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martedì 21 marzo 2023

Petrocalisse: il Necronomicon dell'Energia

 



Un libro molto interessante, ma un tantino pessimista. Non dico che vi può fare l'effetto del "Necronomicon" (il libro che fa impazzire chiunque lo legga), ma, insomma, potreste trovarlo un tantino impattante se non siete preparati su certi argomenti. 


Antonio Turiel lo conosco piuttosto bene. Ci siamo incontrati in varie occasioni a Barcellona, dove lui lavora all'Istituto delle Scienze del Mare, Institut de Ciències del Mar - ICM-CSIC. Vi posso dire che è uno dei ricercatori più preparati al mondo nel campo delle risorse energetiche e del cambiamento climatico. Il suo blog, "The Oil Crash," (anche se al momento un tantino trascurato) è stato e rimane uno dei punti di riferimento fondamentali per chi si occupa di risorse petrolifere e di picco del petrolio. 

La mia impressione e che Turiel, da solo, sia stato uno dei fattori principali che ha influenzato il dialogo pubblico in un intero paese, la Spagna, che al momento è molto più sensibile di paesi come l'Italia al problema dell'esaurimento delle risorse e del cambiamento climatico. Al punto che in Spagna hanno tradotto in Spagnolo il mio libro "Before Collapse." In Italia, di questi argomenti sembra che non glie ne importi niente a nessuno. Anzi, direi che non è che "sembra" -- è proprio così!

Allora, ben venga l'iniziativa di Logos Edizioni di tradurre l'ultimo libro di Turiel "Petrocalisse" che è uscito in Spagna nel 2020. Un libro senza dubbio di grande interesse che vale assolutamente la pena di leggere anche se, e mi scuserà Antonio per questo, mi ha lasciato un po' perplesso. Da catastrofista di rango, come alcuni mi considerano, direi che questo libro è un tantino troppo catastrofista anche per me. Se ne rende conto anche Turiel stesso, quando scrive nel suo blog che:

Pensare a tutte quelle persone che mi criticano per essere così negativo nelle mie valutazioni, per non essere in grado di vedere lo splendido futuro che ci aspetta, per boicottare con il mio atteggiamento le soluzioni che ci vengono vendute... Ho esaminato più volte i miei dati e le mie analisi e continuo a trovare enormi lacune e carenze nel modello di Elettricità Rinnovabile Industriale che vogliono imporci, carenze a cui nessuno risponde se non con attacchi personali, mai con dati.

E qui, se non altro Turiel azzecca in pieno l'essenza del dibattito attuale. Non puoi più dire niente senza essere immediatamente attaccato sul piano personale. Non esiste più niente di simile al dibattito nell'antico senso della "disputatio" medievale, parte dell'ancora più antica e nobile arte della retorica. Sono rimasti solo gli insulti. Forse meglio che il "soft banning" che colpisce tutti quelli che si provano a criticare i vari potentati dominanti, ma non entriamo in questo argomento. 

Così, il libro di Turiel è un testo meditato e argomentato che demolisce una buona frazione delle varie bufale che ci raccontano e che continuano a raccontarci. Turiel è un fisico, quindi non perdona con la sua analisi, sempre quantitativa, dettagliata, e impietosa. Certi bersagli, per la verità, sono un po' come sparare sulla crocerossa, come la banda di ciarlatani delle energie gratuite (tradotto come "energie libere" nella versione italiana, che è un po' impreciso, ma comunque la faccenda è quella). Su questo, basta ricordare come Turiel sia stato uno dei primi a identificare e demolire la truffa del cosiddetto "E-Cat," lo scaldabagno atomico dell'ing. Rossi. E si va avanti demolendo i biocombustibili, il motore ad acqua, il risparmio e l'efficienza, i vari miracoli petroliferi, l'energia nucleare, certe esagerazioni sulle rinnovabili, e così via. A mio parere, certe volte la demolizione di Turiel è un po' eccessiva, ma i suoi ragionamenti non sono mai banali. 

Ahimé, molto spesso Turiel ha ragione, ma io mi immagino il lettore medio che, a metà strada di questa demolizione all'ingrosso, rischia di trovarsi perduto in un oceano di pessimismo, e non sa più che pesci pigliare. Certo, alla fine del libro c'è un capitolo intitolato "cosa bisogna davvero cambiare," ma uno si può ragionevolmente domandare per quale ragione gli stessi argomenti demolitivi che Turiel applica un po' a tutto non si possano anche applicare a queste possibili soluzioni. La cancellazione del debito e la ridefinizione del denaro, e altre cose che Turiel propone sembrerebbero essere buone idee. Ma anche il motore ad acqua e l'E-cat potevano sembrare buone idee quando sono stati proposti. 

Insomma, come dicevo all'inizio, questo è un libro che vale veramente la pena di leggere, specialmente per il trattamento della situazione delle risorse petrolifere, argomento del quale Turiel è uno dei maggiori esperti mondiali. Ma fate attenzione, è un libro che può impattare sulla vostra salute mentale se non siete preparati a certe cose. Non dico che vi può fare l'effetto del "Necronomicon" di H.P. Lovecraft, ma un certo scombussolamento cerebrale ve lo potete aspettare. D'altra parte, potete sempre scegliere un'altra strategia: accendete la TV e ascoltate il telegiornale. Così state tranquilli e beati e non vi accorgerete di niente. Fino a che non potrete fare a meno di accorgervene. 


 

giovedì 26 febbraio 2015

Ricapitoliamo: la situazione del petrolio

DaThe Oil Crash”. Traduzione di MR



Di Antonio Turiel

Cari lettori,

i movimenti dei mercati delle materie prime nelle ultime settimane hanno provocato parecchi scossone agli analisti specializzati in queste questioni. Quando il prezzo del petrolio ha iniziato a collassare, intorno a luglio dello scorso anno, è emersa una serie di analisi precipitose (che sono state in seguito rapidamente smentite dai fatti). Prima non si è data importanza alle correzioni del prezzo, attribuendolo loro un carattere temporale, poi si è insistito sul fatto che l'OPEC avrebbe fermato l'emorragia dei prezzi nel giro di qualche settimana. Vedendo che questo non accadeva, è stata accusata l'OPEC di inondare il mercato per affossare (e qui si presenta una cerca diversità di obbiettivi, a seconda dell'analista in questione e a volte lo stesso analista a seconda della settimana) la Russia, l'Iran e persino le esportazioni da fracking degli Stati Uniti. Solo recentemente è stato riconosciuto che c'è davvero un problema di domanda debole (cosa che da questo blog abbiamo ripetuto molte volte, per esempio descrivendo la spirale perniciosa di distruzione della domanda – distruzione dell'offerta nella quale ci troviamo) e si comincia a mettere da parte le teorie della cospirazione sull'OPEC, anche se è difficile abbandonare l'illusione del controllo. Curiosamente, pochi analisti hanno unito i puntini, rilevando il fatto che il prezzo di molte materie prime è crollato (cadute del 50% ed oltre) anche prima del petrolio, il che fa prevedere una recessione globale profonda. Cosa che, ovviamente, non fa piacere vedere, men che meno in Spagna, dove questo è un anno intensamente elettorale.

Oggi, gli analisti più affidabili si fanno eco delle dichiarazioni del principe dell'Arabia Saudita  Al-waleed, secondo il quale il prezzo del petrolio non tornerà mai a 100 dollari al barile e questo fa diffondere la preoccupazione per le estrazioni da fracking degli Stati Uniti, che nonostante le tante affermazioni magniloquenti che sono state fatte riguardo alla sua redditività durante questi mesi, non sono redditizi nemmeno a quella soglia alla quale il principe saudita dice che non torneremo. Pertanto cominciano ad essere frequenti le analisi che ci dicono che il regno dell'oro nero sta raggiungendo la sua fine, che per responsabilità corporativa molte grandi istituzioni stanno dismettendo le loro posizioni finanziarie sull'industria dei combustibili fossili e che, insomma, il mondo si trova agli albori di una grande transizione energetica, che apparentemente si verificherà perché ci risulterebbe molto conveniente in questo momento.

