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sabato 20 febbraio 2021

Avanziamo nella nebbia ad occhi chiusi e con un bel paio di occhiali scuri inforcati sul naso. Ed è notte. E si è anche rotto il tergicristallo e là fuori piove come Dio la manda

 

Questa è un a critica a un video recente di Matteo Gracis sul Covid, ma vale in generale per far vedere come sia difficile abbordare problemi complessi anche sulla base di dati reali. E non me la prendo in particolare con Gracis, che perlomeno ha fatto del suo meglio. Me la prendo con tutti i personaggi televisivi che passano per scienziati e non hanno capito nulla di quello di cui parlano, nonostante che la teoria della diffusione delle epidemia sia nota e ben assodata. Le ultime figuracce sono state quelle di Ricciardi e quella di Galli, e non sono state le sole. E allora pensate a quello che succede con il cambiamento climatico che è una storia molto più complessa e difficile.


Da "Radio Cora"

di Ugo Bardi.

Il video di Matteo Gracis a questo link. si intitola: "Covid-19: analisi dei fatti." Ve lo segnalo non perché lo approvo, ma perché mi sembra significativo per tante cosette. Una è come il concetto di "fatti" possa essere utilizzato in modo improprio. Anche fatti veri, se analizzati in modo scorretto, ti possono mandare fuori strada.

Nel video abbiamo 35 minuti di ragionamenti detti in un tono addormentativo su un sottofondo di una musichetta altrettanto addormentativa. Non mostra quasi altro che il testo che viene letto dalla voce narrante, intercalato da qualche grafico. Occasionalmente, vediamo la faccia dell'autore, il quale ci dice che il testo è opera di Mirco Bandelli, "esperto di statistica, matematica, e informatica."

Bene, supponiamo che siate riusciti ad arrivare in fondo al video, che cosa ne tirate fuori? Per prima cosa, diciamo che i dati mostrati sembrerebbero tutti veri -- sono dei "fatti" -- e, su 35 minuti di chiacchere, ci sono ragionamenti condivisibili e apprezzabili. Ma se i fatti sono veri, la loro interpretazione lascia molto a desiderare, per non dir di peggio. 

Il problema con i fatti è che bisogna sapere di cosa si parla. Supponete di essere stati colpiti da un fulmine. E che, mentre siete ancora bruciacchiati e malridotti, arriva uno e vi dice: "Lo vedi che Dio è adirato con te per via dei tuoi peccati? Pentiti, peccatore!" A parte rincorrere quel tale armati di forcone, è comunque un fatto che ogni tanto qualcuno viene veramente colpito da un fulmine. Ma la maggior parte noi non vedono come corretta l'interpretazione di questo inoppugnabile fatto come dovuto all'ira del buon Dio. Peraltro, fino a qualche secolo fa (e forse ancora oggi per qualcuno) non si sapeva cosa fossero i fulmini e spesso si ragionava in termini di punizione divina per i fulminati.

Con l'interpretazione dei dati sul Covid può succedere più o meno lo stesso. Ovvero che i dati siano giusti, ma la loro interpretazione sia carente per mancanza di conoscenza. L'autore del filmato di cui stiamo discutendo sarà sicuramente bravissimo nel suo mestiere, ma casca giù dal pero, per esempio, quando si domanda come mai, se il virus esisteva già a Novembre 2019 (un fatto), sia partito a espandersi visibilmente soltanto a Marzo (un altro fatto). E non riesce a trovare altra spiegazione che un intervento esterno, voluto da "qualcuno" che ha agito consapevolmente per scatenare l'epidemia. Un complotto, insomma.

Non è che i complotti non esistono, esistono, eccome! Ma bisogna stare attenti a non vederli dappertutto. In realtà, quasi tutto quello che è successo col Sars-Cov-2 si spiega bene se uno fa lo sforzo di studiarsi quello che sappiamo di come si diffondono le epidemie. A questo punto, qualcuno mi potrebbe rispondere, "ma, Ugo, da quando sei diventato un epidemiologo? Chi ti credi di essere?" Il fatto è che per un chimico fisico, come sono io, certe cose sono ovvie. L'epidemiologia usa le stesse equazioni che si usano per descrivere le reazioni chimiche o l'andamento di popolazioni biologiche. E quindi c'è una logica con la quale questi sistemi funzionano.

Una volta che ci avete lavorato un po' sopra, vedrete che non c'è niente di strano che il virus sia rimasto quiescente per alcuni mesi nel 2019, salvo poi partire a riprodursi andare su rapidamente quando ha trovato condizioni favorevoli per farlo, a Febbraio del 2020. Ma queste cose risultano poco comprensibili alla maggior parte di quelli che commentano su questo argomento. Pensate a tutti quelli che hanno dato la colpa della ripartenza della "seconda ondata" a Ottobre 2020 agli Spritz bevuti in estate sulla spiaggia. Ma il virus poteva ricordarsi a Ottobre cosa era successo in Agosto? Impensabile, a meno di attribuire poteri semi-divini alla creaturina peduncoluta. Anche quello di rimanere quiesciente in Agosto è un comportamento normale per dei virus che hanno bisogno di condizioni di temperatura e umidità abbastanza specifiche per diffondersi nell'aria. Per non parlare di alcuni fisici, e tanta altra gente, che hanno capito solo metà della storia e hanno pensato che il virus avrebbe poututo veramente seguire una curva esponenziale andando sempre più in fretta verso l'infinito.

Così, nel 2020 abbiamo visto l'epidemia svilupparsi in due cicli principali nei mesi freddi, come è tipico delle malattie che colpiscono l'apparato respiratorio. Non c'è bisogno di pensare a interventi umani, complotti e follie varie, per spiegare questo andamento. Può darsi che nel 2021 vedremo altri cicli, ma le varie spiegazioni che li attribuiscono ad azioni umane -- tipico il "virus panettone" di cui qualcuno parlava dopo Natale -- non sono giustificate da nessun dato disponibile.

