lunedì 29 febbraio 2016

Una Rispostina a Rubbia


Questo articolo di Claudio della Volpe è una risposta ("rispostina") a un intervento di Carlo Rubbia dove, dispiace dirlo, il nostro premio nobel per la fisica si è trovato a tirar fuori una serie di affermazioni del tutto slegate da ogni realtà fattuale e basate su una serie di leggende, tipo quella che gli elefanti di Annibale avrebbero potuto passare le Alpi dato che il clima, a quel tempo, era molto più caldo di oggi. Purtroppo, la realtà è un altra cosa, come si può vedere nella figura qui sopra, da un articolo recente di Buentgen et al. discusso anche in un post precedente. Insomma, la lotta al cambiamento climatico non si fa con le leggende urbane, come ci spiega qui Claudio della Volpe

Una Rispostina a Rubbia


Di Claudio della Volpe


la chimica e l’industria | anno XCVIII n° 1 | GENNAIO/FEBBRAIO 2016, 63

Wilhelm Ostwald è uno di quei nomi che tornano ripetutamente nella nostra vita di chimici, non solo perché sviluppò alcune teorie od equazioni ancor oggi valide, dopo oltre un secolo, ma anche perché svolse un ruolo fondamentale nello sviluppo della “cultura” chimica e, più in generale, scientifica nel suo Paese e in tutto il mondo.

Ostwald vinse il Nobel per la Chimica nel 1909; eppure ancora pochi anni prima era un convinto assertore di una teoria energetica ed “anti-atomica” che aveva esposto e difeso a partire a  lmeno dalla famosa conferenza di Lubecca degli scienziati e medici tedeschi del 1895. Si convinse ad abbandonare quelle posizioni solo dopo gli esperimenti di J. Perrin, anch’egli Nobel nel 1926 per il suo lavoro sulla struttura discontinua della materia; aveva determinato fra l’altro il numero di Avogadro e la dimensione degli atomi.

Ma nessuno di noi si sentirebbe di criticare banalmente le asserzioni di Ostwald o di considerarlo “in ritardo” rispetto alle concezioni atomistiche moderne; era un periodo di grande fermento spirituale e scientifico in cui si gettarono le basi della meccanica quantistica e della scienza moderna e queste contraddizioni c’erano tutte: Boltzmann si era suicidato nel 1906 a Duino e non vinse mai il Nobel (come non lo vinse Poincaré, che pare non avesse scoperto nulla di cruciale); una veneziana come Agnes Pockels  ancora nel 1891 dovette rivolgersi a Lord Kelvin per pubblicare su Nature le prime misure di tensione superficiale fatte con l’antenato del trough di Langmuir e degne di questo nome (Fig. 1). Da allora ne è passata acqua sotto i ponti se per esempio oggi abbiamo come presidenti, attuale della Società Italiana di Fisica e prossima ventura di quella di Chimica, due donne.

Perché vi racconto questa storia? Perché anche  oggi abbiamo scienziati di indubbio valore, anche loro premi Nobel o comunque molto famosi, che però criticano alcuni dei risultati fondamentali della ricerca moderna; il 26 novembre 2014 per esempio Carlo Rubbia, Nobel per la Fisica nel 1984 per aver contribuito alla scoperta dei portatori della cosiddetta “interazione debole” e nominato successivamente Senatore a Vita della Repubblica, ha sostenuto in un intervento in Senato (http://www.senato. it/service/PDF/PDFServer/DF/309730.pdf) che

“Ai tempi dei Romani, ad esempio, Annibale ha attraversato le Alpi con gli elefanti per venire in Italia. Oggi non ci potrebbe venire, perché la temperatura della Terra è inferiore a quella che era ai tempi dei Romani. Quindi, oggi gli elefanti non potrebbero attraversare la zona dove sono passati inizialmente. C’è stato il periodo, nel Medioevo, in cui si è verificata una piccola glaciazione; intorno all’anno 1000 c’è stato un aumento di temperatura simile a quello dei tempi dei Romani. Ricordiamo che ai tempi dei Romani la temperatura era più alta di quella di oggi; poi c’è stata una mini-glaciazione, durante il periodo del 1500-1600. Ad esempio, i Vichinghi hanno avuto degli enormi problemi di sopravvivenza a causa di questa miniglaciazione, che si è sviluppata con cambiamenti di temperatura sostanziali.”

Ora a parte le testimonianze di livello liceale di Polibio e Livio sulla neve incontrata da Annibale sulle Alpi, i dati climatologici (fra gli altri la famosa mummia del Similaun o i dati glaciologici di Gabrielli) raccontano storie del tutto diverse. La temperatura al tempo dei Romani non era assolutamente maggiore che nel nostro periodo, anzi era inferiore (un solo elefante dei 37 di Annibale sopravvisse all’inverno padano) ma soprattutto il periodo caldo medioevale e la cosiddetta piccola età glaciale difficilmente avrebbero potuto dare fastidio ai Vichinghi, la cui epopea si situa tutta fra l’800 e il 1066 [U. Büntgen et al., 2500 Years of European Climate Variability and Human Susceptibility, Science, 2011, 331, 579] (Fig. 2).

Dice ancora Rubbia “Vorrei ricordare ad esempio- chiedo al Ministro conferma di questo - che dal 2000 al 2014, la temperatura della Terra non è aumentata: essa è diminuita di -0,2 °C e noi non abbiamo osservato negli ultimi 15 anni alcun cambiamento climatico di una certa dimensione. Questo è un fatto di cui tutti voi dovete rendervi conto, perché non siamo di fronte ad un’esplosione esplosiva della temperatura: la temperatura è montata fino al 2000: da quel momento siamo rimasti costanti, anzi siamo scesi di 0,2 °C. È giusto, Ministro?”.

Nessun climatologo si arrischierebbe a definire “climatico” un trend di soli 14 anni, per altro riportato in modo sbagliato: la temperatura media della Terra, secondo i dati più accettati (http://data.giss.nasa.gov/gistemp/graphs_v3/Fig.A.txt) nel 2000 era superiore di 0,57 °C alla media 1951-1980 mentre nel 2014 lo era di 0,89 °C, ossia 0,32 °C IN PIÙ.

Rubbia non è un caso isolato; sono sulla stessa linea parecchi colleghi fisici o chimici famosi, alcuni dei quali scrivono comunemente su questa rivista; ma anche la presidente della SIF, Luisa Cifarelli, allieva di Zichichi, che recentemente si è rifiutata di sottoscrivere un documento che dichiarava che è certo che l’umanità abbia un effetto sul clima e che è estremamente probabile che sia essa all’origine dell’attuale riscaldamento globale. Ora, mi dirà qualcuno che conosco, dove è la differenza fra il diritto di Ostwald di rifiutare la teoria atomica e quello della Cifarelli di rifiutare la teoria climatologica attuale o di Rubbia di stravolgere la storia del clima?

Beh, è presto detto. Ostwald era uno dei protagonisti della chimica e della fisica della sua epoca, era uno che pubblicava cose che sono rimaste dopo più di 100 anni proprio nel settore in cui esprimeva poi dissenso e la scienza del primo Novecento viveva grandi contrasti. Oggi, viceversa, non ci sono climatologi attivi che neghino l’evidenza del ruolo umano sul clima o che neghino almeno la possibilità che il ruolo dell’uomo sia decisivo; viceversa nessuno dei colleghi italiani che negano tale ruolo pubblica attivamente nel settore climatologico; anzi, a dire il vero, la cultura italiana del settore è abbastanza indietro; basti pensare che in Italia, unico Paese in Europa, non c’è una laurea in meteorologia o in climatologia, le previsioni e perfino i dati meteo passano ancora obbligatoriamente per l’aeronautica militare; si tratta di una situazione di arretratezza culturale che si paga duramente e che è alla base di polemiche così prive di fondamento.

Anche noi chimici non abbiamo fatto un gran figurone sul tema della COP21 durante la sua preparazione; comunque la SCI nel Consiglio Direttivo del 12 dicembre ha deliberato di costituire un gruppo di lavoro allo scopo di redigere un documento sul tema dei cambiamenti climatici che possa rappresentare la posizione ufficiale della SCI.

E questa decisione mi fa piacere! In attesa di leggere il documento, voi che ne pensate?

La caduta dell'Impero Romano d'Occidente: un effetto del cambiamento climatico?

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR


Immagine dall'articolo di Buentgen et al., pubblicato su  "Nature Geoscience" l'8 febbraio 2016. Le curve rosse sono i cambiamenti di temperatura ricostruiti dagli anelli degli alberi nell'Altai russo (curva in alto) e della Alpi europee (curva in basso). Osservate il notevole crollo delle temperature che ha avuto luogo a partire dal sesto secolo D.C.. Ma, a quel punto, l'Impero Romano d'Occidente è bello che andato. Il suo collasso NON è stato causato dal cambiamento climatico. 

