Visualizzazione post con etichetta carbone. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta carbone. Mostra tutti i post

venerdì 20 gennaio 2023

Fascismo e Carbone. Una storia che ci influenza ancora oggi

 



Mussolini fa finta di essere un minatore in una miniera di zolfo, in Sicilia, nel 1937. Non aveva mai capito -- e non avrebbe mai capito -- l'importanza della produzione mineraria nell'economia e il regime fascista fu condannato dalla mancanza di risorse energetiche nazionali. Qui di seguito, un recente articolo di Ugo Bardi pubblicato sul "Tazebao




Dicembre 31, 2022 - di Ugo Bardi

Il Fascismo e il carbone: storia di un fallimento che ci influenza ancora oggi


Un contributo del Professor Ugo Bardi sulla storia energetica dell’Italia partendo dalla dipendenza dal carbone.

Il Fascismo può essere visto come un tentativo di adattare l’economia italiana a una situazione di carenza di risorse energetiche che cominciò a manifestarsi negli anni 1920, con l’arrivo del “picco del carbone” in Inghilterra – il principale fornitore di carbone per l’Italia. Mussolini, come pure gli intellettuali italiani del tempo, non riuscirono mai veramente a rendersi conto dei limiti produttivi del carbone e del suo valore strategico. Il risultato fu una storica sconfitta per l’Italia, dalla quale lo stato italiano non si è mai veramente ripreso. La situazione attuale, con il conflitto in corso in Ucraina, rispecchia sotto molti aspetti la situazione degli anni 1930, con il gas e il petrolio russo che giocano il ruolo del carbone inglese. Nuove prospettive energetiche si aprono oggi con il rapido sviluppo dell’energia rinnovabile.

Con il passaggio del centenario della Marcia su Roma dell’ottobre del 1922, si è visto qualche tentativo in Italia di rileggere e capire la storia di quegli eventi che, bene o male, ancora influenzano profondamente l’Italia di oggi. La marcia fu solo un episodio di un’evoluzione complessa, e per molti versi contraddittoria, dello stato italiano e del suo tentativo di giocare un ruolo politico e strategico autonomo nel Mediterraneo. Un ruolo che era inizialmente passivo: lo stato italiano era, per molti versi, una creazione Britannica che ne favorì la nascita per bloccare i tentativi francesi di espansione nel Mediterraneo. L’idea funzionò bene fino a quando l’Italia cominciò a espandersi con la campagna di Libia del 1911, trovandosi fatalmente in contrasto con i suoi tradizionali alleati Britannici. È una storia che si sviluppa nell’arco di quasi esattamente un secolo, e che finisce con la cacciata degli Italiani dalla Libia nel 2011.

Tutto quello che è avvenuto durante quel secolo tumultuoso ha le sue origini nella rivoluzione industriale del XIX secolo. Una rivoluzione che fu possibile solo per mezzo del carbone, come aveva notato per primo William Stanley Jevons che diceva nel suo “La Questione del Carbone” (1866):

«Il carbone si trova non accanto ma al di sopra di tutte le merci. È l’energia materiale del paese – l’aiuto universale – il fattore di tutto quello che facciamo. Col carbone, quasi ogni impresa è possibile o facile. Senza di esso siamo ricacciati nelle laboriosa povertà dei tempi che furono».

Ma il carbone, come tutte le risorse minerali, non è distribuito uniformemente sul globo. In Europa, lo si trovava nelle zone del Nord, in particolare in Inghilterra, dove fu il motore della prima rivoluzione industriale. E in Italia? Per ragioni che hanno a che fare con eventi che si sono verificati nel periodo Carbonifero (e quindi non influenzabili politicamente), in Italia di carbone ce n’è molto poco. C’è solo un po’ di lignite di bassa qualità in Toscana e qualche piccolo giacimento in Sardegna. L’Italia non sarebbe mai stata in grado di generare o sostenere una rivoluzione industriale sulla base delle risorse nazionali.

Ma il problema del carbone durante la rivoluzione industriale non era tanto la localizzazione delle miniere, quanto il trasporto. Il carbone è pesante e ingombrante, e si trasporta male via terra. Ma, per via marittima è tutta un’altra cosa. Per tutto il secolo XIX e per una buona metà del XX, le navi carboniere a vela hanno trasportato carbone a basso costo un po’ ovunque nel mondo, in gran parte carbone inglese. Dalla costa, però, il carbone andava distribuito all’interno di un paese, e per questo ci volevano canali navigabili. Questo fu il centro della “questione meridionale” in Italia, anche questo punto mai veramente capito a livello politico. Per una discussione approfondita, vedi “Senza Carbone nell’Era del Vapore” di Carlo Bardini (1998).

Per via di eventi geologici che si sono verificati negli ultimi 100 milioni di anni (anche quelli, non influenzabili dalla politica), l’Italia del sud è troppo arida e montagnosa per permettere di costruire dei canali navigabili. Il contrario vale per l’Italia del Nord: dove il clima e l’orografia hanno permesso di rendere navigabili i fiumi della pianura Padana e industrializzare tutta la regione. Il limite geografico dell’industrializzazione era il fiume Arno, che aveva permesso di industrializzare buona parte della Toscana. Ma, più a sud, l’industrializzazione era impossibile: la geografia dominava l’economia. Fu questo il motivo per cui il Piemonte poté facilmente sconfiggere il Regno delle Due Sicilie nel 1860. Allora come oggi, la potenza economica si traduce in potenza militare.

Dopo l’unificazione, l’economia italiana si basava principalmente sulle importazioni di carbone inglese. Era l’origine dei rapporti storicamente buoni fra i due paesi. Nel 1913, Aldous Huxley scrisse che gli inglesi che colonizzavano l’Italia erano in gran parte “sodomiti e lesbiche di mezza età”, a causa della mancanza di leggi contro l’omosessualità. Ancora negli anni 1940, il giornalista Ridolfo Mazzucconi parlava della “bella fratellanza” fra Italia e Inghilterra. E non ci dimentichiamo che il piatto “fish and chips” lo aveva inventato un italiano! Ma quello che teneva legati i due paesi era principalmente il commercio di carbone.

La produzione del carbone al picco massimo

Con la fine della Prima Guerra Mondiale, nel 1918, nessuno si accorse di un evento epocale che avrebbe cambiato tutta la storia dell’Europa, incluso i rapporti fra Italia e Gran Bretagna: il picco del carbone. Il carbone è un combustibile fossile: esiste in quantità limitata. Ed è soggetto a una legge economica ben nota: quella dei “ritorni decrescenti”, generata dall’esaurimento graduale. Se ne era già accorto Jevons nel 1866, ma nessuno gli aveva dato retta. Ma la combinazione di geologia e economia genera dei cicli economici inevitabili di crescita e declino. Nel 1913, la Gran Bretagna aveva raggiunto il suo massimo produttivo (il “picco del carbone”) e, da allora, cominciava un declino che si sarebbe concluso solo verso la fine del ventesimo secolo, con l’azzeramento della produzione. Nessuno allora come oggi, riusciva a capire il ruolo dell’esaurimento e il calo produttivo in Inghilterra veniva invece attribuito agli scioperi. In Italia, invece, si tendeva ad attribuirlo alla cattiveria dei perfidi albionici in Italia. Ci racconta D.H. Lawrence nel suo “Sea and Sardinia” del 1921 di come “il carbone”, con annessi insulti all’Inghilterra, fosse un argomento di conversazione comune in Italia.

L’avvento del Fascismo

Quando Mussolini prese prese il potere nel 1922 si trovò davanti una situazione relativamente favorevole. Nonostante il declino della produzione, il carbone inglese arrivava ancora in Italia ed era possibile soddisfare la domanda, anche con l’apporto addizionale di carbone tedesco. Questo portò ad alcuni anni di condizioni economiche relativamente buone con una crescita del PIL per persona in Italia moderata, ma significativa.

Il problema cominciò a presentarsi con la grande depressione del 1929, accompagnata, e forse causata, dal declino della produzione di carbone inglese. Mussolini era un tipico politico: non ragionava in termini quantitativi. Né lui, ne gli intellettuali italiani dell’epoca riuscirono a capire che gli alti costi del carbone inglese non erano un tentativo da parte della Gran Bretagna (la “perfida Albione”) di danneggiare l’economia italiana. A partire dal 1934, circa, questa situazione portò a una virata radicale dell’orientamento geopolitico Italiano, ovvero ad allontanarsi dall’alleanza con l’Inghilterra per stabilire rapporti sempre più stretti con la Germania, vista come un fornitore di carbone più affidabile. Questo portò ad allinearsi con la Germania in materie come l’antisemitismo e la persecuzione degli Ebrei, come pure ad avventure spericolate e disastrose, come l’invasione del’’Etiopia nel 1935.

