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lunedì 16 marzo 2015

Le Erinni: mitologia del collasso della civiltà.

di Jacopo Simonetta.

Se ci fidiamo di Georges Dumézil, una delle peculiarità delle civiltà indo-europee è organizzare i concetti  per triadi.   Secondo l’illustre studioso, fra le mitologie derivate dalla (presunta) mitologia arcaica comune, quella greca è quella più aperta agli influssi ed ai “prestiti” provenienti da altre culture e tradizioni.
   Questo la rende una fonte poco affidabile per chi studia la tradizione indio-europea arcaica, ma in cambio la rende una fonte inesauribile di ispirazione e conoscenza.

Fra le numerose “triadi” della tradizione ellenica, ve ne sono alcune decisamente rilevanti, soprattutto fra le divinità ingiustamente definite “minori” dai libri di scuola.   Ingiustamente perché molte di queste divinità detengono invece un potere più antico e profondo di quello degli stessi Dei olimpici.

Questa singolare predilezione per il numero tre potrebbe risultare semplicemente dalla tradizione, ma sono molti i casi in cui i fenomeni naturali si presentano ad un’analisi scientifica contemporaneamente unici e triplici.  

In un mio precedente post ho proposto un’analogia fra le Parche e le tre leggi della termodinamica (sensu Roddier 2012).Qui vorrei parlare di un’altra triade della mitologia greca: le Erinni.   Solitamente chiamate Eumenidi, o con altri appellativi, per evitare di pronunciarne il nome.
Come molte altre divinità, sono nel numero di tre, ma costituiscono un’unità inscindibile.   Ma a differenza delle Chere, delle Arpie o delle Gorgoni, le Erinni vengono evocate dal compimento di un delitto particolarmente efferato, in particolare l’uccisione di uno od entrambi i genitori
Chi è perseguitato da esse non ha scampo.   Tutto ciò che farà per migliorare la propria sorte gli si ritorcerà contro, tutto ciò che gli dava piacere gli darà dolore, tutto ciò che gli dava speranza si dimostrerà catastrofico.   Finché diventerà pazzo; sarà travolto da una furia autodistruttiva che lo condurrà ad una morte orribile.

Molta letteratura ha interpretato queste divinità in chiave psicologica, cioè come personificazioni del rimorso.   E’ una delle molte chiavi di lettura possibili; un’altra è cercare realtà fisiche dietro il simbolo. Può il mito delle Erinni aiutarci a capire quello che sta accadendo a tutti noi ora?   Ovviamente, è opinabile, ma propongo la seguente corrispondenza.

Aletto ("l'incessante").    Sappiamo, o dovremmo sapere, che la nostra civiltà e la nostra stessa vita dipendono dalla disponibilità di risorse.   Risorse che ci permettono di fare cose diverse a seconda della loro natura, qualità e quantità, al netto del lavoro e delle risorse che dobbiamo impiegare per estrarle dall’ecosistema e trasformarle in modo da poterle utilizzare.    E sappiamo, o dovremmo sapere, che cominciamo ad avere dei problemi seri con parecchie delle risorse principali e meno sostituibili come acqua, suolo, biodiversità, petrolio, ecc.

Tisifone ("la vendicatrice").   Tutto ciò che proviene da una qualche forma di fonte, finisce dopo l’uso in una qualche discarica.   Le discariche principali sono gli oceani e l’atmosfera, in cui si accumulano la maggior parte dei nostri rifiuti solidi, liquidi e gassosi.    Ma molte altre ce ne sono, in particolare i suoli e le acque dolci.    Da queste discariche, una parte dei materiali può essere recuperata sotto forma di risorse, generalmente previo un complicato e lungo giro attraverso quei cicli bio-geo-chimici che stiamo con successo facendo a pezzi.    Non solo, l’inquinamento danneggia le risorse ( si pensi alle acque) e dunque aggrava l’azione di Aletto.

Megera ("la maligna").   Ma la “tenaglia” che sta stritolando il nostro presente ed il nostro futuro non ha due sole ganasce, bensì tre.   Fra le fonti e le discariche, si trova l’intero nostro mondo fatto di processi produttivi, reti  di comunicazione, organizzazioni sociali, sistemi politici ecc.    Un mondo che sta cercando di mantenere il controllo della situazione mediante livelli crescenti di complessità.   Ma ad ogni incremento della complessità, aumentano i costi della medesima, non solo in termini monetari, ma anche di materiali, energia, spazio, ecc.   Chi  è minimamente pratico di ciò che sono oggi gli uffici di un normale comune, stenterebbe a credere come erano solo 30 anni addietro.   Per citare un solo, banale esempio.