La realtà che abbiamo di fronte è tuttavia molto più complessa di queste semplici estrapolazioni lineari, basate sul principio secondo cui l'economia è una cosa separata dalla realtà fisica del mondo. Nel mondo reale, il petrolio è la principale fonte di energia del mondo e non è facile sostituirlo con altre fonti di energia, rinnovabili o meno, che non esistono su una scala che somigli nemmeno vagamente a quello che servirebbe. Si può insistere (e si è fatto e si fa moltissimo, specialmente in questi giorni nei quali si anticipano grandi cambiamenti istituzionali nel mio paese e in altre nazioni) sul fatto che le energie rinnovabili potrebbero subentrare, con un adeguato piano di implementazione. Lasciando da parte la persistente ignoranza o disdegno della discussione sui limiti delle energie rinnovabili (li hanno e devono essere discussi), gli articoli che incoraggiano questo futuro rinnovabile sono soliti insistere sul presentare ripetutamente gli attuali costi economici accessibili per questo tipo di sistemi, senza enumerare le promesse tecnologiche che si dovranno realizzare in un prossimo futuro, di nuovo perché semplicemente si d il caso che abbiamo disperatamente bisogno di qualcosa con cui coprire l'ansia energetica del nostro sistema economico, costretto a crescere all'infinito in un pianeta finito. In questo modo, accettano acriticamente il postulato erroneo che enumeravo sopra: credere che l'economia sia un soggetto isolato e indipendente dalla realtà del mondo fisico. Quindi queste persone, la maggior parte intelligenti, critiche, in buona fede e impegnate a spingere il cambiamento di cui abbiamo tutti bisogno (anche se è discutibile che vadano nella giusta direzione), ignorano nel loro entusiasmo che la potente e ciclopica macchina industriale attuale è alimentata da combustibili fossili, dall'estrazione di metalli dalla miniera alla raffinazione e fusione, dalla preparazione del cemento ai forni dove si fonde il silicio delle celle fotovoltaiche. Questa necessità di mantenere il mondo ancorato al fossile (che ha fatto sì che alcuni autori dubitino del fatto che le energie rinnovabili ed anche il nucleare non siano altro che estensioni dei combustibili fossili) viene semplicemente tralasciata, come se dalla sera alla mattina questi complessi processi produttivi, affinati a forza di decenni, potessero essere portati a termine prescindendo completamente o in larga parte dai combustibili fossili. Ma in realtà, anche quando una tale transizione si potesse portare a termine richiederebbe vari decenni ed alcune misure economiche eccezionali che non sono facilmente assumibili dai partiti attualmente al potere nei dai loro possibili sostituti.

In realtà, il corso prevedibile dei fatti non somiglia in nulla a questa narrativa di un petrolio permanentemente a buon mercato e di una transizione energetica, condita di risparmio ed efficienza dove serve. In realtà ciò che sta succedendo è che si sta verificando un adattamento economico della follia finanziaria che ha avvolto la produzione di idrocarburi liquidi negli ultimi tre anni. Si stava producendo petrolio e liquidi assimilabili a un prezzo inferiore a quello di produzione solo per mantenere la fiction secondo la quale non stava succedendo nulla, come mostrava il grafico seguente del Dipartimento dell'Energia degli Stati Uniti (leggetevi il post relativo per la sua spiegazione):



E se le grandi società hanno sopportato questo salasso del propri conti economici è stato nella speranza (detto meglio, cieca fede) che il progresso tecnologico avrebbe finito per trasformare queste perdite in guadagni. Niente di ciò è successo, ma i prezzi ai quali veniva venduto il petrolio, già allora insufficienti per coprire le spese della nuova produzione non convenzionale, erano nonostante tutto troppo cari per i consumatori ed hanno finito per distruggere la domanda artificialmente gonfiata con misure di alleggerimento quantitativo e di ulteriore fuga in avanti. Tutte queste sciocchezze erano necessarie perché la produzione di petrolio greggio convenzionale sta già diminuendo ed è stato possibile contenere l'emorragia col fracking, i biocombustibili ed i petroli ultrapesanti. Tre tipi di idrocarburi liquidi troppo cari per poter essere redditizi, tre tipi di risorse che, se l'economia fosse realmente indipendente dalle sue necessità fisiche di consumare energia, non sarebbero mai state sfruttate. Per poterle sfruttare, tuttavia, si è dovuta pagare questa differenza, questo costo aggiuntivo, e si è dovuto pagare da quello che avevamo già. Per produrre questi idrocarburi sub prime le grandi imprese hanno dovuto consumare parte del proprio patrimonio, gli Stati hanno dovuto tagliare l'assistenza sociale e in generale le istituzioni pubbliche e private hanno trascurato la manutenzione delle proprie infrastrutture. Questa fuga in avanti insensata ora ci colloca in una situazione di debolezza economica de molte grandi imprese, di instabilità sociale nata dal malessere per i tagli e di prevedibile collasso di infrastrutture cruciali, esempio dell'Effetto Seneca coniato da Ugo Bardi. Insomma, ci siamo ficcati in una situazione peggiore e più prona a scatenare un processo di discesa caotica.

Gli eventi si succedono con rapidità e toneranno a confondere gli analisti di fama che menzionavamo all'inizio di questo post. Negli Stati Uniti, la bolla del fracking si sta sgonfiando rapidamente e questo provocherà una rapida discesa della produzione di petrolio in quel paese. A un ritmo un po' più lento, in molti altri paesi si stanno congelando o abbandonando molti progetti di estrazione di idrocarburi liquidi di diversi tipi, dalle piattaforme petrolifere in alto mare all'estrazione del greggio extrapesante. La rapida discesa degli introiti della vendita di petrolio sta creando non poca instabilità economica, politica e sociale in un elenco di produttori sempre più vasto: Iraq, Iran, Libia, Nigeria, Algeria, Venezuela, Messico, Argentina, Brasile, Russia... Nei prossimi mesi vedremo una ripresa dei prezzi del petrolio dovuta fondamentalmente alla rapida caduta del fracking statunitense e sarà quasi immediatamente seguita da una nuova caduta dei prezzi originata dalla recessione economica successiva alla crisi finanziaria che darà origine al fallimento di molte banche che hanno prestato soldi all'impazzata ai progetti di fracking e che, come nel 2008, hanno creato prodotti derivati fantasiosi che amplificano le perdite su scala globale. La possibile sincronizzazione di entrambi i processi (ripresa dei prezzi dovuta alla caduta della produzione, diminuzione dei prezzi dovuta alla recessione globale), che provocherebbe una quasi neutralizzazione del movimento del prezzo del petrolio, non è del tutto da escludere anche se sembra improbabile vedendo la velocità alla quale si sta fermando il fracking negli Stati Uniti (mentre le richieste finanziarie, che non cessano di essere processi amministrativi, richiedono il loro tempo).

La conseguenza più ovvia di tutto questo è che entriamo nella fase di alta volatilità dei prezzi caratteristica di qualsiasi materia prima che scarseggi e che sarà la il contrappunto dei prossimi anni: mesi di prezzi bassi seguiti da mesi di prezzi alti, che si alternano ad un ritmo sempre più rapido nella misura in cui il declino della produzione di petrolio sia più forte e ci addentriamo nella tetra spirale di distruzione della produzione – distruzione della domanda. Esattamente come spiegavamo 5 anni fa, quando è partito questo blog. Per questo, nei prossimi mesi e anni sarà un esercizio divertente ascoltare le ragioni e le scuse che addurranno i grandi esperti per spiegare la congiuntura di ogni momento, contraddicendo quello che dicevano il momento prima.

Ho creduto conveniente ricapitolare in questo post i fatti e le questioni già discusse varie volte in questo blog, prima di affrontare un tema la cui dimensione mi sembra cruciale in questo preciso momento, in questo anno che con tutta probabilità sarà conosciuto come l'anno in cui si è arrivati al picco di tutti gli idrocarburi liquidi (in volume: in energia netta sappiamo già che è avvenuto anni fa): come affrontare la questione delicata dell'assegnazione di risorse durante il declino energetico. Questo sarà il tema di un prossimo post.

Saluti.
AMT


lunedì 22 dicembre 2014

World Energy Outlook 2014: il picco di tutto?

Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR


Di Antonio Turiel

Cari lettori,
negli ultimi giorni, a parte dedicare tempo ai molteplici impegni professionali e di divulgazione, sono stato occupato a preparare il tema del post di oggi: la mia analisi del rapporto per eccellenza del panorama energetico mondiale, il World Energy Outlook, che nella sua edizione del 2014 è stato presentato dalla IEA il 12 novembre scorso. Un rapporto come al solito molto lungo (748 pagine), con moltissime informazioni su ciò che le menti pensanti di questa agenzia della OCSE credono che sarà il futuro della fornitura energetica del pianeta. Data la lunghezza di questo post, nel quale analizzo molti aspetti di questo rapporto, lo organizzerò in diverse parti per facilitarne la lettura, vale a dire: Prospettiva storica; Strutture del WEO 2014; Petrolio; Carbone; Nucleare; Gas; Ciò che rimane nel calamaio e Conclusioni.

