante per noi dopo migliaia di anni dalla sua origine. Di fatto, potrebbe essere molto più rilevante per noi di quanto si possa pensare. Questa rilevanza ha a che fare col modo in cui comunichiamo coi nostri compagni esseri umani, come ci confrontiamo con quello che chiamiamo “ambiente”, come ci mettiamo in relazione con qualsiasi cosa non sia umana su questo pianeta. A questo proposito, abbiamo sbagliato tutto: abbiamo distrutto il nostro ambiente come se stessimo uccidendo una chimera dopo l'altra. Questa non è stata un buona idea, l'ambiente è ciò che ci fa vivere. Dobbiamo fare pace con le nostre chimere. Ma lasciate che vi spieghi cosa intendo.

Origini del mito della Chimera

Conoscete certamente la storia della Chimera: c'era questo mostro, un incrocio fra un leone, una capra ed un serpente. Sputava anche fuoco da una delle sue bocche, o forse da tutte e tre. Sembra che fosse davvero una creatura malvagia, così un eroe, Bellerofonte, fu inviato per spazzarla via. Bellerofonte fece il lavoro con l'aiuto del suo cavallo alato, Pegaso. Non dev'essere stata un'impresa tanto difficile, visto che la Chimera non poteva volare.

Questo è il mito: come vedete, può essere espresso in un paragrafo appena e questo è il modo in cui è descritto nell'Iliade: appena poche righe. In questi termini, non sembra niente di speciale, la si potrebbe di fatto condensare in una sola frase. Qualcosa come “l'eroe luminoso che uccide il mostro cattivo”. Ma c'è molto più di questo nel mito e lasciate che vi spieghi perché.

La soria della Chimera è molto antica, è uno dei miti più antichi della nostra civiltà. Quel nome, “Chimera” (o “Kimaira”), risale, probabilmente, al nono secolo prima di Cristo, circa 3.000 anni fa. E' da quel momento che cominciamo a trovare immagini e descrizioni di questa strana creatura. Ma il nocciolo della storia è molto più antico. Con nomi diversi, il mito del leone che sputa fuoco risale alle civiltà dei Babilonesi e dei Sumeri, quindi al terzo millennio prima di Cristo. Cioè, risale a circa 5.000 anni fa e probabilmente è ancora più antico. Potrebbe tranquillamente risalire ai nostri antenati del Paleolitico anche se, naturalmente, non sapremo mai quali storie si raccontavano la sera mentre stavano seduti intorno al fuoco.

La cosa curiosa è che una tale storia così vecchia sia ancora con noi e non sia cambiata nella sostanza. Durante questi 5.000 anni, imperi e civiltà sono apparsi e scomparsi, lingue e tipi di scrittura sono stati creati e, anche loro, sono scomparsi. Ma noi sappiamo ancora come è fatta una Chimera ed è possibile che i nostri discendenti lo sapranno ancora in un lontano futuro. Pensateci: fra 5.000 anni a qualcuno importerà chi fosse il presidente degli Stati uniti oggi o chi ha vinto il campionato di calcio?

Così, il mito della Chimera, proprio come molti altri miti, ha questa caratteristica di essere altamente “resiliente”, impossibile da distruggere. Cambia di nome e nei dettagli, ma persiste nei suoi fondamenti per tempi molto lunghi. Perché è così? Se alcuni concetti sopravvivono per tempi così lunghi, ci deve essere qualcosa che li fa sopravvivere, qualcosa di importante. Lasciate che approfondisca un po' questo punto.

La Capra ferrata

Ora, lasciate che vi racconti una cosa che ho imparato dal mio amico e collega Alessandro Fornari che, sfortunatamente, non è più con noi. Era un “antropologo sul campo”, uno che non stava semplicemente seduto ad una scrivania a scrivere libri. Amava passare gran parte del suo tempo a raccogliere e conservare storie popolari. Aveva un talento speciale nel convincere anziane donne contadine a raccontargli storie e a cantare per lui vecchie canzoni.

Una delle storie che ho sentito da Fornari è quella della “Capra ferrata” che proviene dagli Appennini, in Toscana. E' una storia semplice di un mostro piuttosto cattivo, ma il modo in cui la raccontava Fornari, be', era diventata una cosa speciale. Sapete, aveva imparato dalle anziane contadine un sacco di trucchi su come raccontare queste storie. Così, quando descriveva il modo in cui la Capra Ferrata appare alla porta di casa, Fornari parlava con voce roca, come ci si aspetta da ogni mostro che si rispetti. Lasciatemi provare a fare come faceva lui. Tipo, “Sono la capra ferrata, dagli occhi di fuoco e la lingua arrotata!”. Be', Fornari era molto meglio di me a raccontare questa storia, ma ho fatto del mio meglio!