Basta qualche numero per rendersi conto di come il governo Italiano avesse pesantemente sbagliato i calcoli. Al massimo produttivo, nel 1913, le miniere inglesi arrivarono a produrre quasi 300 milioni di tonnellate di carbone in un anno. Ancora verso la metà degli anni 1930, ne producevano oltre 200 milioni. Di questi, circa 20 milioni erano esportate in tutto il mondo e, almeno un terzo delle esportazioni si dirigevano verso l’Italia. Con l’aggiunta del carbone tedesco, l’economia Italiana consumava circa 10 milioni di tonnellate di carbone all’anno.

Se ragioniamo che l’economia industriale era proporzionale ai consumi energetici (allora come lo è oggi) ne consegue che la produzione industriale Britannica era venti volte quella Italiana in termini di quei prodotti che servono a combattere una guerra – cannoni, carri armati, navi da guerra, eccetera. La sproporzione era così evidente che non si riesce a capire come sia stato possibile anche solo prendere in considerazione l’idea di combattere la Gran Bretagna su un piano di parità. Ma fu il risultato dell’incapacità dei politici, e dell’intera società che rappresentavano, di ragionare in termini quantitativi. Mussolini era un politico “puro” non era grado di ragionare sulla base dei dati. Per lui, le miniere del Sulcis in Sardegna erano una risposta sufficiente alle miniere del Sussex in Inghilterra. Non si rendeva conto che erano delle miniere giocattolo in confronto. Certo, Mussolini contava sulla Germania per fornire il carbone che la Gran Bretagna non poteva più fornire. Ma era semplicemente cambiare fornitore e la sproporzione delle forze in campo rimaneva spaventosa.

Tolstoj diceva che i re e gli imperatori sono gli “schiavi della storia”. Mussolini lo fu certamente. Dagli anni 1930 in poi, lo vediamo dibattersi fra una situazione impossibile e un’altra, ogni volta prendendo la decisione sbagliata, creando più problemi di quelli che risolveva. Forse a simboleggiare l’assurdità della situazione vale un solo esempio: i vecchi biplani mandati dall’Italia nel 1941 a combattere contro i super-moderni Spitfire e Hurricane nei cieli d’Inghilterra. Ma il costo umano degli errori di Mussolini è stato gigantesco e ha colpito persone innocenti. Basta ricordare l’orrore delle leggi razziali del 1938.

Poteva la storia essere diversa? Ci potremmo domandare cosa sarebbe successo se Mussolini avesse preso delle decisioni diverse. Ancora nel 1934, Margherita Sarfatti, ex-amante del Duce, proponeva al presidente USA Roosevelt un’alleanza con l’Italia che, pare, Roosevelt vedeva favorevolmente. Sarebbe stato possibile? Forse si, ed è da notare che già negli anni 1920, gli USA producevano tre volte più carbone dell’Inghilterra e avrebbero probabilmente potuto rifornire l’Italia, se necessario. Sembra che Mussolini prese la decisione di allearsi con la Germania più che altro sotto l’effetto della personalità dominante di Adolf Hitler. Un caso dove la decisione sbagliata di una singola persona cambiò i destini del mondo intero. Ma la situazione italiana era di debolezza oggettiva per ragioni geografiche. Comunque fosse andata, l’Italia sarebbe diventata un paese subalterno di paesi più forti, economicamente e militarmente.

Il tempo è passato, il carbone non è più il “re”. I paesi distrutti durante la Seconda Guerra Mondiale hanno ricostruito le proprie economie usando il petrolio greggio e il gas naturale. E questo ha creato condizioni geopolitiche ed economiche diverse, ma simili sotto molti aspetti. Oggi come allora, l’Italia si trova in una posizione di dipendenza economica che l’ha gradualmente portata a non essere più in grado di giocare alcun ruolo strategico nel Mediterraneo. Nel 2011, il tentativo del governo Berlusconi di stabilire un rapporto di cooperazione privilegiato con la Libia fu stroncato da un’operazione militare condotta da una coalizione di paesi occidentali. In questo caso, la sconfitta dell’Italia non fu militare, ma economica. Una sconfitta particolarmente umiliante con l’Italia forzata a bombardare i suoi alleati libici. L’Italia sta subendo un’ulteriore sconfitta economica proprio in questo periodo, forzata dal blocco NATO ad abbandonare il suo fornitore privilegiato di gas naturale, la Russia.

Conclusioni

Come sempre, se la storia non si ripete, fa comunque rima. Siamo di fronte a un nuovo rivolgimento epocale: il declino del petrolio e del gas, rimpiazzati dalla crescita dirompente delle energie rinnovabili. In questa ottica, l’Italia, il “paese del sole” si trova in una posizione privilegiata di condizioni di insolazione ottimali per la produzione di energia in Europa. Da ora in poi, la geografia lavora in favore, e non contro, l’Italia. Non siamo ancora arrivati a un’economia basata sull’energia rinnovabile, e non è detto che ci arriveremo con un sistema economico intatto. Ma ci sono buone speranze di arrivarci. Si tratta di vedere quale sistema politico si troverà a dover gestire la nuova situazione. Certamente, con una produzione nazionale sufficiente ai bisogni economici, non ci sarà più bisogno dei sogni imperiali del tempo del Fascismo. E, alla fine dei conti, c’è la speranza di un futuro di pace per il nostro paese.

Ci sono molti riferimenti che ho usato per comporre questo testo. Qui vi darò qualche dato ulteriore.

Ho pubblicato un altro saggio sul tema del carbone in Europa sulla “newsletter ASPO” n° 73 del gennaio 2007. Si può trovare qui: http://www.energiekrise.de/e/aspo_news/aspo/newsletter073.pdf

Un ulteriore post su questo argomento si può trovare qui: http://aspoitalia.blogspot.com/2007/01/davvero-viviamo-in-tempi-oscuri.html

Ugo Bardi

venerdì 26 giugno 2015

La senilità delle élite: l'estrazione di carbone deve continuare, a prescindere dai costi umani

DaResource Crisis” e “Chimeras”. Traduzione di MR

Di Ugo Bardi




La miniera di carbone di Bihar, India. Foto: Nitin Kirloskar 


Questo post è stato ispirato da un recente articolo sull'estrazione di carbone in India di David Rose su The Guardian. In India la gente sta morendo per strada a causa del calore eccessivo causato dal riscaldamento globale, ma Rose ci informa che “... per un'ampia gamma di politici di Dehli c'è unanimità. Semplicemente non c'è, dicono, la possibilità che in questa fase del suo sviluppo l'India acconsenta a qualsiasi forma di limitazione delle emissioni e di tagli nemmeno a parlarne.” In altre parole, l'estrazione di carbone deve continuare in nome della crescita economica, a prescindere dai costi umani.

Penso che sia difficile vedere un esempio più evidente della senilità delle élite mondiali. Sfortunatamente non si tratta di una cosa che riguarda solo l'India. Le élite di tutto il mondo sembrano quasi completamente cieche rispetto alla situazione disperata in cui ci troviamo tutti.

Su questo argomento ho scritto un post sul blog “Chimeras” (che segue) che descrive come la cecità delle élite non è solo tipica dei nostri tempi, ma era la stessa al tempo dell'Impero Romano: E' una discussione su come un membro della élite Romana, Rutilio Namaziano, avesse completamente frainteso la situazione degli ultimi anni dell'Impero. E la nostra caratteristica di esseri umani quella di non capire il collasso, nemmeno quando lo viviamo.

_______________________________________________

Del suo ritorno: un patrizio Romano ci racconta come ha vissuto il collasso dell'impero. 



Il V secolo ha ha visto gli ultimi sussulti dell'Impero Romano d'Occidente. Di quei tempi difficili abbiamo solo pochi documenti ed immagini. Sopra, potete vedere uno dei pochi ritratti sopravvissuti di qualcuno che è vissuto a quel tempo: l'Imperatore Onorio, capo di ciò che restava dell'Impero Romano d'Occidente dal 395 al 423. La sua espressione sembra essere di sorpresa, come se avesse cominciato a vedere i disastri che avevano luogo durante il suo regno. 

