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lunedì 7 luglio 2014

La transizione energetica sostenibile. Parte II: la necessità di riformare il sistema finanziario

Da “Resource crisis”. Traduzione di MR




Nella prima parte di questa serie, Sgouris Sgouridis ha evidenziato quanta dell'energia attualmente prodotta dovrebbe essere messa da parte secondo la "Strategia del seminatore” per ottenere una transizione dolce da un'economia basata sui combustibili fossili ad una rinnovabile. In questo post discute in che modo può essere ottenuta nella pratica questa transizione, tenendo conto delle caratteristiche del sistema finanziario e di come dovrebbe essere riformato in termini di un sistema di valuta basato sull'energia.


Guidare la Transizione Energetica (Parte 2)
Riportare il sistema finanziario alla realtà (fisica): un'ipotesi di valuta energetica

Di Sgouris Sgouridis (Parte 1)

Pagare i costi della Transizione Energetica Sostenibile (TES) introdotta nella prima parte è necessario, ma non sarà sufficiente a superare i significativi problemi di coordinamento coinvolti – su scala regionale o globale. Ci sono fattori multipli in gioco. La psicologia cognitiva ha ripetutamente mostrato la grave attualizzazione del futuro che mostra gran parte degli esseri umani (occidentalizzati). Come descritto da Mancur Olson, i processi regolatori chiave vengono catturati da gruppi di lobby e le elezioni vengono influenzate dagli interessi monetari attraverso il controllo dei media. Ciò rappresenta un'inerzie significativa nelle componenti abituali e sistemiche del comportamento quotidiano – anche se volessimo cambiare il nostro comportamento, ciò richiede uno spirito ribelle per andare contro norme radicate e senza la giusta infrastruttura alcune scelte potrebbero essere impossibili (per esempio la pedonabilità e il trasporto pubblico nei sobborghi statunitensi). Ma questi fattori sono un qualche modo un riflesso della realtà economica di base – un ostacolo di fondo sta nella sconnessione fra economia fisica e finanziaria.

L'attuale economia finanziaria è il risultato di un processo rinforzante nel quale la ricchezza sembra diventare sempre più astratta e con valori nominali che superano la capacità produttiva del pianeta. In larga misura, ciò è un altro artificio della nostra capacità di imbrigliare a nostra discrezione l'energia. Prima della rivoluzione industriale, le società tendevano a crescere a un ritmo molto più lento e quando entravano in periodi di “esuberanza irrazionale” e di eccessiva diffusione del debito, giubilei, rivoluzioni, migrazioni o guerre riuscivano a cancellare il debito. Questi ultimi 300 anni, però, hanno probabilmente visto la sola volta nella storia in cui la crescita economica continua ha permesso che gran parte dei debiti emessi fossero ripagati. Dovrebbe essere chiaro adesso, la capacità di espandere l'economia ad un tasso sufficiente a ripagare il debito (collettivamente) è reso possibile solo dalla capacità di espandere la fonte energetica per alimentare la crescita economica. Quando i combustibili fossili raggiungono il picco, rientriamo nelle dinamiche di un'economia di flussi ed sarà necessaria una strada alternativa alla finanziarizzazione.

Nella prima parte mi sono concentrato sui requisiti fisici per completare una TES. In questa seconda parte, rivisito il Principio V che ho descritto nella prima parte. Il principio dichiara “che l'impegno per il consumo futuro (per esempio l'emissione di debito) venga accoppiato alla, e limitato dalla, futura disponibilità di energia”. La questione è quale potrebbero essere le ripercussioni economiche della transizione e se è possibile evitare un collasso economico invalidante. Ancora più importante, come sarà possibile ottenere la continuità di investimento necessaria per completare una TES. Sulla base del quinto principio, possiamo vedere che in un'economia post picco la capacità di estendere il debito (che ci si aspetta che nel complesso potrebbe ragionevolmente essere ripagato) dipenderebbe dalla futura disponibilità di energia e dal tasso al quale l'uso di energia diventa più efficiente. E' possibile pertanto scrivere questa equazione per la nostra economia strettamente di Earthship del post picco come:


Questa equazione lega la quantità di nuovo debito che ci si può aspettare che una società emetta in rapporto all'investimento critico in energia rinnovabile (epsilon). Se il rapporto del debito rispetto a potenziale di riscaldamento globale rimane al di sotto di questo limite, ridurrebbe le possibilità di una crisi finanziaria e di una depressione economica in futuro, causate da un debito non pagato.

Mettendo insieme le implicazioni dei principi normativi della TES (vedi prima parte) e le loro equazioni risultanti, diventa chiaro che per far partire una transizione adeguata dobbiamo controllare sia il sistema finanziario sia aumentante rapidamente il rapporto di investimento in energia rinnovabile, Un'opzione ideale sfrutterebbe le due cose in una dinamica positivamente rinforzante. Rendendosi conto che il debito è, di gran lunga, il meccanismo predominante per l'aumento dell'offerta di soldi, esplorare l'idea di un sistema di valuta energetica diventa una deduzione logica. Sono molti gli aspetti che un sistema di valuta energetica può assumere e sono presentati in dettaglio nel mio recente articolo su Frontiers in Energy Policy. Ne distinguo due tipi fondamentali: un sistema di crediti energetici e uno di emissione del debito (e quindi di offerta monetaria), è in parte o interamente adattato sulla base dell'equazione energia/debito sopra.