Il rapporto fra clima e collasso delle civiltà è un tema molto discusso. Dal recente collasso dello stato Siriano a quello molto più antico della civiltà dell'Età del Bronzo, i cambiamenti climatici sono stati visti come i colpevoli di diversi disastri successi alle società umane. Tuttavia, un punto di vista alternativo del collasso della società lo vede come il risultato naturale (“sistemico”) dei ritorni decrescenti che una società ottiene dalle risorse che sfrutta. E' il concetto definito “ritorni decrescenti della complessità” da Joseph A. Tainter. Su questo punto, potremmo dire che potrebbero benissimo esserci diverse cause del collasso di una società. Cambiamento climatico ed esaurimento delle risorse possono indebolire sufficientemente le strutture di controllo di qualsiasi civiltà da piegarla e farla scomparire. Nel caso dell'Impero Romano d'Occidente, tuttavia, i dati pubblicati da Buentgen et al. confermano totalmente l'interpretazione di Tainter del collasso dell'Impero Romano: è stato un collasso sistemico, NON è stato causato dal cambiamento climatico.

domenica 28 febbraio 2016

Riforestare contro il riscaldamento globale? Come sempre, i sistemi complessi ti prendono di sorpresa

Da “Reuters”, Traduzione di MR (via Alexander Ač)

Di Alister Doyle


Due persone camminano lungo una foresta mentre il sole splende oltre la nebbia vicino la passo montano di Albis, in Svizzera, lo scorso 12 novembre 2015. REUTERS/ARND WIEGMANN/FILES

Questo articolo potrebbe essere facilmente capito male. Non va inteso nel senso che riforestare il pianeta fa danni, ma piuttosto che, come tutte le cose che si fanno con un sistema complesso, i risultati possono essere il contrario di quello che uno si aspetterebbe. In sostanza, lo studio dice che la quantità di CO2 che si può assorbire per riforestazione è piccola in confronto alla quantità emessa dalla combustione dei fossili. E che questo modesto risultato può facilmente essere annullato dall'effetto del colore scuro delle foreste. Particolarmente interessante è il risultato che il passaggio da foreste "naturali" a foreste "gestite" causa la rimozione e la combustione di una gran quantità di legna secca dai boschi che agiva prima come riserva di carbonio e che invece va a finire nell'atmosfera come CO2. Alla faccia della biomassa intesa come una tecnologia benigna per l'ambiente! Insomma, leggetevi questo articolo di Reuters, ma, se avete tempo, date un'occhiata all'articolo originale potete trovare a questo link. E' veramente molto interessante (UB)


Un'espansione delle foreste di conifere verde scuro ha alimentato il riscaldamento globale, secondo uno studio pubblicato giovedì che contrasta con un punto di vista diffuso secondo il quale piantare alberi aiuterebbe i tentativi umani di rallentare l'aumento delle temperature. I cambiamenti delle foreste hanno spinto verso l'alto le temperature estive europee fino a 0,12°C dal 1750, in gran parte perché molte nazioni hanno piantato conifere come pini ed abeti il cui colore scuro intrappola il calore del sole, hanno detto gli scienziati. Gli alberi latifoglie di colore più chiaro, come le querce e le betulle, riflettono più raggi del sole verso lo spazio, ma hanno perso terreno a favore delle conifere che crescono rapidamente, usate per tutto, dai materiali di costruzione alla pasta di legno. In generale, l'area boschiva europea si è estesa del 10% dal 1750. “Due secoli e mezzo di gestione forestale in Europa non hanno rinfrescato il clima”, ha scritto la squadra condotta dal France's Laboratoire des Sciences du Climat et de l'Environnement sulla rivista Science. I ricercatori hanno detto che i cambiamenti nella composizione delle foreste europee ha sopravvalutato il ruolo degli alberi nel frenare il riscaldamento globale. Gli alberi assorbono biossido di carbonio, il principale gas serra proveniente dai combustibili fossili, dall'aria man mano che crescono. “Non si tratta solo di carbonio”, ha detto alla Reuters l'autrice principale Kim Naudts, dicendo che le politiche governative per favorire le foreste dovrebbero essere ripensate per tenere conto di fattori come il colore ed i cambiamenti di umidità nei suoli.

Un accordo di Parigi fra 195 nazioni a dicembre, inteso come punto di svolta dai combustibili fossili, promuove le foreste per aiutare a limitare un aumento delle temperature, incolpate di causare più alluvioni, ondate di calore ed aumento dei livelli del mare. Le temperature medie mondiali sono aumentate di 0,9°C dall'inizio della Rivoluzione Industriale. Dal 1750, le foreste europee hanno guadagnato 196.000 kmq – un'area più grande della Grecia – per raggiungere i 2,13 milioni di kmq nel 2010, ha detto lo studio. Nello stesso periodo, le foreste di conifere si sono estese di 633.000 kmq, mentre le foreste di latifoglie si sono ridotte di 436.000 kmq. In quel periodo, gli europei hanno raccolto sempre più legno dalle foreste, riducendo il loro ruolo nello stoccaggio del carbonio. Lo studio uscito giovedì era limitato all'Europa ma ha detto che effetti analoghi sono probabili in altre parti del mondo con grandi programmi di riforestazione come Cina, stati Uniti e Russia. Un altro studio di Science, condotto da esperti di un centro di ricerca della Commissione Europea dell'Ispra, in Italia, hanno anche collegato una perdita di foreste in tutto il mondo ad un aumento medio e massimo delle temperature, specialmente in regioni aride e tropicali.


sabato 27 febbraio 2016

La sinistra di fronte al collasso della civiltà

Nota: in questo elenco su come prepararsi ad un futuro postpetrolio mancano molte cose, in particolar modo l'implementazione di una rete di energie rinnovabili che faccia da cuscinetto nel passaggio da una società industrializzata in ogni suo aspetto ad una che, in un prevedibile futuro, potrebbe essere anche completamente deindustrializzata o ad una con una struttura industriale molto ridotta. E non si fa accenno al problema climatico e a quello dell'eccessiva popolazione, per esempio. Tuttavia l'elenco, pur parziale, potrebbe servire come base di discussione su quanto le amministrazioni pubbliche ed i governi potrebbero (e dovrebbero) fare per favorire la transizione. Spesso chiediamo cose ai governi/amministrazioni e lo facciamo con atteggiamenti rivendicativi, ma sono persuaso che nemmeno noi, "la gente", abbiamo le idee poi così chiare. Aggiungete i vostri punti/suggerimenti fra i commenti, magari questo potrebbe essere un primo tentativo di visualizzazione collettiva di quanto ci serve per il futuro. Buona lettura. Massimiliano.

Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR


Cari lettori,

per i lettori di questo blog che vivono in Galizia, da quelle parti sapranno già della recente pubblicazione del libro “A esquerda ante o colapso da civilización industrial – La sinistra di fronte al collasso della civiltà industriale”, un saggio di Manuel Casal Lodeiro, attivista e mebro attivo di un'associazione molto conosciuta in queste pagine, Véspera de nada. Inoltre, Manuel è anche il coordinatore della rivista post-collassista “per una nuova civiltà” 15/15\15.


"A esquerda ante o colapso da civilización industrial” è, in un certo senso, la continuazione della “Guida per la discesa energetica” che ha pubblicato Véspera de nada due anni fa, ma in questo caso il libro è concentrato direttamente sul terreno politico. Come sta reagendo la sinistra di fronte al collasso che sta cominciando? Come, e perché, dovrebbe reagire? Queste sono le domande alle quali cerca di rispondere l'autore, soffermandosi soprattutto sul panorama politico galiziano, ma guardando anche la Catalogna, i Paesi Baschi e il resto dello stato spagnolo o persino alla Grecia di Syriza. Il libro offre alcuni materiali aggiuntivi sotto forma di allegato che sono particolarmente interessanti. Uno di questi consiste in un gruppo di misure che qualsiasi governo dovrebbe affrontare per cominciare la “transizione” necessaria verso un mondo in declino energetico e che Pau Valverde Ferreiro, uno dei lettori-mecenati del libro, ha tradotto in castigliano per ampliarne la diffusione. Mentre attendiamo l'edizione spagnola di “La sinistra...” (che proprio adesso è in discussione, anche quella portoghese), d'accordo con Manuel abbiamo deciso di condividere l'allegato da questo blog. Allo stesso tempo, vi invitiamo a conoscere gli altri contenuti che l'autore sta pubblicando nel sito web esquerda.colapso.info.

Saluti.
AMT

venerdì 26 febbraio 2016

Lupi, mannari ed il vangelo di Filippo


Di Jacopo Simonetta.

In questi giorni sta circolando una petizione in favore dei lupi, forse mille in tutta Italia, ma c'è chi dice che siano troppi.   Forse lo stato, le regioni ed i bracconieri riusciranno a distruggere i lupi, ma non sono qualche centinaio di cani selvatici a minacciare la nostra civiltà, bensì quasi 8 miliardi di esseri umani.   E’ così difficile da capire?   Pare di si.

In un Appennino in cui oramai tutti si lamentano, talvolta a proposito, dei troppi cinghiali e dei troppi caprioli, il lupo dovrebbe essere il beniamino di tutti.   Magari non dei pastori, ma certamente dei cacciatori e degli agricoltori.   E invece no.   Perché?

Forse lo possiamo capire considerando che quello materiale è solo uno dei molti piani di realtà in cui ci muoviamo.   Un altro è quello dei simboli ed è proprio qui che troviamo importanti tracce di lupo.   Il significato simbolico non è intrinseco, siamo noi che lo elaboriamo e lo attribuiamo a qualcosa.   Ma una volta creato, il simbolo esiste ed esercita un effetto potentissimo sulla realtà materiale, come testimoniato dai milioni di soldati morti seguendo una bandiera.   Oppure dai forse cento lupi annualmente uccisi perlopiù da gente che avrebbe tutto l’interesse a proteggerli.

Dunque la spiegazione di questa assurdità va cercata lontano dai testi di biologia; magari nelle favole di Esopo e di Fedro, dove i lupi non fanno mai bella figura.   Il lupo travestito da pecora, il lupo ladro ed assassino sono parte integrante della cultura dei popoli pastori.  Per questo il Cristianesimo, nato fra i pastori, basò da subito la sua narrativa sui simboli della pecorella smarrita e del Buon Pastore. Necessariamente il lupo doveva impersonare stupida ferocia, inganno e prevaricazione.

Più tardi, man mano che il nostro controllo sul mondo cresceva, il lupo è finito col diventare simbolo delle forze indomite della Natura, contrapposte alla nostra volontà ed al nostro diritto di controllo universale.

E’ di questi fantasmi che discute la conferenza stato-regione, non di gestione faunistica.   Ma anche coloro che si indignano per questo assurdo avvertono urgente il bisogno di difendere un simbolo, ancor prima di una sana gestione ambientale.   Un simbolo di cui troviamo traccia nella tradizione medioevale.