Ad un certo punto durante i primi decenni del V secolo DC, probabilmente nel 416, Rutilio Namaziano, un patrizio Romano, ha lasciato Roma – a quel punto l'ombra della gloriosa Roma di prima – per rifugiarsi nei suoi possedimenti nel sud della Francia. Ci ha lasciato una relazione del suo viaggio intitolata “De Reditu suo”, che significa “del suo ritorno”, che possiamo leggere ancora oggi, quasi completo.

giovedì 25 giugno 2015

Il discorso di Matteo Renzi: un monito forte sulla necessità di agire contro il cambiamento climatico...... o forse no?


Tradotto e adattato da "Resource Crisis"


Qualche giorno fa, Matteo Renzi  è intervenuto in un incontro dedicato alla situazione del clima. Il suo discorso in questa occasione potrebbe essere preso come un invito ad agire contro il cambiamento climatico ma, in realtà, è un buon esempio di come un astuto politico riesce sempre a dire tante cose, senza però dire niente. E' uno stile di politica che non è tipico soltanto della situazione italiana, ma ormai universale.

Così, mi sono preso la libertà di riprendere le frasi principali del discorso di Renzi, come riportate da "La Repubblica" e espanderle con il loro vero significato (Grassetto: le parole di Renzi)



"Io non credo alla cultura della negatività e del pessimismo: sono ottimista, ma occorre assumersi della responsabilità e il tempo delle scelte è oggi" - Comincio con una bella banalità, ma non pensate che sia la sola!

"...Dire che per noi il clima è una priorità, è restituire un senso di identità al nostro paese" Il che è, ovviamente, un'altra bella banalità, ma ha uno scopo. Notate che ho detto "una" priorità e non ho detto quali sono le altre priorità. Così, come vi potete immaginare, ci saranno sempre delle priorità più prioritarie del clima (e ora vi dirò quali sono).

"Oggi, il nostro nemico è il carbone", e questo lo posso dire dato che in Italia non usiamo molto carbone; così posso prenderlo come lo spauracchio del momento senza offendere le lobby dei combustibili fossili che mi finanziano. Inoltre, mi da la scusa di dire che altri combustibili fossili sono puliti in confronto.


"Fra 40-50 anni avremo bisogno di andare ben oltre la lotta a questo combustibile" Notate che sto dicendo che tutta la lotta al cambiamento climatico si riduce alla lotta a un combustibile che in in Italia praticamente non si usa - non è una bella cosa?  Questo vuol dire che non c'è bisogno di fare niente contro il cambiamento climatico per i prossimi 40-50 anni. E questo la dice lunga su come la penso in proposito.

"Dobbiamo essere capaci di dire le cose come stanno, cioè che le rinnovabili da sole non bastano"  La solennità con la quale dico questa cosa banale non vuol dire che capisco qualcosa di energia rinnovabile. Vuol dire solo che rappresento un'altra lobby. 

"Da qui a domani mattina non finiscono né il petrolio né il gas" E questa è un'altra bella banalità ma è per farvi capire esplicitamente, nel caso siate veramente molto tonti, quali sono le mie priorità. Non siete contenti?





lunedì 22 dicembre 2014

World Energy Outlook 2014: il picco di tutto?

Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR


Di Antonio Turiel

Cari lettori,
negli ultimi giorni, a parte dedicare tempo ai molteplici impegni professionali e di divulgazione, sono stato occupato a preparare il tema del post di oggi: la mia analisi del rapporto per eccellenza del panorama energetico mondiale, il World Energy Outlook, che nella sua edizione del 2014 è stato presentato dalla IEA il 12 novembre scorso. Un rapporto come al solito molto lungo (748 pagine), con moltissime informazioni su ciò che le menti pensanti di questa agenzia della OCSE credono che sarà il futuro della fornitura energetica del pianeta. Data la lunghezza di questo post, nel quale analizzo molti aspetti di questo rapporto, lo organizzerò in diverse parti per facilitarne la lettura, vale a dire: Prospettiva storica; Strutture del WEO 2014; Petrolio; Carbone; Nucleare; Gas; Ciò che rimane nel calamaio e Conclusioni.

Prospettiva storica

Come abbiamo discusso in numerose occasioni, la IEA è sempre restia ad accettare la cruda realtà di un mondo finito con risorse finite, ma lentamente i problemi associati alla fornitura di petrolio hanno trasceso i suoi rapporti, nei quali la IEA ha sempre cercato di presentare la faccia più favorevole degli eventi che i suoi modelli di previsione di offerta e domanda le offrivano. Così, nel 2010, la IEA ha riconosciuto per la prima volta che il petrolio greggio era giunto alla sua produzione massima, che dovrebbe mantenersi costante fino al 2035, ma si consolava pensando a quali altri idrocarburi avrebbero preso in gran parte in mano la situazione. Nel 2012, coloro che hanno avuto la pazienza immergersi nel rapporto, hanno trovato la sorpresa del riconoscimento del declino della produzione di petrolio greggio, anche se la stampa si è concentrata solo sulla fantasia secondo la quale gli Stati Uniti sarebbero diventati autosufficienti nel prossimo futuro, anche se semplicemente esaminando il grafico originale di quel rapporto nel quale si sosteneva un'affermazione così azzardata, era già possibile vedere che tale autosufficienza si sarebbe potuta ottenere soltanto, a parte che facendo molte ipotesi  e molto ottimistiche, se in più gli Stati Uniti avessero rinunciato a più del 30% del consumo attuale.


Evoluzione prevista per le importazioni di petrolio degli Stati Uniti  secondo il WEO 2012. Come si vede, gli Stati Uniti non giungono mai all'autosufficienza, dovendo importare ancora più di 3 Mb/g nel 2035. Sopra si ipotizza che altri 3 Mb/g verranno da una maggiore “efficienza da parte della domanda”, cosa che finisce per essere un eufemismo per dire che si distruggerà la domanda come conseguenza di un'importante recessione economica. Altri dettagli nel post World Energy Outlook 2012: fare di necessità virtù.


Nello stesso 2012 ho elaborato un'analisi abbastanza dettagliata, incrociando dati di diverse fonti con le previsioni della IEA, per cercare di offrire una prospettiva sull'evoluzione dell'energia netta del petrolio, la quale ci ha indicato un panorama piuttosto preoccupante.


Evoluzione dell'energia netta del petrolio in uno scenario realista, derivato dallo scenario delle Nuove Politiche del WEO 2012. Altri dettagli su Il tramonto del petrolio

L'anno scorso, il WEO 2013 ci ha mostrato un grafico ancora più inquietante. In questa occasione non ho neanche dovuto lavorare sui dati. Il grafico 14.6 ci ha mostrato una rapida riduzione della produzione di petrolio nei prossimi anni se non si fosse continuato ad investire a sufficienza.


E come abbiamo spiegato ripetutamente in questo blog, nonostante questo “avviso ai naviganti” da parte della IEA, la politica delle grandi compagnie è stata piuttosto quella di annunciare tagli degli investimenti. La ragione di tale strategia di disinvestimento è che l'affare non è più tanto redditizio, visto che gli investimenti in produzione non convenzionale sono rovinosi. Non solo questo, ma tutte le tensioni accumulate nel sistema aumentano il rischio di uno scollegamento improvviso per il quale alcuni paesi potrebbero collassare, specialmente se si protrae l'attuale situazione dei prezzi del petrolio in ribasso. In questo contesto, ho analizzato con attenzione i parametri del WEO 2014, cercando di verificare quali tendenze raccoglie, di quelle enunciate sopra, e quali si permette di tralasciare o di addolcire e in quel caso per quale motivo. E i mie risultati sono piuttosto sorprendenti, come vedrete.

Struttura del WEO 2014

Il WEO 2014 è strutturato in tre parti:

- La parte A parla delle tendenze energetiche globali, secondo i suoi tre scenari di riferimento: Politiche attuali, in cui si suppone che non ci siano cambiamenti delle tendenze attuali; Nuove politiche, in cui si ipotizza che le politiche che si stanno profilando entrino in vigore e Scenario 450, in cui il mondo il mondo si imbarca nell'ambizioso programma di lotta al cambiamento climatico con l'obbiettivo di mantenere la concentrazione di gas ad effetto serra al di sotto delle 450 ppm equivalenti di CO2. Lo scenario di base per la IEA, come sempre, è quello delle Nuove politiche, salvo quando venga detto esplicitamente il contrario, tutti i grafici si riferiscono a questo scenario.

- La parte B è dedicata alla descrizione in dettaglio dell'energia nucleare.

- La parte C si occupa delle prospettive energetiche dell'Africa. In questo post non mi occuperò di questa parte.