La Capra Ferrata ha chiaramente a che fare col mito della Chimera. Ho parlato di questo con Fornari stesso ed era d'accordo con me. Un dettaglio è che, naturalmente, entrambe le storie fanno riferimento ad una capra come parte del mostro. Ma credetemi se vi dico che ci sono molte più similitudini che la semplice capra: la struttura della storia, l'ambientazione, i ruoli dei personaggi, ma ci torneremo fra poco. Ora, lasciatemi solo osservare un punto: come mai negli anni 50, fra le montagne toscane, anziani contadini raccontavano una storia vecchia di almeno 3.000 anni? E' possibile che la storia ci sia stata tramandata dal tempo degli Etruschi passando di padre in figlio? (o, più verosimilmente, di nonna in nipotina?).

Naturalmente, non lo sapremo mai, ma potrebbe anche essere: gli antropologi hanno scoperto che le storie raccontate della tradizione orale tendono a sopravvivere per molto tempo, secoli o più. Questo non significa che la storia della Capra Ferrata abbia 5.000 anni, naturalmente, ma mostra che alcune storie tendono ad essere raccontate in continuazione, in diverse versioni ma mantenendo alcuni tratti fondamentali. Così, negli anni 50, la storia della Chimera, o almeno una storia molto simile a quella della Chimera, veniva raccontata in Toscana in una versione orale che probabilmente non deriva dalle versioni letterarie o grafiche registrate sui libri. E' una manifestazione dell'incredibile resilienza dei tratti fondamentali del mito, qualcosa che dobbiamo cercare di spiegare.

I miti come trasmissione virale

Le storie scritte, proprio come certi vini, non invecchiano bene. Quando la storia della Chimera è stata scritta in un'età in cui la gente era diventata letterata, nei Tempi Classici, il mito è stato letteralmente fatto a pezzi. Così, Platone ci racconta della Chimera solo come una inutile assurdità. Per Virgilio è un accessorio decorativo per i suoi poemi. C'era uno scrittore Romano di nome Servius Onoratus che ha detto che la Chimera era in realtà la descrizione di un vulcano, per via del fatto che emetteva fiamme. Su questo, penso che se mai mi capitasse di incotrare Servius un giorno, nei Campi Elisi, gli direi qualcosa tipo. “Suvvia Servius, non pensi che i tuoi antenati fossero in grado di distinguere un leone da un vulcano?” Ma è così che va. Una volta scritto, un mito perde gran parte della sua consistenza, della sua logica e della sua resilienza. Diventa un mito morto, forse pieno di forza e furia, ma senza significato.

Perché è così? Ha a che fare, credo, con i limiti della mente umana. Ho letto, non molto tempo fa, che la memoria disponibile nel nostro cervello non è maggiore di poche centinaia di megabyte. Non sono sicuro di cosa significhi esattamente, ma ha senso: le nostre capacità mentali sono estremamente limitate. Guardate il mio libro sulla Chimera, contiene circa 80.000 parole. L'ho scritto, ma non potrei recitarvelo senza leggerlo. Pensate invece all'Iliade di Omero. Nella sua traduzione inglese ha circa 150.000 parole. Ma sono sicuro che Omero poteva recitarvi l'intera Iliade (e non solo l'Iliade, anche l'Odissea e probabilmente altri poemi epici). Ed Omero, molto probabilmente, non sapeva né leggere né scrivere.

Così, c'è un punto fondamentale qui. Abbiamo un sacco di libri nei nostri scaffali a casa, ma molto probabilmente non ne conosciamo nemmeno uno a memoria. Per Omero e la gente del suo tempo era l'opposto. Ora, sicuramente non direste che la gente del tempo di Omero fosse più intelligente di noi. Semplicemente aveva un modo diverso di organizzare l'informazione nei loro cervelli. Non avendo il tipo di supporto esterno che abbiamo noi sotto forma di libri, ed ora di Internet, l'informazione che avevano, doveva essere in forme che potessero essere memorizzate.

Poemi come l'Odissea e l'Iliade venivano fatti con quell'idea in mente: facile da memorizzare. Le rime, naturalmente, erano un dispositivo usato per questo scopo, ma non solo questo. La struttura stessa di questi poemi è fatta in modo tale da essere facile da assimilare. Se avete avuto il tempo di leggere l'Iliade, capirete ciò che intendo: la storia è compatta, estremamente densa, non c'è spazio per i dettagli. Confrontate l'Iliade o l'Odissea con un racconto moderno e vedrete la differenza. Pensate all'Ulisse di James Joyce. Teoricamente, Joyce voleva scrivere qualcosa come una versione moderna dell'Odissea ma, perbacco, il risultato è completamente diverso, anche se ci sono dei collegamenti, forse. E non è solo una questione di Joyce, è la struttura della narrativa moderna in generale che è cambiata. Potreste scrivere un buon numero di romanzi moderni con una singola pagina dell'Iliade.