Tutti conoscono la leggenda di S. Francesco, che assai poco ha a che fare con questa storia.   Pochi invece conoscono quella di S. Galgano nel cui santuario ancora oggi sono conservate le ossa dei suoi nemici, sbranati dai lupi che proteggevano il santo.   Una traccia tenue, ma che ritroviamo nella letteratura dell’epoca e, secoli dopo, nei verbali dell’inquisizione.   Testi che certificano un rapporto molto profondo e complesso delle popolazioni rurali con questo animale e con la sua “elevazione a potenza”: il Lupo Mannaro.    Perlomeno in Europa occidentale, i Mannari erano uomini con il potere di trasformarsi in lupi e di andare in tal forma fino all'inferno a combattere contro il Diavolo per recuperare le promesse di raccolto che il Maligno rubava dai campi.   Se vincevano i lupi il raccolto era buono, se invece venivano sconfitti la carestia avrebbe colpito la regione.   Dunque dei difensori, ma come spesso accade ai difensori, anche dei predatori.   Durante le loro scorribande in cerca del Nemico, i mannari avevano infatti fame e divoravano qualunque animale gli si parasse dinnanzi: porco, vacca o uomo che fosse.

Quello che qui preme notare è che in questo contesto il Lupo è simbolo di una forza indispensabile alla vita umana, ma anche pericolosa ed alla quale è dovuto un tributo di sangue.   Erano lupi e corvi che seguivano Wotan nei suoi viaggi e tutta la tradizione indoeuropea è intrisa del concetto che gli Dei sono qualcosa al di sopra e al di fuori di ogni ragione o morale umana.   Elargiscono doni e protezione, ma anche uccidono e distruggono senza che noi possano capire, tanto meno esercitare un controllo sul loro operato.

Il ritorno dei lupi sulle montagne dove erano stati sterminati cento anni fa ridesta oggi un atavico scontro fra due diverse concezioni dell’uomo e del suo ruolo.   Cioè se ha il diritto di dominare il mondo, oppure il dovere di rispettare la Natura e le sue leggi.

Cosa c’entra tutto ciò con il Vangelo di Filippo?  Questa massima:

“La verità non è venuta nel mondo nuda, ma è venuta abbigliata di simboli ed immagini.”

Bentornati Lupi, simbolici e materiali.



giovedì 25 febbraio 2016

La Fisica dell'energia e l'economia

Da “Our Finite World”. Traduzione di MR

Di Gail Tverberg

Mi approccio al tema della Fisica di energia ed economia con qualche trepidazione. Un'economia sembra essere un sistema dissipativo, ma cosa significa veramente questo? Non ci sono molte persone che capiscono i sistemi dissipativi e molto poche che capiscono in che modo funziona un'economia. La combinazione delle due cose porta a moltissime false credenze sulle necessità energetiche di un'economia.

Il principale problema a portata di mano è che, in quanto sistema dissipativo, ogni economia ha le proprie necessità energetiche (in termini di luce solare) ed ogni pianta ed animale ha le sue necessità energetiche, in una forma o in un'altra. Un uragano è un altro sistema dissipativo. Ha bisogno dell'energia che ottiene dall'acqua calda dell'oceano. Se si sposta sulla terraferma , si indebolirà presto e morirà. C'è una gamma piuttosto ristretta di livelli di energia accettabili – un animale senza cibo sufficiente si indebolisce ed è più probabile che venga mangiato da un predatore o che soccomba ad una malattia. Una pianta senza luce solare sufficiente è probabile che si indebolisca e che muoia.

Infatti, gli effetti del non avere flussi di energia sufficienti potrebbero diffondersi più ampiamente della singola pianta o animale che si indebolisce e muore. Se la ragione per cui una pianta muore è perché la pianta è parte di una foresta che nel tempo è cresciuta così fitta che le piante del sottobosco non possono ricevere luce sufficiente, allora potrebbe esserci un problema più grande. Il materiale della pianta morente potrebbe accumularsi al punto da incoraggiare gli incendi. Tale incendio forestale potrebbe bruciare un'area piuttosto grande della foresta. Pertanto, il risultato indiretto potrebbe essere di mettere fine ad una parte dell'ecosistema stesso della foresta. Come dovremmo aspettarci che si comporti un'economia nel tempo? Lo schema di energia dissipata durante il ciclo di vita di un sistema dissipativo varierà, a seconda del sistema particolare. Negli esempi che faccio, lo schema sembra in qualche modo seguire ciò che Ugo Bardi chiama un Dirupo di Seneca.

Figura 1. Dirupo di Seneca di Ugo Bardi

mercoledì 24 febbraio 2016

Espulsi dal Paese dei Balocchi. Il destino degli anziani nel mondo post-picco



Di Jacopo Simonetta.

“L’86 per cento dei decessi è provocato da malattie croniche, che colpiscono più dell’80 per cento
delle persone oltre i 65 anni. Una vera piaga, che costa alla sanità 700 miliardi di euro all'anno”
Questa frase, letta in un articolino di agenzia, mi ha molto colpito perché solo una cinquantina di anni fa questi stessi dati si sarebbero letti più o meno in questo senso: “L’86% della gente muore di vecchiaia. “  
Sarebbe stato considerato un bel progresso e ci si sarebbe preoccupati di quel 14% di persone che muoiono giovani o quasi.    Che cosa è cambiato?

Per cominciare è aumentata la vita media che, in Italia, in questi 50 anni è passata da circa 65 a quasi 85 anni.   Questo ha cambiato la nostra prospettiva.   Quando ero bambino, un settantenne veniva complimentato per la sua veneranda età, mentre oggi si dice che “è ancora giovane” e si pretende che lavori e produca come quando di anni ne aveva 40.

Questo ci porta alla seconda considerazione.  

Sicuramente l’aumento della vita media è dovuto all’aumento del benessere, ma in modo un po’ diverso a seconda delle classi di età.   Nel bambini, infatti, la drastica riduzione della mortalità è dipesa sia da una migliore alimentazione media che, soprattutto, dalle campagne di vaccinazione di massa.   Per i vecchi i fattori principali sono invece stati il pensionamento ad un’età attorno ai 60 anni ed il miglioramento delle cure per le malattie croniche, da cui siamo partiti.  

Questo ha però provocato un’esplosione dei costi sanitari e sociali che, malgrado le ristrettezze di bilancio, continuano a crescere.    In media, il costo sanitario di ognuno di noi cresce esponenzialmente dopo i 50 anni, il che è semplicemente naturale.   A 50 anni il fisico comincia infatti a deperire e gli effetti dei fattori avversi ad accumularsi.   La spesa sanitaria nell’ultimo anno di vita di ognuno di noi costa alla società praticamente quanto tutta la sua vita precedente.

Costi che necessariamente ricadono sui giovani sotto varie forme, principalmente una  pressione fiscale crescente.   Né il tentativo di tamponare la spesa sociale alzando l’età pensionabile ha dato buoni risultati poiché riduce drasticamente le opportunità di impiego dei giovani.

Ma proprio la crescente età media dell’elettorato preclude qualunque cambiamento di rotta.   La politica non va solo per classi sociali, ma anche per classi di età e non è un caso se, in tutta Europa, oggi circa il 40% della spesa sociale è per gli anziani e poco più del 2% per i giovani.   In Italia, pensioni e sanità assorbono  quasi il 45% del bilancio statale, contro un 9% all’istruzione, uno scarso 10% alla manutenzione delle infrastrutture vitali e poco più del 3% alla difesa.   Nient’altro che la nostra imprevidenza ha creato una situazione in cui gli anziani, volenti o nolenti, sono diventati un peso anziché un sostegno per i giovani.

Nei prossimi decenni le cose andranno rapidamente peggio per il convergere di tre fattori avversi.

  Il primo è il giungere “in dirittura d’arrivo” dei “baby boomers”.    Tra una ventina di anni la maggior parte della popolazione sarà composta da vecchi, né l’immigrazione o una fiammata di natalità potrebbero mitigare la situazione.   Aumentare i bambine ed i giovani di oggi significa semplicemente aumentare i vecchi di domani, con l’unico risultato di gonfiare ulteriormente la bolla demografica e di farla esplodere in condizioni ancora peggiori.   Insomma sarebbe il classico saltare dalla padella nella brace.

Il secondo fattore è la decrescita di parecchie economie, fra cui quelle dei paesi cosiddetti avanzati.   Non possiamo prevedere i modi ed i tempi con cui questo avverrà, ma che il declino economico in corso sia reversibile non ci crede più nessuno.   Nemmeno le roccaforti del BAU, come l’FMI e la World Bank che parlano eufemisticamente di “stagnazione secolare”.   Dunque, con perfetto contrappasso, l’onda dei nati nel periodo di massima crescita economica morirà povera.   E con chi viene non condivideremo benessere.

Il terzo fattore è il peggioramento delle condizioni ambientali come la circolazione di sostanze tossiche, il clima, le tensioni sociali ed i livelli di stress psicologico.   Forse ancora più importante è il fatto che i vecchi attuali hanno cominciato ad esser esposti a molti di questi fattori avversi in età già avanzata, al contrario delle generazioni successive.   Con quali effetti  sanitari è ancora presto per dirlo.

In molti paesi europei (fra cui l’Italia),  nel 2015 si è verificata la prima molto modesta  riduzione dell’aspettativa di vita dalla fine della guerra mondiale.   Solo fra alcuni anni sapremo se si è trattato di un incidente o di un’inversione di tendenza, ma poco importa perché comunque la tendenza si invertirà .   Tanto vale farsene una ragione ed organizzarsi di conseguenza.