Qui, spesso ti trovi di fronte a un problema irrisolvibile: l'epidemiologia non è una cosa che si studia al liceo e ben poca gente la studia all'università. Anche i virologi sono medici, non epidemiologi, quindi spesso non hanno gli strumenti mentali per capire certe cose. Non più di quanto non ce li abbia un informatico che si mette all'anima di fare un film sull'epidemia. Aggiungici che il dibattito attuale non è  su basi razionali, ma su basi tribali ("se dici questo è perché sei un negazionista" oppure, "sei pagato dai poteri forti!"), per cui va a finire che non solo avanziamo nella nebbia, ma anche ad occhi chiusi e con un bel paio di occhiali scuri inforcati sul naso. Ed è notte. E ti si è anche  rotto il tergicristallo e fuori piove come Dio la manda.


giovedì 1 ottobre 2015

Mangio, quindi uccido: i limiti del vegetarianismo

Da “The Great Change”. Traduzione di MR

“Perché pensiamo di doverci appropriare di tutte le terre coltivabili del mondo per sfamare gli esseri umani?”

Cavalli islandesi
Di Albert Bates

Siamo tutto ciò che che pensiamo come “individui” in comunità viventi di fatto. Qui in Islanda abbiamo partecipanti a corsi di permacultura da questo paese e da Germania, Stati Uniti, Danimarca, Messico, Canada, Australia, Svizzera, Francia, Norvegia, Svezia, Indonesia, Bulgaria e Costa Rica. Ognuno di noi sta fertilizzando in modo incrociato tutti gli altri col proprio microbioma – le spore e i microbi che trasportiamo dalle nostre bioregioni e trasmettiamo liberamente per contatto attraverso la pelle, l'aria, i fluidi e varie superfici che tocchiamo. Ognuno di noi se ne va con un nuovo microbioma, leggermente alterato e più diversificato di quello con cui è arrivato.

Raccogliamo ed incorporiamo anche nuovi microbi dall'ambiente del luogo. Potremmo ingerire parti e pezzi che sono già passati attraverso il corpo di un antico vichingo, o del suo cavallo, prima che venissero interrate nel suolo per qualche tempo, per poi trovare la loro strada nel cibo e nell'acqua ed ora per venir via con noi per diventare parte del suolo da qualche altra parte. Alla fine, veniamo tutti dalla polvere di stelle e veniamo continuamente riciclati.

Il padre della Permacultura, Bill Mollison, amava canzonare i vegetariani per le loro scelte dietetiche perché pensava che ogni argomentazione per scendere più in basso nella catena alimentare fosse un po' sospetta. “Non ho passato diversi milioni di anni ad arrampicarmi con unghie e denti fino al vertice per poi mangiare tofu”, ci ha detto una volta a pranzo. Abbiamo guardato imbarazzati il nostro tofu.

In quel periodo stavamo partecipando ad un incontro sulla Permacultura a Perth, in Australia Occidentale e al personale della cucina è stato detto che ci si attendevano principalmente persone che mangiavano carne. Sfortunatamente c'erano tre volte più vegetariani fra i permacultori partecipanti, il che ha significato lunghe code per l'opzione vegetariana e che il personale che serviva i pasti ha vissuto una piccola crisi per mancanza di lungimiranza.

Islanda: campi di lava coperti da un leggero strato di erba da pascolo; vaste aree sono adatte soltanto ad allevare animali.

Robyn Francis, che è stata una delle prime studentesse di Bill e lo ha aiutato a compilare il Manuale di progettazione in Permacultura nei primi anni 80, fa a pezzi alcune delle argomentazioni etiche più comuni. “La carne è solo clorofilla concentrata su un bastoncino di calcio”, dice, prendendo a prestito un'intuizione unica nel suo genere da un ex studente.

La rotazione del pascolo dei maiali spezza le zolle e approfondisce il profilo del suolo, rendendolo coltivabile per verdure e cereali.

La banale frase vegana sul non mangiare cose che hanno occhi o che cercano di scappare potrebbe essere divertente, ma come sappiamo da studi sui meccanismi sensori e le “emozioni” delle piante, anche quelle hanno sentimenti, conoscono la paura, cercano di preservarsi la vita e preferirebbero non essere la vostra cena se fosse offerta loro una scelta. Inoltre, ognuna di loro ha un microbioma fatto di molti piccoli animali con occhi che cercano di scappare.

Zoocentrismo: il relegare le piante in fondo alla gerarchia della vita intelligente.

La Robyn ha fatto una slide prendendo spunto da uno studio sulla coltivazione di cereali in Australia che mostra quante cose viventi – rettili, uccelli, furetti, topi di campagna – vengono massacrati ogni anno per ettaro di cereali che viene raccolto dalle mietitrebbie. Nell'area di studio del Nuovo Galles del Sud, i raccoglitori di cereali uccidono 25 volte più animali per ettaro degli analoghi pascoli di mucche destinate al macello. Messa in un altro modo, il rapporto di bulbi oculari di cose che cercano di scappare è circa di 25:1 in sfavore del lato vegano della contabilità. In un'altra slide, la Robyn spiega che possedere un cane pastore consuma il costo di risorsa equivalente di possedere un SUV. Ed è meglio che non parliamo dei gatti domestici.

Diciamocelo. Se siamo vivi lo rimaniamo solo uccidendo qualcos'altro. E' così che circolano i nutrienti fra roccia, suolo, piante, materia in decomposizione, insetti, batteri, funghi ed animali. E' un processo di gruppo, ognuno di noi ha un ruolo, ad un certo punto, come predatore o come preda. Potrebbe non piacerci di mangiare vermi, ma alla fine loro sono più che felici di mangiare noi.

“In pratica, non esiste l'autonomia. In pratica, c'è solo una distinzione fra dipendenze responsabili ed irresponsabili”.