Prospettiva storica

Come abbiamo discusso in numerose occasioni, la IEA è sempre restia ad accettare la cruda realtà di un mondo finito con risorse finite, ma lentamente i problemi associati alla fornitura di petrolio hanno trasceso i suoi rapporti, nei quali la IEA ha sempre cercato di presentare la faccia più favorevole degli eventi che i suoi modelli di previsione di offerta e domanda le offrivano. Così, nel 2010, la IEA ha riconosciuto per la prima volta che il petrolio greggio era giunto alla sua produzione massima, che dovrebbe mantenersi costante fino al 2035, ma si consolava pensando a quali altri idrocarburi avrebbero preso in gran parte in mano la situazione. Nel 2012, coloro che hanno avuto la pazienza immergersi nel rapporto, hanno trovato la sorpresa del riconoscimento del declino della produzione di petrolio greggio, anche se la stampa si è concentrata solo sulla fantasia secondo la quale gli Stati Uniti sarebbero diventati autosufficienti nel prossimo futuro, anche se semplicemente esaminando il grafico originale di quel rapporto nel quale si sosteneva un'affermazione così azzardata, era già possibile vedere che tale autosufficienza si sarebbe potuta ottenere soltanto, a parte che facendo molte ipotesi  e molto ottimistiche, se in più gli Stati Uniti avessero rinunciato a più del 30% del consumo attuale.


Evoluzione prevista per le importazioni di petrolio degli Stati Uniti  secondo il WEO 2012. Come si vede, gli Stati Uniti non giungono mai all'autosufficienza, dovendo importare ancora più di 3 Mb/g nel 2035. Sopra si ipotizza che altri 3 Mb/g verranno da una maggiore “efficienza da parte della domanda”, cosa che finisce per essere un eufemismo per dire che si distruggerà la domanda come conseguenza di un'importante recessione economica. Altri dettagli nel post World Energy Outlook 2012: fare di necessità virtù.


Nello stesso 2012 ho elaborato un'analisi abbastanza dettagliata, incrociando dati di diverse fonti con le previsioni della IEA, per cercare di offrire una prospettiva sull'evoluzione dell'energia netta del petrolio, la quale ci ha indicato un panorama piuttosto preoccupante.


Evoluzione dell'energia netta del petrolio in uno scenario realista, derivato dallo scenario delle Nuove Politiche del WEO 2012. Altri dettagli su Il tramonto del petrolio

L'anno scorso, il WEO 2013 ci ha mostrato un grafico ancora più inquietante. In questa occasione non ho neanche dovuto lavorare sui dati. Il grafico 14.6 ci ha mostrato una rapida riduzione della produzione di petrolio nei prossimi anni se non si fosse continuato ad investire a sufficienza.


E come abbiamo spiegato ripetutamente in questo blog, nonostante questo “avviso ai naviganti” da parte della IEA, la politica delle grandi compagnie è stata piuttosto quella di annunciare tagli degli investimenti. La ragione di tale strategia di disinvestimento è che l'affare non è più tanto redditizio, visto che gli investimenti in produzione non convenzionale sono rovinosi. Non solo questo, ma tutte le tensioni accumulate nel sistema aumentano il rischio di uno scollegamento improvviso per il quale alcuni paesi potrebbero collassare, specialmente se si protrae l'attuale situazione dei prezzi del petrolio in ribasso. In questo contesto, ho analizzato con attenzione i parametri del WEO 2014, cercando di verificare quali tendenze raccoglie, di quelle enunciate sopra, e quali si permette di tralasciare o di addolcire e in quel caso per quale motivo. E i mie risultati sono piuttosto sorprendenti, come vedrete.

Struttura del WEO 2014

Il WEO 2014 è strutturato in tre parti:

- La parte A parla delle tendenze energetiche globali, secondo i suoi tre scenari di riferimento: Politiche attuali, in cui si suppone che non ci siano cambiamenti delle tendenze attuali; Nuove politiche, in cui si ipotizza che le politiche che si stanno profilando entrino in vigore e Scenario 450, in cui il mondo il mondo si imbarca nell'ambizioso programma di lotta al cambiamento climatico con l'obbiettivo di mantenere la concentrazione di gas ad effetto serra al di sotto delle 450 ppm equivalenti di CO2. Lo scenario di base per la IEA, come sempre, è quello delle Nuove politiche, salvo quando venga detto esplicitamente il contrario, tutti i grafici si riferiscono a questo scenario.

- La parte B è dedicata alla descrizione in dettaglio dell'energia nucleare.

- La parte C si occupa delle prospettive energetiche dell'Africa. In questo post non mi occuperò di questa parte.

L'inizio della parte A è dedicato alla spiegazione di alcuni dettagli dei modelli economici usati per comporre gli scenari. Richiamano l'attenzione, per esempio, i cambiamenti introdotti nello Scenario 450, visto che si riconosce che è poco probabile che ci sia un'azione concentrata prima del 2020. Nella parte delle ipotesi economiche, la IEA ci offre un grafico aggiornato sul rapporto fra energia e PIL per diverse regioni della Terra:



Di questo grafico è interessante evidenziare che anche se il rapporto fra crescita del consumo di energia e crescita del PIL non è costante (non sono linee rette), in generale le inclinazioni sono positive, cioè, che il PIL cresce sempre quando cresce il consumo di energia e decresce quando diminuisce il consumo di energia. Pertanto, la relazione fra energia e PIL è quasi sempre dello stesso tipo, tanto nei periodi di crescita economica quanto nei periodi di recessione. Le poche aree con inclinazioni negative (in cui tipicamente il PIL cresce nonostante la diminuzione del consumo di energia) sono rare e corrispondono a periodi transitori a seguito di una grossa recessione, periodi nei quali l'economia non ha ancora trovato il proprio punto di equilibrio. Di fatto, il periodo più prolungato con inclinazione negativa sembra corrispondere agli ultimi anni dopo il 2008 e soltanto nel caso degli Stati Uniti. Dato che negli Stati Uniti durante questo periodo si sono verificati due effetti di distorsione del rapporto economico (l'importazione di energia esportando inflazione da un lato e l'eccessivo indebitamento delle società energetiche che estraggono idrocarburi di bassa qualità dall'altro), entrambi transitori e difficilmente ripetibili, è difficile credere che si possa convertire questo breve periodo in un paradigma, vi starete forse dicendo. Ma non è ciò che dice la IEA, che invece ha convertito una tale anomalia nella parte centrale del proprio scenario delle Nuove politiche. Da un lato, la IEA ipotizza che la crescita media annuale del PIL in termini reali nell'OCSE sarà del 1,9%, ma allo stesso tempo ipotizza una situazione di stagnazione energetica per il mondo attualmente più industrializzato: gli Stati Uniti passerebbero da un consumo totale di energia primaria di 2135 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio (Mtoe, nell'acronimo inglese) nel 2012 a 2190 Mtoe nel 2040, l'Europa passerebbe da 1769 a 1697, il Giappone da 452 a 422 e la Russia da 749 a 819 (ma tenendo conto che nel 1990 consumava 880 Mtoe). Vale a dire: una crescita esigua, dello 0,3% annuale per gli Stati Uniti e leggermente negativa per l'Europa e per il Giappone. Il resto del mondo, invece, vedrà crescere il proprio consumo di energia a ritmi fra l1 e il 2% all'anno, piuttosto considerevoli, ma inferiori alle medie storiche di crescita del consumo energetico: Con questa crescita, il resto del mondo garantirebbe una crescita del PIL reale a un ritmo del 4,6% all'anno, roba da niente.