Da una parte, dire a qualcuno che per tutta la vita ha lavorato e pagato “non c’è niente per te” è un evidente tradimento.   Dall’altra coloro che oggi hanno dai 50 anni in su si sono goduti i gli anni migliori dell’intera storia dell’umanità; una festa che non è stata per tutti e che non tornerà mai più per nessuno.    Ed ora che abbiamo finito di mangiare la mela, ci troviamo a contenderci il torsolo coi nostri stessi figli.
Volenti o nolenti, saremo costretti a tagliare servizi e pensioni in misura molto più drastica di quanto non si sia fatto finora.   Eliminare le evidenti sacche di sfacciato privilegio in questo campo sarebbe di vitale importanza politica, ma non cambierebbe gran che sotto il profilo strettamente economico.    Dunque quali scenari possiamo prospettare?    Ci sono società in cui gli anziani vengono soppressi o abbandonati negli interstizi delle megalopoli, dove sopravvivono finché possono e come possono, ma io credo che potremmo evitarlo.   A condizione naturalmente di piantarla di fingere che in futuro le cose andranno come ora o perfino meglio.   Ed a condizione di smettere di considerare “normali” degli standard di vita che, nella storia, non si sono mai visti.  La prima cosa da capire è che non è strano quello che sta accadendo.   Molto strano è quello che è accaduto fra il 1950 ed il 2000; ora stiamo tornando alla normalità.

Negarlo od ignorarlo vale solo ad impattare contro la realtà nel modo più duro possibile.   Viceversa, ammetterlo può essere deprimente, ma apre anche delle possibilità per mitigare questo impatto.    Per fare un esempio,  l’Italia è punteggiata di caserme abbandonate, spesso in città.   Invece di cederle alla speculazione edilizia, con poca spesa vi si potrebbero organizzare degli ospizi e delle mense gratuite o quasi, da fare gestire direttamente da chi ne usufruisce.  

 Certo vitto ed alloggio sarebbero frugali, ma poco è infinitamente meglio di niente.

Non pretendo che questa sia necessariamente una buona idea.   Ciò di cui sono però sicuro è che fare finta di niente per 50 anni non ha portato buoni risultati.   Continuare per altri 20 condurrà milioni di persone al disastro.  

Pinocchio pagò caro il soggiorno nel Paese dei Balocchi.   Già con le orecchi d’asino in testa,  preferì giocare ancora un poco.    Il risultato lo sappiamo e se lui se la cavò fu solo perché era di legno e perché era il protagonista del romanzo.   Noi siamo di carne e siamo tutti personaggi di contorno, esattamente come Lucignolo.

L'unica cosa sensata che possiamo fare è buon viso a cattivo gioco ed organizzarci perché questa bufera passi il meno peggio possibile.   Cercare di contrastarla farebbe solo peggio.



martedì 23 febbraio 2016

Un “buon Antropocene”?

Da “Decline of the Empire”. Traduzione di MR (via Alexander Ač)

Di Dave Cohen

Ieri ho letto Cosa sta causando le epidemie fungine mortali nell'ecosistema mondiale? di Elizabeth Kolbert (Environment 360, 18 gennaio 2015). La parola “antropocene” non appare nel rapporto della Kolbert, ma è di questo che si occupa il rapporto. Considera le cause delle recenti epidemie fungine.

Eppure sorge la domanda: perché ora? Perché stiamo assistendo ad un numero crescente di malattie fungine della vita selvaggia? Gli esperti offrono due spiegazioni possibili, entrambe le quali potrebbero essere valide.

lunedì 22 febbraio 2016

Parte il progetto europeo MEDEAS

Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR 



di Antonio Turiel

Cari lettori,

nella giornata di oggi e domani l'Istituto di Scienze del Mare del CSIC ospita la riunione iniziale del progetto MEDEAS. MEDEAS (acronimo di Modelling Energy system Development under Environmental And Socioeconomic constraints – Modellizzazione dello sviluppo del sistema energetico nei limiti ambientali e socioeconomici) è un progetto europeo finanziato nel segno dello schema Orizzonte 2020 di finanziamento della ricerca europea. Questo progetto è coordinato dalla mia istituzione, più nello specifico dal mio collega Jordi Solé.

sabato 20 febbraio 2016

Niente inverno nell'Artico nel 2016 – La NASA registra il gennaio più caldo mai registrato

Da “robertscribbler.com”. Traduzione di MR (via Alexander Ač)

Gli scienziati sono atterriti e dovremmo esserlo anche noi. Il calore globale e specialmente le anomalie della temperatura estremamente alte che abbiamo visto nell'Artico durante il mese scorso sono del tutto senza precedenti. E' mostruosamente strano. E a questo osservatore particolare sembra che la stagionalità del nostro mondo stia cambiando. Ciò di cui siamo testimoni, a questo punto, sembra l'inizio della fine dell'inverno così come lo conosciamo.

Gennaio più caldo mai registrato – Ma l'Artico è semplicemente fuori da ogni limite

Chiunque osservi l'Artico – dagli scienziati, agli ambientalisti, agli specialisti delle minacce emergenti, agli appassionati di meteo e clima, alle persone normali stravolti dallo stato in rapida dissoluzione del nostro sistema climatico globale – dovrebbero essere molto, molto preoccupati. Le emissioni umane di gas serra – che ora spingono livelli di CO2 al di sopra delle 405 ppm ed aggiungono una serie di gas che intrappolano il calore – sembra che stia rapidamente spingendo il mondo verso il caldo. Ed a scaldarsi più rapidamente in uno dei luoghi assolutamente peggiori immaginabili: l'Artico.

giovedì 18 febbraio 2016

Avere figli è terribile per l'ambiente, quindi non ne avrò

Da “The Washington Post”. Traduzione di MR (via Population Matters)

L'esplosione della popolazione e il cambiamento climatico sono collegati. Voglio fare la mia parte 

Di Erica Gies 

(iStock)

“Hai dei bambini?”

E' una domanda che mi hanno ripetutamente fatto nei miei viaggi, in quanto ovunque le culture celebrano i bambini e la capacità delle donne di farli. Io no, né lo pianifico, per ragioni sia personali sia ambientali. Ma non volendo innescare uno scambio imbarazzante, di solito nicchio con un “non ancora”. Ho trovato difficile giocare in anticipo riguardo alla mia scelta, perché citare la sovrappopolazione è stata una pericolosa area di conversazione. Dopo tutto, la maggior parte delle culture hanno tradizioni fondate in una qualche versione del “crescete e moltiplicatevi” biblico.

Ma esortazioni del genere sono venute molto prima che la popolazione mondiale si impennasse nel XX secolo da 1,6 miliardi nel 1990 ai 6,1 miliardi del 2000, prima che il cambiamento climatico cominciasse a fondere i ghiacciai che forniscono acqua potabile a miliardi di persone. Oggi, i livelli del mare aumentano, minacciando coloro che vivono nelle città costiere e rendendo salate le falde acquifere. L'insicurezza idrica causata in parte dalla pressione della popolazione ha un ruolo nei conflitti armati, come nella guerra che sta decimando la Siria. Stiamo spingendo le altre specie verso l'estinzione ad un ritmo 1.000 volte più alto di quello pre-umano, cosa che è sicuro che ci condizionerà in modi che non comprendiamo ancora.

Gli ottimisti tecnologici sono convinti che l'ingegno umano ci salverà, come la Rivoluzione Verde ha raddoppiato i rendimenti agricoli. Ma mentre le persone stanno lavorando per rendere le attività umane più sostenibili, aumentare la popolazione vanifica il loro impatto. Considerate i requisiti di efficienza degli elettrodomestici in California, che hanno ridotto il loro uso di energia solo al 25% di quello di 40 anni fa. Sfortunatamente la popolazione della California è quasi raddoppiata in quel periodo, quindi il consumo di elettricità si è spostato di poco. Altri sostengono che il consumo è un problema più grande della popolazione. Dopotutto, l'impatto di carbonio di un bambino nato negli Stati Uniti (compresi i suoi discendenti) è più di 160 volte l'impatto di un bambino nato in Bangladesh. Tuttavia, popolazione e consumo sono collegati. La storia mostra che la rapida crescita della popolazione di solito è seguita da un periodo di aumento di consumo pro capite come quella che stiamo vedendo ora in Cina. Inoltre, la globalizzazione sta portando espansione urbana, proprietà di automobili, una mentalità usa e getta e una dieta con più carne per miliardi di consumatori in più che attualmente non se lo possono permettere. E alla fine, le azioni per rendere verde lo stile di vita di qualcuno sono meno efficaci dell'avere meno bambini. Una donna americana che guida un'automobile che consuma meno, che migliora l'efficienza energetica della propria casa, che ricicla e fa cambiamenti dello stile di vita simili risparmierebbe 486 tonnellate di CO2 durante il corso della sua vita, mentre scegliere di avere un figlio di meno ne farebbe risparmiare 9.441 tonnellate.

Se non riduciamo il nostro numero in modo proattivo, lo farà la natura al posto nostro, in modo duro ed improvviso, attraverso malattie, carestie, siccità, super tempeste o guerre. Non sostengo una politica mondiale del “figlio unico” o sterilizzazioni autoritarie. Piuttosto, la chiave per ridurre la popolazione è l'educazione delle ragazze e l'accesso al controllo delle nascite. Ciò è stato piuttosto efficace in paesi sviluppati e in paesi in via di sviluppo, come Thailandia e Vietnam, stanno cominciando a mostrare a loro volta tassi di fertilità in declino. Ma abbiamo ancora bisogno di un cambiamento degli atteggiamenti sociali. Le persone si comportano come se la mia scelta sia pericolosamente sovversiva ed una minaccia. Famiglia, amici ed stranieri mi hanno detto che sono egoista. Che non so cosa mi perdo. Che lo rimpiangerò quando sarò vecchia e nessuno si prenderà cura di me. Che in qualche modo sono manchevole perché amo il mio gatto piuttosto che un bambino. Che sono ipocrita perché anche il mio gatto ha un'impronta ecologica. Ma l'americano medio contribuisce per 17 tonnellate all'anno di carbonio nell'atmosfera. E, mentre non conosco effettivamente l'impronta ecologica del mio gatto, questo avrà una vita più breve di quella di un bambino, di sicuro non procreerà e non avrà l'abitudine di guidare, volare, riscaldare la casa o comprare apparecchiature elettroniche che richiedono molte risorse.

