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lunedì 15 giugno 2015

Il futuro della razza umana: estinzione o alveare umano?

Da “Resource Crisis”. Traduzione di MR

Di Ugo Bardi

Questo post è il risultato di una discussione iniziata da RE di Doomstead diner 



“L'alveare di Hellstrom”, scritto da Frank Herbert nel 1973, è una delle poche disamine solide di come una società umana “eusociale” potrebbe  essere modellata sulla base dello stile di vita degli insetti sociali, come le api e le formiche. Potrebbe essere questo che il futuro remoto ha in serbo per la razza umana? E' impossibile dirlo ma io, per quanto mi riguarda, do il benvenuto ai nostri nuovi signori dell'alveare. 


Non ho dubbi sul fatto che siamo diretti a tutta velocità verso un grande collasso dell'ecosistema. Stiamo distruggendo il clima e la biosfera, avvelenando i mari, disperdendo metalli pesanti ovunque, creando isotopi radioattivi che non sono mai esistiti nei 4 miliardi di anni della storia della terra. Qualsiasi cosa accadrà, non sarà una bel vedere per coloro che saranno vivi per vederla.

Ma il collasso in arrivo significa la fine della specie umana? Questo non può essere escluso e il concetto di “Estinzione a Breve Termine” (Near Term Extinction -NTE) è persino diventato piuttosto popolare oggigiorno (*). Ma il problema rispetto all'estinzione umana non è quanto sia probabile. Il problema è che è noiosa. Ci estinguiamo ed è tutto, fine della storia. Potremmo persino distruggere l'ecosistema così gravemente da sterilizzare l'intero pianeta, facendo morire tutto il resto con noi. Ancora più noioso, non credete?

Eppure, il futuro rimane un soggetto affascinante e il futuro remoto (o “profondo”) è quello più affascinante. Supponiamo quindi che non muoiano tutti nel grande collasso; quale futuro è in serbo per l'Homo Sapiens? (**).

Come prima ipotesi, il grande collasso potrebbe non essere così grande, dopotutto. Potrebbe essere soltanto un sobbalzo nel cammino verso il futuro, più o meno come è stato il medioevo per l'Europa. Quindi gli esseri umani potrebbero riemergere nel dopo-collasso ancora come qualche miliardo di persone e avendo ancora gran parte delle tecnologie che abbiamo oggi. Potrebbero avere energia dalle rinnovabili a sufficienza per andare avanti sotto forma di società industriale. Ma ciò implicherebbe una capacità di pianificazione a lungo termine che non pare che abbiamo.

Più probabilmente, gli esseri umani riemergerebbero dalla grande transizione come pochi, poveri e malconci. Si ritroverebbero bloccati su un pianeta gravemente esaurito in quanto ad energia e risorse minerali rispetto a quelle che avevano prima del collasso. Cosa potrebbe accadere loro, quindi?

Molto dipende da quale sarà il clima del dopo-collasso. Dopo il grande “impulso” di riscaldamento generato dalla combustione di combustibili fossili, la Terra rimarrà molto calda per un lungo periodo – perlomeno per qualche migliaio di anni. Gradualmente, si raffredderà ma mano che il biossido di carbonio atmosferico creato dalla rivoluzione industriale verrà riassorbito – molto gradualmente – nella crosta terrestre. Potrebbero anche volerci centinaia di migliaia di anni per tornare alla concentrazione di CO2 preindustriali. Solo a quel punto potremmo avere le condizioni climatiche che erano tipiche di una Terra imperturbata dalle attività umane; forse con un ritorno alla serie di ere glaciali del “Pleistocene”, che erano state la regola per circa 2,5 milioni di anni.

Quindi possiamo dire che i nostri discendenti del dopo-collasso (se ce ne saranno) vivranno in un clima caldo, probabilmente estremamente caldo. Ma la Terra è grande, quindi sarebbe possibile che trovino delle aree sufficientemente fresche in cui potrebbero sopravvivere, forse nell'estremo nord o persino in Antartide. Nel complesso, possiamo aspettarci che, dopo il grande collasso l'umanità potrebbe affrontare diverse decine di migliaia di anni di condizioni in cui si può sopravvivere, forse anche qualche centinaio di migliaia di anni.

Possono succedere molte cose in diverse decine di migliaia di anni, ma possiamo essere ragionevolmente certi di una: gli esseri umani non vedranno un'altra rivoluzione industriale. I combustibili fossili saranno un ricordo e ci vorranno milioni di anni, come minimo, perché l'ecosistema li ricrei. Il mondo del dopo-collasso sarà quindi gravemente esaurito in quanto a risorse minerali. I nostri discendenti non avranno miniere, anche se potranno recuperare ciò che i loro predecessori hanno lasciato fra le rovine delle loro città. Avranno moltissimo ferro proveniente dagli scheletri dei vecchi ponti ed edifici, forse potranno mettere le mani su qualche antico caveau pieno di lingotti d'oro. Il loro limite sarà il carbone vegetale che servirà loro per lavorare il metallo che recuperano. Per loro, i metalli saranno sempre rari e costosi.