Come si verificherà un tale prodigio, che contraddice l'intuito ed anche i dati sperimentali che ci offre la stessa IEA sull'evoluzione del PIL rispetto al consumo di energia? La risposta ce l'abbiamo a pagina 53: “Nello scenario di Nuove politiche la domanda di energia primaria mondiale aumenta di circa il 37%fra il 2012 e il 2040. La domanda cresceva più rapidamente nei decenni passati; questo rallentamento della crescita della domanda si avrà dai guadagni in efficienza energetica e cambiamenti strutturali nell'economia globale a favore di attività meno intensive energeticamente" (il grassetto è mio). Cioè: la IEA identifica che l'energia non fluirà con la stessa intensità di prima (anche se non ammette apertamente che ci saranno problemi con diversi combustibili) ma ci dice di non allarmarci, perché il PIL continuerà a crescere nonostante il consumo energetico non lo segua (e che nella OCSE addirittura ristagni), grazie al fatto che i nostri processi energetici sono più efficienti (pare non abbiano ancora sentito parlare del paradosso di Jevons) e propone perché inoltre ci concentreremo in attività di maggior valore aggiunto. Questa riflessione dovrebbe allarmare i paesi come la Spagna, dove non si è predisposto nulla per settori del genere e dove non si stanno ponendo le condizioni per fare questa fortissima e rapidissima transizione, ma dove piuttosto avviene il contrario, con un'espulsione in massa dei giovani attraverso l'emigrazione.

Un punto chiave per il miracolo che sta chiedendo la IEA è l'evoluzione dello sviluppo tecnologico: A pagina 46 da i dettagli di quali sono le principali conquiste che si aspetta: più rinnovabili (anche se riconosce una caduta dell'investimento nelle stesse), più nucleare (la questione sulla quale sembra puntare questo rapporto), sistemi di cattura e sequestro del carbonio (CCS; è interessante evidenziare che, secondo i regolamenti della EPA americana, le nuove centrali termiche a carbone dovranno essere equipaggiate con CCS entro 10 anni – vedremo di cosa si tratta), più biocombustibili negli Stati Uniti (si riconosce che c'è stato un forte crollo nel 2012 – coinciso con la fine dei sussidi negli Stati Uniti – ma che c'è stato un grande recupero nel 2013), più veicoli ibridi ed elettrici e la proverbiale efficienza energetica (Lord Jevons, questo sconosciuto). Tutte idee vecchie, tutte già verificate, in alcuni casi, per decenni e tutte hanno dimostrato di avere dei limiti pratici che negano qualsiasi possibilità che possano avere un impatto significativo su grande scala. Per esempio, nonostante queste espressioni di buona volontà, possiamo leggere più avanti nel rapporto (box 2.2, pagina 61) che il fotovoltaico fornirà nel 2040 il 4% dell'elettricità mondiale, mentre l'eolico darà l'8% della stessa elettricità. Risulta che l'incremento dell'elettrificazione in questo periodo sarà, secondo questo scenario, moderato, per cui il contributo delle rinnovabili all'energia primaria del mondo passerebbe dal 12% nel 2012 al 19% nel 2040 (e non dimenticate che la maggior parte delle rinnovabili sono biomassa – principalmente le legna che usano i contadini di tutto il mondo – e idroelettrico). In nessun punto si discute con quale rame si produrrà questo incremento di elettrificazione, soprattutto tenendo conto del fatto che il picco di produzione del rame sembra essere in un orizzonte prossimo; non ci sono neanche allusioni ai possibili problemi di forniture di terre rare, che sono necessarie per le tecnologie più efficienti. Come vedete, non si profila niente di realmente eccitante nell'orizzonte energetico, non è affatto evidente che si possa ottenere un aumento della nostra fornitura di energia da parte di nuove fonti e da una migliore efficienza. Eppure, sta lì la scommessa della IEA per il futuro.

Petrolio

Per la IEA è chiaro che il consumo di energia continuerà a crescere nei prossimi anni, in modo tale da soddisfare la domanda crescente di una popolazione che vedono in continuo aumento. Ricordiamo che, a parità di altri fattori, la crescita della popolazione è il fattore che contribuisce di più all'aumento del PIL e con il pensiero economico classico – la dottrina religiosa imperante – il PIL deve sempre aumentare, per cui la via più facile è mediante l'aumento della popolazione. Nel caso particolare del petrolio, si prevede un aumento, nei prossimi 26 anni, di circa 14 Mb/g, fino a raggiungere il livello dei 104 Mb/g. Quanto è lontano il WEO del 2007, in cui ci si aspettava di giungere ai 120 Mb/g nel 2025 (secondo il WEO 2014, nel 2025 la produzione di tutti gli idrocarburi liquidi – che non sono esattamente petrolio – sarà circa di 96 Mb/g. Il panorama potrebbe sembrarci un pochino meno promettente di quello dell'anno scorso e la IEA si sforza di proporre un messaggio positivo, anche se non può evitare di dare avvertimenti sul fatto che il cammino verso il futuro può avere delle gravi complicazioni. Così, a pagina 74 possiamo leggere: “Le risorse restanti economicamente sfruttabili dei combustibili fossili e dell'uranio su scala globale sono più che sufficienti per coprire la crescita prevista della domanda fino al 2040, nello scenario Nuove politiche (…). Ma se queste risorse saranno finalmente sviluppate e un po' meno chiaro, date le incertezze risultanti dalla confluenza di fattori geopolitici, economici e politici e all'impatto del cambiamento tecnologico”. Per alimentare maggiormente la confusione, la IEA mostra a pagina 75 il tipico grafico degli anni rimanenti per ogni combustibile: è l'errore tipico Q/P (Quantità di petrolio/Produzione di petrolio), della quale abbiamo già parlato in alcune occasioni, che di solito serve ad illustrare alcuni articoli d'opinione che appaiono sulla stampa. Per evitare che vi disturbiate a cercare il grafico in questione, ve lo copio qui. Naturalmente, non c'è alcun riferimento all'EROEI in tutto il rapporto.


A pagina 76 si riconosce, a parole, che la produzione di petrolio greggio convenzionale diminuirà leggermente: dai 70 Mb/g del 2005 (questo dato non è menzionato in questo WEO, ma ma è stato presentato nelle edizioni precedenti) si manterrebbe a 68 Mb/g fino al 2030 e poi diminuirebbe fino ai 66 Mb/g nel 2040. Il fatto è che questo WEO è molto testuale e meno grafico, meno basato su dati di quelli precedenti, per quanto riguarda il petrolio. Non c'è alcun grafico come quello del 2012, col quale ho fatto l'analisi del post “Il tramonto del petrolio”, ma c'è qualcosa di meglio: una tavola a pagina 117 coi valori numerici di produzione per tipo ed anno (secondo la quale, di sicuro) la produzione di petrolio greggio nel 2013 è stata di 68,6 Mb/g. Traetene le vostre conclusioni). L'analisi di questa tavola sarà il tema del prossimo post. In generale la IEA  da in questo WEO le informazioni col contagocce e le poche cose che mostra le presenta in modo inusuale, cercando di dissimulare i fatti: guardate questo grafico che occupa la pagina 79:




In realtà sono grafici della produzione stimata dei paesi esaminati, ma a tutti è stato sottratto il livello di produzione del 2013. Se guardiamo bene, questi grafici non stanno dicendo che la produzione di petrolio (non dicono “convenzionale, così dobbiamo intendere che si riferiscano a tutti gli idrocarburi liquidi) diminuirà in Russia e nel Mare del Nord (molto leggermente, se si confronta con altre stime), aumenterà molto poco e solo a partire dal 2025 in Arabia Saudita, toccherà il suo massimo produttivo negli Stati Uniti verso il 2017 o 2018 (dove sono finiti i sogni di indipendenza energetica?) e realmente dipenderà principalmente dal Canada e in misura maggiore da Brasile ed Iraq il fatto che non cominci un declino irreversibile. Tenendo conto che in Brasile le prospettive nella pratica non si stanno rivelando tanto buone e che in virtù di ciò che abbiamo visto è possibile che nel 2040 non esista uno stato chiamato Iraq, sembra tutto un esercizio di volontarismo piuttosto che una cosa concreta. Una delle sezioni più interessanti del WEO 2014 è quella che parla degli investimenti nella produzione di energia. Estrapolo alcune frasi che credo siano abbastanza significative:

