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venerdì 30 giugno 2023

I Prossimi Cento Anni: una Storia in tre Scenari

Guardando indietro a come si vedeva il futuro mezzo secolo fa, è sorprendente vedere come le cose siano cambiate. Quando la conquista dello spazio sembrava essere la via ovvia per il futuro, nessuno avrebbe immaginato che, oggi, si sarebbe discusso delle probabilità di sopravvivenza dell'umanità, e che molti di noi l'avrebbero giudicata basse. 

Eppure, anche se il futuro rimane oscuro, segue ancora le leggi dell'universo. E una di queste leggi è che le civiltà esistono perché hanno una scorta di energia. Nessuna energia, nessuna civiltà. Quindi, l'elemento chiave del futuro è l'energia; l'idea che fosse economica e abbondante fece nascere negli anni '50 il sogno della conquista dello spazio. Oggi, l'idea che non sarà né l'una né l'altra cosa fa sorgere prospettive di sventura. 

Quindi, permettetemi di provare una semplice "analisi di scenario" di ciò che potrebbe accadere in futuro nel prossimo secolo o giù di lì in termini di scelte che determineranno l'infrastruttura energetica che potrebbe supportare una civiltà complessa (se ce ne sarà una che sopravviverà). Siamo in un momento di transizione e le scelte che verranno fatte nei prossimi anni (non decenni) determineranno il futuro dell'umanità. 

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Scenario #0: crollo . Lo chiamo "non scenario" nel senso che presuppone che non si faccia nulla o, comunque, troppo poco e troppo tardi. In questo caso le persone rimangono bloccate nei loro vecchi paradigmi, le risorse che tenevano in vita la società non vengono sostituite e diventa impossibile mantenere un grado di complessità paragonabile a quello attuale. Nel giro di qualche decennio, gli esseri umani torneranno a un'economia che potremmo descrivere come "medievale", se siamo fortunati. Ma potremmo anche tornare al livello di cacciatori e raccoglitori o addirittura, semplicemente, estinguerci. Personalmente, vedo questo scenario come il più probabile, ma non un esito obbligato della situazione attuale.

Scenario n. 1: attaccarsi ai combustibili fossili . Qui si ripetono gli eventi che hanno portato ad arginare il declino della produzione petrolifera nei primi due decenni del XX secolo. È stato fatto riversando grandi quantità di risorse nel "fracking" dei depositi di tight oil (petrolio di scisto). Ha prodotto una risurrezione temporanea dell'industria petrolifera negli Stati Uniti, portando la produzione a livelli mai visti prima, anche se con enormi costi economici e ambientali. La stessa politica potrebbe essere continuata con sforzi rinnovati, per esempio, sfruttando depositi di tight oil al di fuori degli Stati Uniti, sabbie bituminose, o magari ricavando combustibili sintetici dal carbone. Ciò potrebbe mantenere la produzione di combustibili fossili a livelli simili a quelli attuali. Permetterebbe di mantenere in vita gli apparati militari dei principali stati, e almeno alcune delle attuali organizzazioni e strutture sociali. Ma il costo sarebbe enorme, e implicherebbe ridurre alla fame la maggior parte della popolazione mondiale, oltre a danni inimmaginabili all'ecosistema. Questa strategia potrebbe mantenere una parvenza dell'attuale civiltà in corso per alcuni decenni, poco più della fine del secolo. Poi, siamo allo scenario zero.

Scenario n. 2: passaggio al nucleareSostenere una società complessa sull'energia nucleare può essere forse possibile, ma è complicato da diversi fattori. Tra questi ci sono le limitate risorse di uranio, la necessità di risorse minerali rare per gli impianti ei problemi strategici coinvolti nella diffusione delle tecnologie nucleari e della conoscenza della lavorazione dell'uranio in tutto il mondo. A causa delle quantità limitate di uranio minerale, è ben noto che la tecnologia esistente dei reattori ad acqua leggera non sarebbe in grado di soddisfare l'attuale domanda globale di energia per più di qualche decennio, nel migliore dei casi per un secolo circa. Quindi il risultato sarebbe di nuovo lo scenario n. 0. La fornitura di carburante potrebbe essere notevolmente aumentata passando all'impegnativo compito di "creare" nuovi combustibili dal torio o dall'uranio non fissile. Se ciò fosse possibile, una civiltà complessa potrebbe continuare ad esistere per diversi secoli, o anche di più. In tutti i casi, una guerra che prendesse di mira le centrali nucleari manderebbe rapidamente una civiltà nucleare allo scenario zero.