Possiamo quindi immaginare che gli esseri umani futuri dovranno stabilire stili di vita semplici. Forse dovranno tornare ad essere cacciatori-raccoglitori, ma potrebbero anche essere in grado di coltivare la terra, anche se non possiamo essere certi che il clima futuro sarà sufficientemente stabile per farlo. Qualsiasi cosa accadrà sarà un mondo a bassa tecnologia. Non sembra un futuro molto stimolante. La caccia-raccolta da parte degli ominidi è andata avanti per milioni di anni, sempre più o meno uguale, E le società agricole sono statiche, gerarchiche, oppressive e sono sempre state descritte come “contadini governati da briganti” (attribuito ad Alfred Duggan). E' questo che dobbiamo aspettarci nei prossimi 100.000 anni? Non necessariamente.

Il fatto è che gli esseri umani possono evolvere. E  possono evolvere velocemente, cambiando in modo sostanziale in poche migliaia di anni. I risultati della ricerca genomica hanno aperto un vaso di Pandora di scoperte. I nostri antenati si sono evoluti, oh sì, lo hanno fatto! L'idea che siamo ancora gli stessi tipi che cacciavano i mammut durante l'era glaciale richiede urgentemente un aggiornamento. Siamo simili a loro, ma non gli stessi, niente affatto. Sono successe molte cose agli esseri umani durante la transizione da cacciatori-raccoglitori ad agricoltori ed allevatori. Abbiamo perso un buon 3-4% di capacità cranica, molti di noi sono diventati capaci di digerire il latte, abbiamo sviluppato una resistenza a molte malattie e la capacità di vivere di una dieta che è stata molto diversa e molto più povera di quella dei cacciatori-raccoglitori. Questi cambiamenti sono stati genetici, risultato della necessità di adattarsi a diversi stili di vita ed a società più complesse.

Quindi, se gli esseri umani possono sopravvivere al grande collasso ed andare avanti per altri millenni – forse molti più millenni – c'è un sacco di tempo per altri cambiamenti. Infatti gli esseri umani cambieranno tanto in un lasso di tempo così lungo. Come cambieranno? Naturalmente, è una domanda difficile, ma possiamo identificare almeno qualche tendenza. In particolare, possiamo immaginare che alcune tendenze presenti, che oggi siamo portati a vedere come principalmente culturali, alla fine potrebbero diventare inscritti al genoma umano.

Una cosa che potrebbe succedere è che la razza umana possa speciare. Vale a dire, potrebbe gradualmente suddividersi in due o più specie, talmente diverse che i membri di una potrebbero non essere in grado di procreare con quelli dell'altra. Abbiamo già visto specializzazioni considerevolmente divergenti fra almeno tre diversi gruppi umani: cacciatori-raccoglitori, allevatori e agricoltori. Ognuna di  quete tre branche sfrutta diverse nicchie ecologiche/economiche ed ha sviluppato adattamenti culturali (in parte anche genetici) ai diversi stili di vita. Estrapolate questa tendenza nel lontano futuro ed avete due (o anche tre) specie di ominidi coesistenti sul nostro pianeta, ripetendo la situazione che era comune molto tempo fa, quando diversi ominidi coesistevano. I Neanderthal e i Sapiens, infatti, hanno vissuto in tempi sovrapposti ed avevano capacità limitate (anche se non nulle) di riprodursi fra loro.

Se il futuro vedrà più di una specie di “homo”, allora ognuna si specializzerà indipendentemente e si adatterà al suo ambiente. I cacciatori-raccoglitori probabilmente torneranno ad essere i già ottimizzati costruttori di attrezzi del Pleistocene. Gli allevatori diventeranno sempre più esperti delle loro vite da nomadi in aree che sono poco produttive per l'agricoltura. Gli agricoltori continueranno a vivere in villaggi e città con alte densità di popolazione. Costruiranno città, templi e palazzi. Creeranno eserciti, si combatteranno fra loro e costruiranno regni ed imperi. Ed è qui che le cose hanno una possibilità di farsi interessanti.

