venerdì 17 giugno 2016

Adrastia intervista Ugo Bardi

Da “Cassandra' Legacy”. Traduzione di MR

L'associazione francese “Adrastia” era sufficientemente interessata dal mio modesto lavoro da chiedermi una serie di domande. L'intervista originale era in francese, questo è il testo tradotto dalla traduzione inglese di Florence Mitchell.




Ugo Bardi è un ricercatore e professore di chimica. Ha collaborato a The Oil Drum, è un membro del comitato scientifico dell'Associazione per lo Studio del Picco del Petrolio e del Gas (ASPO) ed autore di diversi libri, compreso uno sull'energia e le risorse minerali (The Limits to Growth Revisited).

I nostri sinceri ringraziamenti al signor Bardi per aver accettato di parlare con noi.

Adrastia: Lei ha costruito una teoria dal nome “il dirupo di Seneca”. Questa rivisita il picco di Hubbert e la relativa curva a campana, anche se in questo caso la sua discesa è molto più ripida della sua ascesa. Originariamente, questa curva è stata applicata alla produzione di petrolio. Potrebbe spiegarci in che modo si applica a molti altri fattori chiave della nostra civiltà?


Ugo Bardi: Il senso del Dirupo di Seneca è chiaro alla maggior parte di noi: molte cose declinano più rapidamente di quanto siano cresciute. Pensate solo ad un castello di carte, per esempio. (o a un Mandala, ndt). E' una di quelle cose ovvie che si dà il caso non siano facili da spiegare secondo i fondamenti della fisica. Ai tempi di Newton, per esempio, tutti sapevano che le mele cadevano dagli alberi, ma la legge della gravità universale doveva essere ancora scoperta. Col Dirupo di Seneca ci troviamo ancora in ciò che potremmo chiamare una “situazione pre-Newtoniana”. In parole povere, la curva si osserva in sistemi in cui c'è una qualche relazione fra i suoi componenti. Si tratta di un “fenomeno collettivo” tipico dei sistemi che vengono descritti come complessi, per esempio in periodi di rapidi cambiamenti collettivi in fase di transizione, ma anche nella meccanica della rottura dei materiali ed anche quando collassano le civiltà. I sistemi sono sempre complessi quando gli elementi interni sono intercorrelati. Diciamo che se a qualcuno piace la teoria delle reti così come quella della modellazione della dinamica dei sistemi, ci si può divertire molto con questi sistemi. Infatti, è così divertente che sto lavorando ad un libro che si chiamerà "Il Dirupo di Seneca" e che spero di pubblicare prima della fine dell'anno – forse.

A: Quali pensa che siano i punti deboli della nostra civiltà, le sue principali vulnerabilità? Se ci dovesse essere un collasso, quale vedrebbe come la prima catena di eventi tipici del fenomeno? Ed ha un'idea di quello che succederebbe dopo, quando le risorse si esauriscono e il clima si mette di traverso?

U. B.: Ho pensato a lungo a questi problemi e trovo molto utile lo studio della teoria delle reti abbinato alla modellazione della dinamica dei sistemi. Quando ho cominciato a lavorare su questo argomento, pensavo che l'esaurimento delle risorse era la ragione principale per cui le civiltà collassano. Penso ancora che possa essere così, proprio come potrebbe anche essere che le civiltà siano state distrutte da forze esterne come il cambiamento climatico o invasioni militari. Ma mi pare che molto spesso succeda qualcosa di più sottile: è la perdita di controllo che porta al collasso delle civiltà. Una civiltà è un sistema costituito da elementi che sono strettamente collegati e la loro correlazione deve essere controllata in un modo o nell'altro. Inoltre, il meccanismo di controllo ha bisogno di risorse e se sono disponibili meno risorse potrebbe esserci una perdita di controllo che porta a sua volta ad un rischio di collasso, anche prima che l'esaurimento delle risorse o il cambiamento climatico producano questo risultato.

A: Ha chiamato il suo blog Cassandra’s Legacy. Ha l'impressione di non venire ascoltato?