Il primo tipo (e quello che probabilmente verrà attuato per primo) può essere dal basso. Valute locali e regionali complementari basate sull'energia possono essere introdotte in modo relativamente facile per sostenere le economie locali che hanno limiti energetici specifici. Come descritto anche in Sgouridis e Kennedy 2009, i crediti energetici vengono emessi in anticipo (analogamente al credito telefonico prepagato) in un modo nel quale rappresentano l'offerta energetica disponibile (o mirata) per il periodo di emissione. Mentre cittadini ed aziende consumano servizi energetici prelevano dalle loro porzioni. Per evitare l'accaparramento o il consumo anticipato forte e squilibrato, i crediti dovrebbero essere emessi ad intervalli ragionevolmente brevi (giornalieri/settimanali) ed scadere successivamente. Un mercato asimmetrico per quei crediti può sostenere sia questi obbiettivi sia adattare la domanda alla reale offerta energetica. Questo mercato opera permettendo agli utenti di vendere i loro crediti al mercato se trovano il prezzo spot interessante e sono disposti ad adattare il proprio consumo. Il prezzo spot viene generato con un algoritmo confrontando la reale curva energetica cumulativa alla curva cumulativa prevista e aumentando (diminuendo) il prezzo se la domanda reale supera (è più bassa di) quella prevista nel tentativo di correggere la divergenza. Una parte chiave del sistema è l'esistenza di future energetici (che potrebbero agire da investimenti fruttiferi in scadenza) quando un investitore decide di investire in un futuro di generazione di energia rinnovabile. I future energetici scadrebbero alla fine e fornirebbero come rendimento una certa quantità di crediti energetici regolari.

E' possibile che se emergono alcuni di questi sistemi di credito energetico i future potrebbero agire come sostituto più sicuro delle valute di corso forzoso che presentano un percorso dal basso verso un sistema di valuta energetica completo.

In alternativa, un percorso dall'alto per l'istituzionalizzazione della valuta energetica è a sua volta possibile se si materializza la volontà politica di controllare in modo efficace l'offerta monetaria – forse come risultato di una crisi in corso. In teoria, ci sono diversi modi per controllare l'emissione di debito da parte dei governi, ma nessuno che sia coerentemente efficace (anche in un'economia controllata come quella cinese), in quanto il debito emesso dalle banche tende ad essere di più (alimentando bolle) o di meno (strangolando l'economia produttiva) di quanto desiderato. Questo problema è stato notato nella Grande Depressione ed è stata fatta una proposta, conosciuta come il Piano di Chicago, da parte di un gruppo di economisti guidati da Irving Fisher. L'idea che il debito emesso dalle banche debba essere controllato e pienamente regolato se non utilizzano i risparmi di investimento (per esempio il consumo differito) sta riguadagnando terreno, condotto dall'economista del FMI Michael Kumhoff.

Però, la domanda su quanto debito estendere è ancora non chiara – quale dovrebbe essere il livello desiderato di debito che permetterebbe ad un'economia la giusta crescita? La mia tesi è che in una società post picco dei combustibili fossili, dovrebbe essere governato esattamente dall'equazione energia/debito. Se dovesse diventare così, il capitale finanziario improvvisamente avrebbe un caso chiaro per investire in generazione di energia rinnovabile, di modo che la quantità di credito estensibile disponibile aumenti (il solo modo di fare leva di capitale nei mercati finanziari in regime di Piano di Chicago). Dovrebbe essere abbastanza banale collegare alcuni termini preferenziali e dare priorità agli investitori attivi nei mercati dell'energia fisica perché abbiano accesso al debito per rendere questo un circolo virtuoso. Naturalmente, potrebbe essere possibile che il mercato energetico possa surriscaldarsi e superare i livelli desiderati di investimento, ma questo è ancora controllabile dall'autorità della banca centrale che potrebbe mettere dei limiti massimi.

Riassumendo, mentre gli obbiettivi di un bilancio del carbonio e i pericoli di un picco dell'energia fossile sono stati ripetutamente discussi, uno sguardi coerente e sistematico al sistema economico energetico ci ha permesso di collegare il tasso al quale dobbiamo investire energia nella costruzione di un'infrastruttura energetica rinnovabile coi requisiti e vincoli sociali, ambientali ed economici. E' chiaro che i vincoli di carbonio sono più stringenti dei tassi di esaurimento, ma in entrambi i casi un'accelerazione significativa della costruzione dell'infrastruttura di energia rinnovabile è necessaria se vogliamo evitare la trappola energetica. Il nostro sistema finanziario basato sul debitoagisce ancora come una maschera aggiuntiva dell'esaurimento dei combustibili facilmente accessibili e se lo manteniamo intatto in futuro, questo agirà da ostacolo agli sforzi per invertire il declino della disponibilità di energia. Un'anticipazione di come potrebbe agire la trappola si può vedere oggi nei paesi del sud dell'Europa. Una volta che il declino della disponibilità di energia non può essere mascherato dal debito, l'investimento in infrastrutture si congela e l'attenzione si sposta ad affrontare necessità più pressanti di sopravvivenza quotidiana. Un sistema di valuta energetica fornisce un'opzione degna di ulteriore approfondimento per negare questo circolo vizioso e accoppiare il sistema finanziario alle realtà di un'economia basata sui flussi di energia rinnovabile. Naturalmente, ci potrebbero essere altri fattori limitanti al di là della sfera energetica (per esempio l'inquinamento), ma questi dovrebbero comunque affrontare quello dell'energia.

La transizione energetica sostenibile: quanto costerà?