L'evoluzione genetica e culturale passata degli esseri umani agricoli è stata per tutto il tempo lo sviluppo di caratteristiche più “sociali”: un aumento della capacità di vivere in grandi gruppi di categorie molto differenziate (agricoltori, soldati, artigiani, preti...). Se la tendenza continua, potremmo vedere alcune caratteristiche culturali diventare sempre più incorporate nel genoma della specie. Sul (molto) lungo termine, potremmo assistere alla nascita di una razza umana “eusociale”, lo stesso tipo di struttura sociale di api, formiche e termiti. Vale a dire, una società di lavoratori e soldati sterili, “regine” che generano gran parte degli individui e maschi stupidi (in quanto a quest'ultima caratteristica, siamo già piuttosto avanti). Non è impossibile. Esistono già dei mammiferi la cui organizzazione sociale è eusociale, uno è la talpa nuda dell'Africa Centrale. Quindi, forse il futuro degli esseri umani non comporterà aggeggi tecnologici avanzati (di cui siamo così appassionati) ma, piuttosto, comporterà ingegneria sociale avanzata, con lo sviluppo di società sempre più efficienti e stratificate.

Il futuro dell'umanità è un alveare? Non possiamo dirlo, ma sembra sempre più probabile che alcuni dei vecchi modi di vedere il futuro ora siano del tutto obsoleti. Probabilmente, i nostri discendenti non avranno macchine volanti, niente navi spaziali, niente maggiordomi robot che portano loro dei cocktail mentre si rilassano ai bordi della piscina. Ma i poteri di un alveare umano potrebbero essere comunque impressionanti anche senza i gadget dei nostri tempi. Forse la “superintelligenza” che alcuni vedono svilupparsi nei nostri computer potrebbe in realtà apparire in una organizzazione umana eusociale (questo è uno dei temi del racconto di Frank Herbert “L'alveare di Hellstrom”). Queste entità superintelligenti eviteranno gli errori che abbiamo fatto noi? Non possiamo dirlo. Naturalmente questa è una cosa che nessuno di noi vedrà mai, ma l'interesse per il futuro è parte del fatto di essere umani e, forse, i nostri discendenti dell'alveare avranno a loro volta questa caratteristica.

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L'opinione di Geroge Mobus sull'evoluzione futura della razza umana

George Mobus  ha contribuito alla discussione iniziata da RE di doomstead diner con queste considerazioni che riproduco qui col suo permesso. 

Rispetto alle idee sull'estinzione come possibile risultato, vorrei ripetere che l'estinzione di specie apparentemente è inevitabile. Circa il 99% di tutte le specie che sono mai esistite (si stima) che si siano estinte e che l'attuale lotto di biodiversità non ha probabilmente più di un milioni di anni, in media.

Ma ci sono percorsi alternativi all'estinzione e dei conseguenti risultati alternativi. Molto ha a che fare con “l'evolvibilità” della riserva di specie. Ho postato un pezzo su quest'idea qualche tempo fa.

L'evoluzione umana è ancora in corso, ma è strettamente legata all'evoluzione culturale, cioè la co-evoluzione sta guidando la selezione reciproca sia nel mondo della specie biologica che in quello del mondo artefatto costruito dagli esseri umani. L'evoluzione biologica è ancora molto più lenta dell'innovazione culturale a causa di una minore produzione di tasso di novità (vedi mutazione genetica). Ciononostante, noi umani stiamo ancora attraversando adattamenti biologici (non adattamenti individuali) alle influenze culturali.

La capacità di evolvibilità, tuttavia, si permette molti tipi di opportunità che le specie si diffondano anche quando occupano lo stesso ambiente geografico ed ecologico (vedi: http://en.wikipedia.org/wiki/Sympatric_speciation ed un articolo su Scientific American, vol. 312, numero 4 su “La straordinaria evoluzione dei Ciclidi”.

Tutto questo mi porta ad aspettarmi (e sperare) che una qualche forma di ominide, specificamente derivata dal nostro attuale genoma, sopravviverà al quasi certo cambiamento nella devoluzione dovuta al declino dell'energia ed agli stress ambientali dovuti al cambiamento climatico e, col tempo necessario, produrrà una nuova specie di Homo, di fatto forse diverse nuove specie, nei prossimi milioni di anni. Tecnicamente, quindi, l'Homo Sapiens, per come capiamo ora la nostra specie, si estinguerà anche mentre nuove specie continueranno sotto le future condizioni di selezione che ci saranno.

Anche se è speculativo (cercare predire la natura è sempre uno sparo nel buio!), ho usato alcuni schemi evolutivi storici dell'emersione della cooperazione nella storia della vita (dalle origini della vita all'eusocializzazione fra gli esseri umani) per visualizzare alcune possibilità future. Vedete qui. Tutto questo è buono e bello e stimola a pensarci. Ma penso comunque che la preoccupazione immediata sia per le dinamiche del collasso. Il collasso può essere “gestito” in modo da minimizzare, in qualche modo concreto, la sofferenza che ne deriverà?