Ora, pensate al mito della Chimera. E' stato concepito molto prima dell'esistenza della scrittura. Quindi la storia veniva raccontata in un modo facile da memorizzare e, come tale, estremamente compatto. Nell'Iliade il mito viene descritto in poche righe. Veniva lasciato al narratore il compito di dar vita a quelle poche righe col tono, l'espressione, la gestualità e, probabilmente, l'aggiunta di altri dettagli. Era proprio ciò che faceva Alessandro Fornari quando raccontava la storia della Capra ferrata nel suo modo unico. Aveva acquisito, penso, alcune della capacità degli antichi narratori!

In termini moderni, potremmo dire che un mito è una forma di comunicazione virale. E' un concetto di moda, oggigiorno, ma è una interpretazione corretta di un fenomeno comune ed anche molto antico. E' semplicemente che, quando trasmetti un messaggio, questo deve essere decodificato da chi lo riceve. Quindi, potete mandare un messaggio molto compatto che il ricevente “spacchetta” o “dezippa”. Così, il mio libro di 80.000 parole è un modo di spacchettare le poche righe della descrizione della Chimera data da Omero e da altri. Potreste dire che tutto quello che ho scritto nel mio libro era già contenuto, sebbene virtualmente, nelle poche righe scritte da Omero.

Essendo così compatto, un vero virus di comunicazione, il mito viene facilmente trasmesso. Non richiede altro supporto che la mente di una nonna contadina. E quando ha messo radici nella mente, resta lì perché è memorizzato per intero. Proprio per questo è molto difficile, quasi impossibile, distruggerlo. Viene trasmesso di generazione in generazione, sempre uguale, perché è così semplice e compatto. Penso che potremmo dire che il mito è “l'unità atomica” della comunicazione. In un certo senso, potremmo dire che un mito è un pezzo di informazione “a portata di mente”, per usare un termine inventato da Seymour Papert.

La lotta per la sopravvivenza del mito

Essere compatto, anche se importante per un mito, non può essere sufficiente per assicurarne la sopravvivenza. Come un virus biologico, per replicarsi un mito ha bisogno di avere la capacità di adattarsi a suoi ospiti; ha bisogno di essere in grado di usare il sistema riproduttivo dell'ospite. Nel caso di un mito, deve convincere l'ospite, tipicamente la mente di una nonna contadina, a raccontarlo di nuovo. Non tutti i miti riescono allo stesso modo. Forse nell'antica Grecia c'erano molti più miti e storie di quelle che conosciamo al giorno d'oggi, ma quelle che non avevano questa capacità di sopravvivenza non sono sopravvissute. Ci dev'essere stato un duro processo di selezione durante migliaia di anni. Allora, cosa rende la storia della Chimera così resiliente?

Sapete cosa fa una buona storia: ci deve essere un significato. Tipicamente, questo vuol dire che c'è una morale o un problema etico da risolvere. Ci dev'essere qualche tipo di conflitto, un problema da risolvere. Ecco cosa fa vivere una buona storia.

Ci sono molti esempi di miti che impersonificano conflitti di considerevole complessità. Mi viene in mente la storia di Antigone, forse ve la ricordate. Fu uccisa perché rifiutò di obbedire alle leggi che le proibivano di seppellire il corpo di suo fratello. E' il conflitto delle leggi umane con le leggi naturali, un mito estremamente moderno, che sarebbe molto interessante discutere, ma andiamo avanti.

Al contrario, molti miti sembrano piuttosto stupidi. Ricordate la storia di Piramo e Tisbe? Il dramma nel dramma in “Sogno di una notte di mezza estate” di Shakespeare? E' la storia di una giovane coppia e di come entrambi finiscono per uccidersi per errore. Non sembra un conflitto tanto profondo, solo un invito ad essere un tantino più prudenti! Ma se il mito è sopravvissuto, ci dev'essere una ragione. Forse è solo perché è così stupido. E infatti Shakespeare sembra pensarla proprio così nella sua rappresentazione. Ma, inoltre, potreste ricordare che anche un altro dramma, “Romeo e Giulietta” è basato esattamente sulla storia di Piramo e Tisbe! Quindi non dev'essere un mito così stupido, dopotutto.

I miti antichi sono spesso così. Possono sembrare stupidi superficialmente, ma c'è sempre uno strato di complessità sotto. Ci dev'essere un significato profondo in queste storie antiche, perché sono sopravvissute ad un processo di selezione durato migliaia di anni. E' la sopravvivenza darwiniana del più adatto trasposta alla mitologia.