Wendell Berry, L'arte del luogo comune


Pubblicata su Facebook il 27 agosto, 

questa immagine ha 12.000 like e 2877 condivisioni, finora.
Considerate il più ampio problema della fornitura globale di cibo. Gli esseri umani ora sono 7 miliardi e continuano ad espandersi. Fornitura di energia, cibo ed acqua permettendo. Un terzo della massa terrestre della terra è adatta all'agricoltura ma solo un terzo di questa è realmente coltivabile a cereali, verdure, frutta o il tipo di cose che mangiano i vegani. Gli altri due terzi non sono in grado di far crescere vegetali e potrebbero non avere acqua sufficiente per la coltivazione di alberi, ma possono, con una gestione accurata e una giusta presenza di bestiame, sostenere animali commestibili. Infatti, se seguite la discussione di massa sulla rotazione dei pascoli iniziata da Allan Savory, potreste credere che solo le grandi mandrie di animali al pascolo, raggruppati ed in movimento, siano in grado di ripristinare ecologicamente quelle tipologie di terreni danneggiati, ri-sequestrando il carbonio che avevano un tempo e ripristinando i cicli idrologici e climatici del pre-Antropocene – il regime di acqua e suolo un tempo costruito e conservato da bufali, mammut, tigri e lupi.

Ecco un punto di contesa che portiamo con questa discussione, e diamo il benvenuto alla discussione. Per estensione, possiamo dire che se la terra coltivabile è il premio, allora la terra buona con molta acqua dev'essere dedicata ai cereali, alle verdure, alla frutta ed al tipo di cose che mangiano i vegani. Di gran lunga più persone possono essere nutrite con proteine di alta qualità, carboidrati e grassi da quella terra se mangiamo dalla parte bassa della catena alimentare, perché far passare i cereali attraverso gli animali ci fa perdere ritorni nutrizionali di grandi fattori, da 10:1 nel caso del pollame a 40:1 nel caso dei bovini. Secondo la logica usata dalla Robyn, dobbiamo allevare animali domestici esclusivamente sulle terre marginali che non possono sostenere nient'altro. Ciò elimina la fattoria di Joel Salatin in Virginia e molte delle operazioni con animali ad alto rendimento in Nord e Sud America, Europa, Africa, Asia ed Australia. Niente più Manzo di Kobe o Sauerbraten tedesco.

L'argomentazione per mangiare animali da allevamento assume che non possiamo nutrire il mondo se togliessimo l'allevamento di animali e ci concentrassimo sulle piante. Possiamo – solo sulla porzione di terra coltivabile primaria che ha una buona stagione agricola e un sacco di acqua. Un acro di soia biologica, coltivata senza arare, nutrito con biochar che fissa l'azoto e non OGM, non trasformato in mangime animale o plastiche, può fornire proteine di alta qualità come 40 o più acri di bovini. Eliminate l'allevamento di animali nei terreni agricoli migliori e non avrete bisogno di usare l'altro 60% delle terre coltivabili per animali da nutrimento.

Perché pensiamo di doverci appropriare di tutte le terre coltivabili del mondo per sfamare gli esseri umani?

Produrre cibo per le popolazioni umane nei climi secchi o con suoli poveri importandolo da terre migliori è una proposta rischiosa, dato che il paradigma della globalizzazione ora è in vita ed è costruito su uno schema di debito Ponzi che è un vero furto nei confronti dei nostri figli. Il mondo è costretto dall'inesorabilità della fisica dell'energia fossile a rilocalizzare, e rapidamente. Continuare a seguire la curva esponenziale consumistica – di uso di acqua, perdita di suolo, esaurimento del petrolio, estinzione di pesci, popolazione e inquinamento – è pura follia. Al di là di ogni bugia, un Dirupo di Olduvai.

Cavallo islandese arrosto. Il cavallo era
la carne tradizionale del Sauerbraten tedesco. 
In un mondo localizzato, in assenza di un declino indotto catastroficamente, immaginiamo che la popolazione umana frenerà gradualmente verso qualcosa che si avvicina all'equilibrio di stato stazionario fra offerta e domanda in cui gli indigeni erano maestri. Quella era la vecchia normalità prima dell'ultima era Glaciale e andrà probabilmente in quel modo nell'Era delle Conseguenze.

Gli esseri umani delle società locali potrebbero scegliere di equilibrare le loro diete in qualsiasi modo sia più efficace per il loro clima e i loro costumi. Alcuni potrebbero essere vegani, molti probabilmente no.



sabato 4 luglio 2015

Il Principio di Massima Potenza

Dalla pagina FB di Bodhi Paul Chefurka. Traduzione di MR

Il Principio di Massima Potenza rivisitato

Il Principio di Massima Potenza (PMP), descritto per la prima volta da Alfred Lotka e in seguito approfondito da H. T. Odum, sostiene che “Durante l'auto-organizzazione i progetti di sistemi la progettazione di sistemi sviluppa e fa prevalere quelli che massimizzano l'assunzione di potenza, la trasformazione di energia e quegli usi che rinforzano”. Ciò è stato formulato da osservazioni ecologiche. Questo saggio, per esempio, riferisce su un esperimento di PMP che coinvolge diverse specie di protozoi. Il risultato conferma chiaramente il ruolo del PMP nella competizione fra specie a quel livello di vita.

martedì 10 febbraio 2015

Il ruolo dei collassi sociali nei cicli storici (II)

DaThe Oil Crash”. Traduzione di MR




Cari lettori,

nel post di oggi vi presento la seconda parte dell'estratto della sezione 9.1 del libro “Nella spirale dell'energia”, di Ramón Fernández Durán e Luis González Reyes. Nel post di oggi si analizza l'inevitabilità del collasso della società industriale e le sue fasi.