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(*) Le ragioni della popolarità del concetto di NTE (estinzione a breve termine) sono un tema affascinante in sé stesse. Una ragione potrebbe essere che molti di noi vengono realmente stanchi delle tante cose orribili che stiamo facendo a questo pianeta (e a noi stessi). Così tanto che l'estinzione umana non sembra così terribile, di fatto diventa quasi un sollievo. Ma l'estinzione a breve termine potrebbe essere vista come una forma estrema di BAU. Vale a dire, alcune persone sembrano incapaci di concepire che possa esserci vita per la razza umana in forme diverse da quella attuale. Alcune di queste persone si rifugiano nel BAU tecnologico, nella speranza che l'attuale società possa essere conservata per sempre per mezzo del progresso. Altri sembrano rendersi conto dell'impossibilità del sogno tecnologico e si rifugiano quindi nel nichilismo. E' un po' come i molti cittadini giapponesi che si sono suicidati dopo la resa del Giappone alla fine della seconda Guerra Mondiale. Non potevano concepire un mondo in cui il Giappone era stato sconfitto ed hanno deciso di lasciarlo. 

(**) Le considerazioni qui fatte sulla specie Homo Sapiens sono abbastanza a lungo termine da poter essere applicabili ad altre specie simili. Quindi se gli esseri umani si estinguono, la strada verso l'eusocialità potrebbe essere intrapresa da altri primati, come gli scimpanzé e i bonobo (i secondi potrebbero essere ben più avanzati di noi nelle tecnologie sociali). Anche qualche specie non-primate, le iene per esempio, sono molto avanzate in termini di organizzazione sociale. Poi, ci sono mammiferi che sono già eusociali. Le talpe nude possono conquistare il pianeta? Perché no? 



venerdì 13 giugno 2014

Futuro profondo: il destino finale della specie umana

Da “Resource crisis”. Traduzione di MR

di Ugo Bardi


Negli anni 50 sapevamo come sarebbe stato il futuro: un'era di prosperità e di miracoli senza precedenti. Energia troppo a buon mercato da poterla quatificare, macchine volanti, vacanze sulla Luna e la conquista dello spazio. Poi, gli eroi spaziali tornavano sulla Terra per rilassarsi sl bordo delle loro piscine mentre dei maggiordomi-robot portavano loro dei cocktail. Per la verità, il futuro di quel tempo aveva un lato oscuro: quello dell'olocausto nucleare. Ma era comunque un futuro in cui l'ingegno umano trionfava su tutto il resto.

Il futuro di oggi è completamente diverso. Il modo in cui vediamo il destino della specie umana è inestricabilmente collegato al grande “impulso” di combustione di carbonio che è andato avanti per un paio di secoli e che ora sta raggiungendo il suo picco. Il carbonio fossile ci ha portati dove ci troviamo ora, creando la prosperità della nostra civiltà industriale. Ma i combustibili fossili si stanno rapidamente esaurendo e questo crea numerose conseguenze. Una è l'impossibilità di mandare avanti una società industriale senza energia a buon mercato abbondante. L'altra è il riscaldamento globale che sta trasformando la Terra in un pianeta completamente nuovo. Questi effetti plasmeranno la specie umana del futuro in modi che non possono essere previsti con esattezza, ma che possiamo immaginarci sotto forma di “scenari” - futuri che potrebbero verificarsi. Quindi, ecco alcuni futuri possibili per la specie umana, messi in ordine dal meno attraente (estinzione a breve termine) a quelli più ottimistici, che comprendono l'espansione nell'intera galassia. 

1. Estinzione

L'estinzione è uno scenario semplice da descrivere: la specie umana si estingue e questo è quanto. La scala temporale dell'estinzione potrebbe essere nell'orine di millenni, secoli o, forse, solo decenni (nell'ultimo caso, potremmo definirla “Estinzione a Breve Termine”, un termine reso popolare da Guy McPherson). In ogni caso, l'estinzione sarebbe molto rapida in confronto al lasso temporale dell'esistenza del homo sapiens, cioè almeno 200.000 anni. 

