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giovedì 11 giugno 2020

Una nuova speranza? Come evitare di andare in overshoot






Guest post di Jacopo Simonetta



Ci sono due cose che sono indispensabili agli umani per affrontare le difficoltà: avere una speranza e poter vedere un senso in ciò che accade, di conseguenza in ciò che si fa.

Viceversa, ostinarsi a vivere nelle proprie illusioni è esattamente ciò che può trasformare una crisi in una trappola mortale.

In fondo è esattamente questo che ci ha portati nella situazione attuale: ostinarci a credere che una qualunque combinazione di arrangiamenti tecnologici, politici, economici e culturali avrebbe potuto garantire ad un numero indefinito di persone di vivere un’eccellente e lunga vita, mentre la “Natura” prosperava tutto intorno a noi.

Eppure sappiamo molto bene da almeno 50 anni che non può essere così e anche perché. Sapevamo anche, approssimativamente, quando il collasso della nostra civiltà sarebbe cominciato e perché, ma i nostri sogni erano troppo più belli e quasi solo di questi si è parlato e tuttora si parla nei vari “Earth Summit”, COP x, y, z, eccetera. Questa, alla fin fine, è la causa del loro completo fallimento.

Ora che il temuto "Picco di tutto" è passato ed il conseguente collasso sistemico è cominciato (durerà a lungo, non mettetevi fretta), esiste ancora spazio per la speranza?

Secondo me si, ma solo a condizione di trovare un senso a ciò che accade e che accadrà e stavolta lo dobbiamo trovare nella realtà dei fatti e non nei sogni. La pandemia in corso può essere un buon punto di partenza.

Il Covid-19 ha infatti sparso il panico a tutti i livelli ed in praticamente tutti i paesi, ma non è tanto il virus di per sé a rappresentare un pericolo per l’umanità, mentre lo sono eccome il panico con le sue conseguenze economiche e politiche. In pratica, una malattia che probabilmente ucciderà alcune centinaia di migliaia, forse qualche milione di persone nel mondo, ha già innescato processi che rischiano di portarne alla tomba decine di milioni nel breve termine, forse miliardi nel giro di alcuni decenni. Come è stato possibile?

E’ accaduto perché alla fine del XVIII secolo una combinazione di eventi unica nella storia ha reso temporaneamente possibile una crescita economica, tecnologica e demografica che in due secoli ha surclassato di parecchi ordini di grandezza quella verificatasi nei 50.000 anni precedenti (cioè da quando è approssimativamente cominciata la diffusione planetaria della nostra specie).

Il risultato è stato esattamente quello a suo tempo previsto: il degrado delle risorse e dell’ambiente hanno condotto lo sviluppo economico in un vicolo cieco in cui siamo ora contemporaneamente minacciati dal collasso economico e da quello ecosistemico.

In estrema sintesi, una qualunque economia funziona come una pompa che aspira risorse dall'ambiente, ci fa qualcosa che poi riscarica nell'ambiente stesso. Maggiore è l’energia che possiamo applicare alla pompa, maggiore è la quantità di beni e servizi che si possono produrre, dunque maggiore è la popolazione che può vivere e maggiore è il livello tecnologico che si raggiunge. Questo, a sua volta, consente di aumentare i flussi di energia e di materia, dunque la produzione di beni e servizi che, alla fine, diventano comunque rifiuti e via di seguito.

Finché il sistema economico è piccolo rispetto alla Biosfera, il gioco funziona, ma via via che l’economia cresce, la qualità delle risorse si degrada e la disponibilità di servizi ecosistemici si riduce, mentre la popolazione aumenta.

Se una tendenza alla crescita eccessiva si trova in tutte le economie, il capitalismo ha fatto di questa il suo fondamento. Il sistema capitalista è infatti strutturato su una ridondanza di retroazioni positive, senza alcun freno al suo interno. Anzi, con efficaci sistemi per ritardare l’effetto frenante del degrado ambientale e della sovrappopolazione. I principali di questi sistemi sono lo sviluppo tecnologico, il debito e la globalizzazione. Il loro effetto combinato è stato amalgamare tutte le economie del mondo in un’unica mega-macchina spaventosamente efficace nell'estrarre risorse dalla Terra e produrre beni o servizi di ogni sorta, ma che funziona solo se riesce a mantenere un costante tasso di crescita dei flussi di merci, persone e denaro attraverso l’intero Pianeta. E' sufficiente che il tasso di crescita rallenti ed il sistema va in affanno. Se l'economia si contrae in misura significativa, come sta accadendo, entra in una crisi strutturale dai risultati del tutto imprevedibili perché le stesse retroazioni che auto-alimentano la crescita, possono auto-alimentare la decrescita. Detto in termini fisici, ciò che mantiene funzionale la rete economica globale è un tasso costante di aumento nella dissipazione di energia. Cosa che, alla fine, è la causa prima ed ultima del degrado del Pianeta con tutte le conseguenze del caso.