Pagina 85: “La decisione di impegnare capitale nel settore energetico viene sempre più modellata da misure politiche e incentivi dei governi, più che dai segnali di un mercato competitivo [riferimento ad un rapporto sull'investimento pubblicato dalla IEA qualche mese fa]. Nel settore del petrolio, ci si attende che la dipendenza da paesi con un accesso più restrittivo alle risorse cresca, nella misura in cui la produzione di petrolio del Nord America [NOTA: cioè, Canada, Stati Uniti e Messico] torni piatta dal 2030 in avanti. Le turbolenze geo-politiche come quelle presenti in Iraq, Libia ed altre parti del Medio oriente e del Nord Africa, sono la base dei rischi negativi sulla produzione di petrolio a lungo termine, cosa che indica un rischio significativo del fatto che l'investimento non arrivi in tempo, durante il decennio in corso, per evitare un deficit di fornitura a partire dal 2020”. Come vedete, i problemi possibili “sul terreno”, come piace dire alla IEA, sarebbero la causa del fatto che non si verifichi in tempo l'investimento, se alla fine succede questo. E, come vedete, nessuno si addentra ad analizzare se questi problemi sono il risultato di una instabilità intrinseca frutto dei crescenti costi di estrazione e il crollo del beneficio che corrisponde all'estrazione di fonti con EROEI molto bassi. Come sappiamo, l'incremento della produzione di petrolio degli Stati Uniti non sta portando ad un aumento del consumo della preziosa materia prima in quel paese. In realtà, lo scenario che maneggia la IEA, che è già abbastanza inquietante per l'OCSE, è molto preoccupante in termini di petrolio: dato che la produzione di tutto ciò che la IEA chiama petrolio aumenterebbe solo di 14 Mb/g da qui al 2040 al di sopra degli attuali 90 MB/g di produzione, il suo scenario prevede una drastica redistribuzione del consumo.


Come si vede nel grafico, il consumo dell'OCSE diminuirebbe a 10 Mb/g, cioè, intorno al 23% del suo consumo attuale, perché soprattutto Cina ed India possano aumentare il proprio. Pertanto, lo scenario di riferimento per la IEA, che contempla una stagnazione del consumo energetico per l'OCSE, è in realtà uno scenario di forte discesa del consumo di petrolio in questa area, che dovrà essere compensato da gas, nucleare e rinnovabili. Se si analizzano in modo critico le tendenze degli ultimi anni, una transizione tanto ordinata e di questa dimensione sembra, quanto meno, molto improbabile. Non c'è da meravigliarsi che alla pagina 104 venga dedicato tutto un paragrafo per parlare dei vantaggi del car sharing negli spostamenti e si menziona persino che probabilmente abbiamo superato il picco delle auto nell'OCSE (picco del petrolio non si può dire, ma la sua ombra è lunga). Analizzando le riserve tecnicamente recuperabili di petrolio, il WEO 2014 da da intendere chiaramente che considera che siano più che sufficienti per coprire la domanda prevista in uno qualsiasi dei tre scenari. Detto così non è chiaro se stanno tenendo conto dei ritmi reali di produzione, visto che la questione non è solo se le riserve saranno sufficienti (lo sono senza dubbio), ma se la quantità che si potrà estrarre a ritmi realistici potrà coprire la domanda (cosa abbastanza più incerta, come sappiamo). Come si dice a pagina 111, le risorse mondiali di idrocarburi liquidi non rinnovabili (che comprendono petrolio greggio convenzionale, liquidi del gas naturale, super pesanti, kerogene e tight oil) sarebbero di circa 6 miliardi (spagnoli) di barili di greggio, dei quali 1,7 miliardi sono considerati riserve provate (espressi in termini del quoziente Q/P che da luogo in seguito a tante confusioni, circa 50 anni ai livelli di consumo attuali se si potesse estrarre questo petrolio al ritmo che pare a noi, ma già sappiamo che non è così). Ci sono diverse cose curiose qui. Un miliardo di queste risorse corrispondono al kerogene, che non è chiaro come si possa estrarre economicamente (vedete la discussione nel post sulla redditività del fracking). Ci sono altri quasi 2 miliardi che corrispondono ai petroli superpesanti, alcuni dei quali sono di redditività molto bassa o nulla, e 344.000 milioni sono di tight oil. Non sappiamo a quante di queste tre risorse sia stata assegnata la categoria di “riserve provate”. Dato che per l'insieme di risorse di petrolio si verifica un rapporto di 3,5 a 1 tra risorse e riserve, sembra ragionevole che esista una relazione simile per queste tre risorse concrete e le loro riserve provate, pertanto c'è una quantità sicuramente non molto lontana dai 900.000 milioni di barili di riserve che vengono considerate provate ma che sarà piuttosto difficile sviluppare completamente.

Un'altra cosa curiose è che la IEA dice che, nonostante le riserve provate siano sufficienti a coprire la domanda attesa, è molto importante che se ne trovino di nuove a causa del fatto che la maggior parte delle attuali riserve sono controllate dall'OPEC e, pertanto, non sono troppo affidabili (controllano troppo il prezzo, dice la IEA). Qui si introduce tutta una discussione sul fatto che la classificazione attuale di riserve provate e probabili sia adeguata tenendo conto del modello di estrazione delle risorse non convenzionali, anche se a me pare un po' ipocrita e soltanto una giustificazione al fatto di dire che si continueranno a trovare risorse ad un buon ritmo nei prossimi anni, grazie a queste nuove pratiche contabili.


Infilandolo nella discussione sulle nuove riserve, il WEO 2014 approfitta per dire che due terzi di ciò che si spera di trovare  nei prossimi anni dovranno essere in estrazioni nel mare (off shore). Niente è casuale: la IEA ha il Messico nel mirino e nonostante non ci presenti alcun grafico sull'evoluzione della produzione globale di petrolio per tipologia, ce lo offre invece nel caso del Messico.


Come vedete, ipotizzano una fortissima caduta della produzione di petrolio a partire dai giacimenti attualmente in estrazione nel paese nordamericano (nella notazione della IEA), che verrà compensata da un aumento incredibilmente grande della produzione proveniente da giacimenti ancora da scoprire, principalmente offshore. Si aspettano che accada tutto questo, come dicono esplicitamente, sulle ali della famosa riforma energetica del Messico, che deve permettere che il capitale privato inverta la pessima tendenza produttiva attuale (cosa che non pochi mettono in dubbio). Qui la IEA si allinea con questi interessi economici e, con questo grafico che allego sopra, fornisce argomenti a favore dell'apertura energetica (che temo molto che scatenerà un mare d'inchiostro in Messico, sullo stile del meme falso dell'indipendenza energetica degli Stati Uniti). E' il caso di dire che un incremento tanto rapido e brutale della produzione di petrolio proveniente da giacimenti non ancora conosciuti in un'area in cui, seppure poca, esiste già un'estrazione ed un'esplorazione, risulta difficile da credere. I commenti che si fanno su Iraq ed Iran sono sulla stessa linea: un ottimismo difficile da sottoscrivere. Vi lascio, senza ulteriori commenti, la curva che stimano per l'Iran. Fino al 2013 sono dati, a partire da lì è la loro previsione.


Non riesco a finire l'analisi di questa parte senza tradurre alla lettera un paragrafo sulle “Prospettive di produzione” (pagina 114), nel quale la IEA fa la sua previsione a breve e medio termine, poiché credo che i prossimi anni metteranno a dura prova queste affermazioni.

“La produzione di petrolio fino al 2040 nello scenario di Nuove politiche si può dividere in maniera utile in due periodo, con la transizione fra i due che avviene nel decennio degli anni 20 di questo secolo (Figura3.10). Il primo periodo è caratterizzato da una produzione sostenuta nei paesi non OPEC: il tight oil (e in misura minore il petrolio da acque profonde) degli Stati Uniti, le sabbie bituminose del Canada, i giacimenti in acque profonde del Brasile e la crescente produzione di liquidi del gas naturale da diverse fonti fanno sì che la produzione non OPEC si stabilizzerà e comincerà a retrocedere, a causa della diminuzione della produzione convenzionale in Russia, Cina, più tardi in Kazakistan e alla fine di una saturazione negli Stati Uniti”.

Carbone

Qui troviamo una delle sorprese (relative) di questo WEO: la IEA prevede praticamente una stagnazione del consumo di carbone a partire dal 2020 (crescite fra lo 0,2% e lo 0,3% annuali), dando luogo ad un plateau produttivo che ricorda quello che nel 2010 si era verificato per il petrolio greggio convenzionale. Il grafico si può trovare nella presentazione alla stampa.