DaResource crisis”. Traduzione di MR


In un precedente post, ho usato il concetto di “strategia del seminatore” per proporre che il modo di risolvere il nostro dilemma dell'esaurimento e della distruzione climatica è quello di usare i combustibili fossili per sbarazzarci dei combustibili fossili. In altre parole, dobbiamo usare energia fossile – finché ce l'abbiamo – per sviluppare sostituti all'energia fossile. Ciò equivale alla vecchia strategia dei contadini di “tenere da parte le proprie sementi”. Ma quante sementi dobbiamo mettere da parte esattamente? In questo post, Sgouris Sgouridis fornisce una risposta. Risulta che per avere una transizione dolce e graduale all'energia rinnovabile prima che l'energia fossile diventi troppo costosa, dobbiamo intensificare gli investimenti in rinnovabili di un fattore 4-10 che dovrebbe essere raggiunto per mezzo di un aumento annuale dell'attuale investimento fra il 6% e il 9%. Alla fine, il tasso di investimento dovrebbe raggiungere delle quantità nell'ordine degli 1,5-2,5 trilioni di dollari per il 2045. E' un risultato stuzzicante, perché un 9% di aumento annuale è possibile: abbiamo fatto crescere le rinnovabili a tassi più rapidi fino ad ora. Ed anche una quantità totale di un paio di trilioni di dollari non è impossibile, considerando che l'attuale PIL mondiale è di circa 72 trilioni di dollari (in confronto anche agli 1,7 trilioni di dollari all'anno spesi per il sistema militare mondiale). Sfortunatamente, è del tutto possibile che l'azione della lobby dei combustibili fossili sarà capace di rallentare la crescita delle rinnovabili o persino di fermarla completamente. In questo caso, non saremo in grado di evitare un crollo significativo (e probabilmente disastroso) della quantità di energia disponibile in tutto il mondo, quando il declino inevitabile dell'energia fossile farà il suo corso. Ciononostante, ogni investimento in energia rinnovabile che possiamo fare ora, nel prossimo futuro aiuterà a rendere la transizione meno dura per tutti noi. 

Guidare la transizione energetica (parte 1): principi ed implicazioni

Di Sgouris Sgouridis (*)

Abstract: Seguendo la metafora del seminatore, vi presento una visione quantificata di quanta energia esattamente abbiamo bisogno di investire del nostro attuale paniere per essere in grado di navigare in sicurezza in una transizione energetica sostenibile. Ciò è nel contesto di una definizione formale di cinque principi per la transizione energetica. Attualmente investiamo circa lo 0,25% del nostro surplus di energia disponibile netta in capacità di generazione di energia rinnovabile (questo è il rapporto di investimento in energia rinnovabile - “epsilon”). Deve essere aumentato fino a circa il 3% (un ordine di grandezza) perché i nostri sistemi energetici siano in grado di fornire una società da 2000W pro capite su scala globale senza superare il bilancio del carbonio del IPCC (notate che la moderna vita occidentale consuma circa 8000W pro capite). Se permettiamo emissioni sfrenate, allora dobbiamo aumentare questo tasso ancora del 1,5%. 

L'energia è una condizione sine qua non per qualsiasi sistema auto-organizzato, eppure è rappresentata solo marginalmente in ciò che passa per essere una pianificazione a lungo termine delle nostre società. Siamo diventati dipendenti da carbonio fossile a buon mercato e energeticamente denso in modo critico, ma il suo prezzo e le esternalità climatiche sono andati aumentando mentre ci avviciniamo al picco di produzione. Ciò necessita una transizione a fonti energetiche rinnovabili. Questo post affronta i requisiti fisici e finanziari impliciti se questa Transizione Energetica Sostenibile (TES) deve avvenire come risultato di una trasformazione pianificata e senza soluzione di continuità, non forzata sulle nostre società. Più specificamente, nella prima parte presento cinque principi (i primi tre sono limitanti e gli ultimi due normativi) che possono essere usati come una guida per la transizione. Sulla base del quarto principio, dimostro la necessità di aumentare la quantità di investimento in risorse di energia rinnovabile globalmente di un ordine di grandezza per raggiungere una Transizione Energetica Sostenibile all'interno del bilancio del carbonio del IPCC. I dettagli degli assunti e la metodologia si possono trovare in Sgouridis & Csala 2014. Nella seconda parte, a partire dal quinto principio, presento un concetto di una valuta energetica che possa mobilitare risorse per raggiungere questo obbiettivo, allineando meglio il sistema monetario ai limiti della biosfera.

In genere è buono cominciare con una definizione per creare le basi comuni necessarie a comprendere e giudicare un'idea. In questo caso, definirò la TES come:

un processo controllato che porta ad una società tecnica ed avanzata per sostituire tutti i grandi input di energia primaria dei combustibili fossili con risorse rinnovabili sostenibili, mantenendo un livello di servizio energetico finale pro capite sufficiente. 

Come sono solite fare le definizioni, questa cerca di catturare molti concetti in modo sintetico. Ma le parole chiave sonocontrollata”, “tecnica”, “tutti” e “sufficiente”. Le idee espresse indicano che la transizione debba essere dolce e non associata a un drammatico sconvolgimento sociale (controllata). Dovrebbe permettere alla società perlomeno di mantenere le proprie capacità tecnologiche (tecnica) e a livello individuale di soddisfare una certa soglia di disponibilità di energia finale (sufficiente).

Sapendo che la transizione sarà completa quando praticamente tutti i combustibili fossili saranno sostituiti, possiamo tracciare l'evoluzione della transizione fino all'attuale situazione energetica. In questo esercizio, è istruttivo usare una prospettiva di metabolismo energetico concentrandoci sulla disponibilità netta di energia. In questo modo emerge un quadro trasparente e non ambiguo che toglie il velo che le economie hanno posto sulla pianificazione a lungo termine.