Ho scritto per la prima volta della mia decisione nel 2011, quando ho notato che che la popolazione mondiale era raddoppiata nel corso della mia vita, fino a 7 miliardi. Mentre alcune risposte sono state negative, comprese persone che mi hanno detto che mi devo uccidere (quindi se stavate pensando di farlo, non ce n'è bisogno!), altre persone mi hanno ringraziata per aver articolato i loro punti di vista. Molti non sono occidentali, come l'uomo di 29 anni che ha detto che la lotta per la sopravvivenza nell'India sovrappopolata lo ha portato a decidere di non avere figli, un punto di vista che è un anatema per la sua famiglia. “A differenza dell'occidente dove non avere figli è visto come un atto di egoismo”, ha scritto, “gli indiani pensano a questo come ad un fallimento personale completo”. Nel suo trattato classico “Sulla libertà”, John Stuart Mill ha sostenuto che il tuo diritto di fare ciò che vuoi finisce nel punto in cui questo viola i diritti di qualcun altro. Direi che, data la nostra popolazione estrema, avere più di due figli, il livello di sostituzione di una coppia, lede la libertà altrui utilizzando la loro parte di risorse. Eppure, gli incentivi del governo sono asimmetrici, offrendo riduzioni delle tasse per la riproduzione, penalizzando pertanto le persone senza figli. Questo deve cambiare. Le persone senza figli biologici possono dare ancora molto alla generazione successiva. L'adozione fornisce l'amore necessario e la stabilità ad un bambino che c'è già. Sono stata adottata, come lo sono stati due dei miei nipoti. E in anni recenti sono diventata una madre adottiva di due bambini intelligenti, caldi e divertenti. E' un ruolo illuminante ed impegnativo, che mi spinge a crescere mentre mi sforzo di essere un'influenza positiva sulle loro vite. Quando considero il loro futuro e il pianeta sano di cui hanno bisogno per prosperare, spero che continueremo a passare ad una maggiore accettazione sociale del fatto di non avere figli, a migliori politiche di governo e un'educazione più diffusa per le donne come percorso soft per ridurre il nostro numero. Per una qualità di vita ottimale, dobbiamo essere di meno.

mercoledì 17 febbraio 2016

Un tempo inarrestabili, le sabbie bituminose sono al collasso

Da “Resilience”. Traduzione di MR 

Di Ed Struzik, pubblicato originariamente da Yale Environment 360


L'industria delle sabbie bituminose canadesi è in crisi a causa che i prezzi del petrolio che crollano, i progetti di oleodotti vengono cancellati e i nuovi governi dello stato di Alberta e di Ottawa promettono di affidarsi di meno a questa fonte energetica altamente inquinante. E' l'inizio della fine del colosso delle sabbie bituminose?

martedì 16 febbraio 2016

Cosa? Io preoccuparmi del picco del petrolio?

Da “artberman.com”. Traduzione di MR

Postato su The Petroleum Truth Report il 27 dicembre 2015

Di Art Berman

Il Congresso la settimana scorsa ha messo fine al divieto di esportazione di petrolio greggio degli Stati Uniti. Apparentemente non c'è più una ragione strategica per conservare il petrolio perché la produzione da scisto ha reso di nuovo grande l'America, O perlomeno questa è la storia che i politici allergici alla realtà e i loro elettori preferiscono. La legge di politica e conservazione energetica del 1975 (EPCA) che ha proibito l'esportazione di petrolio greggio è stata la cosa più prossima ad una politica energetica che gli Stati Uniti abbiano mai avuto. La legge è stata approvata dopo che il prezzo del petrolio è aumentato da 21 dollari a 51 dollari (in dollari del 2015) in un mese (il gennaio del 1974) a causa dell'embargo arabo sul petrolio.

La EPCA non ha solo proibito l'esportazione di petrolio greggio ma ha anche istituito la Riserva Petrolifera Strategica. Entrambe le misure erano intese a mantenere più petrolio internamente per rendere gli Stati Uniti meno dipendenti dalla importazioni petrolifere. E' stato stabilito un limite di velocità nazionale di 90 km/h per spingere alla conservazione ed è stata fondata la IEA per controllare meglio e prevedere la fornitura globale di petrolio e le tendenze della domanda. Soprattutto, il divieto di esportazione riconosceva il declino dell'offerta interna e l'aumento delle importazioni che avevano reso vulnerabile la nazione alla disgregazione economica. La sua abrogazione, la scorsa settimana, suggerisce che non c'è più alcun rischio associato alla dipendenza da petrolio straniero.

lunedì 15 febbraio 2016

Nel frattempo, il clima: salto in avanti spettacolare delle temperature di Gennaio




Il balzo in avanti di questo gennaio è stato il più grande mai misurato per qualsiasi mese (cortesia Stefan Rahmstorf)

Il bello di essere uno scienziato: perché l'editoria “Open Access” non è una buona idea

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR


Di Ugo Bardi

"BERQ”, Biophysical Economics and Resource Quality, è una nuova rivista di Springer dedicata allo studio dei sitemi economici complessi e la loro relazione con la disponibilità di risorse naturali. Notate come la copertina alluda ai risultati dello studio del 1972 intitolato £I Limiti dello Sviluppo” che ha originato questo campo di studi. Ho grandi speranze che questa nuova rivista possa fornire una produzione di molti articoli scientifici di alta qualità. Per questa ragione ho accettato di assumere il ruolo di “editore capo” di BERQ, insieme al professor Charles Hall. Notate che questa è una rivista non necessariamente open access. In questo post spiego le ragioni di questa scelta. 


Una delle cose belle dell'essere uno scienziato è che puoi cambiare idea. Oh sì, puoi. In realtà devi! Hai nuovi dati? Allora cambi la tua interpretazione, è semplicissimo. Naturalmente, gli scienziati non sono sempre felici di ammettere di aver sbagliato, sono esseri umani, dopotutto. Ma, nel complesso, la scienza va avanti perché gli scienziati cambiano idea; come potrebbe essere altrimenti? Così, posso solo compatire i poveri politici che, quando si trovano di fronte a nuovi dati,  non hanno altra opzione se non quella di ignorarli o ridicolizzare coloro che li hanno prodotti (o in qualche caso, metterli in galera o farli fucilare).

Questo post parla del modo in cui ho cambiato idea riguardo all'editoria "open access" in campo scientifico. Probabilmente avete sentito parlare del tema, c'è un buon articolo di George Monbiot in cui accusa gli editori scientifici dicendo che “fanno sembrare Murdoch un socialista”. Monbiot non sbaglia: per prima cosa osserva che gli scienziati sono pagati dai governi (cioè dalla gente). Poi danno i risultati del loro lavoro gratuitamente ad editori commerciali. Infine, gli editori commerciali fanno pagare la gente per accedere agli articoli per cui hanno già pagato. Come affare, è paragonabile a quello di Esau che svende la sua eredità per una ciotola di lenticchie.

Già molto tempo fa avevo cominciato a ragionare come Monbiot e molti altri. L'idea era (ed è): perché gli scienziati dovrebbero pagare ditte commerciali per fare qualcosa che possono fare da soli? Perché gli scienziati non si pubblicano da soli i loro risultati? In questo modo, tutti saranno in grado di accedere ai risultati delle ricerca finanziata pubblicamente. Così, già negli anni 90, avevo allestito una rivista open access, “The Surface Science Forum”. E' stata una delle prima di quel tipo. Ancora nel 2012, ero a favore dell'editoria open access (come ho descritto in questo post).

Gradualmente, tuttavia, ho cambiato idea. Ciò che sembrava essere una buona idea all'inizio, non mi è sembrata così buona dopo averla provata. Conoscete la storia del tipo che è saltato tutto nudo in mezzo ai rovi? Diceva che gli sembrava una buona idea per raccogliere more, così l'ha messa in pratica. Subito dopo ha cambiato idea.

Così, ho provato a mettere in pratica l'idea di “editoria open access” ed ho lavorato come editore scientifico per due case editrici open access: MDPI e Frontiers. La mia esperienza con MDPI è stata ragionevolmente buona, mentre quella con Frontiers è stata orribile. In entrambi i casi, tuttavia, l'esperienza mi ha insegnato molto sull'editoria accademica. Ed ho cambiato idea sull'editoria open access.

In parte, ho cambiato idea a causa della brutta esperienza che ho avuto con Frontiers, ma solo in parte. Dove ho notato i difetti dell'editoria open access è stato con l'attuale dibattito sul cambiamento climatico. E' un dibattito che ovviamente dovrebbe essere basato sulla scienza. Certo, ma quale scienza? Be', la maggior parte di noi direbbe che la scienza è quello che viene pubblicato nelle riviste accademiche referenziate. Ed è qui il problema. L'editoria open access è uno dei fattori (non il solo) che ha grandemente aumentato il volume delle pubblicazioni scientifiche (o cosiddette scientifiche) di bassa qualità. E questa non è una cosa buona, perché ha reso più difficile per il pubblico ed i decisori politici capire cosa sia scienza e cosa no.

Questa cosa va spiegata bene: spieghi: nella mia esperienza, il rigore delle osservazioni della revisione fra pari non viene necessariamente ostacolato dal format dell'open access. Se non altro, gli editori open access seri (come MDPI) sono estremamente rigorosi nel processo. Ma ciò è controbilanciato dalla presenza di un gran numero di editori open access non seri. Molti accettano semplicemente di tutto, se gli autori pagano. Altri si fanno semplicemente beffe del processo di revisione (una volta ho ricevuto una richiesta di revisionare un articolo e nel modello di raccomandazione non c'era l'opzione “rifiutato”). Vengono chiamati “editori predatori” e se ne può trovare un elenco esteso (ed impressionante) nel sito di Jeffrey Beal.