L'inizio della parte A è dedicato alla spiegazione di alcuni dettagli dei modelli economici usati per comporre gli scenari. Richiamano l'attenzione, per esempio, i cambiamenti introdotti nello Scenario 450, visto che si riconosce che è poco probabile che ci sia un'azione concentrata prima del 2020. Nella parte delle ipotesi economiche, la IEA ci offre un grafico aggiornato sul rapporto fra energia e PIL per diverse regioni della Terra:



Di questo grafico è interessante evidenziare che anche se il rapporto fra crescita del consumo di energia e crescita del PIL non è costante (non sono linee rette), in generale le inclinazioni sono positive, cioè, che il PIL cresce sempre quando cresce il consumo di energia e decresce quando diminuisce il consumo di energia. Pertanto, la relazione fra energia e PIL è quasi sempre dello stesso tipo, tanto nei periodi di crescita economica quanto nei periodi di recessione. Le poche aree con inclinazioni negative (in cui tipicamente il PIL cresce nonostante la diminuzione del consumo di energia) sono rare e corrispondono a periodi transitori a seguito di una grossa recessione, periodi nei quali l'economia non ha ancora trovato il proprio punto di equilibrio. Di fatto, il periodo più prolungato con inclinazione negativa sembra corrispondere agli ultimi anni dopo il 2008 e soltanto nel caso degli Stati Uniti. Dato che negli Stati Uniti durante questo periodo si sono verificati due effetti di distorsione del rapporto economico (l'importazione di energia esportando inflazione da un lato e l'eccessivo indebitamento delle società energetiche che estraggono idrocarburi di bassa qualità dall'altro), entrambi transitori e difficilmente ripetibili, è difficile credere che si possa convertire questo breve periodo in un paradigma, vi starete forse dicendo. Ma non è ciò che dice la IEA, che invece ha convertito una tale anomalia nella parte centrale del proprio scenario delle Nuove politiche. Da un lato, la IEA ipotizza che la crescita media annuale del PIL in termini reali nell'OCSE sarà del 1,9%, ma allo stesso tempo ipotizza una situazione di stagnazione energetica per il mondo attualmente più industrializzato: gli Stati Uniti passerebbero da un consumo totale di energia primaria di 2135 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio (Mtoe, nell'acronimo inglese) nel 2012 a 2190 Mtoe nel 2040, l'Europa passerebbe da 1769 a 1697, il Giappone da 452 a 422 e la Russia da 749 a 819 (ma tenendo conto che nel 1990 consumava 880 Mtoe). Vale a dire: una crescita esigua, dello 0,3% annuale per gli Stati Uniti e leggermente negativa per l'Europa e per il Giappone. Il resto del mondo, invece, vedrà crescere il proprio consumo di energia a ritmi fra l1 e il 2% all'anno, piuttosto considerevoli, ma inferiori alle medie storiche di crescita del consumo energetico: Con questa crescita, il resto del mondo garantirebbe una crescita del PIL reale a un ritmo del 4,6% all'anno, roba da niente.


Come si verificherà un tale prodigio, che contraddice l'intuito ed anche i dati sperimentali che ci offre la stessa IEA sull'evoluzione del PIL rispetto al consumo di energia? La risposta ce l'abbiamo a pagina 53: “Nello scenario di Nuove politiche la domanda di energia primaria mondiale aumenta di circa il 37%fra il 2012 e il 2040. La domanda cresceva più rapidamente nei decenni passati; questo rallentamento della crescita della domanda si avrà dai guadagni in efficienza energetica e cambiamenti strutturali nell'economia globale a favore di attività meno intensive energeticamente" (il grassetto è mio). Cioè: la IEA identifica che l'energia non fluirà con la stessa intensità di prima (anche se non ammette apertamente che ci saranno problemi con diversi combustibili) ma ci dice di non allarmarci, perché il PIL continuerà a crescere nonostante il consumo energetico non lo segua (e che nella OCSE addirittura ristagni), grazie al fatto che i nostri processi energetici sono più efficienti (pare non abbiano ancora sentito parlare del paradosso di Jevons) e propone perché inoltre ci concentreremo in attività di maggior valore aggiunto. Questa riflessione dovrebbe allarmare i paesi come la Spagna, dove non si è predisposto nulla per settori del genere e dove non si stanno ponendo le condizioni per fare questa fortissima e rapidissima transizione, ma dove piuttosto avviene il contrario, con un'espulsione in massa dei giovani attraverso l'emigrazione.

Un punto chiave per il miracolo che sta chiedendo la IEA è l'evoluzione dello sviluppo tecnologico: A pagina 46 da i dettagli di quali sono le principali conquiste che si aspetta: più rinnovabili (anche se riconosce una caduta dell'investimento nelle stesse), più nucleare (la questione sulla quale sembra puntare questo rapporto), sistemi di cattura e sequestro del carbonio (CCS; è interessante evidenziare che, secondo i regolamenti della EPA americana, le nuove centrali termiche a carbone dovranno essere equipaggiate con CCS entro 10 anni – vedremo di cosa si tratta), più biocombustibili negli Stati Uniti (si riconosce che c'è stato un forte crollo nel 2012 – coinciso con la fine dei sussidi negli Stati Uniti – ma che c'è stato un grande recupero nel 2013), più veicoli ibridi ed elettrici e la proverbiale efficienza energetica (Lord Jevons, questo sconosciuto). Tutte idee vecchie, tutte già verificate, in alcuni casi, per decenni e tutte hanno dimostrato di avere dei limiti pratici che negano qualsiasi possibilità che possano avere un impatto significativo su grande scala. Per esempio, nonostante queste espressioni di buona volontà, possiamo leggere più avanti nel rapporto (box 2.2, pagina 61) che il fotovoltaico fornirà nel 2040 il 4% dell'elettricità mondiale, mentre l'eolico darà l'8% della stessa elettricità. Risulta che l'incremento dell'elettrificazione in questo periodo sarà, secondo questo scenario, moderato, per cui il contributo delle rinnovabili all'energia primaria del mondo passerebbe dal 12% nel 2012 al 19% nel 2040 (e non dimenticate che la maggior parte delle rinnovabili sono biomassa – principalmente le legna che usano i contadini di tutto il mondo – e idroelettrico). In nessun punto si discute con quale rame si produrrà questo incremento di elettrificazione, soprattutto tenendo conto del fatto che il picco di produzione del rame sembra essere in un orizzonte prossimo; non ci sono neanche allusioni ai possibili problemi di forniture di terre rare, che sono necessarie per le tecnologie più efficienti. Come vedete, non si profila niente di realmente eccitante nell'orizzonte energetico, non è affatto evidente che si possa ottenere un aumento della nostra fornitura di energia da parte di nuove fonti e da una migliore efficienza. Eppure, sta lì la scommessa della IEA per il futuro.

Petrolio

Per la IEA è chiaro che il consumo di energia continuerà a crescere nei prossimi anni, in modo tale da soddisfare la domanda crescente di una popolazione che vedono in continuo aumento. Ricordiamo che, a parità di altri fattori, la crescita della popolazione è il fattore che contribuisce di più all'aumento del PIL e con il pensiero economico classico – la dottrina religiosa imperante – il PIL deve sempre aumentare, per cui la via più facile è mediante l'aumento della popolazione. Nel caso particolare del petrolio, si prevede un aumento, nei prossimi 26 anni, di circa 14 Mb/g, fino a raggiungere il livello dei 104 Mb/g. Quanto è lontano il WEO del 2007, in cui ci si aspettava di giungere ai 120 Mb/g nel 2025 (secondo il WEO 2014, nel 2025 la produzione di tutti gli idrocarburi liquidi – che non sono esattamente petrolio – sarà circa di 96 Mb/g. Il panorama potrebbe sembrarci un pochino meno promettente di quello dell'anno scorso e la IEA si sforza di proporre un messaggio positivo, anche se non può evitare di dare avvertimenti sul fatto che il cammino verso il futuro può avere delle gravi complicazioni. Così, a pagina 74 possiamo leggere: “Le risorse restanti economicamente sfruttabili dei combustibili fossili e dell'uranio su scala globale sono più che sufficienti per coprire la crescita prevista della domanda fino al 2040, nello scenario Nuove politiche (…). Ma se queste risorse saranno finalmente sviluppate e un po' meno chiaro, date le incertezze risultanti dalla confluenza di fattori geopolitici, economici e politici e all'impatto del cambiamento tecnologico”. Per alimentare maggiormente la confusione, la IEA mostra a pagina 75 il tipico grafico degli anni rimanenti per ogni combustibile: è l'errore tipico Q/P (Quantità di petrolio/Produzione di petrolio), della quale abbiamo già parlato in alcune occasioni, che di solito serve ad illustrare alcuni articoli d'opinione che appaiono sulla stampa. Per evitare che vi disturbiate a cercare il grafico in questione, ve lo copio qui. Naturalmente, non c'è alcun riferimento all'EROEI in tutto il rapporto.