Perché questa transizione si di fatto “sostenibile”, dovremmo preoccuparci dei tre pilastri della sostenibilità (ambientale, sociale, economica). Estendendo le idee di Daly, proponiamo cinque principi che devono essere soddisfatti - de minimis – perché una TES abbia successo:

I. Che il tasso di emissioni inquinanti sia inferiore alla capacità di assimilazione dell'ecosistema.

II. Che la generazione di energia rinnovabile non superi la capacità di carico a lungo termine dell'ecosistema, né che lo comprometta irreparabilmente. 

III. Che la disponibilità energetica pro capite rimanga al di sopra del livello minimo richiesto per soddisfare i bisogni sociali in qualsiasi momento durante la TES e senza discontinuità distruttiva nel suo ritmo di cambiamento.  

IV. Che il tasso di investimento per l'installazione di generazione rinnovabile e il consumo di capitale sia sufficiente a creare una fornitura di energia rinnovabile a lungo termine  prima che le risorse non rinnovabili recuperabili in sicurezza siano esaurite. 

V. Che l'impegno per il consumo futuro (per esempio l'emissione di debito) venga accoppiato alla, e limitato dalla, futura disponibilità di energia.

Il primi due principi affrontano l'aspetto ambientale (né i fossili né le rinnovabili devono avere un impatto irreparabile sull'ambiente entro una generazione umana). Il terzo affronta l'aspetto sociale assicurando che (i) sia disponibile un livello minimo di energia e (ii) che il ritmo di cambiamento nella disponibilità di energia non sia troppo drastico da creare collassi dei sistemi di supporto sociali. Un corollario direttodi questo è che una società più equa affronta una TES più facile di una iniqua. Infine, gli ultimi due principi affrontano la sostenibilità economica (fisica e finanziaria). Il principio IV, una variante della regola di Hartwick in letteratura economica, garantisce che il tasso di investimento in energia rinnovabile sia sufficiente a compensare la riduzione della fornitura di combustibili fossili, mentre il principio V fa la connessione fra emissione di debito e disponibilità di energia per servire il debito in futuro (che è il tema della seconda parte).

Visti da una prospettiva normativa, i primi tre principi fungono da vincoli della funzione di transizione – il primo da un limite superiore nella quantità di energia fossile disponibile, il secondo mette un limite alla quantità di rinnovabili che possono essere istallate, il terzo fornisce un confine inferiore nella disponibilità di energia pro capite (e della sua prima derivata durante la transizione). Gli ultimi due però sono prescrittivi e perseguibili – offrono un approccio quantificabile per stimare il minimo di investimento energetico in energia rinnovabile e il debito massimo che può essere esteso per quel livello di investimento.

Concentrandosi sul lato fisico, possiamo essenzialmente creare un'equazione che colleghi il rapporto di investimento in energia rinnovabile (epsilon) alla disponibilità netta di energia per la società che può essere vista sotto (derivazione nel saggio e nel supplemento):


Questa equazione ricorsiva può essere risolta numericamente o analiticamente per stabilire la potenza netta disponibile secondo differenti ipotesi del valore di epsilon. Sotto fornisco, come punto di partenza della discussione, un confronto dell'evoluzione della disponibilità futura di energia secondo lo scenario che segue. Tipico delle transizioni energetiche (e per compensare i vincoli di discontinuità del principio III), ipotizziamo nel saggio che ci vogliano 30 anni per cambiare epsilon dal suo valore attuale di circa 0,25% (in realtà ipotizziamo lo 0,375% in questo modello) per “individuare” il valore e confrontare semplicemente la disponibilità di energia con la domanda di energia, assumendo che (a) la popolazione segua le previsioni a medio termine dell'ONU e si stabilizzi a 9 miliardi di persone per il 2050, (b) che la domanda pro capite di energia converga verso i 200oW e (c) che l'efficienza con cui convertiamo l'energia primaria in energia finale migliori del 25% (i dettagli sulle ipotesi che riguardano la popolazione sono descritti nel saggio di Sgouridis e Csala).


Friggere il pianeta
Energia disponibile senza nessuna limitazione di carbonio: ε = 0.375 %, minima ε = 1.5 %.
Sinistra: crollo per fonte. Destra: la linea rossa indica l'energia netta disponibile. La linea blu indica un minimo in cui dobbiamo trovarci 



Il 50% di possibilità di cuocere lentamente il pianeta
Energia disponibile con la limitazione massima di carbonio del IPCC: ε = 0.375 %, minima ε = 3.0 %.
Sinistra: crollo per fonte. Destra. La linea rossa indica l'energia netta disponibile. La linea blu  indica un minimo in cui dobbiamo trovarci

I risultati sono molto chiari: se permettiamo ai combustibili fossili di fare il loro corso friggendo il pianeta nel processo, dobbiamo comunque aumentare il nostro tasso di investimento in rinnovabili di quattro volte. Se decidiamo di salvare il clima e di aderire alle raccomandazioni del IPCC di non più di 3010 Gigatonnellate di CO2 antropogenico nell'atmosfera per il 2100 per avere il 50% di possibilità di rimanere al di sotto dei +2°C per la fine del secolo (che, apropos, é ancora l'equivalente morale di caricare un revolver con tre pallottole e giocare alla roulette russa coi nostri nipoti), ci serve un aumento di otto volte tanto il tasso di investimento in rinnovabili. Naturalmente, ci sono assunzioni chiave sensibili come l'EROEI delle rinnovabili (in questi scenari parte da 20 ed aumenta con le installazioni) – i lettori sono invitati a inserire i propri assunti nel nostro modello – tuttavia crediamo che le nostre scelte non siano ne prudenti né aggressive e intendiamo migliorare la risoluzione della simulazione disaggregando le tecnologie rinnovabili specifiche come abbiamo fatto coi combustibili fossili.