Scenario #3: L'Era Solare . In questo caso si assiste alla continuazione del trend in atto che vede in rapida espansione le tecnologie per le energie rinnovabili, principalmente solare fotovoltaico ed eolico. Se questa espansione continua, può rendere obsoleti sia i combustibili fossili che l'energia nucleare. Le tecnologie rinnovabili hanno un buon ritorno energetico sugli investimenti energetici (EROEI) e scarso fabbisogno di minerali rari. Le rinnovabili non sono un problema strategico, non hanno un interesse militare diretto e possono essere utilizzate ovunque. Gli impianti possono essere riciclati e ci si aspetta che siano in grado di supportare una società complessa; anche se in una forma che, oggi, possiamo solo a malapena immaginare. Un'infrastruttura basata sull'energia solare è anche naturalmente costretta a raggiungere un certo grado di stabilità a causa del limitato flusso di energia solare disponibile. Quindi, una civiltà basata sul sole potrebbe raggiungere uno stato stabile che potrebbe durare almeno quanto hanno fatto le società agricole in passato, migliaia di anni o anche di più.

Scenari combinati #1, #2, #3: feudalizzazione.I tre scenari di cui sopra si basano sull'idea che la civiltà umana rimanga ragionevolmente "globale". In questo caso, la competizione tra diverse tecnologie si giocherebbe su scala globale e determinerebbe un vincitore che conquisterebbe l'intero mercato dell'energia. Ma non è necessariamente così se i sistemi economici del mondo si separano in sezioni indipendenti, come sembra stia accadendo in questo momento. In questo caso, alcune regioni potrebbero adottare strategie diverse, fossili, nucleare o rinnovabili, mentre altre verrebbero semplicemente tagliate fuori dal sistema di approvvigionamento energetico e andrebbero direttamente allo "Scenario zero". Con una minore domanda di energia, i problemi di esaurimento del nucleare e dei fossili sarebbero notevolmente alleviati, anche se, ovviamente, solo per una popolazione limitata. Si noti inoltre che queste regioni quasi indipendenti possono essere descritte come "feudali, 

I prossimi decenni decideranno quale direzione prenderà l'umanità. Nessuno ha le mani sul volante che muove l'oggetto gigantesco che chiamiamo "civiltà" e stiamo assistendo a sforzi per spingerla in uno dei tre scenari di cui sopra (alcune persone sembrano persino spingere attivamente per lo scenario n. 0, un'espressione di ciò che Sigmund Freud chiamava "istinto di morte"). 

Il problema, qui, è che il sistema di governance occidentale si è evoluto in modo tale che nessuna decisione può essere presa a meno che alcuni gruppi o settori della società non vengano demonizzati, e quindi si crei una narrazione che implichi la lotta contro un nemico comune. In altre parole, nessuna decisione può essere presa sulla base del bene comune, ma solo come risultato del confronto delle lobby impegnate a sostenere le diverse opzioni. (*)

Abbiamo visto operare il meccanismo decisionale basato sulla demonizzazione negli ultimi decenni. È una procedura ben affinata, e ci si può aspettare che venga applicata anche all'allocazione delle risorse per nuove strategie energetiche. Abbiamo già visto demonizzare una tecnologia energetica; è stato il caso dell'energia nucleare negli anni '70, bersaglio di una fortunata campagna propagandistica che l'ha presentata come nemica dell'umanità. Oggi le rinnovabili e tutto ciò che è "verde" potrebbero presto essere vittime di una nuova campagna di demonizzazione volta a promuovere l'energia nucleare. Lo stiamo vedendo nelle sue fasi iniziali ( vedi questo articolo di George Monbiot ), ma sta chiaramente crescendo e sta avendo un certo successo.

Nulla è ancora deciso, ma la scritta è sulle pale delle pale eoliche. La propaganda governa il mondo e continuerà a governarlo finché le persone si innamoreranno di essa. 


(*) Simon Sheridan fornisce un'interessante discussione sui meccanismi decisionali interni della società moderna, definiti "esoterici" nel senso di essere nascosti, a differenza dell'"exoterico", ad esempio il meccanismo decisionale pubblico, che è solo un riflesso del processo esoterico . 

(**) Per scenari molto più a lungo termine, vedi il mio post: " I prossimi dieci miliardi di anni " 

mercoledì 17 maggio 2023

Ha fatto bene la Germania a chiudere le centrali nucleari?