Dato che nel 2012 è stato verificato che tale plateau non si era verificato, ma che il petrolio convenzionale in realtà stava già diminuendo, è legittimo chiedersi se qualcosa del genere succederà anche col carbone. In linea di principio ciò non è troppo probabile, poiché questo limite estrattivo sembra essere originato più da una difficoltà intrinseca di consumare più carbone da parte del suo maggior utilizzatore, la Cina, a causa dei problemi logistici ed ambientali che causa, non tanto all'impossibilità di aumentare la produzione. Cioè, che è possibile che in questo caso ciò che prevede il WEO 2014 è un picco della domanda e non della produzione, che alla fine viene a mettere in dubbio una volta di più la perfetta sostituibilità delle diverse fonti di energia. In questo modo, sarebbe possibile mantenere una produzione di carbone approssimativamente costante per vari decenni, come i dati delle riserve sembrano avvallare. In aggiunta, non si deve scartare il fatto che il messaggio che sta mandando la IEA contenga un certo contenuto politico: al prossimo vertice di Parigi si deve decidere come si taglieranno le emissioni di CO2 e il carbone è il combustibile più inquinante e che produce più CO2 per caloria prodotta (anche se, come sembra, le estrazioni da fracking non gli vanno molto lontano). E' piuttosto significativo il grafico delle emissioni previste a seconda del tipo di combustibile:


Come si vede, si pensa che le emissioni associate al petrolio ed al carbone rimangano praticamente costanti a partire dal 2020 (di fatto il petrolio salirebbe ancora leggermente, mentre il carbone manterrebbe il livello più o meno dal 2017), mentre le emissioni di CO2 associate al gas salirebbero a buon ritmo. Obbiettivamente questa è una visione di come dovrebbe essere il mix energetico nei prossimi anni e che favorisce gli interessi degli Stati Uniti grazie al gas di scisto (purtroppo nella IEA, nonostante le numerose notizie apparse sulla stampa, non hanno ancora imparato che il gas di scisto è una rovina). Anche così, queste proiezioni rispetto al carbone contraddicono le attuali tendenze, come quella della Germania (che sta consumando più carbone, principalmente la sua lignite nazionale). Ciononostante, il WEO 2014 afferma che il consumo di carbone in Europa scenderà, principalmente a causa dell'aumento della produzione energetica rinnovabile (che in Europa dicono che raddoppierà), anche se il totale dell'energia primaria consumata sarà inferiore (ma il PIL crescerà, a causa immagino della presunta maggiore efficienza nello sfruttamento dell'energia elettrica negli usi finali, il che è sicuro, se parliamo di motori, abbastanza meno certo se parliamo di altri usi). Per maggiore contraddizione, in un'altra sezione del WEO si afferma che la produzione di petrolio (o meglio, di idrocarburi liquidi) si farà più complessa e diversificata grazie all'introduzione massiccia di impianti di conversione del gas liquido e di trasformazione del carbone in liquido grazie al processo di Fischer-Tropsch, nonostante le prove della sua attuale piccolezza (il WEO parla di una decina di migliaia di barili al giorno di produzione). L'ipotesi di un picco della domanda di carbone sembra, pertanto, abbastanza ragionevole. Tuttavia, a pagina 190 troviamo questo grafico rivelatore, in cui la produzione di carbone è ripartita per tipo di miniera: 



La striscia azzurra corrisponde alle miniere esistenti, che a quanto pare soffriranno di un abbassamento della produzione che accelererà a partire dal 2025. La striscia marrone corrisponde a progetti di espansione, basati su miniere già esistenti. Apportano qualcosa, ma non invertono la tendenza né modificano sensibilmente i tempi. La chiave si trova, pertanto,  nella striscia verde, che corrisponde a miniere nelle quali non è ancora stato fatto il primo buco (e nelle quali pertanto il volume delle riserve e la produzione ottenibile hanno una componente speculativa). La IEA sta preparando il terreno per discutere del picco del carbone nei prossimi anni?Il resto di questa sezione è abbastanza inutile. Evidenzio che, seguendo la moda del momento, una sotto sezione è dedicata alla discussione della cattura e dell'immagazzinamento del carbonio (Carbon Capture and Storage, CCS). I sistemi di CCS si basano sull'iniezione dei gas di combustione delle centrali termiche a carbone in alcuni bacini sotterranei o, allungandone il ciclo, il suo uso nel recupero secondario o terziario del petrolio (nel quale si favorisce il flusso di petrolio iniettando gas in pressione). Dato che l'obbiettivo è catturare il il CO2 per continuare a bruciare carbone, si pongono una serie di difficoltà pratiche. Qualsiasi studente del primo anno di Fisica sa che la resistenza di un gas all'essere iniettato in un bacino aumenta esponenzialmente con la quantità di gas già accumulato al suo interno, cosicché questi sistemi consumano una grande quantità di energia ed alla fine si saturano ad un certo valore, raggiunto il quale non è più possibile iniettare altro gas. I bacini geologici a disposizione di uno di questi impianti ha sicuramente limiti di capacità inferiori alla produzione potenziale di CO2 della centrale termica, quindi, cosa si fa del CO2 in eccesso? C'è anche la questione della tenuta stagna del bacino: se si creano delle crepe, il CO2 uscirà nell'atmosfera e lo sforzo sarà stato vano (e questo senza contare il fatto che le alte pressioni potrebbero, in determinate situazioni, indurre sismicità: i lettori spagnoli ricorderanno senza dubbio il fiasco del magazzino Castor, di fronte alle coste di Castellón. Per ultimo, c'è la questione per cui l'iniezione di gas nel sottosuolo consuma una grande quantità di energia (nei prototipi più avanzati di CCS, un 25% della produzione dell'impianto), proprio in un momento nel quale sicuramente non ci interessa perdere altra energia. Tutte queste cose sono conosciute già da anni eppure si continua ad insistere ripetutamente su questa idea, che è sconfitta in anticipo dalla realtà. 

Gas

Secondo questo WEO, il gas supererà il petrolio come fonte principale di energia degli Stati Uniti prima del 2030, in parte a causa della diminuzione della domanda di quest'ultimo (suppongo che sia perché presumono che le auto elettriche alimentate da rinnovabili prenderanno il sopravvento nei trasporti o perché presumono che i liquidi associati al gas verranno maggiormente usati nell'autotrazione). Questa affermazione della IEA servirà ad alimentare per qualche anno ancora l'idea che la rivoluzione del gas di scisto sia la panacea, finché questa bolla finanziaria non finisca per scoppiare. Significativamente, l'epigrafe di questa sezione è: “Liquidi del gas naturale alla riscossa?”. Per i disinformati, dire che la maggior parte del contenuto dei liquidi del gas naturale , e in modo analogo nei gas di petrolio liquefatti o GPL, è una miscela variabile di butano e propano. Cioè che tutti i progressi nell'autotrazione basati su questi combustibili consistono fondamentalmente nel recuperare, in versione moderna, quei taxi alimentati con bombole di butano che erano frequenti nella Spagna degli anni 70 e 80, cosa interessante ora che la gente usa meno butano nelle abitazioni, ma che ha un percorso limitato perché il prezzo di questa alternativa andrà alle stella quando il mercato cresce. In quanto al gas naturale in sé stesso, secondo le proiezioni della IEA, il suo uso principale sarebbe per la generazione di elettricità. Nonostante le difficoltà di creare nuovi mercati per il gas naturale, soprattutto se il petrolio ed il carbone non andranno ad alimentare più crescita economica, la IEA scommette che il gas crescerà a buon ritmo, prendendo in qualche modo il posto degli altri combustibili. 


Il posto nel mondo in cui dovrebbe crescere di più la domanda di gas naturale sarebbe la Cina, ad un ritmo impressionante del 5,2% all'anno. Evidentemente è questo il modo in cui la Cina potrà livellare il proprio consumo di carbone. Date le tendenze attuali, questa supposizione sembra abbastanza azzardata, tenendo in considerazione inoltre che il commercio e la distribuzione del gas necessita di costose infrastrutture che richiedono anni per essere ripagate. I prossimi anni metteranno alla prova le ipotesi della IEA. La seconda regione col maggior incremento del consumo di gas naturale è il Medio Oriente (2% di crescita annuale). Come ha già fatto per il petrolio, la IEA non vede alcun problema futuro nella produzione di gas, nonostante che a questo punto ci troviamo già a pochi anni dal suo picco produttivo, il quale potrebbe essere accelerato dalle turbolenze col petrolio. Così, con l'animo di poter continuare a comprare le diverse revisioni che si faranno nel prossimo decennio sulla produzione di gas naturale, includo qui il grafico corrispondente a questo WEO. Sicuramente, siccome non vedono ancora arrivare il picco di produzione del gas convenzionale, qui ci suddividono la produzione per tipologie: un dettaglio che sarà utile per riferimenti futuri. 