A pagina 76 si riconosce, a parole, che la produzione di petrolio greggio convenzionale diminuirà leggermente: dai 70 Mb/g del 2005 (questo dato non è menzionato in questo WEO, ma ma è stato presentato nelle edizioni precedenti) si manterrebbe a 68 Mb/g fino al 2030 e poi diminuirebbe fino ai 66 Mb/g nel 2040. Il fatto è che questo WEO è molto testuale e meno grafico, meno basato su dati di quelli precedenti, per quanto riguarda il petrolio. Non c'è alcun grafico come quello del 2012, col quale ho fatto l'analisi del post “Il tramonto del petrolio”, ma c'è qualcosa di meglio: una tavola a pagina 117 coi valori numerici di produzione per tipo ed anno (secondo la quale, di sicuro) la produzione di petrolio greggio nel 2013 è stata di 68,6 Mb/g. Traetene le vostre conclusioni). L'analisi di questa tavola sarà il tema del prossimo post. In generale la IEA  da in questo WEO le informazioni col contagocce e le poche cose che mostra le presenta in modo inusuale, cercando di dissimulare i fatti: guardate questo grafico che occupa la pagina 79:




In realtà sono grafici della produzione stimata dei paesi esaminati, ma a tutti è stato sottratto il livello di produzione del 2013. Se guardiamo bene, questi grafici non stanno dicendo che la produzione di petrolio (non dicono “convenzionale, così dobbiamo intendere che si riferiscano a tutti gli idrocarburi liquidi) diminuirà in Russia e nel Mare del Nord (molto leggermente, se si confronta con altre stime), aumenterà molto poco e solo a partire dal 2025 in Arabia Saudita, toccherà il suo massimo produttivo negli Stati Uniti verso il 2017 o 2018 (dove sono finiti i sogni di indipendenza energetica?) e realmente dipenderà principalmente dal Canada e in misura maggiore da Brasile ed Iraq il fatto che non cominci un declino irreversibile. Tenendo conto che in Brasile le prospettive nella pratica non si stanno rivelando tanto buone e che in virtù di ciò che abbiamo visto è possibile che nel 2040 non esista uno stato chiamato Iraq, sembra tutto un esercizio di volontarismo piuttosto che una cosa concreta. Una delle sezioni più interessanti del WEO 2014 è quella che parla degli investimenti nella produzione di energia. Estrapolo alcune frasi che credo siano abbastanza significative:

Pagina 85: “La decisione di impegnare capitale nel settore energetico viene sempre più modellata da misure politiche e incentivi dei governi, più che dai segnali di un mercato competitivo [riferimento ad un rapporto sull'investimento pubblicato dalla IEA qualche mese fa]. Nel settore del petrolio, ci si attende che la dipendenza da paesi con un accesso più restrittivo alle risorse cresca, nella misura in cui la produzione di petrolio del Nord America [NOTA: cioè, Canada, Stati Uniti e Messico] torni piatta dal 2030 in avanti. Le turbolenze geo-politiche come quelle presenti in Iraq, Libia ed altre parti del Medio oriente e del Nord Africa, sono la base dei rischi negativi sulla produzione di petrolio a lungo termine, cosa che indica un rischio significativo del fatto che l'investimento non arrivi in tempo, durante il decennio in corso, per evitare un deficit di fornitura a partire dal 2020”. Come vedete, i problemi possibili “sul terreno”, come piace dire alla IEA, sarebbero la causa del fatto che non si verifichi in tempo l'investimento, se alla fine succede questo. E, come vedete, nessuno si addentra ad analizzare se questi problemi sono il risultato di una instabilità intrinseca frutto dei crescenti costi di estrazione e il crollo del beneficio che corrisponde all'estrazione di fonti con EROEI molto bassi. Come sappiamo, l'incremento della produzione di petrolio degli Stati Uniti non sta portando ad un aumento del consumo della preziosa materia prima in quel paese. In realtà, lo scenario che maneggia la IEA, che è già abbastanza inquietante per l'OCSE, è molto preoccupante in termini di petrolio: dato che la produzione di tutto ciò che la IEA chiama petrolio aumenterebbe solo di 14 Mb/g da qui al 2040 al di sopra degli attuali 90 MB/g di produzione, il suo scenario prevede una drastica redistribuzione del consumo.


Come si vede nel grafico, il consumo dell'OCSE diminuirebbe a 10 Mb/g, cioè, intorno al 23% del suo consumo attuale, perché soprattutto Cina ed India possano aumentare il proprio. Pertanto, lo scenario di riferimento per la IEA, che contempla una stagnazione del consumo energetico per l'OCSE, è in realtà uno scenario di forte discesa del consumo di petrolio in questa area, che dovrà essere compensato da gas, nucleare e rinnovabili. Se si analizzano in modo critico le tendenze degli ultimi anni, una transizione tanto ordinata e di questa dimensione sembra, quanto meno, molto improbabile. Non c'è da meravigliarsi che alla pagina 104 venga dedicato tutto un paragrafo per parlare dei vantaggi del car sharing negli spostamenti e si menziona persino che probabilmente abbiamo superato il picco delle auto nell'OCSE (picco del petrolio non si può dire, ma la sua ombra è lunga). Analizzando le riserve tecnicamente recuperabili di petrolio, il WEO 2014 da da intendere chiaramente che considera che siano più che sufficienti per coprire la domanda prevista in uno qualsiasi dei tre scenari. Detto così non è chiaro se stanno tenendo conto dei ritmi reali di produzione, visto che la questione non è solo se le riserve saranno sufficienti (lo sono senza dubbio), ma se la quantità che si potrà estrarre a ritmi realistici potrà coprire la domanda (cosa abbastanza più incerta, come sappiamo). Come si dice a pagina 111, le risorse mondiali di idrocarburi liquidi non rinnovabili (che comprendono petrolio greggio convenzionale, liquidi del gas naturale, super pesanti, kerogene e tight oil) sarebbero di circa 6 miliardi (spagnoli) di barili di greggio, dei quali 1,7 miliardi sono considerati riserve provate (espressi in termini del quoziente Q/P che da luogo in seguito a tante confusioni, circa 50 anni ai livelli di consumo attuali se si potesse estrarre questo petrolio al ritmo che pare a noi, ma già sappiamo che non è così). Ci sono diverse cose curiose qui. Un miliardo di queste risorse corrispondono al kerogene, che non è chiaro come si possa estrarre economicamente (vedete la discussione nel post sulla redditività del fracking). Ci sono altri quasi 2 miliardi che corrispondono ai petroli superpesanti, alcuni dei quali sono di redditività molto bassa o nulla, e 344.000 milioni sono di tight oil. Non sappiamo a quante di queste tre risorse sia stata assegnata la categoria di “riserve provate”. Dato che per l'insieme di risorse di petrolio si verifica un rapporto di 3,5 a 1 tra risorse e riserve, sembra ragionevole che esista una relazione simile per queste tre risorse concrete e le loro riserve provate, pertanto c'è una quantità sicuramente non molto lontana dai 900.000 milioni di barili di riserve che vengono considerate provate ma che sarà piuttosto difficile sviluppare completamente.

Un'altra cosa curiose è che la IEA dice che, nonostante le riserve provate siano sufficienti a coprire la domanda attesa, è molto importante che se ne trovino di nuove a causa del fatto che la maggior parte delle attuali riserve sono controllate dall'OPEC e, pertanto, non sono troppo affidabili (controllano troppo il prezzo, dice la IEA). Qui si introduce tutta una discussione sul fatto che la classificazione attuale di riserve provate e probabili sia adeguata tenendo conto del modello di estrazione delle risorse non convenzionali, anche se a me pare un po' ipocrita e soltanto una giustificazione al fatto di dire che si continueranno a trovare risorse ad un buon ritmo nei prossimi anni, grazie a queste nuove pratiche contabili.


Infilandolo nella discussione sulle nuove riserve, il WEO 2014 approfitta per dire che due terzi di ciò che si spera di trovare  nei prossimi anni dovranno essere in estrazioni nel mare (off shore). Niente è casuale: la IEA ha il Messico nel mirino e nonostante non ci presenti alcun grafico sull'evoluzione della produzione globale di petrolio per tipologia, ce lo offre invece nel caso del Messico.