Saluti.
AMT

Inevitabilità del collasso della civiltà industriale

La vulnerabilità del capitalismo fossile (capitalismo basato sui combustibili fossili, ndt) globale

Il sistema socioeconomico attuale ha elementi di resilienza importanti. Uno è che l'alta connettività aumenta la capacità di rispondere rapidamente alle sfide. Per esempio, se manca il raccolto in una regione, la fornitura alimentare si può dislocare in un altro luogo del pianeta (se interessa, la stessa cosa si potrebbe dire di una parte sostanziale del sistema industriale. Un'altra espressione della resilienza è il dislocamento del rischio in altri luoghi esterni agli spazi centrali e del presente attraverso l'ingegneria finanziaria. Tuttavia, la connettività aumenta anche la vulnerabilità del sistema, visto che, a partire da una certa soglia, non si possono più compensare gli squilibri e il collasso dei singoli sottosistemi colpisce il resto. Il sistema funziona come un tutto interdipendente e non come parti che si possano analizzare isolate (Stati Uniti, UE, Cina) e molto meno che possano sopravvivere da sole. Inoltre, si è raggiunta la connettività massima: non esiste più un “fuori” del sistema-mondo, il mondo è “pieno”. Non c'è più la possibilità di migrare ne di ricevere aiuto da altri luoghi. La figura 9.3 visualizza le implicazioni di questa connettività. Si può partire da un nodo qualunque, come la mancanza di accessibilità a gas e petrolio (in alto a sinistra) e seguire come questa carenza si trasmetta a tutto il sistema.



Figura 9.3: Complessità ed interdipendenza del sistema attuale.

sabato 24 gennaio 2015

Il ruolo dei collassi sociali nei cicli storici (I)

Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR


Di Antonio Turiel

Cari lettori,

qualche settimana fa Luis González Reyes ha offerto di pubblicare un estratto del libro “Nella spirale dell'energia”, opera congiunta di Luis e dello scomparso Ramón Fernández Durán. Dato l'interesse di questa opera (che potete acquistare, per esempio, nel sito di Ecologistas en Acción – potete anche leggerne il testo completo qui), mi è sembrata un'idea stupenda. In questo post e nel seguente pubblicheremo estratti di un tema che è sempre più pertinente: il collasso sociale (corrispondono al paragrafo 9.1 del libro. Sono sicuro che sarà di vostro interesse.

Saluti.
AMT

Il ruolo dei collassi sociali nei cicli storici 

[...]

Il ruolo dei collassi nei sistemi complessi

Un sistema complesso potrebbe definirsi come un sistema che ha parti molteplici interconnesse ed organizzate fra loro. Più sono e più diverse sono le connessioni, maggiore è la complessità. Così, le società con più persone interconnesse attraverso reti di comunicazione, di istituzioni e del sistema economico sono più complesse: lo sono anche quelle che hanno gradi più elevati di specializzazione sociale e diversità culturale. I sistemi complessi, la auto-organizzazione, nascono spontaneamente (Johnson, 2003). Si producono “strutture dissipative” che captano energia, e la maggior parte delle volte anche materia, per sostenerne l'ordine. Senza questa captazione continua di energia e materia, non sono in grado di mantenersi (Prigogine, 1993). I sistemi complessi sono a loro volta composti da sistemi complessi multipli in un'organizzazione di tipo frattale. E' ciò che Holling (2001) ha denominato Panarchia. L'essere umano è un sistema complesso che ha altri sottosistemi complessi, come quello digestivo che, a sua volta, è composto da organi e questi da cellule, che sono a loro volta sistemi complessi. A livello superiore, l'essere umano è parte della società, che a sua volta si inscrive nel macro sistema della Terra. In questo modo, ci sono sistemi “superiori” ed “inferiori”. Ognuno dei livelli compie due funzioni. Da una parte dare stabilità al sistema. Per esempio, se un bosco brucia, il clima della regione fornisce le condizioni per la sua rigenerazione e il suolo fornisce i nutrienti. In questo lavoro di stabilizzazione il ruolo dei livelli macro è più importante. La seconda funzione è quella di generare innovazioni per l'adattamento ai continui cambiamenti. Qui sono i livelli inferiori che sono più attivi. In questo modo, i sistemi complessi sono anche sistemi con capacità di adattamento ai cambiamenti.


lunedì 1 dicembre 2014

La spirale

Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR


Di Antonio Turiel

Cari lettori,

durante le ultime settimane si è verificata una forte discesa del prezzo del petrolio, che si muoveva da più di due anni in una gamma relativamente stretta di prezzi abbastanza alti.


Nel post di questa settimana analizzerò in dettaglio ciò che sta succedendo col prezzo del petrolio. Si tratta di un post abbastanza lungo, quindi l'ho organizzato in sezioni: Introduzione, Volatilità e Recessione, Gli eventi del 2008 e del 2011, Fondamentali, Conseguenze e Conclusione.

Introduzione

Se ci concentriamo sul prezzo del barile di petrolio di tipo Brent (quello di riferimento in Europa), vediamo che dagli inizi del 2011 era valutato al di sopra dei 100 dollari, con un paio di picchi al di sopra dei 120 all'inizio del 2011 e del 2012 e un paio di flirt con la linea dei 100 dollari, che ha agito da prezzo di riferimento o linea da non oltrepassare verso il basso. Ora: venerdì scorso il barile di Brent era valutato 86 dollari ed era arrivato qualche dollaro in meno i giorni precedenti. La forte volatilità dei prezzi del petrolio è uno dei sintomi di problemi di fornitura di questa materia prima fondamentale. Lo abbiamo spiegato infinite volte in questo blog: quando l'attività economica è vigorosa, la domanda sale ma la produzione non riesce a tenere il ritmo, quindi il prezzo sale fino al punto di danneggiare l'attività economica. Allora si chiudono le imprese e si lasciano persone nella disoccupazione, la domanda diminuisce, il prezzo scende bruscamente e questo permette che poco dopo cominci la ripresa economica, la domanda torna a salire e torniamo al punto di partenza. Mentre la produzione di petrolio sale lentamente o addirittura ristagna c'è da aspettarsi che si riproducano periodicamente questi cicli di ripresa e caduta. Tuttavia, nella misura in cui la produzione di petrolio diminuisce (cosa che non è ancora successa se consideriamo tutti gli idrocarburi liquidi, che è già una cosa discutibile di per sé) la cosa che ci si può aspettare è che la sequenza di salite e discese acceleri, a volte con cambiamenti di enormemente bruschi che spingono il prezzo del petrolio verso l'alto o verso il basso al punto che interi paesi collassano (verso l'alto se il paese che collassa è un paese produttore o verso il basso se il paese che collassa è un paese consumatore).