L'estinzione è uno scenario del tutto possibile se ipotizziamo il dipanarsi di alcuni degli effetti più terribili dell'impatto umano sull'ecosfera, in particolare le emissioni di gas serra. Il grande “rutto del metano” che potrebbe risultare dalla fusione del Permafrost terrestre potrebbe aumentare le temperature fino a 6-8°C ed anche di più in tempi nell'ordine di pochi secoli o anche molto più rapidamente. In questa versione estrema, il riscaldamento globale potrebbe evolvere in una “catastrofe venusiana”, dove tutta la biosfera potrebbe essere sterilizzata da temperature estremamente alte. Per la verità, questo scenario sembra essere escluso dai risultati degli attuali modelli climatici, ma non abbiamo bisogno della catastrofe venusiana per squilibrare l'ecosistema ad un grado tale che le le risorse di cui gli esseri umani hanno bisogno per sopravvivere vengano distrutte. A quel punto, la conseguenza potrebbe essere solo una: l'estinzione. 

Questo è uno scenario che lascia poco da discutere sul destino della specie umana: Ma, ipotizzando che la biosfera non venga completamente distrutta, il pianeta potrebbe recuperare in seguito? Forse sì, ma non è detto. Oggigiorno, la Terra si trova pericolosamente vicina al margine interno della zona abitabile del Sistema Solare e viene spinta via da essa dal graduale aumento della radiazione solare. E' un processo molto lento per gli standard umani, ma si stima che i vertebrati non abbiamo che un periodo limitato, forse non più di 100-150 milioni di anni, di vita prima che la Terra diventi troppo calda perché possano sopravvivere. Un grande disastro come quello che stiamo contemplando in questo scenario potrebbe spazzare via la Terra dalla zona abitabile dai vertebrati. In questo caso, la biosfera terrestre potrebbe ritornare a un mondo di creature unicellulari come è stato durante gli eoni dell'Archeano o del Proterozoico. In tal caso, è possibile, e forse probabile, che i vertebrati non si ri-evolvano mai più e che il pianeta rimanga dominato da forme di vita unicellulari finché non viene sterilizzato da ulteriori aumenti della radiazione solare, fra circa un miliardo di anni da adesso

Ma ipotizziamo che l'ecosistema possa recuperare senza grandi perdite di phyla. In tempi nell'ordine delle centinaia di migliaia di anni, l'eccesso di CO2 nell'atmosfera verrebbe rimosso e trasformato in carbonati solidi. Ciò raffredderebbe lentamente il pianeta e l'ecosistema recupererebbe gradualmente la sua produttività precedente. A quel punto, i vertebrati potrebbero ritornare di nuovo abbondanti e la Terra si presenterebbe molto simile a com'era milioni di anni fa, quando gli antenati degli essri umani non sembravano destinati alla grande esplosione di numeri che sarebbe avvenuta con l'Antropocene. 

C'è una possibilità che la Terra faccia evolvere ancora specie di esseri senzienti? Non è impossibile. Se alcune specie di primati possono sopravvivere al grande impulso di carbonio, potrebbero sviluppare di nuovo la capacità di costruire strumenti e, col tempo, un'intelligenza di tipo umano. Ci vorrebbe del tempo, considerando che ci sono voluti quasi 50 milioni di anni per arrivare all'homo sapiens dai primati delle origini, ma sarebbe comunque possibile entro il tempo di vita della biosfera per i vertebrati. Se tutti i primati si estinguono, allora l'impresa diventa più difficile, considerando che ci sono voluti 400 milioni di anni perché apparissero i primati dopo l'evoluzione dei vertebrati. Ma, ancora una volta, non sarebbe impossibile e, comunque, forse gli esseri senzienti non hanno bisogno di essere primati. Così, potrebbe esserci una seconda possibilità (e probabilmente anche l'ultima) per le creature intelligenti di fare meglio di quanto abbiamo fatto noi. Buona fortuna a loro.

2. Lo scenario Olduvai.

Il “Ritorno a Olduvai” è stato proposto da Richard Duncan nel 1996 per descrivere l'effetto del graduale esaurimento dei combustibili fossili. Prende il nome da quello di una regione della Tanzania, in Africa, dove vivevano i nostri remoti antenati. L'idea è che, senza combustibili fossili, gli esseri umani perderebbero la loro fonte principale di energia e sarebbero costretti a tornare al loro stile di vita di sopravvivenza più antico: come cacciatori-raccoglitori. 

Lo scenario Olduvai potrebbe dipanarsi come risultato di una combinazione di fattori. Prima di tutto, i combustibili fossili diventerebbero gradualmente così costosi da rendere un'economia industriale impossibile. In parallelo, il riscaldamento globale aumenterebbe le temperature così tanto che le latitudini tropicali e temperate diventerebbero impossibili da abitare per tutto l'anno da parte degli esseri umani. A questo punto, gli esseri umani sarebbero costretti a ritirarsi nelle regioni del nord e del sud estremo, dove non è scontato che l'agricoltura sia possibile. Mentre ci allontaniamo dall'equatore, un forte fattore limitante è il basso livello di irraggiamento solare. Le colture possono crescere bene alle alte latitudini, ma il problema già evidente oggi in regioni come l'Islanda e la Groenlandia e che potrebbe rendere impossibile mantenere l'agricoltura per un tempo molto lungo.