Come vedete, ipotizzano una fortissima caduta della produzione di petrolio a partire dai giacimenti attualmente in estrazione nel paese nordamericano (nella notazione della IEA), che verrà compensata da un aumento incredibilmente grande della produzione proveniente da giacimenti ancora da scoprire, principalmente offshore. Si aspettano che accada tutto questo, come dicono esplicitamente, sulle ali della famosa riforma energetica del Messico, che deve permettere che il capitale privato inverta la pessima tendenza produttiva attuale (cosa che non pochi mettono in dubbio). Qui la IEA si allinea con questi interessi economici e, con questo grafico che allego sopra, fornisce argomenti a favore dell'apertura energetica (che temo molto che scatenerà un mare d'inchiostro in Messico, sullo stile del meme falso dell'indipendenza energetica degli Stati Uniti). E' il caso di dire che un incremento tanto rapido e brutale della produzione di petrolio proveniente da giacimenti non ancora conosciuti in un'area in cui, seppure poca, esiste già un'estrazione ed un'esplorazione, risulta difficile da credere. I commenti che si fanno su Iraq ed Iran sono sulla stessa linea: un ottimismo difficile da sottoscrivere. Vi lascio, senza ulteriori commenti, la curva che stimano per l'Iran. Fino al 2013 sono dati, a partire da lì è la loro previsione.


Non riesco a finire l'analisi di questa parte senza tradurre alla lettera un paragrafo sulle “Prospettive di produzione” (pagina 114), nel quale la IEA fa la sua previsione a breve e medio termine, poiché credo che i prossimi anni metteranno a dura prova queste affermazioni.

“La produzione di petrolio fino al 2040 nello scenario di Nuove politiche si può dividere in maniera utile in due periodo, con la transizione fra i due che avviene nel decennio degli anni 20 di questo secolo (Figura3.10). Il primo periodo è caratterizzato da una produzione sostenuta nei paesi non OPEC: il tight oil (e in misura minore il petrolio da acque profonde) degli Stati Uniti, le sabbie bituminose del Canada, i giacimenti in acque profonde del Brasile e la crescente produzione di liquidi del gas naturale da diverse fonti fanno sì che la produzione non OPEC si stabilizzerà e comincerà a retrocedere, a causa della diminuzione della produzione convenzionale in Russia, Cina, più tardi in Kazakistan e alla fine di una saturazione negli Stati Uniti”.

Carbone

Qui troviamo una delle sorprese (relative) di questo WEO: la IEA prevede praticamente una stagnazione del consumo di carbone a partire dal 2020 (crescite fra lo 0,2% e lo 0,3% annuali), dando luogo ad un plateau produttivo che ricorda quello che nel 2010 si era verificato per il petrolio greggio convenzionale. Il grafico si può trovare nella presentazione alla stampa.



Dato che nel 2012 è stato verificato che tale plateau non si era verificato, ma che il petrolio convenzionale in realtà stava già diminuendo, è legittimo chiedersi se qualcosa del genere succederà anche col carbone. In linea di principio ciò non è troppo probabile, poiché questo limite estrattivo sembra essere originato più da una difficoltà intrinseca di consumare più carbone da parte del suo maggior utilizzatore, la Cina, a causa dei problemi logistici ed ambientali che causa, non tanto all'impossibilità di aumentare la produzione. Cioè, che è possibile che in questo caso ciò che prevede il WEO 2014 è un picco della domanda e non della produzione, che alla fine viene a mettere in dubbio una volta di più la perfetta sostituibilità delle diverse fonti di energia. In questo modo, sarebbe possibile mantenere una produzione di carbone approssimativamente costante per vari decenni, come i dati delle riserve sembrano avvallare. In aggiunta, non si deve scartare il fatto che il messaggio che sta mandando la IEA contenga un certo contenuto politico: al prossimo vertice di Parigi si deve decidere come si taglieranno le emissioni di CO2 e il carbone è il combustibile più inquinante e che produce più CO2 per caloria prodotta (anche se, come sembra, le estrazioni da fracking non gli vanno molto lontano). E' piuttosto significativo il grafico delle emissioni previste a seconda del tipo di combustibile:


Come si vede, si pensa che le emissioni associate al petrolio ed al carbone rimangano praticamente costanti a partire dal 2020 (di fatto il petrolio salirebbe ancora leggermente, mentre il carbone manterrebbe il livello più o meno dal 2017), mentre le emissioni di CO2 associate al gas salirebbero a buon ritmo. Obbiettivamente questa è una visione di come dovrebbe essere il mix energetico nei prossimi anni e che favorisce gli interessi degli Stati Uniti grazie al gas di scisto (purtroppo nella IEA, nonostante le numerose notizie apparse sulla stampa, non hanno ancora imparato che il gas di scisto è una rovina). Anche così, queste proiezioni rispetto al carbone contraddicono le attuali tendenze, come quella della Germania (che sta consumando più carbone, principalmente la sua lignite nazionale). Ciononostante, il WEO 2014 afferma che il consumo di carbone in Europa scenderà, principalmente a causa dell'aumento della produzione energetica rinnovabile (che in Europa dicono che raddoppierà), anche se il totale dell'energia primaria consumata sarà inferiore (ma il PIL crescerà, a causa immagino della presunta maggiore efficienza nello sfruttamento dell'energia elettrica negli usi finali, il che è sicuro, se parliamo di motori, abbastanza meno certo se parliamo di altri usi). Per maggiore contraddizione, in un'altra sezione del WEO si afferma che la produzione di petrolio (o meglio, di idrocarburi liquidi) si farà più complessa e diversificata grazie all'introduzione massiccia di impianti di conversione del gas liquido e di trasformazione del carbone in liquido grazie al processo di Fischer-Tropsch, nonostante le prove della sua attuale piccolezza (il WEO parla di una decina di migliaia di barili al giorno di produzione). L'ipotesi di un picco della domanda di carbone sembra, pertanto, abbastanza ragionevole. Tuttavia, a pagina 190 troviamo questo grafico rivelatore, in cui la produzione di carbone è ripartita per tipo di miniera: 



La striscia azzurra corrisponde alle miniere esistenti, che a quanto pare soffriranno di un abbassamento della produzione che accelererà a partire dal 2025. La striscia marrone corrisponde a progetti di espansione, basati su miniere già esistenti. Apportano qualcosa, ma non invertono la tendenza né modificano sensibilmente i tempi. La chiave si trova, pertanto,  nella striscia verde, che corrisponde a miniere nelle quali non è ancora stato fatto il primo buco (e nelle quali pertanto il volume delle riserve e la produzione ottenibile hanno una componente speculativa). La IEA sta preparando il terreno per discutere del picco del carbone nei prossimi anni?Il resto di questa sezione è abbastanza inutile. Evidenzio che, seguendo la moda del momento, una sotto sezione è dedicata alla discussione della cattura e dell'immagazzinamento del carbonio (Carbon Capture and Storage, CCS). I sistemi di CCS si basano sull'iniezione dei gas di combustione delle centrali termiche a carbone in alcuni bacini sotterranei o, allungandone il ciclo, il suo uso nel recupero secondario o terziario del petrolio (nel quale si favorisce il flusso di petrolio iniettando gas in pressione). Dato che l'obbiettivo è catturare il il CO2 per continuare a bruciare carbone, si pongono una serie di difficoltà pratiche. Qualsiasi studente del primo anno di Fisica sa che la resistenza di un gas all'essere iniettato in un bacino aumenta esponenzialmente con la quantità di gas già accumulato al suo interno, cosicché questi sistemi consumano una grande quantità di energia ed alla fine si saturano ad un certo valore, raggiunto il quale non è più possibile iniettare altro gas. I bacini geologici a disposizione di uno di questi impianti ha sicuramente limiti di capacità inferiori alla produzione potenziale di CO2 della centrale termica, quindi, cosa si fa del CO2 in eccesso? C'è anche la questione della tenuta stagna del bacino: se si creano delle crepe, il CO2 uscirà nell'atmosfera e lo sforzo sarà stato vano (e questo senza contare il fatto che le alte pressioni potrebbero, in determinate situazioni, indurre sismicità: i lettori spagnoli ricorderanno senza dubbio il fiasco del magazzino Castor, di fronte alle coste di Castellón. Per ultimo, c'è la questione per cui l'iniezione di gas nel sottosuolo consuma una grande quantità di energia (nei prototipi più avanzati di CCS, un 25% della produzione dell'impianto), proprio in un momento nel quale sicuramente non ci interessa perdere altra energia. Tutte queste cose sono conosciute già da anni eppure si continua ad insistere ripetutamente su questa idea, che è sconfitta in anticipo dalla realtà. 