Inoltre, incrementare la complessità richiede incrementare i consumi e dunque contribuisce sia ad impoverire le fonti, in particolare di energia, sia a saturare le discariche.  

Dunque esaurimento delle fonti (wells), saturazione delle discariche (sinks) ed aumento della complessità costituiscono un infernale girotondo al cui centro ci siamo noi.

Se un’analogia esiste fra le Erinni e la triplice tempesta che si sta scatenando sulle nostre teste, quale delitto può essere stato così terribile da evocarle?

Quando si parla di orrori, la nostra mente moderna corre immediatamente alle guerre ed alle infinite forme di  violenza con cui gli uomini tormentano se stessi.    Ma nella mitologia greca l’aver compiuto stragi e saccheggi non vale assolutamente ad evocare la calamità suprema impersonata dalla Erinni.   Per giungere a tanto è necessario che la violenza sia portata contro la propria stessa stirpe ed in particolare i genitori.   Possiamo considerare che, collettivamente, l’umanità si sia macchiata di un simile delitto?    Direi proprio di si, se consideriamo che la Biosfera è sicuramente la “famiglia” da cui l’umanità è nata e nel cui seno è finora vissuta.

In quest’ottica, la furia autodistruttiva che sta dilagando nel mondo appare essere esattamente il risultato della persecuzione erinnica.   Tutto ciò che facciamo ci si ritorce contro.   Tutto ciò in cui speriamo, si rivela una minaccia; Laddove cerchiamo piacere troviamo dolore.   Cerchiamo di aumentare la produttività e l’efficienza, per scoprire che così spingiamo la disoccupazione e la miseria.   Facciamo figli per perpetuare la nostra stirpe, ma questo non fa che accrescere la minaccia di catastrofe per la nostra specie.   Sviluppiamo tecnologie per ridurre gli effetti negativi della nostra economia, e li usiamo per accrescerli ulteriormente.    Speriamo che la crescita economica ci salvi dal collasso, ma è proprio questa crescita che spalanca la voragine sotto i nostri piedi.

Alla fine, molti sono travolti dalla folle idea che fare qualcosa di terribile può portarci fuori dalla trappola.   La furia autodistruttiva con cui gli integralisti islamici si accaniscono sul loro stesso patrimonio di civiltà e perseguitano la loro stessa gente mi pare appartenga a questa categoria.   Come vi appartengono la furia masochista dei rinascenti nazionalismi e la follia con cui il capitalismo agonizzante si avventa contro qualunque cosa potrebbe assicurare la vita degli uomini in un futuro oramai molto prossimo.

La potenza del mito risiede nella sua capacità di suggerire per via intuitiva concetti che sarebbero troppo difficili da analizzare.    I limiti dello sviluppo appartengono a questa categoria.   Anche i migliori gruppi di studio interdisciplinare, dotati dei più fantasmagorici strumenti di rilevazione ed analisi riescono ad analizzare solo una piccola parte di ciò che sta accadendo.

La fiducia nella mitologia dei nostri avi avrebbe potuto farci capire, molto più semplicemente, che devastare la propria casa e cercare di asservire o distruggere l’intera Biosfera erano un viatico sicuro per una bruttissima fine.   Abbiamo invece avuto fiducia in un altro mito, molto più moderno : quello del progresso che, al contrario, ci ha convinti del nostro buon diritto nel compiere le stesse azioni che le “antiche superstizioni” sconsigliavano.

Chi aveva ragione lo stiamo vedendo.   E se qualcuno non è ancora convinto, nessun problema: basterà aspettare ed osservare quel che succede.

lunedì 6 ottobre 2014

Le Moire.

Di Jacopo Simonetta


Come tutti i miti, anche quello delle Moire (o delle Parche, o delle Norne) è conosciuto in molte versioni.   In genere vengono descritte come entità divine,  di natura profondamente diversa dagli Dei Olimpici, le quali concedono ad ognuno il proprio Fato.