Dal "Fatto Quotidiano" 8 Maggio 2023

E così, ci siamo arrivati. Sia pure con quattro mesi di ritardo rispetto al previsto, la Germania ha chiuso le sue ultime tre centrali nucleari il mese scorso. La notizia ha generato critiche un po’ da tutte le parti. Un certo settore del movimento ambientalista (incluso Greta Thunberg) ha sostenuto che le centrali non dovevano essere spente perché questo causerà un aumento della produzione di carbone e si è parlato con orrore della necessità di “aprire nuove miniere di lignite”. I nuclearisti, sia italiani che tedeschi, hanno lanciato urla di orrore, parlando di errore strategico irrimediabile.

In realtà, la chiusura delle centrali non era una decisione affrettata. Era inevitabile. Erano antiquate e obsolete e tenerle in funzione avrebbe richiesto pesanti costi di manutenzione; era meglio mettere quei soldi in nuovi impianti rinnovabili che rendono di più per la stessa spesa. Per non parlare dei problemi di sicurezza inerenti a tenere in vita centrali progettate negli anni 1970. C’era poi anche un problema strategico non da poco. La Germania non produce uranio sul suo territorio, e neppure ha impianti di arricchimento dell’uranio. Sembra (ma i dati non sono chiari) che finora la Germania abbia importato uranio arricchito principalmente dalla Russia e, chiaramente, non era il caso di trovarsi di nuovo a rischio di ricatto come con il gas naturale, anche quello importato dalla Russia.

In ogni caso, le ultime tre centrali producevano solo il 6% dei consumi della Germania e la loro chiusura viene compensata dall’efficientamento dei consumi e da nuovi impianti rinnovabili. Le emissioni di gas serra in Germania sono in discesa continua dal 1990, e non c’è nessuna evidenza di una ripresa della produzione di carbone.

Così, quello che stiamo vedendo non è altro che è il risultato di un programma di transizione verso l’energia rinnovabile, detto “EnergieWende” in tedesco. E’ un idea che è in giro dagli anni 1990, ma che sta diventando una realtà, non più soltanto uno slogan. Il piano è di dimezzare (come minimo) le emissioni di gas serra in Germania entro il 2030, per poi portarle a zero entro il 2050. I tedeschi hanno i loro difetti, come tutti, ma non sono noti per non saper pianificare le cose a lunga scadenza. Visto lo sviluppo rapido, addirittura esplosivo, delle rinnovabili negli ultimi anni, l’obbiettivo di emissioni zero entro il 2050 è non solo raggiungibile, ma addirittura conservativo.

Paesi come la Svizzera, il Belgio, la Spagna e la Svezia, stanno seguendo l’esempio della Germania e hanno pianificato la chiusura delle loro centrali nei prossimi anni. Rimane la Francia, il paese più “nuclearizzato” d’Europa, ma anche loro stanno cercando di ridurre la loro dipendenza da un parco di reattori obsoleti. Altri paesi europei stanno producendo nuovi reattori o considerando la possibilità di costruirli; ma nel complesso il ciclo dell’energia nucleare in Europa Occidentale si avvia verso la sua conclusione entro un paio di decenni.

Per quanto riguarda l’Italia, le prospettive dell’energia nucleare non sono buone. L’Italia non ha risorse minerali di uranio e ha abbandonato la tecnologia nucleare da un pezzo. Se volessimo ripartire, come alcuni propongono, dovremmo ricominciare da zero, importando materiali, conoscenza, e combustibile dall’estero a dei costi insostenibili. E i risultati non arriverebbero prima di un decennio, come minimo.

L’International Atomic Energy Agency, parla di 7-10 anni necessari per costruire nuovi impianti in paesi che hanno ancora una filiera di produzione, ma almeno 15-20 anni per quelli che non ce l’hanno, come l’Italia. Senza poi nessuna garanzia che quando gli impianti saranno in grado di produrre qualcuno ci darebbe il combustibile necessario per farli funzionare. Insomma, un certo ciclo è finito, mettiamoci il cuore in pace.

Possiamo pensare a nuove tecnologie nucleari che cambierebbero le carte in tavola? Forse sì, ma bisogna parlare di cose serie, non di annunci mirabolanti sui media senza prove che dietro ci sia qualcosa di funzionante. E quindi, vista la situazione, teniamo i piedi per terra e andiamo avanti con la transizione energetica più adatta per il “paese del sole”. Forza con le rinnovabili.

sabato 29 aprile 2023

Nucleare? Che idea Balzana!