Come spiegherò in questo post, l'attuale abbassamento dei prezzi è un sintomo terribile di gravi ed imminenti problemi economici e di produzione di petrolio, conseguenza di molte tensioni accumulate durante anni di fuga in avanti. E per quello risulterebbe abbastanza comico, se non fosse tanto triste e tanto sintomatico della nostra cecità come società, vedere che di fronte ad un momento tanto preoccupante e critico come quello attuale, sono emerse voci che hanno detto “questa cosa del picco del petrolio” non è certo causata da questa riduzione dei prezzi. C'è persino chi dice che questo non lo avevamo previsto e che tutte le analisi che facciamo in questo ed in altri luoghi sono pura spazzatura, perché in realtà il picco del petrolio si allontana sempre di più (sono arrivato persino a leggere un tweet di un famoso gestore di azioni collegate al petrolio che affermava che la caduta del prezzo del petrolio era segno di abbondanza di offerta).

Volatilità e recessione

Niente di più lontano dalla realtà, naturalmente. Soffermarsi esclusivamente sul prezzo del petrolio per descrivere il picco è un errore e ancora di più lo è pensare che i problemi di fornitura di petrolio generino semplicemente prezzi persistentemente più alti: in realtà, ciò che genera il picco del petrolio è un'enorme volatilità (salite e discese del prezzo selvagge). Abbiamo insistito su quest'idea dal principio, in realtà. Una delle cose che mi ha spinto a fare divulgazione del problema del picco del petrolio è stata proprio il fatto di vedere che dopo del chiaro segnale del 2008 (lo stesso anno il barile valeva 147 dollari a luglio e 36 a dicembre), non si è verificata una reazione razionale ai problemi che erano già evidenti. Mente chi dice che non lo stiamo dicendo da anni e nel mio caso proprio dall'inizio: il quinto post che ho pubblicato su questo blog, il 3 di febbraio del 2010, si chiamava “Previsione dei prezzi del petrolio per i prossimi 10 anni” e illustrava il problema della ipervolatilità del prezzo con un disegno fatto anni fa da Dave Cohen:


Un anno dopo, mi chiedevo se l'aumento repentino dei prezzi, non molto lontani dai 130 dollari al barile, indicasse che ci trovavamo in un altro di questi picchi di volatilità e se si stesse verificando l'ondata recessiva del 2011. Ed ora, nel 2014, siamo sul punto di un'altra recessione mondiale, a quanto pare. Permettete che vi citi due paragrafi del mio post “Previsione dei prezzi del petrolio per i prossimi 10 anni”, pubblicato quattro anni e mezzo fa:

“Prevedere il valore del picco è più o meno impossibile, ma possiamo invece prevedere che l'economia indebolita non potrà mantenere prezzi crescenti fino a valori tanto alti come 150 dollari, per cui probabilmente il prossimo picco sarà più basso. Mentre perdura la situazione di plateau del petrolio, l'unica cosa che possiamo azzardare è la cadenza dei picchi, ipotizzando che dopo il picco il prezzo si stabilizza ad un valore di circa 40 dollari”.

Ed anche

“Da qui si conclude anche che i tempi di ricorrenza degli shock petroliferi saranno ogni tre anni, sempre il luglio: 2008, 2011, 2014, 2017, 2020, ecc. Cioè, in questo decennio ci aspettano 4 shock petroliferi, sempre quando se ipotizziamo di essere sul plateau del petrolio”. 

Il modello che ho usato in quel post era di una banalità offensiva e la realtà è stata naturalmente molto più complessa (io stesso affermavo già nel post stesso che le cose sarebbero state molto più complicate). E' tuttavia curioso vedere che, effettivamente, i picchi successivi dei prezzi non sono stati alti come i quasi 150 dollari del luglio 2008 e che le date ipotizzate per la maggior volatilità del prezzo del petrolio (2008, 2011, 2014...) non sono state tanto lontane e sembrano segnare le date delle successive “Grandi Recessioni, ora che si comincia a riconoscere che potremmo trovarci alle porte della terza. Ma sicuramente la dinamica del prezzo e dell'offerta di petrolio si sta rivelando assai più complicata. Per la parte dei prezzi, proprio qualche mese fa qualcuno mi rinfacciava che non si sarebbe verificato con la volatilità che ho sempre definito come sintomo dei problemi di offerta di petrolio, di fronte a cui ho scritto un post in cui si toccavano diversi temi e in quanto a questo, ho indicato il seguente grafico, sovrapponendo il disegno di Cohen all'evoluzione reale del prezzo del barile di petrolio:


Il modello di Dave Cohen è questo, un modello, ma nonostante la sua semplicità si direbbe comunque che stia cogliendo qualcosa di quello che succede, specialmente se ora alla fine del 2014 il prezzo sta collassando. Prime di entrare nell'analisi in maggiore profondità cosa spieghi queste deviazioni osservate rispetto al modello semplice del comportamento del prezzo, lasciate che vi dica che questa visione secondo cui i problemi del petrolio non comportano semplicemente prezzi alti ma volatilità non la mia personale, ma è condivisa praticamente da tutta la comunità dei picchisti. In particolare, vi raccomando un eccellente articolo di Gail Tverberg perché possiate farvi un'idea più certa di cosa stia succedendo. Così quelli che criticano i picchisti per l'abbassamento repentino del prezzo del barile di greggio si allaccino le cinture, perché ora arrivano le curve e anche molto pericolose. E leggano, per esempio ciò che dice ASPO sul fenomeno.

Gli eventi del 2008 e del 2011

Telecomunista, un'eminenza nel trattamento dei dati e delle diverse agenzie pubbliche, ha pubblicato poche settimane fa su burbuja.info il seguente grafico.


