mercoledì 3 dicembre 2014

Il prezzo del petrolio evidenzia il reale stato dell'economia

DaThe Automatic Earth”. Traduzione di MR

(quello che fa impressione nella foto qui sotto è come gli americani erano magri 60 anni fa. Cosa diavolo è successo che li hanno fatti diventare una nazione di balenottere spiaggiate? Forse la spiegazione si trova nel menu di questo ristorante per camionisti? - UB)


Jack Delano: bar alla stazione di servizio per camionisti sulla Statale 1, Washington DC, giugno 1940

Dovremmo essere grati del fatto che il prezzo del petrolio sia crollato in questo modo (perdendo un altro 6% oggi proprio mentre sto scrivendo). Non perché rende la benzina nelle nostre auto un po' meno cara, questo è niente in confronto all'altro servizio che ci fornisce il crollo del prezzo. Cioè, che ci permette di vedere in che stato si trova realmente l'economia, senza il velo multistrato della propaganda, le invenzioni, i dati aggiustati, i salvataggi e le dispense al sistema bancario. Ci mostra l'enorme misura in cui sta crollando la spesa al consumo, quanto la gente sia diventata più povera, mentre le borse stabiliscono nuovi record. Ci mostra anche quanto siano diventate disperate le nazioni produttrici, che hanno visto un terzo di quella che spesso è la loro principale fonte di introito svanire in pochi mesi. La Nigeria è stata la prima della fila a svalutare la propria valuta, altre seguiranno presto. L'OPEC oggi ha deciso di non tagliare la produzione, ma a qualsiasi decisione fossero giunti, niente avrebbe fatto la minima differenza. Solo il fatto che i prezzi hanno cominciato a scendere di nuovo dopo che è stata resa pubblica mostra quanto siano diventati insensati i mercati finanziari, storditi dai soldi facili per i quali non serve nemmeno un neurone funzionante. L'OPEC è diventata una piece teatrale e nel mondo reale là fuori le cose si stanno complicando. Le nazioni produttrici di petrolio non possono permettersi di tagliare la propria produzione in un vago tentativo, con risultati molto incerti, di aumentare i prezzi. Il solo modo di compensare le proprie perdite è quello di aumentare la produzione, quando e dove ciò è possibile. E alcune non possono nemmeno farlo.

L'Arabia Saudita ha aumentato la produzione nel 1986 per abbassare i prezzi. Tutto ciò che deve fare oggi per ottenere la stessa cosa è non tagliare la produzione. Ma i sauditi hanno perso molto peso, insieme all'OPEC; non è più il 1986. Ciò è dovuto in una certa misura al petrolio di scisto americano, ma la crisi finanziaria globale è un fattore molto più importante. Solo adesso stiamo veramente cominciando a vedere quanto quella crisi abbia già colpito duramente il miracolo delle esportazioni cinesi e la sua domanda di risorse, un motivo importante del collasso del petrolio. Quest'anno gli Stati Uniti hanno importato meno petrolio dai membri dell'OPEC di quanto abbia fatto nei precedenti 30 anni, mentre gli americani guidano per distanze pro capite molto inferiori e lo scisto vive il suo salto temporaneo finanziato dal debito. Ora tutti i produttori di petrolio, non solo i trivellatori dello scisto, si trasformano in Regine Rosse, cercando semplicemente di compensare le perdite con sempre maggiore difficoltà. Nel frattempo, l'industria americana dello scisto è un camion senza autista, coi freni rotti, alimentato da capitale speculativo a basso costo. La questione alla base è che lo scisto statunitense non ha più a che fare con ciò che è fattibile, ma con ciò che può essere ancora finanziato domani. E la stampa si sta svegliando solo adesso riguardo al carattere da schema Ponzi dell'industria. In un pezzo piuttosto consistente della scorsa settimana, John Dizard del Financial Times (FT) ha concluso dicendo:

Anche la gente che è nell'industria petrolifera da molto tempo è in grado di ricordare un ciclo di sovra-investimento che duri quanto quello in risorse non convenzionali statunitensi. Non sono solo gli ingegneri degli idrocarburi ad aver creato questa bolla; ci sono gli ingegneri finanziari che hanno inventato nuovi modi per pagarla.