U.B.: Mai… Come puoi pensare una cosa del genere?! (sorriso)

A: Come è giunto a rendersi conto che la nostra civiltà sta arrivando al capolinea? Si ricorda un momento particolare in cui la sua consapevolezza ha raggiunto un punto di svolta? 

U.B.: Si', certo. L'11 settembre del 2001 ero negli Stati Uniti, a Berkeley, ed ho visto il crollo delle Torri Gemelle in TV. Quella mattina stessa, nelle condizioni in cui ero, sono andato a fare una passeggiata ed in una libreria a Berkeley ho trovato un libro dal titolo “Il picco di Hubbert”, scritto dal geologo americano Kenneth Deffeyes (che in seguito ho conosciuto personalmente). Questi due eventi, il libro e gli attacchi a New York, mi sono sembrati collegati quel giorno, anche se non riuscivo a spiegarmelo. E' stato più tardi che mi sono reso conto come fossero in effetti collegati.

A.: Come affronta questa teoria del collasso che stiamo per vivere – che stiamo già vivendo in qualche modo – quando si tratta delle persone intorno a lei, la sua famiglia e gli amici, che non hanno la stessa consapevolezza o potrebbero persino rifiutare la teoria? In modo molto generale, che impatto ha avuto sulle sue interazioni sociali e in che modo convive con questa consapevolezza? 

U.B.: E' una cosa che mi chiedono spesso. Non credo di avere una risposta, ma una cosa per me è ovvia: i “catastrofisti” (ed io sono uno di loro) non sono più infelici nella loro vita quotidiana dei “cornucopiani”. Dovrei aggiungere che i rischi che noi, i catastrofisti, vediamo arrivare in futuro significano anche che abbiamo un approccio piuttosto filosofico al mondo ed abbiamo un forte impulso ad agire. E' praticamente la stessa visione che avevano gli “stoici”, e Seneca era uno di loro. Si tratta di una visione filosofica che emerge nei momenti difficili. I Samurai giapponesi praticavano una filosofia molto simile allo stoicismo, credo. Un buon stoico (o un buon Samurai) conosce i propri limiti, ma sa anche che ha il dovere di agire o di combattere per il bene generale. Oggigiorno, naturalmente, non usiamo una spada nella vita quotidiana, anche se sto imparando la scherma giapponese, così come il tiro con l'arco tradizionale. Non si sa mai...

A: Parla di questi problemi coi suoi figli, che dovranno affrontare questi momenti difficili e probabilmente pericolosi in arrivo? Se sì, come introduce l'argomento?

U.B.: Questa è la cosa più difficile. Penso che non sia per me spingere il miei figli (ora sono adulti) verso la mia visione del mondo. Hanno il diritto e la capacità di sviluppare la loro visione. E credo che siano ben adattati ad un mondo che sta diventando sempre più difficile, specialmente per i giovani.

A: Molti membri dall'associazione Adrastia sono letteralmente consumati dal problema della fine della civiltà industriale e dei combustibili fossili, al punto che non pensano ad altro. E' una specie di ossessione per lei? E se sì, come la affronta?

U.B.: Potrebbe esserlo. C'è il rischio che un'idea diventi un'ossessione ma, per esperienza, non può farlo a lungo: è troppo stressante. Dopo un po', ci se ne dimentica e si torna a guardare la TV. E' normale, è umano. Nel mio caso, ho altri interessi che mi impediscono, spero, di trasformare la mia vita in una saga catastrofista! (Ho scritto un romanzo di fantascienza, per esempio. E' un po' catastrofista, devo ammetterlo...).

A: Ha già un'idea chiara di come vivrà in questo periodo di declino energetico? Come si sta preparando? E' pronto a vivere senza petrolio? 

U. B.: Si fanno previsioni a lungo termine che spesso si rivelano giuste, ma è difficile tradurle nella vita quotidiana, molto difficile. Una cosa che ho imparato è che il futuro non è mai come ci si aspetta, quindi ci si arriva, penso, seguendo un lungo percorso tortuoso che crei un passo alla volta.

A: Appartiene ad un gruppo, un collettivo, un'associazione o una ONG che puntano a mettere le basi di resilienza, anche autonomia (transizione energetica locale, monete alternative, permacultura...)? Come vede queste iniziative e cosa raccomanderebbe ai singoli o ai gruppi che vogliono prepararsi?