Perché il nucleare pulito è una chimera
da "Il Manifesto" del 28 Aprile 2023

ENERGIA. Mentre la Germania spegneva le sue centrali atomiche, l’Italia ha partecipato da
«osservatore» a un meeting dei paesi nuclearisti

Gruppo di ricerca Energia per l'Italia (coordinato dal prof. Vincenzo Balzani)


Il 15 aprile la Germania ha spento i suoi ultimi tre reattori nucleari ancora in funzione (Isar 2, Emsland e Neckarwestheim), con quattro mesi di ritardo rispetto alla scadenza originaria. Lo stop è giunto a conclusione di un percorso che ha portato la Germania ad abbandonare l’opzione nucleare fin dopo il grave incidente di Fukushima e a privilegiare la produzione elettrica da fonti rinnovabili: nel primo trimestre del 2023, queste hanno infatti coperto il 51% del fabbisogno di energia elettrica contro un risicato 4% del nucleare. L’obiettivo al 2030 è ancora più ambizioso: ottenere un mix energetico composto per l’80% da rinnovabili.

A Parigi, pochi giorni prima, l’Italia invece si univa, in qualità di osservatore, assieme a Belgio e Olanda, ai paesi appartenenti all’Alleanza Nucleare, che concordavano «sulla necessità di un quadro industriale e finanziario favorevole per i progetti nucleari», sottolineando l’importanza dei piccoli reattori modulari che, come scritto nel comunicato finale, «possono contribuire, insieme alle grandi centrali nucleari, al raggiungimento degli obiettivi climatici dell’Ue e alla sicurezza energetica, sviluppando competenze e indipendenza tecnologica».

Secondo fonti governative, l’Italia non avrebbe sottoscritto alcun documento, ma l’aver partecipato alla riunione resta pur sempre un fatto politicamente significativo e coerente con quanto dichiarato dalla Presidente Meloni al termine del Consiglio Europeo del 24 marzo.

L’ITALIA SI AGGANCIA AL TRENO del cosiddetto nucleare pulito e sicuro, seguendo il miraggio della produzione di energia elettrica da fusione nucleare. Tanto ottimismo appare fuori luogo: produrre energia dalla fusione nucleare è tutt’altro che facile.Realizzare il processo di fusione nucleare è stato paragonato a mettere il sole in bottiglia, sicuramente una frase d’effetto, capace di colpire la 
fantasia del pubblico, che però nasconde cosa in realtà ciò significhi. Allora, vale la pena confrontare quello che davvero avviene nel nucleo del sole a 150 milioni di km da noi rispetto a quanto possiamo disporre noi sulla piccola Terra che gli ruota attorno. All’interno della nostra stella c’è un plasma di protoni che, a quattro per volta, grazie a temperatura e pressioni elevatissime (16 milioni di gradi centigradi e 500 miliardi di atmosfere) fondono per dare un nucleo di elio, con un difetto di massa di 0,007, che si traduce in un’enorme quantità di energia secondo la famosa formula di Einstein E = mc2.

Poiché queste estreme condizioni non possono essere riprodotte, nei laboratori terrestri più avanzati si cerca di ovviare all’impossibile replicabilità del processo di fusione solare, imitandone solo il principio. Si ricorre, infatti, ai nuclei di due isotopi dell’idrogeno – il deuterio e il trizio – che, però, non hanno alcuna voglia di fondersi perché, essendo entrambi carichi positivamente, si respingono violentemente. Tuttavia, se si riesce in qualche modo a portarli a contatto, entra in gioco una forza nucleare attrattiva che agisce solo a cortissimo raggio, ma che è molto più intensa della repulsione elettromagnetica: i due nuclei fondono con la formazione di un nucleo di elio (He), l’espulsione di un neutrone e l’emissione di una grandissima quantità di energia che si manifesta sotto forma di calore. Il problema è che, al fine di costringere i nuclei di deuterio e trizio a scontrarsi per poi incollarsi, occorre mantenere confinato il tutto per il tempo necessario a produrre la fusione.