Mentre la Reuters il 10 novembre (h/t Yves di NC) ha parlato di enormi problemi dal fondo KKR dello scisto:

La KKR, che ha condotto l'acquisizione del produttore di petrolio e gas Samson per 7,2 milioni di dollari nel 2011 ed ha già venduto metà dei suoi possedimenti terrieri per affrontare i prezzi dell'energia più bassi, pianifica di vendere il suo deposito di petrolio di Bakken in Nord Dakota, che vale meno di 500 milioni di dollari, come parte di un piano di ridimensionamento. 

Le obbligazioni della Samson sono scambiate intorno ai 70 centesimo di dollaro, indicando che il patrimonio netto della KKR e dei suoi partner nella società saranno probabilmente spazzati via se l'intera società venisse venduta adesso. I guai finanziari della Samson sottolineano come la storia d'amore fra i patrimoni privati e la rivoluzione dello scisto del Nord America porta dei rischi. La posta in gioco sono è particolarmente alta per la KKR, che ha visto svanire una scommessa di 45 milioni di dollari sui prezzi del gas naturale quando l'azienda elettrica texana Energy Future Holdings ha presentato istanza di fallimento quest'anno.

Ed oggi, Tracy Alloway del FT menziona le grandi banche e le loro perdite legate all'energia:

Le banche, compresa Barclays e wells Fargo, stanno affrontando forti perdite potenziali  su un prestito di 850 milioni di dollari fatto a due società del gas, segno di quanto la drammatica scivolata del prezzo del petrolio cominci a ripercuotersi nell'economia più allargata. [..] se Barclays e Wells tentassero di sindacare il prestito da 850 milioni di dollari adesso, questo varrebbe 60 centesimi di dollaro.

E questo è un solo prestito. A 60 centesimi di dollaro, una perdita di 340 milioni di dollari. Chi può dire quanti prestiti del genere, o più grandi, ci siano in giro? Messe insieme, queste storie che filtrano lentamente dalla congiuntura fra energia e finanza, danno a chi è disposto ad ascoltare un accenno di idea delle perdite in cui è incorsa l'economia globale e dai grandi finanziatori. C'è un bagno di sangue che fermenta nell'ombra. I paesi possono vedersi tagliati i propri introiti di un terzo e andare avanti, magari con nuovi leader, ma molte società non possono perdere tanto introito e andare avanti, di certo non quando sono pesantemente sotto pressione. I sauditi rifiutano di tagliare la produzione e dicono: che tagli l'America. Ma i produttori americani di petrolio non possono tagliare nemmeno se volessero, ciò farebbe emergere i loro carichi di debito e metterebbe fine alla loro esistenza. Inoltre, la storia dell l'indipendenza energetica gioca naturalmente un grande ruolo. Ma coi prezzi che continuano a cadere, gran parte di quell'industria andrà a gambe all'aria perché il credito viene revocato. La quantità di soldi persi nel 'ciclo di sovra-investimento' sarà stupefacente e non c'è bisogno di chiedersi chi lo pagherà. Indicare i rischi delle bolle petrolifere del passato rischia di tralasciare il punto che il tipo di leva e di credito a buon mercato ammucchiato sul petrolio e il gas di scisto, come dice anche Dizard, è senza precedenti. Come ha scritto Wolf Richter all'inizio dell'anno, l'industria ha perso oltre 100 milioni di dollari in tre anni di esercizio. Non perché non vendesse, ma perché i costi sono stati – e sono – davvero formidabili.

C'è più debito che va sotto terra che petrolio che ne esce. Lo scisto era una proposta in perdita anche a 100 dollari (al barile, ndT). Ma ciò è rimasto nascosto dietro alle scommessa sostenute da prestiti allo 0,5% che hanno alimentato la speculazione terriera su cui era basata dall'inizio. Il WTI è sceso sotto i 70 dollari oggi. Potete far fare i conti ai vostri figli di 3 anni da desso in poi. Mi chiedo quante persone si gratteranno la testa mentre riempiranno i loro serbatoi questa settimana e si chiedano quanto questa benzina a buon mercato sia croce o delizia. Dovrebbero. Dovrebbero chiedersi come, perché e quanto la caduta del prezzo della benzina sia il riflesso del reale stato dell'economia globale e ciò che questo dice sul loro futuro. Godetevi il tacchino.