Gas

Secondo questo WEO, il gas supererà il petrolio come fonte principale di energia degli Stati Uniti prima del 2030, in parte a causa della diminuzione della domanda di quest'ultimo (suppongo che sia perché presumono che le auto elettriche alimentate da rinnovabili prenderanno il sopravvento nei trasporti o perché presumono che i liquidi associati al gas verranno maggiormente usati nell'autotrazione). Questa affermazione della IEA servirà ad alimentare per qualche anno ancora l'idea che la rivoluzione del gas di scisto sia la panacea, finché questa bolla finanziaria non finisca per scoppiare. Significativamente, l'epigrafe di questa sezione è: “Liquidi del gas naturale alla riscossa?”. Per i disinformati, dire che la maggior parte del contenuto dei liquidi del gas naturale , e in modo analogo nei gas di petrolio liquefatti o GPL, è una miscela variabile di butano e propano. Cioè che tutti i progressi nell'autotrazione basati su questi combustibili consistono fondamentalmente nel recuperare, in versione moderna, quei taxi alimentati con bombole di butano che erano frequenti nella Spagna degli anni 70 e 80, cosa interessante ora che la gente usa meno butano nelle abitazioni, ma che ha un percorso limitato perché il prezzo di questa alternativa andrà alle stella quando il mercato cresce. In quanto al gas naturale in sé stesso, secondo le proiezioni della IEA, il suo uso principale sarebbe per la generazione di elettricità. Nonostante le difficoltà di creare nuovi mercati per il gas naturale, soprattutto se il petrolio ed il carbone non andranno ad alimentare più crescita economica, la IEA scommette che il gas crescerà a buon ritmo, prendendo in qualche modo il posto degli altri combustibili. 


Il posto nel mondo in cui dovrebbe crescere di più la domanda di gas naturale sarebbe la Cina, ad un ritmo impressionante del 5,2% all'anno. Evidentemente è questo il modo in cui la Cina potrà livellare il proprio consumo di carbone. Date le tendenze attuali, questa supposizione sembra abbastanza azzardata, tenendo in considerazione inoltre che il commercio e la distribuzione del gas necessita di costose infrastrutture che richiedono anni per essere ripagate. I prossimi anni metteranno alla prova le ipotesi della IEA. La seconda regione col maggior incremento del consumo di gas naturale è il Medio Oriente (2% di crescita annuale). Come ha già fatto per il petrolio, la IEA non vede alcun problema futuro nella produzione di gas, nonostante che a questo punto ci troviamo già a pochi anni dal suo picco produttivo, il quale potrebbe essere accelerato dalle turbolenze col petrolio. Così, con l'animo di poter continuare a comprare le diverse revisioni che si faranno nel prossimo decennio sulla produzione di gas naturale, includo qui il grafico corrispondente a questo WEO. Sicuramente, siccome non vedono ancora arrivare il picco di produzione del gas convenzionale, qui ci suddividono la produzione per tipologie: un dettaglio che sarà utile per riferimenti futuri. 


Merita una menzione anche il fatto che dedichino una sottosezione a discutere dei problemi di sicurezza della fornitura di gas, in particolare alla luce del recente e crescente conflitto fra Russia e Unione Europea alla cui basa c'è l'Ucraina. Mostrano un grafico molto interessante sul quali sono state le importazioni di gas naturale per l'Europa (non l'Unione Europea), che a sua volta può essere utile per tracciare la strada del nostro futuro.


Nucleare

Il WEO 2014 dedica una parte enorme alla discussione di questa fonte di energia, nonostante il suo carattere minoritario (circa il 4% dell'energia primaria generata nel mondo) e delle sue scarse proiezioni di futuro. Perché? Perché fondamentalmente la IEA abbraccia la tesi secondo la quale le riserve di uranio sono enormi e che l'evoluzione tecnologica permetterà di ampliare enormemente le risorse che passeranno ad essere economicamente disponibili – abbiamo molto bisogno di una tecnologia che a breve termine cominci a dare un apporto in mezzo a tante carenze. Ma l'evoluzione dell'energia nucleare negli ultimi decenni non è stata molto brillante, essendo passata dal fornire il 18% dell'elettricità mondiale nel 1998 al 11% di adesso (vedete il grafico più in basso). Ma per la IEA la questione chiave sono le basse emissioni di CO2 di questa fonte: di fatto, nello scenario 450, l'energia nucleare cresce ad un ritmo vertiginoso.


Il WEO 2014 presume che si installeranno 332 Gw di potenza in più da qui al 2040 (il che è una castroneria: attualmente ci sono 392 Gw), principalmente in potenze emergenti e negli Stati Uniti, mentre scommette sul fatto che si prolunghino la vita delle licenze di esercizio in occidente. Richiama l'attenzione l'ipotesi poco delicata secondo la quale il Giappone recupererà progressivamente la sua forza nucleare, a partire dal 2020 per non ferire suscettibilità nei dintorni e soltanto ai tre quarti di quello che avevano prima dell'incidente di Fukushima. In seguito c'è una lunghissima discussione sui costi, scomponendo i diversi fattori che contribuiscono agli stessi e la sensibilità che hanno a diversi fattori (compreso il prezzo dei combustibili fossili). Mi è sembrato interessante vedere che il prezzo del combustibile è già intorno al 10% dei costi della centrale (quando ho cominciato a fare questo, i sostenitori di questa tecnologia si vantavano del fatto che il combustibile rappresentava soltanto l'1% dei costi) e poi un'altra discussione, non meno lunga, sulla percezione pubblica di questa energia. Qui si presentavano tre sotto-scenari disaggregati da quello di riferimento; in uno di questi (Low nuclear) nel 2040 ci sarebbe un po' meno energia nucleare installata (366 Gw). In quanto alle risorse, si dice che c'è uranio sufficiente per alimentare uno qualsiasi dei tre sotto-scenari. C'è anche un certo cinismo implicito, per esempio nel grafico che ci informa quale dovrebbe essere il ritmo di chiusura delle attuali centrali nucleari e qual è quello che prevedono nello scenario di riferimento, dando per scontato che ci saranno molti prolungamenti delle licenze operative oltre la vita utile nominale delle centrali e che di fatto verranno estese per molti decenni. 


Ma quello che risulta estremamente scioccante è il riconoscimento aperto del fatto che con le miniere di uranio esistenti e con l'uranio immagazzinato dei decenni antecedenti (riserve secondarie, nel gergo del settore), presumendo inoltre che tutte le miniere attualmente previste si realizzino in tempo, mancherà uranio a partire dal 2020 e verso il 2040 non si potrà coprire tutta la domanda ma meno del 60% (mancheranno circa 45.000 tonnellate di uranio naturale equivalente su circa 105.000 richieste).


Questo è né più né meno il picco dell'uranio. Sono sicuro che a Pedro Prieto piacerà vedere emergere le fauci di uraniator in questo “supply gap” (“mancanza di fornitura”) che ci ricorda tanto quello già visto un decennio fa nelle previsioni per il petrolio. La sola cosa che la IEA riesce a fare per cercare di scongiurare prospettive così pessime è il paragrafo che segue e che accompagna il grafico che vi ho appena indicato: 

“L'estrazione di risorse di uranio ancora da scoprire potrebbe aggiungere forniture di uranio nel futuro, sempre che si faccia esplorazione e sviluppo su scale significative. Inoltre, le risorse di uranio non convenzionali (acqua di mare e fosfati), così come i cicli di combustibili alternativi come quelli che si basano sul torio, promettono di fornire combustibile nucleare a lungo termine se si fa il necessario sviluppo tecnologico. Un'ampia gamma di tecnologie nucleari è attualmente in via di sviluppo (per esempio, i reattori di quarta generazione), il che congiuntamente alla rielaborazione potrebbero anche contribuire ad allontanare di un tempo ancora maggiore qualsiasi scarsità di combustibile”. 

Ciò che mi sembra preoccupante di questo paragrafo è che tutti questi argomenti vengono usati da decenni senza che nessuno dei progressi desiderati si sia verificato per ragioni tecniche che sono ben conosciute (per me il massimo del ridicolo è il riferimento all'uranio dell'acqua di mare). E' triste giungere a pagina 430 di questo rapporto per vedere che dopo tanto parlare siano rimasti senza parole.