Ed è lo stesso per il mito della Chimera. A prima vista, non sembra così complesso. Come ho detto prima, la potremmo comprimere in una sola frase: “eroe splendente uccide brutta bestia”. Che tipo di conflitto etico c'è in questo? Sembra la dichiarazione di intenti di un'azienda di disinfestazione. Ma le cose non sono così semplici e se quello fosse tutto ciò che c'era nel mito, non sarebbe sopravvissuto ai millenni. C'è molto, molto di più.

Il significato del mito della Chimera

Per spiegare il significato del mito della Chimera, potremmo tornare indietro alla storia della “Capra Ferrata”. La bestia, la strana creatura, è un'emanazione della natura selvaggia che, nella storia, bussa alla porta ed entra in casa. Questo è il punto fondamentale della storia: il conflitto fra civiltà e natura selvaggia, il problema da risolvere. Questo è ciò che da senso alla storia.

Il problema della relazione di spazi umani e natura selvaggia è molto antico e non lo abbiamo risolto neanche oggi. Viviamo prevalentemente in un ambiente urbano e non ci aspettiamo che dei mostri bussino alla nostra porta. Ma l'idea c'è ancora e continua a riapparire: pensate ad un film come “Avatar”. E' così ricco di riferimenti a miti antichi che pensereste che possa essere stato girato al tempo dei Sumeri. Vedete come sono dati i ruoli, c'è esattamente questo contrasto: natura selvaggia e civilizzazione. In Avatar, gli esseri umani sono la civiltà e i Pandoriani sono la natura selvaggia. Questo è ciò che rende il film affascinante, non le battaglie o i vari mostri. La storia ha un significato, c'è una tensione, un conflitto da risolvere.

Quindi, vedete quanto è moderno il mito della Chimera. Alla sua radice c'è il conflitto: civiltà contro natura selvaggia. La Chimera sono gli alberi che tagliamo per cementificare il territorio e costruire centri commerciali. E' le montagne che distruggiamo per arrivare al carbone che ci sta sotto. E' la gente che bombardiamo perché pensiamo sia pericolosa per noi. E' tutto ciò che non vogliamo vedere e che vogliamo distruggere, mentre pensiamo di essere al sicuro nelle nostre case. Ma, in realtà, non lo siamo e lo sappiamo molto bene. L'ambiente in realtà non è qualcosa che sta “fuori”, l'ambiente è tutte quelle cose che ci fanno vivere. Se distruggiamo l'ambiente, distruggiamo noi stessi.

Queste considerazioni sono tutte lì, nel mito della Chimera, una volta che lo spacchettate e vi prendete cura di qualche dettaglio che sembra essere marginale e, invece, è fondamentale. Così, nell'Iliade  ci si riferisce alla Chimera come a “Theon”, che significa “divino”. La Chimera non è un semplice mostro, è un Dio. E nessun mortale può uccidere un Dio perché gli dei sono immortali: Al massimo, è possibile uccidere un “avatar” di un Dio. E uccidere un Dio, anche solo il suo avatar, non è qualcosa che i comuni mortali possano fare con leggerezza. Porta sfortuna, non ricompense. Infatti, Bellerofonte finisce la sua vita cieco e maledetto, come punizione per quello che aveva fatto. Quindi, vedete? La storia della Chimera non è affatto semplice: Non è in bianco e nero, non è il bene contro il male. La storia è sottile e densa ed ha molti significati che possiamo ancora capire se solo passiamo un po' di tempo ad esplorarla.

Oggi non ascoltiamo più le vecchie storie raccontate dalle nonne. Ma le nostre menti non sono cambiate da quell'era ed i messaggi che ci scambiamo devo ancora essere “a portata di mente”, anche se tendiamo a pensare di essere progrediti oltre. Potrebbe benissimo essere che, con Internet, stiamo tornando indietro ad un tipo di comunicazione rapida e “virale” che era tipica della tradizione orale. Naturalmente Internet, ora, è piena di storie stupide ed inutili, ma abbiamo anche visto che c'è una selezione naturale per le storie. Le storie stupide non sopravvivono a lungo, quelle importanti sì. La storia della Chimera è qualcosa che potrebbe avere una nuova vita oggi, se impariamo come raccontarla. Film come “Avatar” potrebbero essere un modo. Così, potrebbe esserci oggi la speranza di trasmettere il significato che il mito antico ha portato con sé per millenni: se distruggiamo quello che pensiamo siano mostri, distruggiamo noi stessi. La nostra sola speranza per il futuro è di far pace con le nostre Chimere.


Questa immagine di  Ferdnand Knhopff non mostra Bellerofonte e la Chimera, ma piuttosto Edipo e la Sfinge: Ma non ha importanza, è lo stesso vecchio mito e l'idea che i protagonisti debbano far pace fra loro (Lino Polegato)