Nel nostro caso, abbiamo il problema ulteriore che la produzione industriale, anche di cibo, è efficiente solo entro una ristretta variazione dei flussi; se questi si riducono eccessivamente, la produzione si ferma del tutto. In pratica, possiamo produrre molto o nulla, non siamo attrezzati per il "poco" e questo rischia di rimbalzarci di colpo da una crisi di sovrapproduzione ad una di carenza.

Già molte società del passato hanno degradato il proprio ambiente fino a provocarne il collasso, ma finora il fenomeno era rimasto delimitato a specifiche regioni. L’energia dei combustibili fossili, e soprattutto del petrolio, ha invece permesso alla nostra civiltà di crescere fino a minare la struttura portante della Biosfera a livello planetario, scatenando fenomeni come la catastrofe climatica, l’estinzione di massa, l’alterazione di tutti i cicli bio-geo-chimici e molto altro ancora.

Tecnicamente, questa situazione si definisce “overshoot”. Un termine che in ecologia indica quando una determinata popolazione supera la “capacità di carico” del territorio in cui vive (solitamente indicata con “K”). Cioè quando la popolazione supera la capacità del territorio di sostentarla a tempo indeterminato. In pratica, lo possiamo considerare un sinonimo di “sovrappopolazione” perché, con buona approssimazione, se c’è sovrappopolazione, c’è degrado dell’ambiente e, di solito, viceversa.

Tuttavia, l’impatto delle popolazioni umane (solitamente indicato con “I”) non dipende solo dalla loro consistenza, bensì da una combinazione di fattori demografici, economici e tecnologici. Per poter parlare di sovrappopolazione, occorre poi tener conto anche dei fattori ambientali e di come questi variano in rapporto alla nostra presenza.

In pratica, siamo in overshoot ogni volta che I supera K:

I > K

Una condizione che non può durare a lungo perché, quali che ne siano le cause, quando una popolazione supera la capacità di carico, il suo habitat comincia a degradarsi, costringendo la popolazione stessa, prima o poi, a diminuire. E “prima o poi” è esattamente il punto su cui focalizzare l’attenzione perché “rientrare nei ranghi” è inevitabile, ma le cose possono andare molto diversamente a seconda di quanto tempo ci si impiega.

Se, infatti, il declino di “I” è più rapido del degrado del suo ambiente, si potrà tornare ad un relativo equilibrio abbastanza presto e ad un livello demografico elevato. Se, invece, il declino di “I” è più lento di quello di "K", lo stato di sovrappopolamento perdura a lungo e l’equilibrio non sarà raggiunto che più tardi e più in basso. Tanto più tardi e tanto più in basso quanto più a lungo la popolazione rimane in overshoot.




Figura 1 Se gli impatti diminuiscono più rapidamente della capacità di carico la popolazione si salva, altrimenti si estingue.

Questi due semplici grafici illustrano ad un tempo il senso di ciò che accade e quale deve essere la strategia per uscirne il prima ed il meglio possibile.

La diminuzione di “I” dipende infatti da una combinazione di declino demografico, riduzione dei consumi e della tecnologia. Tutto ciò comporta certamente sofferenze e morti, ma lungi da essere la malattia, è invece metà della medicina.

L’altra metà della cura è sostenere “K”, il che vuol dire, in sintesi, conservare/ripristinare il funzionamento degli ecosistemi e proteggere la biodiversità.
All'interno di questa meta-strategia rientrano infinite combinazioni di provvedimenti in tutti i campi che dovrebbero essere modulati in base alle molteplici situazioni locali, ma in ogni caso abbiamo una “pietra di paragone”:

Tutto ciò che contribuisce a ridurre I e/o a sostenere K ci avvicina ad una possibile salvezza; tutto il resto ce ne allontana.

Per esempio, su I si può agire riducendo i redditi eccessivi, la mobilità intercontinentale, i consumi di energia e di risorse primarie o la natalità; oppure abbandonando determinate tecnologie, per citare solo alcune azioni possibili che non sono però valide ovunque nella stessa misura. Per fare un esempio banale, in alcuni paesi è più urgente ridurre i consumi, mentre in altri la natalità.

Contemporaneamente, su K si può agire proteggendo boschi e paludi, o ampliando i parchi nazionali, rinaturalizzando porzioni di territorio (rewilding), fermando il consumo di suolo, eccetera. La rapidità con cui abbiamo visto piccoli, ma interessanti miglioramenti nonappena la quarantena ci ha costretti a ridurre temporaneamente il nostro impatto sostiene la speranza. Certo, la strategia non può essere quella di tenere metà dell’umanità agli arresti, ma abbiamo visto che la Biosfera non ha ancora esaurito la sua resilienza e questa è la migliore notizia che fosse possibile avere.