(*) Sgouris Sgouridis è professore associato all'Istituto Masdar di Scienza e Tecnologia (Emirati Arabi Uniti). I suoi interessi di ricerca sono concentrati nella comprensione delle transizioni all'energia sostenibile usando la modellazione di sistemi tecnico-sociali. Ha lavorato sul concetto di valuta energetica, su quello dell'adozione di veicoli elettrici, sull'aviazione sostenibile e sulle transizioni energetiche sostenibili locali e globali. Ha dato inizio allo sviluppo del Consorzio per la Ricerca della Bioenergia Sostenibile all'Istituto Masdar ed è stato un membro del comitato di revisione del Premio Energia Futura Zayed negli ultimi quattro anni. Ha un dottorato in Sistemi Ingegneristici (MIT-2007), un Master in Tecnologia e Politica e un Master in Trasporti (MIT-2005) ed una Laurea in Scienze (ad honorem) in Ingegneria Civile ed Ambientale (199-Università di Aristotle).  


mercoledì 18 giugno 2014

Michael Klare: cosa si fuma Big Energy?

DaTomdispach”. Traduzione di MR


 “La posizione dell'industria era che non ci sono “prove” che il tabacco facesse male ed hanno promosso quella posizione creando un “dibattito”, convincendo i mass media che i giornalisti responsabili avevano il dovere di presentare 'entrambe le parti' dello stesso”. Usando un pugno di scienziati come propri testimoni esperti, le grandi compagnie del tabacco hanno anche negato la scienza che collega fumo e cancro ed hanno dichiarato che le scoperte anti tabacco erano guidate da un piano politico. Usando marchi pubblicitari, gruppi di pensiero e quegli scienziati “obbiettivi” da loro pagati o asserviti, hanno messo i loro soldi dove si trovavano le loro bocche ed hanno finanziato una massiccia campagna di ciò che, col senno di poi, può essere chiamata solo disinformazione sugli effetti del fumare tabacco sulla salute umana. In questo senso, hanno creato il dubbio e il dibattito che volevano, posticipando con successo una resa dei conti dell'industria per anni.

Suona familiare oggi? Dovrebbe. Come hanno documentato Naomi Oreskes e Erik Conway nel loro classico Mercanti di dubbio, seminare il dubbio nella controversia delle sigarette si è rivelata una mossa brillante. I due autori la chiamano “la strategia del tabacco”. Ha avuto così successo per le compagnie del tabacco che sarebbe stata imitata e replicata in situazioni simili come la pioggia acida, il buco dell'ozono e alla fine il riscaldamento globale, un “dibattito” ancora in corso e, come chiariscono Oreskes e Conway, con lo stesso ridotto cast di scienziati dubbiosi, che si sono spostati per convenienza da un problema a quello successivo (senza fare un lavoro originale di proprio), finendo fra la fila dell'industria dei combustibili fossili. E' una storia di uomini che rappresentano intere industrie che sono ripetutamente finiti dalla parte sbagliata della scienza. Sugli effetti del tabacco, della pioggia acida e delle sostanze chimiche che distruggono lo strato di ozono, hanno notoriamente sbagliato eppure, per le industrie che li hanno sostenuti, avevano notoriamente ragione. E' sufficientemente chiaro come il quarto di questi “dibattiti” sul cambiamento climatico sarà deciso. La domanda è solo quando – e da questa domanda dipende la salute umana su scala globale.

Nel frattempo, 'Big Energy' non ha mai smesso di imparare dal successo di 'Big Tobacco'. Come rivela oggi l'editorialista abituale di TomDispatch Michael Klare, autore di La competizione per ciò che è rimasto, si stanno ancora una volta adattando e stanno sfruttando la strategia ultima dell'industria del tabacco in un modo nuovo e devastante. Non c'è storia più vergognosa e nessuno l'ha raccontata – finora. Tom.

Che mangino carbonio. In che modo Big Tobacco e Big Energy puntano sul mondo in via di sviluppo come futuro obbiettivo per fare profitti

Di Michael T. Klare

Negli anni 80, incontrando restrizioni normative e resistenza pubblica al fumo negli Stati Uniti, le grandi compagnie del tabacco hanno inventato una strategia particolarmente efficace per sostenere i propri livelli di profitto: vendere più sigarette nel mondo in via di sviluppo, dove la domanda era forte e le leggi anti tabacco deboli o inesistenti. Ora, le grandi compagnie energetiche stanno prendendo esempio da Big Tobacco. Mentre la preoccupazione per il cambiamento climatico comincia a ridurre la domanda di combustibili fossili negli Stati uniti e in Europa, stanno accelerando le proprie vendite ai paesi in via di sviluppo, dove la domanda è forte e le misure di controllo delle emissioni di carbonio climalteranti deboli o inesistenti. Questo produrrà un aumento colossale delle emissioni di carbonio climalteranti che non li preoccupa di più i quanto il balzo delle malattie legate al fumo avesse preoccupato le compagnie del tabacco.

Lo spostamento dell'industria del tabacco dai paesi ricchi e sviluppati ai paesi a salario medio-basso è stato ben documentato. “Con l'uso del tabacco che declina nei paesi più ricchi, le compagnie del tabacco stanno spendendo decine di miliardi di dollari all'anno in pubblicità, e sponsorizzazioni, gran parte delle quali per aumentare le vendite nei... paesi in via di sviluppo, “ ha osservato il New York Times in un editoriale del 2008. Per incrementare le loro vendite, marchi come Philip Morris International e British American Tobacco hanno anche portato il loro peso legale e finanziario a sostenere il blocco dell'attuazione dei regolamenti anti fumo in quei luoghi. “Stanno usando le cause per minacciare i paesi salario medio-basso”, ha detto al NYTimes il dottor Douglas Bettcher, capo della Iniziativa per la Liberazione dal Tabacco dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.