Merita una menzione anche il fatto che dedichino una sottosezione a discutere dei problemi di sicurezza della fornitura di gas, in particolare alla luce del recente e crescente conflitto fra Russia e Unione Europea alla cui basa c'è l'Ucraina. Mostrano un grafico molto interessante sul quali sono state le importazioni di gas naturale per l'Europa (non l'Unione Europea), che a sua volta può essere utile per tracciare la strada del nostro futuro.


Nucleare

Il WEO 2014 dedica una parte enorme alla discussione di questa fonte di energia, nonostante il suo carattere minoritario (circa il 4% dell'energia primaria generata nel mondo) e delle sue scarse proiezioni di futuro. Perché? Perché fondamentalmente la IEA abbraccia la tesi secondo la quale le riserve di uranio sono enormi e che l'evoluzione tecnologica permetterà di ampliare enormemente le risorse che passeranno ad essere economicamente disponibili – abbiamo molto bisogno di una tecnologia che a breve termine cominci a dare un apporto in mezzo a tante carenze. Ma l'evoluzione dell'energia nucleare negli ultimi decenni non è stata molto brillante, essendo passata dal fornire il 18% dell'elettricità mondiale nel 1998 al 11% di adesso (vedete il grafico più in basso). Ma per la IEA la questione chiave sono le basse emissioni di CO2 di questa fonte: di fatto, nello scenario 450, l'energia nucleare cresce ad un ritmo vertiginoso.


Il WEO 2014 presume che si installeranno 332 Gw di potenza in più da qui al 2040 (il che è una castroneria: attualmente ci sono 392 Gw), principalmente in potenze emergenti e negli Stati Uniti, mentre scommette sul fatto che si prolunghino la vita delle licenze di esercizio in occidente. Richiama l'attenzione l'ipotesi poco delicata secondo la quale il Giappone recupererà progressivamente la sua forza nucleare, a partire dal 2020 per non ferire suscettibilità nei dintorni e soltanto ai tre quarti di quello che avevano prima dell'incidente di Fukushima. In seguito c'è una lunghissima discussione sui costi, scomponendo i diversi fattori che contribuiscono agli stessi e la sensibilità che hanno a diversi fattori (compreso il prezzo dei combustibili fossili). Mi è sembrato interessante vedere che il prezzo del combustibile è già intorno al 10% dei costi della centrale (quando ho cominciato a fare questo, i sostenitori di questa tecnologia si vantavano del fatto che il combustibile rappresentava soltanto l'1% dei costi) e poi un'altra discussione, non meno lunga, sulla percezione pubblica di questa energia. Qui si presentavano tre sotto-scenari disaggregati da quello di riferimento; in uno di questi (Low nuclear) nel 2040 ci sarebbe un po' meno energia nucleare installata (366 Gw). In quanto alle risorse, si dice che c'è uranio sufficiente per alimentare uno qualsiasi dei tre sotto-scenari. C'è anche un certo cinismo implicito, per esempio nel grafico che ci informa quale dovrebbe essere il ritmo di chiusura delle attuali centrali nucleari e qual è quello che prevedono nello scenario di riferimento, dando per scontato che ci saranno molti prolungamenti delle licenze operative oltre la vita utile nominale delle centrali e che di fatto verranno estese per molti decenni. 


Ma quello che risulta estremamente scioccante è il riconoscimento aperto del fatto che con le miniere di uranio esistenti e con l'uranio immagazzinato dei decenni antecedenti (riserve secondarie, nel gergo del settore), presumendo inoltre che tutte le miniere attualmente previste si realizzino in tempo, mancherà uranio a partire dal 2020 e verso il 2040 non si potrà coprire tutta la domanda ma meno del 60% (mancheranno circa 45.000 tonnellate di uranio naturale equivalente su circa 105.000 richieste).


Questo è né più né meno il picco dell'uranio. Sono sicuro che a Pedro Prieto piacerà vedere emergere le fauci di uraniator in questo “supply gap” (“mancanza di fornitura”) che ci ricorda tanto quello già visto un decennio fa nelle previsioni per il petrolio. La sola cosa che la IEA riesce a fare per cercare di scongiurare prospettive così pessime è il paragrafo che segue e che accompagna il grafico che vi ho appena indicato: 

“L'estrazione di risorse di uranio ancora da scoprire potrebbe aggiungere forniture di uranio nel futuro, sempre che si faccia esplorazione e sviluppo su scale significative. Inoltre, le risorse di uranio non convenzionali (acqua di mare e fosfati), così come i cicli di combustibili alternativi come quelli che si basano sul torio, promettono di fornire combustibile nucleare a lungo termine se si fa il necessario sviluppo tecnologico. Un'ampia gamma di tecnologie nucleari è attualmente in via di sviluppo (per esempio, i reattori di quarta generazione), il che congiuntamente alla rielaborazione potrebbero anche contribuire ad allontanare di un tempo ancora maggiore qualsiasi scarsità di combustibile”. 

Ciò che mi sembra preoccupante di questo paragrafo è che tutti questi argomenti vengono usati da decenni senza che nessuno dei progressi desiderati si sia verificato per ragioni tecniche che sono ben conosciute (per me il massimo del ridicolo è il riferimento all'uranio dell'acqua di mare). E' triste giungere a pagina 430 di questo rapporto per vedere che dopo tanto parlare siano rimasti senza parole.

Ciò che rimane nel calamaio

E' tantissimo: ci sono diverse sezioni interessanti, come quella dedicata alle rinnovabili, all'efficienza e all'elettrificazione. E tutta la parte dedicata all'Africa. Secondo il WEO le rinnovabili occuperanno una grande percentuale della produzione energetica futura ed è abbastanza fiducioso soprattutto rispetto al fotovoltaico, data la riduzione del costo dei pannelli, anche se riconosce che i recenti cambiamenti legislativi in diversi paesi lo stanno ostacolando e ricorda che le sovvenzioni statali ai combustibili fossili sono 6 volte maggiori che alle rinnovabili (anche se dimentica di commentare che i combustibili fossili stanno producendo più di 10 volte più energia delle rinnovabili). Nel paragrafo dell'efficienza non c'è il minimo riferimento al Lord Jevons. In quanto all'elettricità, c'è un'interessante discussione sulla sicurezza della fornitura energetica, che potrebbe vedersi compromessa, dice la IEA, a causa della maggior inclusione di energia rinnovabile e la perdita di interesse degli investitori in impianti convenzionali che tuttavia dovrebbero esserci per dare sostegno. Il quadro di questa discussione porta il titolo significativo di: “Mantenere accese le luci” (pagina 209).

Conclusioni

Il linguaggio tranquillizzante che viene sempre impiegato dalla IEA sulle prospettive di futuro in quanto alla fornitura di energia, risulta nettamente smentito quando si entra nei dettagli dei dati da essa stessa forniti. Nel rapporto di quest'anno possiamo trovare riferimenti per nulla velati ai problemi di produzione di petrolio se non c'è sufficiente investimento, a un picco del carbone che si potrebbe interpretare come un picco della domanda (fondamentalmente dovuto alla Cina) ma che in realtà potrebbe giungere ad essere un picco produttivo reale  e al riconoscimento, ormai senza perifrasi, che, senza un cambiamento radicale, la produzione di uranio comincerà a diminuire nel prossimo decennio. L'unica materia prima non rinnovabile per cui i grafici non mostrano problemi è il gas naturale, ed anche questa è abbastanza discutibile. Dati i dubbi crescenti sul buon passo dell'economia mondiale (che verranno confermati o smentiti nei prossimi mesi) non si può escludere che si verifichi una pericolosa retroazione negativa fra la produzione di questi materiali e i cicli di investimento e disinvestimento nella loro produzione. La produzione di petrolio, carbone e uranio (e in realtà anche quella del gas naturale) accumula tensioni tali che, lasciata al suo sviluppo naturale, porterebbe all'arrivo dei picchi contemporanei di tutte e di conseguenza di molte altre materie prime non energetiche. E' il temuto Peak Everything, il cui effetto sociale è la Grande Scarsità

Ponendo lo sguardo indietro, guardando a ciò che facciamo come società con questo corpo di prove crescente sui limiti della crescita, la sola cosa che vedo è che continuiamo a guardare, così come a seguire, le linee di evoluzione e di degrado più o meno previste dai modelli. Insomma, vedo come ci stiamo avvicinando al disastro finale. Se mai ci fosse un momento per reagire, è sicuramente questo. 