In estrema sintesi, la sostenibilità non è una scelta, bensì un'ineluttabile destino. La scelta è come arrivarci, ma i nostri gradi di libertà diminuiscono col tempo. Oramai le occasioni per evitare la fine della nostra civiltà le abbiamo lasciate passare, accecati dei nostri sogni; ora possiamo in una qualche misura governare il collasso, oppure continuare a bruciare tutto quello che ci rimane, sperando di riportare indietro le lancette della storia. Ci adatteremo comunque, ma lo possiamo fare in modo stupido, subendo i colpi del Fato senza capire; oppure attivamente, accettando l’inevitabile e cercando di portare la barca fuori dalla tempesta il prima possibile.

martedì 8 maggio 2018

Ma quanta gente ci può stare su questo c***o di pianeta?

Immagine dal film "The Population Bomb" di Werner Boote. Forse il più brutto film mai fatto sulla questione della popolazione, tutto basato sull'idea che "più siamo, più siamo contenti."


Qual è la dimensione ottimale sostenibile della popolazione umana?


Da “The Overpopulation Project”. Traduzione di MR

Di Patrícia Dérer

E’ possibile stimare una dimensione ottimale della popolazione umana sulla base di diversi criteri ed ipotesi. Qui non ci occupiamo del limite inferiore della popolazione umana (la popolazione minima praticabile) in quanto ci troviamo sicuramente ben al di sopra di quel limite. Riguardo al limite superiore, dobbiamo considerare la capacità di carico della Terra per quanto riguarda l’Homo sapiens. La capacità di carico di qualsiasi specie è il numero massimo di individui che possono essere sostenuti a tempo indeterminato ad un dato livello di consumo per ogni dato ambiente. Per gli esseri umani, le stime differiscono in modo sostanziale, partendo da meno di un miliardo a più di 1.000 miliardi di persone, a seconda del consumo medio, della tecnologia e di altri fattori. Circa due terzi delle stime ricadono nella fascia da 4 a 16 miliardi di persone e il valore medio è di circa 10 miliardi 1,2 – la dimensione che si aspetta l’ONU per il 2055 nella sua variante di proiezione mediana.

Tuttavia, “minimo” non equivale ad “ottimale”. A parte le limitazioni dovute alla capacità di carico, dovrebbero essere considerati altri criteri. Possiamo definire la dimensione ottimale della popolazione come la dimensione che produce i risultati migliori secondo obbiettivi e traguardi espliciti. I traguardi scelti nel celebre studio di Daily et al. 3 includono ricchezza sufficiente, diritti umani universali, preservazione della biodiversità e della diversità culturale e sostegno alla creatività intellettuale, artistica e tecnologica. Per stimare la quantità di energia per soddisfare questi bisogni umani mentre si conservano ecosistemi e risorse intatti, hanno calcolato la dimensione ottimale della popolazione in prossimità dei 1,5-2 miliardi di persone.

Un altro studio ha stimato la dimensione ottimale della popolazione sulla base della quantità minima di terreno necessario per la produzione di cibo (0,5 ettari a persona) e la conservazione del suolo – portando ad una dimensione della popolazione di 3 miliardi di persone 4. Naturalmente, questi risultati dipendono fortemente dal consumo pro capite ipotizzato per soddisfare i bisogni di ciascuno. In un terzo studio, Pimentel et al. Hanno considerato un consumo comodo sulla base dello standard di vita europeo ed un uso sostenibile delle risorse naturali, suggerendo solo 2 miliardi di persone come dimensione appropriata 5.

In un recente articolo, “Benessere sostenibile e dimensione ottimale della popolazione6, Lianos e Pseiridis cercano di stimare la dimensione ottimale della popolazione usando un criterio oggettivo pensato per assicurare che l’uso di risorse da parte degli esseri umani non esaurisca il capitale naturale della Terra. Si tratta del valore unitario del rapporto fra impronta ecologica e biocapacità (L). L’impronta ecologica misura la domanda costituita dal consumo umano sulla biosfera. La biocapacità rappresenta la capacità rigenerativa della biosfera; per esempio, misura la produttività di diversi ecosistemi. Fra il 1961 e il 2009, il loro rapporto L è aumentato drasticamente. All’inizio di questo periodo, il mondo aveva una consistente riserva ecologica. Questa è scomparsa dopo 10 anni e da allora abbiamo operato in deficit. Oggi la domanda di risorse supera la fornitura disponibile del 50% (L=1.5). (Fig.1)

Fig 1. Rapporto impronta ecologica/biocapacità dal 1960 al 2010, basato su due fonti. (Lianos e Pseiridis, 2016)