Quindi, gli esseri umani che vivono alle latitudini alte potrebbero rendersi conto che la miglior strategia di sopravvivenza per loro è adottare uno stile di vita simile a quello dei moderni Inuit, anche se a temperature molto più alte. Vivrebbero principalmente pescando e cacciando mammiferi marini nella stagione calda – ritirandosi nei loro rifugi durante la lunga notte polare. Nell'emisfero settentrionale, questo stile di vita sarebbe possibile nell'anello di terra che circonda il Polo Nord, in parte dell'Eurasia e del continente americano. Nell'emisfero meridionale significherebbe il vertice del continente americano, la Terra del Fuoco e forse un'Antartide senza ghiaccio, dove gli esseri umani potrebbero vivere per la prima volta nella storia. 

Gli esseri umani moderni sono stati cacciatori e raccoglitori per almeno 200.000 anni. I loro antenati ominidi hanno usato questa strategia per un paio di milioni di anni, come minimo. Quindi, cacciare e raccogliere è un modo di vivere stabile e di successo che gli esseri umani potrebbero adottare per lungo tempo, tanto quanto l'ecosistema planetario sarebbe in grado di conservare il pianeta nelle condizioni degli ultimi 10 milioni di anni, più o meno. In questo caso, queste regioni ad alte latitudini probabilmente si ricongelerebbero e si ricoprirebbero di ghiaccio. Gli esseri umani potrebbero quindi tornare a latitudini minori. A questo punto, probabilmente riscoprirebbero l'agricoltura e ricomincerebbero una civiltà agricola, come avevano fatto decine o centinaia di migliaia di anni prima. Passiamo quindi allo scenario successivo: il ritorno all'agricoltura.

3. Il ritorno all'agricoltura. 

Supponete di finire i combustibili fossili facili, cioè, quelli abbastanza a buon mercato da poter sostenere una società industriale. E supponete che non abbiamo usato l'energia che avevamo – quando l'avevamo – per costruire un'alternativa. Quindi, saremo costretti a tornare al mondo com'era prima che cominciassimo a bruciare combustibili fossili: un'economia completamente basata sulle risorse biologiche, cioè sull'agricoltura. 

Questo è uno scenario lineare che non implica eventi speciali se non l'ipotesi che gli effetti del cambiamento climatico non sarebbero così drastici e rovinosi come alcuni scenari li descrivono. Non che la transizione non sarebbe traumatica per gli esseri umani. Il mondo senza combustibili fossili e senza alternative a questi non sarà in grado di sostenere, nemmeno lontanamente, la stessa popolazione che l'agricoltura alimentata dai combustibili fossili aveva sostenuto. E non è solo la mancanza di combustibili fossili che ridurrà la produttività agricola, è il fatto che secoli di agricoltura intensiva hanno distrutto una grande percentuale del suolo fertile che ha dato vita alla civiltà umana. Questo porterebbe necessariamente a una drastica riduzione della popolazione umana. In un tale scenario, “traumatico” è sicuramente riduttivo. Ma la specie umana sopravviverebbe. 

In questo futuro agricolo, difficilmente ci sarebbe la possibilità di una nuova rivoluzione industriale. I combustibili fossili che hanno creato quella attuale sarebbero finiti e ci vorrebbero milioni di anni perché si riformino, se ma lo faranno. I metalli sarebbero a loro volta scarsi, anche se i nostri discendenti contadini si troverebbero bene a passare al setaccio le rovine delle vecchie città in cerca di metalli. Avrebbero un sacco di ferro e rame e potrebbero perfino usare l'alluminio per le loro pentole fondendo le miriadi di lattine delle bibite che sono rimaste in giro. Ma il loro livello tecnologico sarebbe gravemente limitato dalla mancanza di combustibile: avrebbero solo legna e carbonella per la loro metallurgia. Quindi, i nostri discendenti potrebbero ancora lavorare il ferro e potrebbero ancora uccidersi fra loro con spade e lance (e, forse, anche con qualche sporadico moschetto e cannone). Ma non sappiamo di nessuna società del passato che abbia potuto sviluppare una rivoluzione industriale senza una fonte di energia abbondante e a buon mercato. 