Cosa questo ha a che fare questo con noi oggi?   Molto, secondo me;  malgrado a scuola mi abbiamo insegnato che la mitologia altro non sarebbe che unarappresentazione favolosa di fenomeni  incomprensibili.    Al contrario, la tradizione gnostica ci assicura dell’importanza che l’immagine simbolica aveva nel pensiero classico.   “La verità non è venuta al mondo nuda, ma vestita di immagini e di simboli” (Vangelo di Filippo) è solo una delle tante citazioni possibili a questo proposito.  

Per millenni, si è ritenuto che pensiero intuitivo e pensiero analitico fossero procedimenti diversi e sinergici; e che i miti descrivessero per via intuitiva quelle stesse leggi della Natura che la scienza si sforza di dissuggellare grazie al pensiero analitico.   Oggi la maggior parte delle persone la pensa molto diversamente, ma personalmente, continuo a credere che gli scienziati trarrebbero molto vantaggio dallo studio della mitologia e, viceversa, che gli umanisti farebbero bene a  studiare le scienze naturali.

Facciamo un esempio:   I fisici cercano una “legge del tutto”.   Una legge, cioè, da cui possano essere derivate tutte le leggi fisiche, così come le leggi chimiche possono essere derivate da quelle della fisica; ma finora gli sfugge.   Hanno intuito che deve esistere, ma non sono ancora riusciti a capire come funziona.   Non è una ricerca nuova.   Gli studiosi ed i filosofi cercano questa legge da millenni ed hanno spesso trovato delle risposte, almeno parziali, basate su di un rigore logico che fa ancora scuola, ma soprattutto su di un costante allenamento al pensiero intuitivo e simbolico che noi abbiamo accantonato con la “rivoluzione scientifica”.

Di solito, dati di base diversi e metodi diversi danno risultati diversi.   Ma talvolta danno invece risultati comparabili e quando succede questo, a mio avviso, è un indizio molto forte che siamo sulla buona strada. Senza pretesa di completezza e precisione scientifica, vorrei quindi qui suggerire quello che, secondo me, è un possibile parallelismo fra le leggi fisiche e le tre guardiane del Fato.

1 –  Cloto fila la fibra di cui è fatta la vita.   Fin dall'antichità le trasformazioni dell’energia avevano attratto l’attenzione degli scienziati, ma fu Lavoisier nel XVIII° secolo ad enunciare il famoso principio “Nulla si crea, nulla si distrugge, ma tutto si trasforma”.  Lui si riferiva alla materia, ma Einstein ci ha insegnato che materia ed energia sono intercambiabili e la prima legge della termodinamica afferma appunto che l’energia si trasforma, ma non si crea, né si distrugge.   Dunque tutto inizia da qualcosa che non si può né creare né distruggere, ma che fluisce, come un filo dal fuso.

2 - Lakesi   raccoglie il filo in un gomitolo.   Il primo ad intuire che l’evoluzione tende a massimizzare il flusso di energia che attraversa gli organismi fu Lodka nel 1922 e Odum capì che questa tendenza evolutiva doveva dipendere da una legge termodinamica ancora sconosciuta  che battezzò “Principio di massimizzazione della potenza”; ma è stato François Roddier che, nel 2010, ha osato enunciare ufficialmente le terza legge della termodinamica  (peraltro non da tutti accettata).    Questa legge sancisce che ogni volta che esiste un flusso di energia, la materia si auto-organizza per sfruttarlo creando delle strutture dissipative che evolvono in modo da accumulare al proprio interno il massimo possibile di informazione, scaricando di conserva il massimo possibile di entropia.   Il motore universale dell’evoluzione, dalle galassie alle società umane, sarebbe quindi l’incoercibile tendenza a massimizzare lo sfruttamento dell’energia disponibile, sviluppando strutture vieppiù complesse.

3  - Atropo taglia il filo della vita.    La quantità di energia è sempre la stessa, ma non la sua qualità, né la sua distribuzione nello spazio.   L’energia infatti non si produce e non si consuma, ma fluisce e si degrada da forme maggiormente capaci di produrre strutture complesse a forme che lo sono sempre meno, fino a quando si raggiunge uno stato in cui non esistono più gradienti e flussi di sorta; tutte le strutture scompaiono.   Probabilmente è da questa irreversibilità del flusso entropico che deriva l’irreversibilità del tempo (Prigogine, La fine delle certezze  1997).   E’ la famigerata “morte termica” che angustiava Nietzsche; invano perché costantemente Atropo taglia il filo dell’energia degli uni, rendendola così disponibile per altri.   “La morte è l’artificio mediante il quale la Natura mantiene la vita”, diceva Goethe, profondo conoscitore della mitologia greca.   Detto in termini scientifici, l’universo conosciuto è un sistema aperto che, dunque, non tende all'equilibrio (Roddier, Thermodynamique de l’evolution  2012).