Le compagnie di combustibili fossili – produttori di petrolio, carbone e gas naturale – stanno espandendo le loro operazioni in modo analogo in paesi a reddito medio basso dove assicurare la crescita delle forniture energetiche è considerato più cruciale che non prevenire la catastrofe climatica. “C'è un chiaro passaggio a lungo termine della crescita energetica dai paesi OCSE [Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, il club delle nazioni ricche] a quelli non OCSE”, ha osservato il gigante petrolifero BP nel suo rapporto sulla Prospettiva Energetica per il 2014. “Virtualmente tutta (95%) la crescita prevista [del consumo di energia] è nei paesi non OCSE”, ha aggiunto, usando il nuovo termine garbato per ciò che veniva chiamato Terzo Mondo.

Come nel caso della vendita di sigarette, l'aumento della consegna di combustibili fossili ai paesi in via di sviluppo e doppiamente dannosa. Il loro essere presi di mira da Big Tobacco ha prodotto un forte aumento delle malattie collegate al fumo fra i poveri in luoghi in cui i sistemi sanitari sono particolarmente mal equipaggiati per chi si trova ad averne bisogno. “Se l'attuale tendenza continua”, ha riportato l'OMS nel 2011, “entro il 2030 il tabacco ucciderà più di 8 milioni di persone nel mondo all'anno, con l'80% di queste morti premature fra le persone che vivono in paesi dai redditi medio-bassi”. In un modo analogo, un aumento delle vendite di carbonio a tali nazioni aiuterà a produrre tempeste più forti e siccità più lunghe e devastanti in luoghi che sono meno preparati a resistere o ad affrontare i pericoli del cambiamento climatico.

La crescente enfasi dell'industria energetica sulle vendite a queste terre particolarmente vulnerabili è evidente nella pianificazione strategica di ExxonMobil, la più grande compagnia petrolifera privata. “Per il 2040, si prevede che la popolazione mondiale cresca approssimativamente fino a 8,8 miliardi di persone”, ha osservato la Exxon nel suo rapporto finanziario del 2013 agli azionisti. “Visto che le economie e le popolazioni crescono e gli standard di vita migliorano per miliardi di persone, la necessità di energia continuerà ad aumentare... Questo aumento della domanda è previsto essere concentrato nei paesi in via di sviluppo”.

Questa valutazione, ha spiegato l'AD della Exxon Tillerson, governerà i piani commerciali della compagnia negli anni a venire. “Il contesto economico globale continua a fornire una miscela di sfide e opportunità”, ha detto l'analista finanziario alla Borsa di New York nel marzo 2013. Mentre la domanda di energia nelle economie sviluppate “rimane relativamente piatta”, ha osservato, “la domanda di energia delle economie dei paesi non OCSE è attesa in crescita di circa il 65% per sostenere l'attesa prevista”.

A riconoscimento di questa tendenza, la Exxon ha intrapreso un'ampia varietà di iniziative intese ad aumentare le proprie capacità di vendita in Cina, Sudest Asiatico ed altre aree in rapido sviluppo. A Singapore, per esempio, la compagnia sta ampliando una raffineria ed un impianto petrolchimico che costituisce il suo “più grande sito integrato di produzione nel mondo”. La raffineria è stata modificata per produrre più gasolio, di modo da servire meglio le flotte di camion, autobus ed altri veicoli pesanti nella regione. Nel frattempo, l'impianto di lavorazione degli idrocarburi nell'impianto chimico è stato raddoppiato per soddisfare l'aumento della domanda di prodotti petrolchimici usati per fare plastiche ed altri beni di consumo, specialmente in Cina. (Ci si attende che la Cina da sola rappresenti oltre metà della crescita della domanda mondiale” di questi prodotti, ha osservato Tillerson lo scorso anno).

Per promuovere i propri prodotti in Cina, la Exxon ha stabilito una “alleanza strategica” con la China Petroleum and Chemical Corporation (Sinopec), uno dei giganti energetici cinesi di proprietà del governo. Un obbiettivo chiave dell'alleanza è la costruzione di una “raffineria integrata su scala mondiale e di un complesso petrolchimico” nella Cina orientale che, hanno osservato i funzionari Exxon, “diventerà un grande rivenditore di prodotti petrolchimici in tutta la Cina e di prodotti petroliferi nella provincia di Fujian. Una grande componente di questo sforzo congiunto, il progetto per la raffinazione e la produzione di etilene integrati di Fujian, è cominciato nel settembre 2009.

La Exxon sta anche espandendo le proprie capacità di fornire gas naturale liquefatto (GNL) all'Asia. In collaborazione con Qatar Petroleum, ha costruito il più grande impianto per l'esportazione di GNL del mondo a Ras Laffan in Qatar e sta costruendo un'enorme operazione di GNL in Papua Nuova Guinea. Questo progetto da 19 miliardi di dollari, diventato operativo da aprile, comprende un gasdotto di 430 miglia per consegnare gas dagli altipiani interni dell'isola ad un terminal di esportazione vicino a Port Moresby, la capitale. “Il progetto è ottimamente localizzato per servire i mercati asiati in crescita in cui la domanda di GNL è attesa in crescita di circa il 165% fra il 2010 e il 2025”, ha detto Neil W. Duffin, presidente dell'Azienda di Sviluppo della ExxonMobil.