Curiosamente, tuttavia, c'è una possibilità di una nuova esplosione dell'industrializzazione in questo futuro lontano. Sarebbe il risultato dell'estrazione mineraria in Antartide e, in misura minore, in Groenlandia ed altre regioni settentrionali ad alte latitudini. A causa della copertura di ghiaccio, finora queste regioni sono state scarsamente sfruttate per i minerali (o non lo sono state affatto, nel caso dell'Antartide). Ma il grande impulso di carbonio potrebbe scaldare il pianeta a sufficienza da fondere i ghiacciai del mondo completamente ed aprire queste terre all'estrazione mineraria. In questo caso, i nostri discendenti potrebbero avere una seconda (e probabilmente ultima) possibilità di sviluppare una nuova rivoluzione industriale basata sul carbone. Ciò riporterebbe tutto al punto di partenza: con una nuova società industriale minacciata dalla combinazione mortale di esaurimento e cambiamento climatico. I nostri discendenti sarebbero in grado di fare meglio di noi? Considerando che sono – di fatto – i nostri discendenti, probabilmente no. Quindi, questo secondo ciclo di industrializzazione potrebbe essere davvero l'ultimo sul pianeta. 

A parte il carbone dell'Antartide, i nostri discendenti potrebbero rimanere contadini per molto, molto tempo. Si dice che le società agricole del passato potevano essere descritte come “contadini governati da briganti”, ma questa è una semplificazione eccessiva per una struttura sociale integrata in cui di diversi strati eseguono compiti altamente specifici: contadini, guerrieri, preti, artigiani ed altro. Col tempo, le società agricole potrebbero evolvere convergendo nella struttura sociale tipica di altre specie che praticano l'agricoltura: principalmente formiche e termiti. Queste specie sono “eusociali” (o “ultrasociali”, secondo alcune definizioni) e praticano la specializzazione estrema, per esempio le “regine” che si occupano della riproduzione, mentre gli altri membri della società sono femmine sterili lavoratrici e guerrieri. La società umana agricola del futuro potrebbe diventare qualcosa di simile? Perché no? Almeno un'altra specie di mammiferi ha sviluppato una piena eusocialità (la talpa nuda). 

Le specie eusociali sono altamente resilienti e tendono a dominare l'ecosistema, come fanno le formiche e le termiti e lo hanno fatto con successo negli ultimi 50 milioni di anni. In linea di principio, gli esseri umani eusociali potrebbero anche mantenere il proprio dominio dell'ecosistema e continuare in questo ruolo per decine o centinaia di migliaia di milioni di anni, finché non scompariranno gradualmente in un lontano futuro quando la Terra diventa troppo calda perché i vertebrati sopravvivano. Se succede questo, sarebbero stati i vertebrati di maggior successo della storia della Terra, una specie che ha anche brevemente sognato di conquistare lo spazio.

4. La grande rivoluzione metabolica.

In più di 4 miliardi di anni di esistenza, la Terra non è mai stata ferma. Forze potenti l'hanno plasmata in una serie continua di rivoluzioni che hanno visto lo sviluppo forme di vita sempre più complesse, sempre più capaci di sfruttare il gradiente termodinamico creato dalla luce del Sole. Durante questo periodo, abbiamo assistito a diverse rivoluzioni metaboliche, due delle quali sono state le più importanti. La prima è stata la fotosintesi, circa 4 miliardi di anni fa. La seconda è stata il metabolismo aerobico, circa 2,5 mliardi  di anni fa. E' le seconda rivoluzione, alla fine, che ha generato i vertebrati e noi. 

Oggi, sembra che abbiamo raggiunto un impasse in questa crescita sempre in aumento di complessità biologica. Di fatto potremmo essere diretti nella direzione di un'inversione di tendenza creata da cambiamenti a lungo termine dell'ecosfera. Il termostato planetario che stabilizza la temperatura della Terra funziona regolando la concentrazione di CO2 nell'atmosfera. Ma con il graduale aumento della radiazione solare queste concentrazioni sono già prossime al limite minimo necessario per la fotosintesi. Quindi, l'attuale ecosistema si trova in una situazione senza uscita: a lungo termine, o verrà distrutto dalla mancanza di CO2 o dalle alte temperature. Quindi, perché un sistema complesso sopravviva, ci serve una rivoluzione metabolica davvero drastica. La fotosintesi organica ha raggiunto i suoi limiti: dobbiamo passare ad un tipo di substrato completamente diverso.

Cos'è la fotosintesi, dopotutto? E' un modo per trasformare l'energia solare in elettroni eccitati ed usarli per creare composti chimici che possono ridare indietro quell'energia a richiesta. L'efficienza della fotosintesi in questo processo è ritenuta arrivare a circa il 13% in condizioni ideali – in pratica è nell'ordine del 8%. Notata anche che le piante non funzionano come macchine fotosintetiche al di fuori di una gamma ridotta di temperature e senza nutrienti e sostanze chimiche che non sempre sono disponibili.