Saluti.
AMT


mercoledì 6 agosto 2014

La disfatta e la deriva

DaThe Oil Crash”. Traduzione di MR


Di Antonio Turiel

Cari lettori,

questa settimana la televisione spagnola ha trasmesso un programma sullo stato del Mediterraneo e sull'intenzione di alcune multinazionali di cercare il petrolio in alcune zone ed eventualmente si estrarlo. Alla fine del programma viene trasmessa un'intervista che mi è stata fatta qualche mese fa (dove a proposito mi presentano col titolo sfacciato ed inappropriato di “esperto riconosciuto internazionalmente”). I punti attualmente caldi per l'estrazione del petrolio in alto mare in Spagna sono nella baia di Roses (Girona), a Fuerteventura e a Lanzarote (Canarie). In tutti i casi stiamo parlando di giacimenti che contengono, ad essere molto ottimisti, riserve fra i 500 e i 1000 milioni di barili di petrolio, il che è un'inezia in confronto al consumo mondiale di 90 milioni di barili al giorno (mb/g).

Effettivamente, tutto il petrolio contenuto i quei giacimenti basterebbero per un numero di giorni da 5 ad 11 di consumo mondiale. Inoltre questo petrolio non può essere estratto in un'unica soluzione, ma i giacimenti seguirebbero, come qualsiasi altro, una curva di estrazione, con una fase iniziale di minore produzione, un picco ed una progressiva diminuzione finale della produzione. Alla fine, data la dimensione dei giacimenti e a giudicare dalla produzione di altri giacimenti in mare c'è da sperare che al massimo possano fornire, nel loro insieme e non per molto tempo, non oltre i 20.000 barili al giorno. Potrebbe sembrare molto (tenendo conto che ogni barile contiene 159 litri), ma se si confronta anche solo al consumo spagnolo è piuttosto poco:



Consumo (linea nera) e importazioni (curva ombreggiata in rosso) della Spagna. Grafico generato da Flujos de Energía.


Come si vede, anche nonostante la sinistra diminuzione del consumo di petrolio in Spagna di quasi un 25% dal massimo del 2008, si consumano ancora 1,2 mb/g, cioè, 60 volte di più di quello che ci si può aspettare di produrre nei giacimenti attualmente in esplorazione. Questo senza contare che questi giacimenti hanno un EROEI molto basso, con le gravi implicazioni che questo comporta. In realtà, questi giacimenti, se alla fine sono economicamente sostenibili, saranno una buona fonte di guadagno per coloro che li sfruttano senza che aiutino affatto ad alleviare la grave crisi energetica in cui è coinvolta la Spagna, ragione fondamentale per la quale l'attuale crisi economica non finirà mai. In realtà, siccome i luoghi di estrazione vivono attivamente di turismo, la maggioranza dei detrattori temono che la loro immagine si potrebbe vedere pregiudicata dall'apparire di un'industria tanto sporca – senza vedere che in ogni caso il turismo a sua volta non ha un gran futuro in un mondo in crisi permanente ed irreversibile. Ha più senso preoccuparsi per lo stato di salute del mare in questo mondo profondamente malato, anche se coloro che pensano a questi temi sono una minoranza. 

Perché adesso prendiamo in considerazione questi giacimenti che disdegnavamo solo un decennio fa? Perché ci concentriamo su risorse così poco – o per nulla – redditizie come le sabbie bituminose del Canada o il fracking? Perché come riconosce la stessa IEA, la produzione di petrolio greggio convenzionale non supererà mai il livello del 2006, perché in realtà la produzione di petrolio greggio convenzionale sta già diminuendo e perché senza un grande investimento aggiuntivo la caduta sarà molto rapida... ma questo investimento non sta arrivando. Questo aumento imprescindibile dell'investimento non si verifica perché si moltiplica l'instabilità in paesi che tradizionalmente hanno vissuto molto bene degli introiti del petrolio ma che con la diminuzione della sua produzione ora sono immersi in gravi problemi: Egitto, Siria, Yemen, Iraq, Nigeria, Venezuela... Soffiano forti venti di cambiamento. Per l'Europa la situazione in Ucraina ha implicazioni pericolose, principalmente per la fornitura di gas russo che attraversa quel paese (anche se non si deve perdere di vista che il 46% del petrolio consumato in Europa è di origine russa: non conviene contrariare l'orso russo). In Spagna si continua a sognare di alleviare la situazione europea esportando il gas che importiamo dall'Algeria, paese che ha già superato il proprio picco del petrolio e del gas (la produzione algerina di gas è già scesa del 18%) e dove la disperazione di versi ridotta questa fonte di introiti li ha portati a cominciare a testare il fracking. E nonostante questo, ogni giorno esce una nuova e ridicola fantasia quotidiana che ci annuncia che gli Stati Uniti esporteranno petrolio e gas, o che il fracking salverá il mondo, fantasie che non resistono alla benché minima analisi critica.

E mentre gli uomini si affannano nell'obbiettivo impossibile di mantenere un sistema sociale che deve consumare sempre di più per mantenersi in vita, rastrellando le ultime briciole di combustibili fossili, le conseguenze di tanto spreco si fanno sentire sempre di più. Sta succedendo qualcosa all'estate; non sappiamo cos'è, non vogliamo vedere cos'è, ma la cosa ovviamente non migliora. Continui fronti di pioggia ed aria fresca passano per il terzo nord della Penisola Iberica e sferzano l'Europa, Cade grandine in grandi quantità in moltissime località diverse... Niente è insolito preso separatamente, ma lo è se preso insieme e a causa della sua ripetizione. La corrente a getto polare (jet stream), che organizza la circolazione del terzo nord del pianeta e che dipende dalla differenza di temperatura fra il Polo e l'Equatore, si trova completamente destrutturato in conseguenza dell'aumento delle temperature nell'Artico: 



Disgraziatamente, il fatto che la corrente a getto polare si destrutturi favorisce a sua volta il fatto che la temperatura dell'Artico aumenti di più, per cui il problema non fa che aggravarsi. Ciò è dovuto al fatto che la corrente a getto polare disorganizzata favorisce una serie di fenomeni che contribuiscono ad una maggiore distruzione del ghiaccio artico e, siccome il ghiaccio artico riflette la luce mentre l'acqua la assorbe, meno ghiaccio significa più riscaldamento. La superficie occupata dal ghiaccio artico è ora stesso al minimo, già molto vicino ai minimi storici del 2012:


Ma il fatto è che il ghiaccio ora ha uno spessore molto ridotto, per cui è molto fragile. Nel 2012, la responsabilità del rapido declino del ghiaccio artico è stata una tormenta che è durata più di un mese che ha fatto a pezzi gran parte del ghiaccio stesso; nel 2014 la superficie coperta dal ghiaccio è già quasi ai livelli del 2012, per cui l'arrivo di una forte tormenta potrebbe fare a pezzi il record precedente e avvicinare ancora di più ad una situazione di un Artico senza ghiaccio in estate.



Spessore della calotta di ghiaccio artico durante questo mese di luglio. Immagine proveniente da Arctic News.


E in questo stato di cose, all'improvviso l'uragano Arthur, già trasformatosi in tormenta tropicale, girerà verso nordest ed entrerà in pieno nell'Artico, nei prossimi giorni:



Previsione dell'evoluzione di Arthur secondo il National Hurricane Center.


E' normale che un uragano, nel suo naturale corso di diminuzione, entri nell'Artico? No, è inaudito, non normale: in generale, per ragioni geofisiche (conservazione della vorticità potenziale, orografia, presenza della corrente a getto polare), la cosa normale è che girino verso est e si esauriscano nell'Atlantico nordoccidentale (vedete, per esempio, l'evoluzione degli uragani della stagione 2005, una delle più intense degli ultimi anni):




Cosa succederà? Nessuno lo sa, ma le prospettive non possono essere più inquietanti. In nautica la rotta è la traiettoria che segue una nave per arrivare da un punto all'altro, mentre la deriva è la deviazione dalla rotta, attribuibile all'effetto dei venti e delle correnti. Se me lo permettete, io direi che attualmente la deriva che stiamo seguendo rispetto alla nostra rotta (in spagnolo, derrota) porta ad una deriva che ci garantisce la nostra disfatta (in spagnolo, ugualmente, derrota).

Saluti.
AMT