La prossima cosa nel programma della compagnia è in piano per attingere dal gas naturale che viene estratto in quantità sempre maggiori dalle formazioni di scisto interne degli Stati Uniti attraverso l'idrofratturazione e convertirlo in GNL da esportare in Asia. Anche se vari politici americani hanno spinto l'esportazione strategica di tali forniture all'Europa per “salvare” quel continente dalla propria dipendenza dal gas russo, la Exxon ha altre idee. Vede l'Asia, dove i prezzi del gas sono più alti, come il mercato naturale del GNL – e si fotta la politica estera degli Stati Uniti. “Esportando gas naturale”, ha detto Tillerson alla Società Asiatica nel giugno 2013, “gli Stati Uniti potrebbero consolidare la sicurezza energetica degli alleati asiatici e dei partner commerciali e stimolare l'investimento della produzione interna americana”.

La missione “Umanitaria” di Big Energy

Promuovendo tali politiche, i dirigenti della Exxon sono attenti a riconoscere che le preoccupazioni crescenti sul cambiamento climatico stanno generando una maggiore resistenza al consumo dei combustibili fossili in Europa e in altre del Primo Mondo. Quando si tratta del resto del pianeta, tuttavia, tali preoccupazioni, sostengono, dovrebbero essere controbilanciata da un impulso “umanitario” a fornire energia fossile a buon mercato alla gente povera. Attingendo agli argomenti del rinnegato ambientale danese Bjørn Lomborg, autore de “L'ambientalista scettico”, sostengono che tendere ai bisogni dei poveri costituisce una priorità maggiore che non frenare il riscaldamento globale. “Dobbiamo anche riconoscere che c'è un imperativo umanitario nel soddisfare queste necessità globali crescenti”, ha tipicamente asserito Tillerson nel 2013.

Alla domanda se il riscaldamento globale non debba essere una preoccupazione più grande, l'AD di Exxon ha ripetuto a pappagallo la prospettiva anti-ambientalista di Lomberg. “Penso che ci siano molte più priorità stringenti con le quali... dobbiamo confrontarci”, ha detto Tillerson al Consiglio per le relazioni Estere nel giugno 2012. “Ci sono ancora centinaia di milioni, miliardi di persone che vivono in una povertà abietta nel mondo. Hanno bisogno di elettricità... Hanno biosgno di combustibile per cucinare il loro cibo che non sia sterco di animale... A loro piacerebbe bruciare combustibili fossili perché la loro qualità di vita aumenterebbe incommensurabilmente, la qualità della loro salute, la salute dei loro figli e il loro futuro aumenterebbero incommensurabilmente. Si salverebbero milioni e milioni di vite rendendo i combustibili fossili maggiormente disponibili a gran parte del mondo che non li ha”.

Anche se i leader della altre grandi ditte, comprese BP, Chevron e Royal Dutch Shell, sono meno dirette di Tillerson, stanno perseguendo una strategia di mercato analoga. “La crescita della domanda [di prodotti petroliferi] proviene esclusivamente da economie non OCSE in rapida crescita”, ha osservato la BP nel suo recente rapporto sulla prospettiva energetica globale. Cina, India e Medio Oriente costituiscono quasi tutto l'aumento globale”. Come ExxonMobil, BP e le altre duramente al lavoro per espandere la loro capacità di vendere combustibili fossili in questi mercati in crescita.

E non sono solo le compagnie di petrolio egas che perseguono questa strategia. Lo fa anche 'Big Coal'. Con la domanda di carbone in declino negli Stati uniti, grazie alla crescente disponibilità di gas naturale a basso costo generata dal fracking, le ditte di carbone stanno spedendo sempre di più della loro produzione in Asia, cosa che contribuirà significativamente ad incrementare lì le emissioni. Secondo la EIA del Dipartimento per l'Energia, le esportazioni di carbone statunitense verso la Cina sono aumentate da praticamente zero nel 2007 a 10 milioni di tonnellate nel 2012. Le esportazioni verso l'India sono aumentate da 1,5 milioni a 7 milioni di tonnellate e verso la Corea del Sud da praticamente niente a 9 milioni. Le esportazioni a questi paesi solamente è aumentata di più del 1000% in questi anni.

La EIA riassume la situazione così: “Le compagnie nelle zone chiave dell'approvvigionamento di carbone negli Stati Uniti – sia produttori sia ferrovie – hanno aumentato le vendite verso l'Asia a causa dell'aumento della domanda di carbone asiatica, forti prezzi di esportazione complessivi e minor consumo degli Stati Uniti di carbone per produrre energia elettrica”. Visto da un'altra prospettiva, le diminuite emissioni di carbonio dal carbone negli Stati Uniti – tanto propagandate dal presidente Obama nel suo abbracciare il gas naturale – non ha significato quando si tratta di cambiamento climatico, a causa dei gas serra prodotti quando tutto quel carbone viene consumato in Asia.

Per aumentare ancor di più le vendite, le grandi compagnie di carbone promuovono la costruzione di nuovi terminal di spedizione sulla costa occidentale, comprese le due in Oregon e le due nello stato di Washington. La più grande di queste, il Gateway Pacific Terminal vicino a Bellingham, Washington, gestirà fino a 48 milioni di tonnellate di carbone all'anno, gran parte del quale destinato alla Cina ed altri paesi asiatici.

Anche se i terminal vengono spesso promossi dai funzionari locali come fonti di nuovi lavori, innescano una dura opposizione da parte degli attivisti della comunità e dai Nativi Americani che le vedono come una grave minaccia all'ambiente. Dichiarando che la polvere di carbone, le perdite dai treni e gli impianti di carico danneggeranno i siti di pesca che ritengono vitali, membri della tribu Lumni citano diritti trattati da lungo tempo nei loro tentativi di bloccare il Terminal di Cherry Point, uno degli impianti pianificati nello stato di Washington.