Se guardate il grafico con attenzione, vedrete che ci sono state due volate della produzione di “tutti i liquidi del petrolio (petrolio greggio convenzionale + greggi non convenzionali + alcuni succedanei più o meno assimilabili) proprio dopo due plateau di produzione. La prima volata si verifica dopo la crisi del 2008 e si sostiene coi biocombustibili. Purtroppo, i biocombustibili in realtà non apportano energia netta, per cui nella realtà la cosa non richiede tempo. I governi americano ed europeo, che hanno reso obbligatorio che parte della miscela delle loro benzine e gasoli avessero una parte di biocombustibile, hanno perso interesse per questi combustibili, nel momento in cui hanno verificato che non riducono la dipendenza esterna ed hanno cominciato a ritirare i sussidi al suo consumo, cosa che ha portato alla stagnazione della loro produzione:



In pratica, ciò che è successo è che il prezzo del petrolio non è aumentato perché la mancanza di sufficiente petrolio nel mercato è stata compensata dai biocombustibili, che oltre a causare le guerre della fame non erano né energeticamente né commercialmente redditizi e che pertanto sono stati sussidiati con ulteriore debito degli Stati. Cioè, per mantenere il meccanismo mondiale in funzione è stata sfruttata una risorsa che non doveva essere prodotta e che fondamentalmente trasforma l'austerità e le sanzioni alla propria popolazione e ad altre in idrocarburi liquidi. Ma già nel 2011, essendo già ovvio il fiasco dei biocombustibili, e con una nuova recessione in marcia, era necessario cercare qualcosa di più con cui dare impulso alla produzione di petrolio ed è qui che emerge con forza il fracking, come evidenza la fascia di colore viola del grafico di Telecomunista più in alto. Senza l'apporto dei condensati e del petrolio leggero di roccia compatta (light tight oil) americano, la produzione totale di idrocarburi liquidi sarebbe diminuita di 3 milioni di barili al giorno. Sfortunatamente, qui succede una cosa simile a quella dei biocombustibili: le compagnie che estraggono queste risorse si stanno rovinando (come evidenziano i sempre più numerosi articoli che avvertono di questo sulla stampa economica) e quella montagna di debito inevitabilmente scoppierà prima o poi. E tarderà meno a scoppiare se il prezzo del barile diminuisce troppo per un periodo sufficientemente lungo. Alla fine, data l'importanza cruciale e strategica del petrolio, gli stati riscatteranno queste compagnie, addossando ancora una volta il costo ai cittadini e di nuovo trasformando sofferenza sociale in idrocarburi liquidi. Non è proprio una sciocchezza. 

Fondamentali

I movimenti coi biocombustibili e con gli idrocarburi e con i combustibili liquidi derivati dal fracking spiegano perché il prezzo si è mantenuto alto senza grandi alti e bassi (eccetto nel momento in cui si rinuncia a continuare a dare impulso ai biocombustibili come grande soluzione nel 2011, cosa che si abbina perfettamente col piccolo picco dei prezzi di quell'anno e la conseguente ondata recessiva). Ma cosa sta succedendo ora? Il prezzo si è mantenuto stabile al di sopra dei 100 dollari negli ultimi 3 anni e di colpo ha cominciato a scendere, anche al di sotto di questa barriera dei 100 dollari al barile. Se si studiano i fondamentali del mercato, si trovano tre possibili fattori nell'offerta ed uno nella domanda. I tre fattori nell'offerta sono: 


In quanto alla domanda, c'è un unico fattore che appare in tutte le analisi: la domanda mondiale è debole. Da mesi si accumulano gli indizi negativi in molti paesi (caduta delle esportazioni tedesche, scarsa creazione di impiego negli Stati Uniti, malessere in Francia e delusione nei confronti del presidente Hollande, l'Italia che non solleva la testa nonostante l'elezione come presidente del presunto riformista Renzi...), ma sono particolarmente importanti quelli che arrivano dalla Cina, poiché oggigiorno è la fabbrica del mondo e la sua evoluzione è molto segnata dall'evoluzione della domanda, soprattutto in Occidente. E dalla Cina non vengono dati buoni: l'indice PMI è piuttosto basso e molti indicatori sono in ribasso (per esempio, la forte caduta della domanda di acciaio in quel paese). Insomma, si prefigura una recessione globale, cosa che quadra bene con il concomitante crollo delle borse mondiali. Un modo per cercare di capire cosa sta succedendo è guardare i rapporti sulla congiuntura del mercato del petrolio pubblicati mensilmente dalla IEA, gli Oil Market Report. Seguendo la stessa metodologia che ho usato due anni fa nel post “Quando la domanda supera l'offerta”, ho calcolato i grafici trimestrali di offerta (in verde) e domanda (in rosso) di tutti gli idrocarburi liquidi del mondo. Ho separato due periodi: fino al 2005 e a partire dal 2005. Vediamo il primo di questi grafici. L'asse verticale rappresenta la produzione media di tutti i liquidi del petrolio durante questo trimestre ed è espressa in milioni di barili al giorno. 


Fino al 2020 si osserva un chiaro andamento stagionale, con più domanda di petrolio in inverno ed autunno e meno in primavera ed estate. L'offerta cerca di adeguarsi alla domanda in modo leggermente anticiclica: avviene nell'ambito della domanda nei mesi di maggior domanda ma viene compensata da un'offerta maggiore alla domanda nei mesi di minor domanda. Per questo vediamo incroci molteplici fra le due curve e le scorte che conserva l'industria nei propri depositi servono a compensare le fluttuazioni (sei compra di più nei momenti di minor consumo e si compra di meno in quelli di maggior consumo). A partire dal 2003 (se guardate il grafico di Telecomunista, è più o meno quando la produzione di petrolio greggio smette di crescere significativamente) comincia una corsa fra offerta e domanda, che procedono più unite, e resta resta meno spazio fra le due curve. Cosa succede a partire dal 2005? Di tutto.