Si potrebbe dire che una cattiva implementazione non necessariamente significa che l'idea è sbagliata. Vero, ma il problema è in profondità nel modello dell'open access; nel fatto che gli editori più pubblicano più fanno soldi. E la tentazione di pubblicare più articoli possibile è forte. Ciò può essere ottenuto anche senza rilassare il processo di revisione. E' sufficiente pubblicare un gran numero di “titoli”, riviste teoricamente diverse, ma tutte gestite dallo stesso staff. La moltiplicazione dei titoli costa quasi niente agli editori ma apre sempre più possibilità per gli autori che, alla fine, provando diverse riviste imbroccherà il colpo grosso di una combinazione favorevole di revisori anche per un articolo scadente. Così, la qualità media delle pubblicazioni scientifiche ne può solo soffrire.

Alla fine, gli editori open access sono semplicemente parte di un problema più generale che ha condizionato la scienza dallo sviluppo di internet. Una volta, l'editoria scientifica era costosa e spesso richiedeva uno staff specializzato per aiutare nella preparazione dei manoscritti. Ma ora, con i software a buon mercato ed un sito web, è facile per chiunque produrre una caricatura di un articolo scientifico, pieno di dati e grafici e che non significa niente. Per uno scienziato, di solito è facile dire cos'è buona scienza a cosa non lo è (non sempre, comunque...). Ma per la maggior parte delle persone non è facile. Ecco di conseguenza la grande confusione nel dibattito sulla scienza del clima, dove la lobby anti-scienza è stata in grado di presentare la pseudoscienza come scienza vera e confondere praticamente tutti.

Dopo aver rimuginato l'idea per un po', penso di capire cosa ci serve. Ci serve scienza di alta qualità. E questa scienza di alta qualità deve essere riconoscibile da tutti. Sarebbe bello se potessimo avere scienza di alta qualità all'interno dello schema open access, ma non possiamo dimenticare il principio di Sturgeon (il 99% di tutto è immondizia). Dovremmo quindi premiare gli editori non in termini di numero di articoli che pubblicano ma in termini di qualità degli articoli che pubblicano. E, sfortunatamente, l'open access non va nella giusta direzione.

Tutto ciò non significa che l'open access è sempre sbagliato. Al contrario, ha buone giustificazioni e se, diciamo, i risultati della ricerca medica possono aiutare i medici a salvare le persone, allora in tutti i modi dovrebbero essere accessibili ai medici e a chiunque possa trarne beneficio. Ma questo non è il caso di gran parte della ricerca accademica. E non voglio nemmeno dire che tornare al modo tradizionale di pubblicare (pagare per accedervi) si il modo perfetto per muoversi. Niente affatto, ci sono molti problemi nel sistema tradizionale; uno sono i prezzi eccessivi chiesti da molti editori. Tuttavia, a parte alcune distorsioni evidenti, l'idea che si debba pagare qualcosa per i beni che si comprano è un concetto che funziona in tutti i mercati e che incoraggia una qualità migliore. E se, come scienziati, pensate che vale la pena che il vostro lavoro venga conosciuto dal grande pubblico, avete l'opzione di diffondere i vostri risultati in un blog o in un altro formato pubblicamente accessibile. In realtà; non dovrebbe essere solo un'opzione, dovrebbe essere la regola. Se pensate che niente di ciò che pubblicate possa interessare se non qualcuno dei vostri colleghi, allora non potete lamentarvi se dicono che siete dei mangiapane a ufo assistiti dal governo.

Come nota finale, le caratteristiche dell'editoria accademica stanno cambiando in continuazione. Ci sono diversi formati di open access che potrebbero funzionare meglio di quelli attuali. Poi, gli archivi di articoli accademici come “ArXiv” e “Academia.edu” stanno rivoluzionando il campo. Non sono peer-review e ciò offre una possibilità di diffondere risultati molto innovativi ed ancora incerti senza interferire con ciò che va nelle riviste peer-review. La scienza sta cambiando e il mondo sta cambiando, forse troppo velocemente, ma dobbiamo cercare di affrontare il cambiamento meglio che possiamo.

In vista di queste considerazioni, recentemente ho accettato (*) di fare il "chief editor", insieme al professor Charles Hall, di una nuova rivista di Springer, “BERQ” (Biophysical Economics and Resource Quality). La rivista è dedicata allo studio dei sistemi economici complessi e la loro relazione con le risorse naturali. Alla fine, è un discendente del primo studio intitolato “I limiti della crescita” che ha dato inizio a tutto un campo di ricerca che molti di noi stanno ancora esplorando. Ho molte speranze in questa nuova rivista, che dovrebbe fornire una produzione di molti articoli scientifici di alta qualità dedicati a questo tipo di studi.

Se siete interessati a pubblicare su BERQ, troverete le informazioni necessarie sul sito web della rivista. BERQ opera secondo il formato tradizionale dell'editoria scientifica, ma può diventare open access se gli autori vogliono così. E' un passo lungo un percorso. La cosa importante è che possa dare un prodotto di buona qualità per le persone che fanno buona scienza.



(*) Noto: per il lavoro di chief editor di BERQ ho accettato un onorario 1500 dollari all'anno che credo sia un compenso ragionevole per il lavoro aggiuntivo che faccio per Springer. 



domenica 14 febbraio 2016

Come l'Uruguay è passato dai combustibili fossili al 95% di elettricità pulita in 10 anni

Da “U.S. Uncut”. Traduzione di MR (via Bill Everett)

3 dicembre 2015

“Il paese sta definendo le tendenze globali per l'investimento in rinnovabili”.
Mentre i leader mondiali si riuniscono a Parigi per discutere come frenare il cambiamento climatico, il popolo dell'Uruguay si sta godendo l'energia accessibile e pulita con pochissimo inquinamento.

Durante l'ultimo decennio, l'Uruguay è passato da una totale dipendenza da combustibili fossili sporchi ad avere più del 94% della loro elettricità da fonti rinnovabili. La cosa più incredibile è che l'Uruguay ha fatto il passaggio senza alcun sussidio governativo ed ora garantisce ai cittadini bollette energetiche mensili più basse di prima.

“Ciò che abbiamo imparato è che le rinnovabili sono semplicemente un buon affare”, dice Ramón Méndez, Direttore Nazionale per l'Energia. “I costi di costruzione e manutenzione sono bassi, nella misura in cui si fornisce un ambiente sicurto agli investitori, è un [affare] molto attraente”.

sabato 13 febbraio 2016

Il fitoplancton sta scomparendo rapidamente dall'Oceano Indiano

Da “Science news”. Traduzione di MR (via Alexander Ač)

La perdita di mini piante marine alla base della catena alimentare minaccia l'ecologia marina

Di Thomas Sumner


Colore dell'acqua  Il plancton che produce ossigeno è in declino nell'Oceano indiano occidentale, suggerisce una nuova ricerca. Il lavoro ha tracciato i cambiamenti del colore dell'acqua causati dalla presenza- o dall'assenza di fitoplancton in tutto l'oceano, come quello visto in questa vorticosa fioritura di fitoplancton nel 2013.  

Una rapida perdita di fitoplancton minaccia di trasformare l'Oceano indiano occidentale in un “deserto ecologico”, avverte un nuovo studio. La ricerca rivela che le popolazioni di fitoplancton della regione sono crollate di un allarmante 30% negli ultimi 16 anni. Un declino del rimescolamento dell'oceano dovuto al riscaldamento delle acque di superficie è il responsabile per questo crollo del fitoplancton, hanno proposto i ricercatori online il 19 gennaio su Geophysical Research Letters. Il rimescolamento degli strati oceanici trasporta i nutrienti del fitoplancton dalle profondità oscure dell'oceano fino agli strati assolati in cui vivono le mini piante. La perdita di microbi, che costituiscono la base della catena alimentare dell'oceano, potrebbe minare l'ecosistema della regione, avverte il coautore dello studio Raghu Murtugudde, un oceanografo dell'Università del Maryland a College Park. “Se si riduce la base della catena alimentare si avrà un effetto a cascata”, dice Murtugudde. Il declino del fitoplancton potrebbe essere in parte responsabile da un 50 ad un 90% del declino dei tassi di pesca del tonno dell'ultimo mezzo secolo nell'oceano indiano, dice. “Questo è un campanello d'allarme per guardare se succedono cose analoghe altrove”. Nel XX secolo, le temperature di superficie dell'oceano Indiano sono aumentate di circa il 50% in più della media globale. Le precedenti ricerche sull'impatto di questo riscaldamento dell'oceano sul fitoplancton suggerivano che le popolazioni erano aumentate. Ma quegli studi facevano riferimento solo a pochi anni di dati – non sufficienti per identificare chiaramente una qualsiasi tendenza a lungo termine.

Roxy Mathew Koll, uno scienziato del clima dell'Istituto indiano di meteorologia Tropicale a Puna, Murtugudde e i loro colleghi hanno tracciato il fitoplancton microscopico dallo spazio. Il fitoplancton, come le piante terrestri, è di colore verde. Quando la superficie del mare è piena di fitoplancton, le acque assumono una tinta più chiara e più verde. Man mano che la popolazione di fitoplancton si assottiglia, l'acqua ritorna più scura e più blu. Analizzando le immagini satellitari del colore dell'oceano raccolte negli ultimi 16 anni, i ricercatori hanno scoperto una diminuzione del 30% dell'abbondanza di microbi di colore verde per ogni metro cubo di acqua. Combinando questi dati con simulazioni computerizzate dell'Oceano Indiano, i ricercatori hanno ricostruito gli alti e bassi del fitoplancton nella regione durante gli ultimi sei decenni. Il lavoro suggerisce che le popolazioni di fitoplancton dell'Oceano indiano occidentale siano declinate del 20% rispetto al 1950. Le temperature di superficie in aumento hanno portato ad un crollo a lungo termine del fitoplancton, come hanno rivelato le simulazioni oceaniche. Per sopravvivere, il fitoplancton dipende dai nitrati prodotti dai batteri che abitano a circa 100-500 metri al di sotto della superficie del mare. Questi nitrati vengono smossi verso l'alto da forze come i venti che soffiano sulla superficie dell'oceano. L'acqua più calda è meno densa e rimane vicina alla superficie. Man mano che la superficie del mare diventa più calda in confronto all'oceano profondo a causa del cambiamento climatico, i due strati diventano più difficili da mescolare e nello strato assolato più alto i nutrienti diventano più scarsi.