U.B.: Sono cose interessanti che ho cercato di mettere in pratica diverse volte. Al momento penso che il mio lavoro sia soprattutto quello di comunicare certe idee, ed è ciò che faccio. Sono privilegiato ad essere stato capace di concentrarmi su quelle cose che credo siano le cose giuste da fare. E' un privilegio. Lo so. Se non fossi stato capace di farlo, sarei sicuramente più attivo nella comunità locale, nel movimento delle Transition Towns o movimenti analoghi. In futuro, probabilmente potrei essere più impegnato in questo tipo di attività.

A: Lei viaggia regolarmente per dare conferenze e i sui libri vengono tradotti in diverse lingue. Fra i paesi o regioni che ha visitato, si è reso conto di grandi differenze culturali – di natura o grado – nel modo in cui le persone affrontano l'idea di collasso, nella loro consapevolezza individuale o collettiva, o nel modo in cui ascoltano il suo messaggio?

U.B.: In Occidente (Europa Occidentale e Stati Uniti) non noto molte differenze: in molti luoghi in questi paesi c'è una parte della popolazione che è consapevole di certi problemi e cerca di lavorarci sopra. Ma, naturalmente, vengo invitato raramente in quei paesi in cui questi problemi non vengono compresi affatto. Per esempio, mi sembra estremamente difficile comunicare certe idee in Europa Orientale, specialmente in Russia. Sembra che in Russia l'idea che le risorse minerali siano destinate ad esaurirsi viene vista come una specie di propaganda occidentale contro la Russia e le sue ampie risorse minerarie. E loro non ci cascheranno, no? Non sono stupidi... Cosa si deve fare? Non lo so. Infatti non cambia niente; i governi in occidente ed oriente stanno facendo le stesse cose e non gliene può fregar di meno delle previsioni catastrofiste. E' noto in tutta la storia: le società umane non sono granché a gestire il futuro. E, a proposito, è per questo che ho chiamato il mio blog “Cassandra’s legacy”!

A: Di fronte ai limiti ambientali che comprendiamo meglio al giorno d'oggi e in vista delle considerevoli ricerche in neuroscienze che sfidano la nostra definizione convenzionale di libertà personale, pensa che avremmo potuto scegliere di evitare i rischi? La specie umana è inevitabilmente diretta verso un tragico destino che non sarà in grado di sfuggire?

U.B.: Chiaramente, è estremamente difficile trasmettere messaggi che vengono percepiti come “catastrofisti”. Il cambiamento climatico ne è un buon esempio: è un messaggio orribile da dare. Stiamo realmente parlando della possibilità di una fine della specie umana e forse della vita sulla Terra. E' comprensibile che piuttosto che ascoltare il messaggio molte persone preferiscano tapparsi le orecchie con le mani mentre cantano “la-la-la!”. Abbiamo a che fare, ovviamente, coi limiti dell'intelligenza umana. Come potremmo fare meglio? Molte persone hanno provato a trovare una risposta nelle neuroscienze, altri nella filosofia, nella religione, o persino in campi leggermente esoterici come la “memetica”. Trovare la risposta si dimostra essere molto difficile, se non completamente impossibile. La sola cosa che possiamo dire è che il futuro ci sorprenderà. Siamo arrivati qui dopo un viaggio di circa 10.000 anni, attraverso il periodo dell'Olocene. Stiamo appena cominciando a capire le enormi trasformazioni che gli esseri umani hanno attraversato, grazie agli sviluppi ed ai cambiamenti durante questo periodo, che non sono solo culturali ma anche genetici. La specie umana, si spera, ha ancora diverse migliaia di anni per adattarsi e questo in un mondo in continuo cambiamento. L'evoluzione della specie umana è probabilmente ben lungi dall'essere finita. Dove ci porterà questa evoluzione è impossibile da dire a questo punto. Ma evolvere significa adattarsi ed i teorici della crescita infinita sono chiaramente poco adatti al futuro – sono destinati a scomparire. In futuro, non saremo in grado di aggirare la necessità di adattarci ad un mondo finito.