Nel 2005 e 2006 la curva dell'offerta supera per la maggior parte del tempo, e ampiamente, quella della domanda. Ciò dovrebbe significare che il mercato è rifornito più che bene, ma non dimenticate che una parte sempre maggiore di quanto prodotto sono liquidi del gas naturale, che sostituiscono il petrolio per per alcune funzioni (per esempio, per la sintesi del propilene). Così probabilmente, in termini di ciò che il mercato chiedeva realmente (benzina, gasolio, kerosene), l'offerta combaciava sufficientemente e questo spiegherebbe perché in quegli anni il prezzo è aumentato con estrema rapidità. Sfortunatamente, l'introduzione dell'annotazione “tutti i liquidi del petrolio” da parte della IEA fa sì che questi dettagli non possano essere percepiti nei grafici. 

Arriva il 2008 e il consumo, che generalmente oscillava di circa 2 milioni di barili al giorno (Mb/g) ogni anno, cala di quasi 4 Mb/g. Il prezzo crolla in quell'anno e l'offerta tenta di inseguire la domanda, rimanendo sempre più alta per tutto quell'anno. Di nuovo, l'inclusione nello stesso paniere di “tutti i liquidi del petrolio” rende incomprensibile l'evoluzione del prezzo del petrolio, visto che secondo questo grafico l'offerta è sempre stata maggiore della domanda per tutto il 2008, compreso in luglio quando il prezzo è arrivato a quasi 150 dollari al barile. Verso il 2009 la domanda comincia a recuperare, anche se non recupera le sue oscillazioni annuali caratteristiche fino al 2010. E alla fine del 2011 torniamo a vedere il paradosso di avere un'offerta che eccede di molto la domanda e così il prezzo sale ancora. Presumibilmente, perché è il momento in cui si comincia a vedere che i biocombustibili non diminuiscono la dipendenza energetica del mondo. Naturalmente gli economisti non capiscono il perché, che non è altro che il suo EROEI basso, cioè, che non stanno producendo energia netta sfruttabile. E in questo momento emerge con forza il petrolio leggero di roccia compatta e i condensati di alcune piattaforme di gas di scisto degli Stati Uniti, tutti estratti col fracking. Il petrolio leggero di roccia compatta è sì petrolio, anche se essendo leggero non funziona per distillare il gasolio, ma fornisce un sollievo alla domanda di combustibili fossili del pianeta e pertanto la situazione comincia a normalizzarsi nel 2012 e nel 2013... fino ad ora. I grafici finiscono nel secondo trimestre del 2014. Le linee sottili che vengono dopo sono le proiezioni che si deducono dall'ultimo (a proposito, ho corretto un errore sciocco nelle tavole). Come vedete, la IEA sta facendo una previsione basata su qualcosa di molto semplice: semplicemente scommette che torniamo a cominciare un ciclo normale in cui l'offerta si va ad incrociare con la domanda durante l'anno: ora bisogna che la domanda comincia ad aumentare e che l'offerta lo faccia più moderatamente durante l'inverno e logicamente si spera che succederà il contrario durante la primavera e l'estate. 

Ma cosa sta succedendo in realtà? Come vedete, non c'è niente di spettacolare nell'offerta prevista e l'ultimo aumento della produzione non è niente di completamente pazzesco, soprattutto se si tiene conto che i Libia ancora si produce solo la metà del petrolio che era arrivata a produrre quotidianamente e che i problemi con lo Stato Islamico rendono qualsiasi proiezione sulle esportazioni irachene sia molto speculativa. Sembra piuttosto che il problema principale si stia originando con la domanda, che non sta seguendo il modello del 2008 e del 2011, dove l'offerta ha superato la domanda nei momenti in cui dovrebbe succedere il contrario. Il problema è che comprendere tutto ciò che assimiliamo al petrolio nello stesso grafico impedisce di distinguere con chiarezza che tutto questo è realmente ciò che chiede il mercato. La IEA dovrebbe considerare seriamente di separare il mercato del greggio dal resto dei mercati degli idrocarburi liquidi nelle sue analisi, visto che non sono assolutamente fruibili ed equivalenti (come abbiamo discusso parlando del picco del diesel). 

Conseguenze

E' ancora presto per sapere se il crollo della domanda continuerà durante i prossimi mesi, causato da una possibile interruzione dell'attività globale. Sebbene stiamo realmente entrando in un processo recessivo, i Governi possono prendere molte misure per attenuare il problema e di fatto sembra che il Governo nordamericano abbia intrapreso una nuova campagna per stampare più soldi per tentare di scongiurare questo pericolo. L'efficacia di tale misura verrà verificata nelle prossime settimane. Tuttavia, ciò che ha evidenziato la forte diminuzione del prezzo del petrolio è un gran nervosismo in molti dei paesi produttori. Alcuni analisti si sono affrettati a dichiarare che, in realtà, questa diminuzione dei prezzi è il risultato di una sporca manovra dell'Arabia Saudita, alla quale gli autoproclamati esperti attribuiscono consensualmente la capacità eterna di controllare il mercato. Secondo loro, l'Arabia Saudita starebbe inondando il mercato di petrolio per far abbassare i prezzi. La cosa in cui questi esperti non si mettono d'accordo è con quale fine il regno saudita faccia questo. Alcuni opinano che lo facciano per favorire l'affossamento della ribelle Russia, altri che vorrebbe distruggere l'affare dello scisto negli Stati Uniti, altri ancora credono che l'Arabia Saudita stia tentando di strangolare economicamente lo Stato Islamico in Iraq... 