Studi di prossima pubblicazione svolti da navi dovrebbero verificare i nuovi risultati, dice Michael McPhaden, un oceanografo fisico del laboratorio Ambientale Pacific Marine del NOAA di Seattle. La pirateria al largo della costa somala fino a poco tempo fa ha impedito alle navi di ricerca di studiare parti dell'oceano indiano occidentale, ma quest'anno segna l'inizio di una spedizione quinquennale sull'Oceano Indiano. “Questo lavoro include i salti logici che sono sensibili da fare sulla base di quello che sappiamo su come funziona il sistema, ma si vuol sempre uscire e verificare”, dice McPhaden.

venerdì 12 febbraio 2016

Il cattivo Antropocene


C'è chi parla del "buon Antropocene", ma sembra che ci siano grossi problemi con questa idea (UB)


Da “Chronìques del l'Anthopocéne”. Traduzione di MR (via Jacopo Simonetta)

Di Alain Grandjean

L'Antropocene è una nuova era geologica caratterizzata dall'impatto sempre più determinante delle attività umane sui grandi equilibri della biosfera e da una pressione considerevole sulle risorse naturali. Abbiamo avviato delle dinamiche esponenziali su tutti i fronti: emissioni di gas ad effetto serra, uso di energie fossili, consumo di acqua, degrado dei suoli, deforestazione, distruzione delle risorse ittiche, erosione della biodiversità, dispersione di prodotti tossici e/o ecotossici...

Consumo energetico e demografia

Cominciamo dalla demografia. Nel 1800, l'umanità celebra il suo primo miliardo d'individui, dopo
I tre periodi della demografia umana
 essersi moltiplicata per 5 in 1800 anni, Se le ci sono voluti milioni di anni per diventare demograficamente miliardaria, il suo secondo miliardo le ha richiesto 130 anni, il suo terzo 30 anni, il suo quarto 15 anni, il suo quinto e sesto 12 anni ciascuno. Le proiezioni per il 2050 [1] conducono a degli effettivi compresi fra i 9 e i 10 miliardi.

In parallelo, la capacità dell'umanità di trasformare il proprio ambiente si è moltiplicata, grazie alla potenza termodinamica delle sue macchine. Nel 1800, l'umanità consumava circa 250 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio (TEP) [2], vale a dire un quarto di TEP a persona. Questo consumo è stato moltiplicato nei 200 anni seguenti per più di 40, mentre la popolazione si è moltiplicata per 6: il consumo individuale è cresciuto di un fattore dell'ordine di 7 [3]. Oggi consumiamo più di 13 miliardi di TEP...

Questa doppia crescita (demografica e della potenza disponibile) permette all'umanità di appropriarsi di una parte di un quarto della produzione primaria di biomassa [4] e del 40% della produzione primaria terrestre valutata in circa 120 miliardi di tonnellate all'anno.

Consumo di risorse ed emissione di inquinanti

L'80% delle nostre energie è di origine fossile, la cui combustione emette del CO2, un gas ad effetto serra. I “climatologi” [5] comprendono sempre meglio i meccanismi e le conseguenze della deriva climatica, anche se le incertezze rimangono ancora grandi. La deriva climatica attuale è legata alle emissioni di gas ad effetto serra (GES), cioè, nel 2010, circa 50 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente [6] all'anno di cui il 60% circa sono di biossido di carbonio provenienti dalla combustione di energia fossile (carbone, petrolio e gas). Dopo la metà del XIX secolo, l'umanità ha emesso 2.000 miliardi di tonnellate di biossido di carbonio.

La concentrazione di questo gas è passata da 280 ppm [7] (un livello stabile in media per 400.000 anni) a 400 ppm nel 2013. In effetti la biosfera (principalmente gli oceani e i vegetali) non assorbono che 12 miliardi di tonnellate all'anno. E' livello di emissioni al quale bisognerebbe giungere per far sì che l'aumento di temperatura si arresti.

Molti minerali sono sfruttati in proporzioni insostenibili. Facciamo un esempio, quello dell'acciaio, seguendo la dimostrazione di  François Grosse [8]. Annualmente produciamo una cifra nell'ordine del miliardo di tonnellate di accia, cioè 30 volte di più che all'inizio del XX secolo. La crescita è stata, in quel periodo, di circa il 3,5% all'anno. A questo ritmo, la produzione cumulativa di acciaio in un secolo è uguale a 878 volte la produzione del primo anno. Se si prolunga questa tendenza, la produzione annuale sarà moltiplicata per 100 ogni 135 anni. Si produrrebbero quindi, in 270 anni, 10000 volte più acciaio di oggi! Inutile essere troppo precisi sulla stima delle riserve di minerali di ferro per comprendere che un ritmo del genere è impossibile da mantenere, persino per un minerale così abbondante!

Ogni anno vengono liberate 160 milioni di tonnellate di biossido di zolfo, cioè più del doppio delle emissioni naturali [9]

Siamo capaci di spostare ogni anno tanti materiali quanto i meccanismi naturali (erosione annuale, vulcanesimo, attività tettonica), cioè nell'ordine dei 40 miliardi di tonnellate all'anno.

Era del muco, sesta grande estinzione, erosione, acqua dolce…

Secondo il Millenium Ecosystem Assessment, [10] il tasso d'estinzione delle specie è da 50 a 500 volte più alto del tasso “naturale” (le stime più recenti portano questa cifra probabilmente a 1.000). Siamo all'inizio di quella che il biologo Edward Wilson ha proposto di chiamare la sesta estinzione [11] (la vita precedente dalla sua apparizione sulla Terra ha conosciuto cinque grandi estinzioni). Limitandoci alla sola pesca, peschiamo ogni anno 90 milioni di tonnellate ed abbiamo raggiunto dopo 20 anni un picco che non possiamo superare malgrado la crescente potenza dei nostri pescherecci. Il professor Daniel Pauly [12], esperto internazionale di risorse ittiche, stima che rischiamo di entrare, per quanto riguarda gli oceani, nell'era del muco, in cui regnano le meduse e i batteri, a causa della distruzione dei loro predatori.

Gli oceani vengono trasformati in una gigantesca discarica. Una zona gigantesca di rifiuti larga
Sfruttamento attuale delle risorse ittiche
centinaia di migliaia di km2 è stata scoperta nel Pacifico dall'oceanografo Charles J. Moore. Una pattumiera della dimensione del Texas è stata a sua volta individuata nell'Oceano Atlantico.

Dall'inizio dell'agricoltura le foreste hanno perso una superficie difficile da valutare, ma sull'ordine del 15-45%. 450 milioni di ettari sono scomparsi dalle regioni tropicali fra il 1960 e il 1990. Il bilancio delle risorse idriche è ugualmente difficile da fare e ha senso solo a livello regionale. Utilizziamo ogni anno la metà delle risorse d'acqua dolce disponibili, degradandone generalmente la qualità quando la restituiamo agli ecosistemi. Mac Neill cita la stima seguente che è ugualmente significativa: il consumo di acqua alla fine del XX secolo rappresenta il 18% della quantità di acqua dolce che scorre sul pianeta e l'utilizzo diretto o indiretto ne rappresenta il 54%. Nel 1700, l'umanità prelevava annualmente 110 km3 d'acqua per abitante, nel 200 ne prelevava 5190 km3, cioè 7 volte di più. A questo ritmo anche l'acqua, una risorsa molto abbondante sul pianeta, potrebbe venir meno.

La situazione non è migliore sul fronte dei suoli. Circa un quarto delle terre utilizzate dall'umanità sono degradate [13] ? “Perdiamo ogni anno lo 0,5% del nostro capitale di suolo, sottraendone diverse migliaia di ettari per l'accrescimento delle nostre città e delle nostre strade, perdendone a causa del nostro inquinamento e per salinizzazione, per erosione”. La rovina progressiva dei suoli ci condurrà a nuove carestie. Ultimo elemento di questa rapida panoramica: abbiamo prodotto e disseminato più di 100.000 nuove molecole, delle quali alcune sono molto pericolose per la salute umana e/o per gli ecosistemi (fra questi i mille esempi di neonicotinoidi che uccidono le api o gli interferenti endocrini fortemente cancerogeni). Il nostro pianeta è diventato letteralmente tossico [14].

Cause dell'Antropocene

Come comprendere questa ferocia dell'umanità nel distruggere le condizioni della sua stessa vita? Tre grandi cause mi sembrano all'origine di questo comportamento: la cultura no-limits, la rivoluzione scientifica e il dogma neoliberale.

La “cultura no-limits”: consumismo, tecno-ottimismo e cinismo

La nostra civiltà è caratterizzata da diverse credenze letali. Siamo individualisti, facciamo della libertà un assoluto e rifiutiamo i limiti. Economicamente è Bernard Mandeville, con la sua favola delle api che ha fatto il primo passo verso un mondo assurdo in cui si suppone che i vizi privati generino le virtù collettive. L'apologia del consumo e della crescita, una cosa tira l'altra, è risultata alla base del consumo del pianeta che caratterizza l'antropocene.