Ciò che rimane nel calamaio

E' tantissimo: ci sono diverse sezioni interessanti, come quella dedicata alle rinnovabili, all'efficienza e all'elettrificazione. E tutta la parte dedicata all'Africa. Secondo il WEO le rinnovabili occuperanno una grande percentuale della produzione energetica futura ed è abbastanza fiducioso soprattutto rispetto al fotovoltaico, data la riduzione del costo dei pannelli, anche se riconosce che i recenti cambiamenti legislativi in diversi paesi lo stanno ostacolando e ricorda che le sovvenzioni statali ai combustibili fossili sono 6 volte maggiori che alle rinnovabili (anche se dimentica di commentare che i combustibili fossili stanno producendo più di 10 volte più energia delle rinnovabili). Nel paragrafo dell'efficienza non c'è il minimo riferimento al Lord Jevons. In quanto all'elettricità, c'è un'interessante discussione sulla sicurezza della fornitura energetica, che potrebbe vedersi compromessa, dice la IEA, a causa della maggior inclusione di energia rinnovabile e la perdita di interesse degli investitori in impianti convenzionali che tuttavia dovrebbero esserci per dare sostegno. Il quadro di questa discussione porta il titolo significativo di: “Mantenere accese le luci” (pagina 209).

Conclusioni

Il linguaggio tranquillizzante che viene sempre impiegato dalla IEA sulle prospettive di futuro in quanto alla fornitura di energia, risulta nettamente smentito quando si entra nei dettagli dei dati da essa stessa forniti. Nel rapporto di quest'anno possiamo trovare riferimenti per nulla velati ai problemi di produzione di petrolio se non c'è sufficiente investimento, a un picco del carbone che si potrebbe interpretare come un picco della domanda (fondamentalmente dovuto alla Cina) ma che in realtà potrebbe giungere ad essere un picco produttivo reale  e al riconoscimento, ormai senza perifrasi, che, senza un cambiamento radicale, la produzione di uranio comincerà a diminuire nel prossimo decennio. L'unica materia prima non rinnovabile per cui i grafici non mostrano problemi è il gas naturale, ed anche questa è abbastanza discutibile. Dati i dubbi crescenti sul buon passo dell'economia mondiale (che verranno confermati o smentiti nei prossimi mesi) non si può escludere che si verifichi una pericolosa retroazione negativa fra la produzione di questi materiali e i cicli di investimento e disinvestimento nella loro produzione. La produzione di petrolio, carbone e uranio (e in realtà anche quella del gas naturale) accumula tensioni tali che, lasciata al suo sviluppo naturale, porterebbe all'arrivo dei picchi contemporanei di tutte e di conseguenza di molte altre materie prime non energetiche. E' il temuto Peak Everything, il cui effetto sociale è la Grande Scarsità

Ponendo lo sguardo indietro, guardando a ciò che facciamo come società con questo corpo di prove crescente sui limiti della crescita, la sola cosa che vedo è che continuiamo a guardare, così come a seguire, le linee di evoluzione e di degrado più o meno previste dai modelli. Insomma, vedo come ci stiamo avvicinando al disastro finale. Se mai ci fosse un momento per reagire, è sicuramente questo. 

Saluti.
AMT


giovedì 27 novembre 2014

Petrolio: la quiete prima della tempesta, secondo la IEA

Da “Oil Man”. Traduzione di MR

La IEA avverte nel suo ultimo rapporto annuale: il pianeta petrolio sta per entrare in una zona ad altissimo rischio, nonostante ciò che potrebbe far pensare l'attuale prezzo dell'oro nero. Conseguenza della rivoluzione del petrolio “di scisto” negli Stati Uniti e del rallentamento della crescita mondiale, la spettacolare riduzione dei prezzi del barile minaccia di prosciugare gli investimenti indispensabili per allontanare lo spettro del picco del petrolio, conferma la IEA.

Il capo economista della IEA Fatih Birol, avverte:

“L'immagine a breve termine di una mercato del petrolio ben approvvigionato non deve mascherare i rischi futuri (…), nella misura in cui aumenta la dipendenza nei confronti dell'Iraq e del resto del Medio Oriente”. 




Crescita prevista della produzione mondiale di greggio (la produzione attuale è dell'ordine dei 90 milioni di barili al giorno) Fonte: IEA, 2014.

Il dottor Birol non si arrischia a dire quanto tempo potrebbe durare l'attuale crollo del prezzo del barile (tuttavia, a margine di una presentazione a Brussels, evoca a mezza voce un periodo di due anni), ma secondo lui, la tendenza a lungo termine è necessariamente al rialzo del prezzo dell'oro nero: Egli prevede:

“Tenuto conto dei tempi necessari per sviluppare i nuovi progetti di estrazione, le conseguenze di una mancanza di investimenti potrebbe impiegare del tempo a materializzarsi. Ma cominciano ad accumularsi nuvole sull'orizzonte a lungo termine della produzione mondiale di petrolio; sono foriere di possibili condizioni di tempesta di fronte a noi”. 

La linea della potenziale tempesta emerge esaminando il grafico della IEA riprodotto qua sotto:

- il boom della produzione americana dovrà finire prima della fine del decennio (conformemente alle diagnosi più recenti dell'amministrazione Obama);

- al di fuori degli Stati Uniti, non ci sono repliche significative da aspettarsi dal boom del petrolio “di scisto” (o di roccia compatta, per essere più precisi);

- i petroli non convenzionali nordamericani (petrolio di roccia compatta negli Stati uniti, sabbie bituminose in Canada) non saranno sufficienti da soli ad apportare una compensazione delle fonti convenzionali di petrolio in declino;

- già più che delicato da conservare da quando il barile è sceso sotto i cento dollari (in particolare per le "majors"), il gigantesco sforzo di investimento – dell'ordine dei 500 miliardi di dollari l'anno – necessario al fine di compensare il declino naturale del numero delle vecchie e più grandi fonti di greggio e giunte alla maturità, è più difficili da sostenere in particolare ora che il barile è crollato sotto gli 80 dollari , rileva la IEA, in particolare per quanto concerne le sabbie bituminose e le trivellazioni ultra profonde al largo del Brasile. In giugno, quando il barile era ancora a 115 dollari, la compagnia petrolifera francese Total ha riposto negli scaffali un progetto da 10 miliardi di dollari in Canada, perché non offriva un rendimento sufficiente. Ormai, segnala il Financial Times, emergono problemi molto consistenti di redditività dei progetti offshore e rapporti di tensioni vive condivise dai paesi membri dell'OPEC. Il ritmo delle trivellazioni del petrolio di roccia compatta negli Stati uniti sembra flettere in queste ultime settimane, constata altrove l'agenzia Bloomberg;

- last but not least (at all), in rosso sul grafico, quello che si chiama “Medio Oriente” corrisponde essenzialmente alla crescita attesa della produzione di greggio iracheno. Comprenderete le vertiginose implicazioni geostrategiche – agghiaccianti? - dell'importanza futura, ben più cruciali di oggi, attribuite dalla IEA alla produzione irachena (paese più o meno in stato di guerra o sotto embargo da 34 anni), mentre il dottor Birol constata, senza sorpresa, che “l'appetito” degli investitori per l'Iraq sembra di questi tempi un po' ridotto...

Sul fronte del clima, l'accordo fra Stati Uniti e Cina siglato la settimana scorsa è a giusto titolo qualificato come “storico” da fatih Birol.

Il presidente Barack Obama ha impegnato gli Stati uniti a ridurre dal 26 al 28% le loro emissioni di CO2 nel 2025 in relazione al loro livello del 2005. Il presidente cinese Xi Jinping, in cambio, assicura che le emissioni cinesi raggiungeranno un picco “verso il 2030”.

Questo accordo è “storico” se non altro perché conferma la probabilità molto alta di un'alterazione irreversibile del clima, anche se, ancora una volta, non è una sorpresa.



Il futuro del carbone cinese è l'altra grande novità celata nel rapporto annuale della IEA:
il grafico della IEA (con “un alto livello di certezza”, precisa Fatih Birol) sull'avvio corrente di un picco del consumo cinese di carbone.


IEA, 2014.

Con quale energia ha scelto la Cina di alimentare prioritariamente la propria economia, riducendo l'intensità delle proprie emissioni di gas ad effetto serra?

Lo sviluppo del nucleare in Cina promette di essere non meno spettacolare di quello delle energie rinnovabili pianificato da Pechino:


Evoluzione della potenza nucleare installata da qui al 2040. IEA, 2014.

130 GW in più nel 2040, è quasi più del doppio del parco nucleare francese e più del 30% della totalità del parco nucleare americano, il primo del mondo. La Cina attualmente dispone di una capacità nucleare di 12 GW.