Così, se vogliamo un'altra rivoluzione metabolica ci serve qualcosa che sia più efficiente e meno esigente in termini di condizioni ambientali. Una possibilità è la cella fotovoltaica (FV). L'efficienza di una moderna cella FV al silicio può essere maggiore del 20% nel creare elettroni eccitati. Di per sé, le celle non immagazzinano energia, ma possono essere accoppiate con dispositivi di immagazzinamento ed usate per alimentare una varietà di processi e reazioni per una efficienza complessiva che è confrontabile (e probabilmente superiore) a quella della fotosintesi. Le celle FV al silicio funzionano usando elementi abbondanti: principalmente silicio ed alluminio, più tracce di azoto, boro e fosforo. L'attuale generazione usa anche argento, ma non è cruciale. Ma il grande vantaggio della “fotosintesi del silicio” è che le celle FV a stato solido non hanno bisogno di acqua o di ossigeno gassoso e possono funzionare a temperature bassissime o molto alte, fino a qualche centinaio di gradi centigradi. La “zona abitabile” per le celle FV non è un guscio stretto intorno al Sole: copre un volume enorma che comprende i grandi pianeti e probabilmente si estende anche più vicino e più lontano dal Sole. La quantità di energia solare che può essere raccolta in questo volume è incredibilmente più grande della piccola quantità intercettata dalla Terra. 

Naturalmente, i dispositivi FV a stato solido non vengono normalmente considerati una parte fotosintetica di un ecosistema. Godono del nome di “celle”, ma a differenza delle celle biologiche non si riproducono. Le celle FV delegano la loro riproduzione ad entità specializzate; fabbriche di celle, proprio come le formiche lavoratrici delegano la loro riproduzione ad entità specializzate: le formiche regine. Quindi, fa tutto parte di un nuovo ecosistema che sta emergendo, un ecosistema che comincia dall'inizio come eusociale. 

Sappiamo che i sistemi complessi diventano più complessi quanta più è l'energia che vi fluisce. Se l'ecosistema a stato solido risulta essere più efficiente di quello biologico, allora le prospettive sono da capogiro anche se limitiamo il nostro orizzonte alla superficie della Terra. Naturalmente, è difficile per noi immaginare le conseguenze di tale rivoluzione (pensate a quanto sarebbe difficile per un protista dell'era Proterozoica immaginare l'avvento dei vertebrati). Ciò che possiamo vedere è che un sistema del genere è nato interconnesso su scala planetaria. Il rapido sviluppo di Internet ci sta dando un assaggio di questa nuova situazione di interconnessione estesa. Dal nostro punto di vista di esseri umani, è una perdita spiacevole di privacy. Dall'altra parte, le formiche in un formicaio non sono molto interessate alla privacy. Si tratta, ancora una volta, di una delle caratteristiche dell'eusocialità: si pagano i vantaggi di efficienza con una perdita di individualità. Ma difficilmente possiamo dire più di così: se il nuovo sistema deve nascere, nascerà. Ciò che farà è impossibile da dire, ma può – teoricamente – espandersi a tutto il sistema solare e sopravvivere per tutto il tempo di vita che rimane al Sole, circa 5 miliardi di anni – e anche di più. 

In un certo senso, sarebbe il il trionfo finale degli esseri umani che avrebbero progettato la nascita di un nuovo ecosistema che abbraccia l'intero sistema solare e forse fino all'intera Galassia. E, se è così, saranno ricordati con gratitudine? (Notate, tuttavia, che non ci sentiamo particolarmente in debito verso i nostri antenati monocellulari). 

5. Dove stiamo andando, comunque?

Tutte le civiltà del passato sono declinate ed hanno collassato. Ma il collasso non è nient'altro che un cambiamento rapido e, finché il Sole splende, l'ecosistema ha almeno una possibilità di passare a livelli di complessità maggiori. Il futuro che possiamo vagamente intravedere oggi è ricco di possibilità. Miliardi di anni fa, Marte – e probabilmente anche Venere – hanno avuto una possibilità di sviluppare un'ecosfera organica. Ma in entrambi i casi il tempo disponibile è stato troppo breve e presto entrambi i pianeti hanno lasciato la zona abitabile e sono stati sterilizzati. La Terra ha avuto un tempo molto più lungo, miliardi di anni in più, per sviluppare l'ecosistema che conosciamo oggi. Ma la Terra non è mai stata ferma e non sta ferma: il cambiamento sta accelerando a velocità mai viste prima nella storia. Potremmo precipitare in un pianeta sterile o passare ad un nuovo sistema di incredibile complessità. Si tratta della sfida finale per la specie umana, una sfida che non possiamo evitare di affrontare.