La Favola delle api (1715) segna una vera e propria rottura antropologica. Tutte le civiltà, tutte le culture umane, tentano di disciplinare quello che i greci chiamavano la hubris, l'eccesso. Le morali ed altre regole religiose o sociali, presenti in tutte le culture, sono tutte concepite per evitare che l'uomo si metta a “debordare”, a mettere la sua intelligenza al servizio delle proprie passioni. Nelle civiltà di tipo sciamanico o animista ciò che viene ricercato è un equilibrio fra l'uomo e la natura. Mandeville inverte quest'ordine di cose e trasforma in valore ciò che veniva considerato come un grave errore. Il rifiuto dei limiti ora pervade la nostra cultura, in tutti i campi, e si declina in credenze:

  • La scienza e la tecnologia risolvono tutti i problemi 
  • Tutto ciò che è scientificamente concepibili deve essere ricercato e sperimentato
  • I prodotti devono essere sempre nuovi, quindi diventano obsoleti in fretta (spreco senza limiti) e sempre di più usa e getta
  • L’innovazione incessante è il motore del progresso e della soddisfazione
  • E' proibito proibire
  • Tutto è possibile
  • L’arte in sé deve essere trasgressiva

Questo dei limiti è nutrito dal progresso delle scienze e delle tecniche è all'origine di un profondo paradosso. Di fronte a distruzioni di massa dell'ambiente permesse dalle scienze e dalle tecniche, queste sono presentate dai“tecno-ottimisti” come la fonte della soluzione ai problemi che esse stesse hanno creato. E' la scienza che ci salverà trovando nuove fonti di energia (la fusione nucleare, per esempio, o l'idrogeno). Questo paradosso si basa infatti su un valore (il rifiuto dei limiti) ed una credenza (la capacità di trovare una risposta a tutti i problemi creati) ma per niente su delle prove. Gli industriali, gli uomini del marketing, sanno sfruttare questo rifiuto dei limiti in tutti i campi del consumo:

  • la cosmetica, che permette di non vedersi invecchiare o di attenuare i segni dell'età
  • il cibo, dove diventa possibile soddisfare tutti i gusti, di fare invogliare sempre di più, per poi degenerare a volte in obesità 
  • i prodotti che danno dipendenza come il tabacco e tutte le forme di droga, dall'alcol alle altre
  • i beni di consumo attuali o il rischio di affaticamento, di perdita di desiderio, vengono combattuti senza sosta e milioni di nuovi prodotti inventati ogni giorno

Il cinismo di alcuni, mosso dai loro interessi che esprimono in potere, o in soldi, è ovviamente nascosto dietro a tutti questi comportamenti e tutte queste ricerche. Il cerchio è completo: scienza, tecnologia, marketing, idealismo e cinismo si sposano per distruggere sempre più le nostre risorse e le nostre condizioni di vita, dando un'apparenza di razionalità a questo delirio collettivo.

Transumanesimo: un nuovo orizzonte?

La corrente transumanista, apogeo della cultura no-limits, applica le cose suddette all'umanità stessa e pensa di migliorare grazie alla convergenza delle tecniche NBIC. Secondo i transumanisti, il “mortalismo” sarebbe una credenza. Il loro obbiettivo di transumanisti è l'immortalità, cioè il rifiuto del “limite dei limiti”... vedete www.transhumanistes.com

La rivoluzione scientifica

Noi crediamo che la scienza e la tecnica supereranno i limiti e più in generale ci “salveranno”. Bel paradosso quando si constata che sono proprio le scienze e le tecniche che ci permettono di esercitare questa pressione antropica insopportabile sul pianeta! Ma è vero che l'efficacia del metodo sperimentale (fisica, biologia, medicina, …) e qualcosa di stupefacente, addirittura di magico! Il metodo sperimentale ha condotto a delle applicazioni in tutti i campi (dalla macchina del caffè al GPS...), cosa che ci ha permesso di mettere a punto milioni di macchine, automi e robot, di migliaia di molecole che rispondono a dei bisogni apparentemente infiniti (dalla lotta contro la sofferenza alla cosmetica passando agli schermi piatti...).

I ricercatori mettono in campo una creatività senza limiti (un milione di articoli scientifici prodotti nel mondo ogni anno, in crescita...) e talvolta rivendicato (la bioetica si scontra spesso con la domanda di ricerca a priori a tutto campo). La scienza ci ha dotati di una capacità di prevedere che potrebbe permetterci di evitare le conseguenze delle nostre attività e, probabilmente, della capacità di trasformare la Natura.

Il dogma neoliberale e il capitalismo finanziario

Il liberalismo economico si fonda sull'idea che la prosperità nasca spontaneamente dal libero gioco degli interessi e delle forze individuali. Il ruolo dello Stato sul piano economico dovrebbe limitarsi a permettere questa libertà (per il diritto di concorrenza e l'insieme dei dispositivi che permettono di applicarlo). Il liberalismo economico deriva dal CNL e ne è uno dei pilastri. Ha finito per trasformarsi in religione: i mercati diventano degli dei capaci di soddisfare tutti i nostri desideri e quindi non possono essere sorvegliati e regolamentati.

La realtà dei fatti e la teoria economica mostrano che si tratta di un dogma e che numerose situazioni necessitano dell'intervento del potere pubblico, cosa che non esclude un ruolo determinante delle imprese, della loro capacità d'innovazione e di risposta sottile ai bisogni dei loro clienti. L'economia si è vestita degli abiti della scienza, fra cui il ricorso alla matematica ed alle statistiche. Ma evidentemente il dogmatismo non viene scartato da questo semplice automatismo!

Gli anni 70 hanno visto la diffusione in tutto il mondo di un capitalismo finanziario, figlio di questo dogma, che orienta l'attività economica in direzione del brevissimo termine (per le sue esigenze eccessive di rendimento di capitale). Non smette mai di stimolare i desideri di avere sempre di più e rende infantili gli individui, controlla i media, colonizza gli spiriti e l'immaginario. Aumenta le disuguaglianze di massa.

Il capitalismo finanziario schiavizza una parte dell'attività scientifica [15]. Lotta contro tutte le regole ed ha sempre più potere per farlo. Si oppone ad ogni rilocalizzazione dell'economia e ad ogni nozione di frontiera e di limite, ed impone un libero-scambismo socialmente ed ecologicamente inaccettabili: le reti sociali e le azioni di preservazione o di ripristino dell'ambiente non sono redditizie e sono viste come delle fonti di perdita di competitività.

L’antropocene, risorse complementari

Lo abbiamo visto con qualche esempio, per chi si prende il disturbo di osservarli, gli strumenti indicano che è in arrivo una tempesta di una brutalità inaudita (vedete in particolare questa presentazione fatta per Carbone 4, ma anche il sito dell'IPCC per il clima, il sito di Manicore per l'energia, il sito dell'IPBES per la biodiversità...)

Ecco una presentazione con grafici fatta per Carbone 4

https://www.scribd.com/doc/212864517/bienvenue-en-anthropoce-neV2

Sintesi dei problemi in un libro ancora da pubblicare

http://www.scribd.com/doc/255170330/Chapitre-1-L-ine-luctable-est-en-marche

[1] Sentite per esempio Gilles Pison, Popolazione e società, N°480, luglio-agosto 2011.
[2] Una tonnellata equivalente di petrolio è l'energia contenuta in una tonnellata di petrolio: le stime di consumo energetico nel XIX secolo sono inaffidabili. Ciò che conta qui sono gli ordini di grandezza.
[3] Questa media si cela in sé enormi disparità. Un americano medio consuma circa 8 TEP all'anno, un europeo si situa invece a 4 ed un abitante dell'Africa sub-sahariana non ha accesso ad 1 TEP all'anno.
[4] Robert Barbault, Jacques Weber, La vita, che impresa! Per una rivoluzione ecologica dell'economia, Seuil, 2010.
[5] Più precisamente la comunità degli scienziati la cui disciplina (che potrebbe essere la biochimica, la modellizzazione informatica, la dinamica dei fluidi e la paleoclimatologia, fra le altre) viene mobilitata nella comprensione dei fenomeni climatici. Le informazioni di sintesi sulla deriva climatica sono fornite dall'IPCC (vedete www.ipcc.ch). Vedete http://alaingrandjean.fr/2015/01/05/le-changement-climatique-points-de-repere/
[6] Le emissioni di gas ad effetto serra vengono misurate in tonnellate di CO2 equivalenti, ogni gas che ha un potere di riscaldamento globale multiplo di quello del CO2. Una tonnellata di metano (CH4), per esempio, “equivale” a circa 25 tonnellate di CO2. Lo si esprime anche in tonnellate di carbonio. A causa del rapporto delle masse (44/12), 1 tonnellata di CO2 vale circa 3,6 tonnellate di carbonio.
[7] Ppm = parti per milione.
[8] François Grosse, “Il disaccoppiamento crescita/materie prime. Dall'economia circolare all'economia della funzionalità: virtù e limiti del riciclaggio”, Futuribles, luglio-agosto 2010, numero 365.
[9] Robert Barbault, Jacques Weber, La vita, che impresa! Per una rivoluzione ecologica dell'economia, Seuil, 2010, pagina 79.
[10] La valutazione degli ecosistemi per millenario (MEA) è uno studio di 5 anni, lanciato dall'iniziativa del segretario generale dell'ONU, Kofi Annan indirizzato alla valutazione dello stato degli ecosistemi mondiali. I lavori sono stati pubblicati nel 2005. Vedete http://www.maweb.org/fr/Synthesis.aspx.
[11] Vedete Richard Leakey e Roger Lewin, op.citata. E più di recente vedete: Raphaël BILLE Philippe CURY, Michel LOREAU, Biodiversità: verso una sesta estinzione di massa, Editore: LA VILLE BRÛLE, 2014
[12] Daniel Pauly, Cinque pezzi facili, l'impatto della pesca sugli Ecosistemi Marini, Island press, 2010.
[13] Daniel Nahon, L’esaurimento della terra, il problema del XXI secolo, Odile Jacob, 2008.
[14] André Cicolella, Pianeta tossico, Le seuil, 2013
[15] Vedete Naomi Oreskes e Erik M. Conway, I mercanti di dubbio, ovvero come un pugno di scienziati hanno mascherato la verità su dei problemi sociali quali il tabagismo e il riscaldamento climatico, Le Pommier, 2012 e Stéphane Foucart,  La fabrica della menzogna, Denoël, 2013.