Nel Pacifico nordoccidentale, l'opposizione ai terminal del carbone e alle linee ferroviarie che saranno così cruciali per il loro funzionamento – alcune delle quali attraverseranno riserve indiane e passeranno attraverso città dall'atteggiamento verde come Seattle – sta prendendo forza. Il processo è stato simile al modo in cui gli attivisti del clima si sono mobilitati contro l'oleodotto Keystone XL che, se costruito, è previsto che trasporti sabbie bituminose dense di carbonio dal Canada alla Costa del Golfo degli Stati Uniti. Ma le compagnie del carbone e i loro alleati stanno spingendo, insistendo che le loro esportazioni sono essenziali per la vitalità economica del paese. “A meno che i porti non vengano costruiti sulla costa occidentale”, ha detto Jason Hayes, un portavoce del Consiglio Americano del Carbone, i fornitori statunitensi non saranno visti come 'partner d'affari affidabili' in Asia.

Anche se l'opposizione della comunità e tribale potrebbe avere successo nel bloccare o ritardare un terminal o due, gran parte degli analisti che che, alla fine, diversi ne verranno costruiti. “Ci sono due miliardi di persone in Asia che hanno bisogno di più corrente, quindi alla fine nei mercati finirà più carbone statunitense “, dice Matt Preston, un analista della ditta di consulenza energetica di Wood Mackenzie.

Perpetuare l'era dei combustibili fossili

Alla fine, tutti questi tentativi di aumentare le vendite di combustibili fossili in Asia e in altre aree in via di sviluppo avrà un risultato inequivocabile: un forte aumento delle emissioni globali di carbonio, con gran parte della crescita nei paesi non OCSE. Secondo la EIA, fra il 2010 e il 2040 le missioni mondiali di carbonio provenienti dall'uso di energia – la fonte principale di gas serra - aumenteranno del 46%, da 31,2 miliardi di tonnellate a 45,5 miliardi di tonnellate. Poco di questo aumento verrà ufficialmente generato dai paesi più ricchi del pianeta, dove la domanda di energia è stagnante e vengono approvate regole più severe sulle emissioni di carbonio. Invece, quasi tutta la crescita del CO2 in atmosfera – il 94% - sarà lasciato al mondo in via di sviluppo, anche se una parte significativa di quelle emissioni proverrà dalla combustione di combustibili fossili statunitensi esportati.

Dal punto di vista di molti scienziati, un aumento delle emissioni di carbonio di questa scala porterà quasi sicuramente ad un aumento della temperatura globale di almeno 4°C e probabilmente di più per la fine del secolo. E' abbastanza da assicurare che i cambiamenti che stiamo già vedendo, comprese le gravi siccità, le tempeste più forti, gli incendi e l'aumento dei livelli del mare, saranno eclissati da pericoli esponenzialmente più grandi in futuro.

Condivideremo tutti il dolore di tali catastrofi indotte dal riscaldamento. Ma le persone nelle terre in via di sviluppo – specialmente le più povere fra loro – soffriranno di più, perché le società in cui vivono sono meno preparate ad affrontare gravi catastrofi. “I pericoli collegati al clima peggiorano altri fattori di stress [socioeconomico], spesso con conseguenze negative per i mezzi di sussistenza, specialmente per le persone che vivono in povertà”, ha osservato l'IPCC nella sua più recente valutazione di ciò che il riscaldamento globale significherà per il pianeta Terra. “I pericoli collegati al clima colpiscono le vite della persone povere direttamente, attraverso l'impatto sui mezzi di sussistenza, la riduzione dei rendimenti agricoli e la distruzione di case e indirettamente attraverso, per esempio, l'aumento dei prezzi del cibo e l'insicurezza alimentare”.

Di certo, le grandi compagnie di combustibili fossili hanno una responsabilità morale, se non anche una legale, per l'intensificazione del cambiamento climatico e la mancanza di una risposta seria ad esso. Oltre a questo, il loro pianificare con cura una strategia per vendere prodotti di carbonio a coloro che sono più a rischio può essere solo vista come completa immoralità. Proprio come i funzionari della sanità ora condannano l'enfasi di Big Tobacco sulla vendita di sigarette alle persone povere in paesi con un inadeguato sistema sanitario, così un giorno la nuova abitudine “di fumare” di Big Energy sarà ritenuta una enorme minaccia alla sopravvivenza umana.

Soprattutto, Big Energy sta assicurando che una piccola parentesi di buone notizie per quanto riguarda il cambiamento climatico – la contrazione dell'uso di carbone, petrolio e gas nel mondo sviluppato – si rivelerà insignificante. L'incentivo economico a vendere combustibili fossili ai paesi in via di sviluppo e innegabilmente forte. Il bisogno di maggiore energia nei paesi in via di sviluppo non è meno indiscutibile. Nel lungo periodo, il solo modo di soddisfare questi bisogni senza mettere in pericolo il nostro futuro globale sarebbe attraverso una spinta enorme ad espandere le opzioni di energia rinnovabile lì, non spingendo prodotti di carbonio nelle loro gole. Rex Tillerson e le sue coorti continueranno a dichiarare che stanno dando un servizio “umanitario” con la loro nuova strategia del “tabacco”. Invece, stanno di fatto perpetuando l'era dei combustibili fossili e contribuendo a creare una futura catastrofe umanitaria di dimensioni apocalittiche.

Michael T. Klare, una presenza regolare su TomDispatch, è un professore di studi di pace e sicurezza mondiale al Hampshire College ed è autore, più di recente, de “La competizione per ciò che è rimasto”. Un versione sotto forma di documentario del suo libro “Sangue e petrolio” è disponibile su the Media Education Foundation.