Gli autori calcolano il prodotto lordo mondiale massimo (PLM, il PIL di tutti i paesi del mondo), la produzione del quale lascerebbe il capitale naturale della Terra e le popolazioni di altre specie intatte (L01). Per non superare questo PLM massimo, ma mantenere un confortevole livello pro capite da media europea (11.000 dollari), dovremmo ridurre la popolazione a 3,1 miliardi. Se volessimo mantenere la popolazione a 7 miliardi, il prodotto pro capite deve essere ridotto drasticamente a 4.950 dollari, dagli attuali 16.100 7. Da ciò risulta chiaro che l’attuale situazione non può essere sostenuta sul lungo periodo e, in un modo o nell’altro, è necessario un ulteriore declino del rapporto impronta ecologica/biocapacità. (Fig. 2)

Fig 2. Il confine (linea rossa) che mostra le scelte che abbiamo se vogliamo preservare la natura – passando da ‘C’ a ‘B’ riducendo il consumo, o ad ‘A’ riducendo la popolazione. (Lianos e Pseiridis, 2016)


Gli autori stimano anche la dimensione massima sostenibile della popolazione dei 50 paesi più popolati, sulla base della capacità di ogni paese di alimentare la propria popolazione. Hanno scoperto che alcuni paesi sono sottopopolati sulla base di questo criterio (fra questi: Argentina, Canada e Russia) e molti sovrappopolati, fra questi: Repubblica di Corea, Giappone, Egitto, Bangladesh, Yemen, Colombia, Nepal, Regno Unito, Venezuela, Vietnam, Filippine e Pakistan. I paesi più pesantemente popolati in termini assoluti sono di gran lunga Cina ed India. Le loro terre coltivabili sono complessivamente solo il 19% del totale globale, tuttavia, ospitano il 37% della popolazione mondiale. Pertanto, gli autori suggeriscono che la popolazione di questi paesi deve diminuire di 1,9 miliardi. Gli autori credono che ciò sia raggiungibile con programmi di pianificazione famigliare efficaci, forti politiche etiche ed incentivi governativi.

The Overpopulation Project sostiene la fine della crescita della popolazione e crede che il declino delle popolazioni dei paesi possa essere vantaggioso per l’ambiente e le persone. Inoltre, come molti altri ricercatori, sosteniamo anche la riduzione del consumo pro capite in paesi con forti consumi , la riduzione del rapporto impronta ecologica/biocapacità e il raggiungimento di società sostenibili a livello ambientale.

Riferimenti:

  1. United Nations. Department of Economic and Social Affairs. Population Division. World population monitoring, 2001 : population, environment and development. (United Nations, 2001).
  2. Cohen, J. E. How many people can the earth support? (Norton, 1995).
  3. Daily, G. C., Ehrlich, A. H. & Ehrlich, P. R. Optimum human population size. Popul. Environ. A J. Interdiscip. Stud. 15, 469–475 (1994).
  4. Pimentel, D., Harman, R., Pacenza, M., Pecarsky, J. & Pimentel, M. Pimentel, David, Natural Resources and an Optimum Human Population. Popul. Environ. 15, 347–369 (1994).
  5. Pimentel, D. et al. Will Limited Land, Water, and Energy Control Human Population Numbers in the Future? Hum. Ecol. 38, 599–611 (2010).
  6. Lianos, T. P. & Pseiridis, A. Sustainable welfare and optimum population size. Environ. Dev. Sustain. 18, 1679–1699 (2016).
  7. United States. Central Intelligence Agency. The CIA world factbook 2014. (Skyhorse Publishing, Inc, 2013).

mercoledì 21 ottobre 2015

Tecnologia, energia, popolazione, capacità di carico e la sesta grande estinzione...

Dalla pagina FB di Bodhi Paul Chefurka. Traduzione di MR



Steven A. LeBlanc, un archeologo del Museo Peabody di Harvard, ha scritto un libro significativo: Battaglie continue: perché combattiamo (2004). Come un altro archeologo controverso, Lawrence H. Keeley, di cui ho parlato in note precedenti, LeBlanc si arrovella per fare un po' di chiarezza sul mito persistente dello stile di vita pacifico dei cacciatori-raccoglitori in equilibrio ecologico col proprio ambiente. Per quanto possiamo dire sulla base dei ritrovamenti archeologici, scrive LeBlanc, le società umane hanno superato le loro risorse di base, denudato la terra, fatto estinguere altre specie con le quali condividevano il territorio, poi si sono spostate per fare la stessa cosa altrove. LeBlanc mostra che lo squilibrio ecologico è sempre stato la causa principale di lotte e guerre. “Il solo filo conduttore che ho trovato in tutta questa guerra... era che era correlata a persone che superano la capacità di carico della loro area. Lo squilibrio ecologico, credo, è la causa fondamentale della guerra”.