Una delle tante eredità che ci hanno lasciato gli antichi è sapere che nessuno può modificare il Fato una volta che sia stato maturato. Perfino gli Dei, al massimo, lo possono accelerare o ritardare, ma non modificare.  Eppure  il fato non è predestinazione perché se l’oggi è determinato dagli eventi del passato, l’oggi è anche il passato del futuro in gestazione; quindi, entro i limiti imposti dagli eventi pregressi, è possibile oggi agire in modo da modificare il corso degli eventi futuri.    In altri termini, il Fato presente non può essere cambiato, ma in una qualche misura può esserlo il Fato futuro; non dagli Dei, bensì dagli uomini che, contemporaneamente, lo creano e  lo subiscono.   Perfino nelle più fosche tragedie esistono dei momenti in cui l’eroe potrebbe compiere una scelta che cambierebbe il corso degli eventi, ma non lo fa.   Ad esempio, quando i troiani irrompono nel campo acheo, alcuni dei principi cercano di convincere Ettore ha trattare e permettere agli invasori di andarsene.   Ma Ettore, ebbro della sua vittoria, si ostina a voler bruciare le navi nemiche.   Vedendo i suoi amici senza speranza, Achille si impietosisce a permette a Patroclo di intervenire, ricacciando i troiani fino alle porte della loro città.    Achille aveva dato preciso ordine al suo luogotenente di non attaccare le mura, ma questi, ebbro della sua vittoria, da l’assalto alla città e viene ucciso.    Come è andata a finire si sa, ma è importante notare che la predizione di Cassandra si avvera solo perché nessuno degli eroi della vicenda riesce ad uscire dalla logica che lo ha condotto nella situazione in cui si trova.    Per dirla con le famose parole di Einstein, nessuno  dei protagonisti riesce ad applicare ad un problema un modo di pensare diverso da quello che ha usato per crearlo.   Sia Ettore che Patroclo hanno l’occasione di fermare la guerra, ma preferiscono distruggere il nemico, provocando l’uno da distruzione di Troia e l’altro la morte del più caro amico.   In altre parole, non è una maligna volontà aliena che condanna gli uomini all'infelicità, ma lo loro ostinata  natura.

Coloro che già seguivano questo blog quando si chiamava “Effetto Cassandra” avranno immediatamente chiara l’analogia con quanto sta accadendo alla nostra civiltà; ennesima dimostrazione del valore di un mito che è indipendente dal tempo e dallo spazio perché radicato nella natura stessa dell’uomo e delle cose.

Tornando alla termodinamica, se la natura intrinseca delle strutture dissipative è la tendenza ad auto-organizzarsi per  produrre il massimo possibile di entropia, è evidente che solo fattori limitanti esterni, in particolare la carenza di energia utilizzabile (cibo, combustibili, ecc.) possono impedire ad un sistema di degradare il proprio ambiente e le proprie risorse fino all'auto-distruzione.     Teoricamente, sarebbe possibile scegliere di razionare il filo di Cloto e farselo durare a tempo indeterminato, ma questo presupporrebbe la capacità di opporsi con la forza della volontà e del pensiero ad una pulsione ben più che atavica: una pulsione intrinseca alla natura stessa della materia di cui siamo fatti.

Qualcuno lo ha fatto o lo sta facendo, ma non si può sperare che questo diventi un modo di pensare e di sentire abbastanza diffuso da cambiare il fato della nostra specie.   Come Ettore e Patrolco, finché potremo sperare di trionfare non fermeremo l’avanzata. Quando vedremo la nostra città in fiamme ed i nostri amici morire vorremmo averlo fatto, ma sarà tardi. Atropo avrà già tagliato il filo di Troia e di Achille, mentre Cloto avrà già cominciato a filare per Roma.   Dipenderà quindi dal coraggio e dalla capacità di Enea avviare un nuovo ciclo che, dopo una conveniente dose di sofferenze, di vittorie e di gloria, finirà alla stessa maniera per mano, stavolta, di Alarico.