Ma, come abbiamo visto, non è l'Arabia saudita quella che sta aumentando la propria produzione, ma principalmente la Libia e gli aumenti osservati non eccedono rispetto alle quantità più o meno abituali per questo periodo dell'anno. Inoltre, come abbiamo commentato qualche mese fa, tutto indica che la produzione di greggio abbia iniziato il proprio declino. E in quanto all'Arabia Saudita non sembra possibile che possa aumentare sensibilmente la propria produzione di petrolio, piuttosto questa comincerà presto a diminuire. Perciò è possibile negare alla grande: non si stanno producendo grandi quantità di petrolio extra nel mercato con il fine di affossare i prezzi e men che meno è l'Arabia Saudita colei che sta provocando questa abbondanza immaginaria. Quello che invece sta succedendo con tutta probabilità è che la terza recessione sta già avanzando, la domanda crolla e con essa il prezzo. La Deutsche Bank ha pubblicato recentemente un'analisi sul prezzo minimo al quale ogni paese deve vendere il barile di petrolio, onde evitare di entrare in gravi deficit fiscali che potrebbero compromettere la loro stabilità:


Come vedete, i grandi produttori (Russia e Arabia Saudita) sarebbero già adesso in deficit mentre altri paesi che si trascinano problemi da tempo risulta che si trovavano già in una situazione di deficit fiscale. Non è nulla di nuovo: un anno e mezzo fa lo abbiamo spiegato su questo stesso blog. Il problema è molto più grave di quanto alcuni “esperti” proclamano. Non si tratta, no, di garantire un appartamentino ed un lavoro ad ogni coppietta o di ostentare ricchezza: si tratta di conservare la pace sociale in paesi che soffrono gravi squilibri. L'Arabia Saudita ha certamente abbastanza soldi per mantenere questa situazione per molti mesi, ma la maggior parte degli altri produttori si troverebbero in problemi gravi solo nel giro di settimane. Il sistema globale è malamente puntellato e potrebbe sgretolarsi con una rapidità inusitata se non si reagisce in fretta. 

Non solo i paesi sono a rischio. Abbiamo già visto che le 127 maggiori compagnie di gas e petrolio del mondo si sono indebitate irrazionalmente per mantenere la finzione di un mondo in espasione (arrivando all'assurdità di richiedere credito per distribuire i dividendi, cosa che ha sicuramente fatto in Spagna la società elettrica Endesa). Queste compagnie si sono impantanate in progetti di petrolio e gas non convenzionali che hanno dimostrato di avere un rendimento nullo o negativo. Ciò include i biocombustibili, le sabbia bituminose del Canada e il resto dei petroli extra pesanti, le acque ultraprofonde e, naturalmente, gli idrocarburi estratti mediante fracking. Come abbiamo già spiegato, dagli inizi di quest'anno le compagnie più grandi hanno cominciato a disinvestire fortemente nei giacimenti meno rettitizi, concentrandosi su un volume di affari inferiore ma di maggior rendimento e la pressione per aumentare questo disinvestimento va aumentando. Se l'attuale diminuzione dei prezzi va avanti ed è sufficientemente duratura, se si abbandoneranno altri progetti e questo farà sì che nel giro di un paio di anni quel petrolio che si sarebbe dovuto cominciare a mettere in produzione semplicemente non ci sarà. 

I nervi dei produttori sono a fior di pelle, mentre i loro consumatori abituali sono esangui. Praticamente non c'è tempo per reagire. Senza dubbio l'OPEC ridurrà leggermente la produzione per tentare di contenere la caduta del prezzo del greggio, ma questa strategia ha un raggio corto: se si taglia molto l'esportazione, il prezzo al barile di cui ogni paese ha bisogno sale, per cui dovrebbero tagliare ancora di più l'esportazione ed il prezzo necessario per equilibrare i conti salirebbe ancora di più. Davvero in quel senso non c'è molto margine. Prima o poi i paesi produttori si renderanno conto che ciò cui sono interessati è che qualcuno di loro affondi perché gli altri possano sopravvivere. In questo gioco folle, in questa assurda fuga in avanti, l'Iraq è fra quelli che hanno le carte peggiori, insieme ad altri paesi come Siria e Yemen.

Conclusione

Apparentemente, siamo già alle porte della Terza Grande Recessione. Sono mesi che ci sono gli indizi del suo arrivo e il crollo in poco tempo degli indici di borsa e dei prezzi di molte materie prime sono il risultato previsto del crollo della domanda associata alla crisi economica. La diminuzione del prezzo del petrolio in particolare è molto pericolosa, poiché compromette la sostenibilità finanziaria di numerose imprese di molti paesi che dipendono dagli introiti delle proprie esportazioni petrolifere per garantire la pace sociale, impegnate in modo del tutto irrazionale nell'estrazione di idrocarburi non convenzionali. 

Al livello degli 85 dollari al barile in cui si stanno stabilizzando i prezzi in questo momento, i rischi sono minori e sarebbe sopportabile se questo livello di prezzi non durasse troppo a lungo. Tuttavia, se la diminuzione dei prezzi prosegue, si potrebbe scatenare tutta una serie di conseguenze a valanga molto sgradevoli: il fallimento delle compagnie petrolifere o l'abbandono in massa dei giacimenti e delle estrazioni meno redditizie obbligherà gli Stati (in particolare gli Stati Uniti) ad intervenire, sottraendo risorse ad altre cose e probabilmente aggravando i propri problemi economici e sociali. Dall'altra parte, nei paesi produttori più deboli ci si possono attendere rivolte e guerre civili. Tutto ciò comporterebbe un crollo repentino della produzione di petrolio, che scatenerebbe problemi di fornitura e porterebbe immediatamente a prezzi del petrolio e di altre materie prime estremamente  alti che farebbero sprofondare le economie occidentali in una recessione ancora più profonda e questa ad un crollo ancora maggiore della domanda, ricominciando tutto il ciclo in una spirale oscura: recessione – distruzione della domanda e conseguente abbassamento del prezzo – crollo della produzione per fallimenti, rivolte e guerre e di conseguenza prezzi alti – di nuovo recessione, eccetera. L'instabilità accumulata nel sistema economico e produttivo globale è tale che una volta che si innesca la spirale sarà difficile fermarla e quando alla fine si fermerà potremmo trovarci molto più in basso di quando l'abbiamo fatta partire. Ci troviamo di fronte ad un abisso che nella nostra irresponsabilità collettiva, nella nostra irrefrenabile fuga in avanti, abbiamo contribuito a scavare. Ed ora stiamo allungando la gamba, allegramente, verso il vuoto che abbiamo davanti. 

Saluti.
AMT