PER OTTENERE CIÒ SI UTILIZZANO principalmente due approcci. Uno si basa sul confinamento magnetico del plasma caldissimo formato dai nuclei di deuterio e trizio: un campo magnetico potentissimo generato dall’esterno costringe questi nuclei a muoversi lungo traiettorie circolari in modo che, giro dopo giro, acquistano l’energia necessaria per dare il processo di fusione. La difficoltà è che il campo magnetico deve essere intensissimo e per mantenerlo tale ci vogliono dei magneti superconduttori che devono lavorare a temperature molto basse (-268 °C). L’altro approccio è quello basato sul confinamento inerziale che consiste nel bombardare con dei potentissimi impulsi laser un piccolo contenitore in cui è presente una miscela solidificata (in quanto freddissima) di deuterio e trizio: si verifica così una intensissima compressione che fa salire contestualmente la pressione e la temperatura (fino a una sessantina di milioni di gradi), tanto da innescare la fusione.

IL PRIMO APPROCCIO È QUELLO che si sta affrontando a Cadarache in Francia da parte di un folto gruppo di paesi, compresi Usa, Ue, Cina e India, noto come il progetto Iter. La dice lunga il fatto che sono già stati spesi 20 miliardi di euro senza essere ancora riusciti a produrre quantità di energia maggiori di quelle utilizzate.

PRESSO LA NATIONAL IGNITION FACILITY (NIF) del Laurence Livermore National Laboratory in California (Usa) si sta invece studiando il secondo approccio. Il 13 dicembre dello scorso anno i giornali di tutto il mondo hanno riportato con grande enfasi che il NIF ha ottenuto un importante risultato: l’energia di 192 laser focalizzata su una sferetta (pellet) contenente deuterio e trizio ha indotto in pochi nanosecondi la loro fusione, generando una quantità di energia (3,15 MJ) leggermente maggiore a quella iniettata dai laser nella sferetta (2,05 MJ).

La cosa passata sotto silenzio è che i 192 laser hanno consumato circa 400 MJ, ai quali va aggiunta l’energia richiesta dalle altre apparecchiature costruite e utilizzate per preparare e seguire l’esperimento. Oltre a vincere la sfida energetica (produrre più energia di quella consumata), per generare energia su scala commerciale si deve vincere un’altra sfida praticamente impossibile: modificare l’apparecchiatura per far sì che produca energia non per una piccolissima frazione di secondo, ma in modo continuo. La maggioranza degli esperti concorda sul fatto che con questo metodo così complicato è impossibile  generare elettricità a costi commerciali competitivi. C’è allora il dubbio che i laboratori di ricerca, per assicurarsi gli ingenti finanziamenti pubblici necessari, cercano di vendere ai decisori e ai cittadini i risultati conseguiti come successi strepitosi e, anche, che la competizione presente da decenni tra confinamento magnetico e confinamento inerziale spinge a dimostrare di essere i più bravi.

Resta sullo sfondo l’inquietante spettro militare, perché il compito primario del NIF non è quello di studiare la fusione per ottenere energia, ma di sfruttarla a fini bellici.

LA FUSIONE NUCLEARE HA MOLTI ALTRI MA. Il primo riguarda il fatto che, indipendentemente dal modo con cui verrà ottenuto questo processo (ammesso che ci si riesca), occorre disporre dei due isotopi dell’idrogeno. Mentre il deuterio è abbastanza abbondante, il trizio è molto raro (è radioattivo e decade con un tempo di dimezzamento di soli 12 anni). Quindi, problema non da poco, ci si imbarca in un’impresa titanica sapendo già in partenza che manca la materia prima. Chi lavora nel settore dice che il trizio potrà essere ottenuto in situ bombardando con neutroni il litio 6, cosa che però aggiunge complessità a complessità.

UN ULTERIORE MA È CONNESSO alla radioattività che i neutroni prodotti nella fusione inducono nei materiali che li assorbono, il che vuol dire che la struttura stessa del reattore diventa radioattiva e che, in fase di dismissione, crea scorie. Anche se in questo caso i tempi di decadimento degli isotopi radioattivi non sono così lunghi come quelli creati dalla fissione, è un falso in atto pubblico definire il nucleare da fusione una tecnologia pulita, perché lascia comunque il problema della difficile gestione delle scorie.

C’È POI UN GROSSO MA LEGATO al confinamento magnetico e, in particolare, al fatto che i superconduttori devono essere raffreddati a elio liquido, un gas molto raro e sicuramente non sufficiente per la gestione dei futuri reattori a fusione dal momento che già ora sta scarseggiando. Qualcuno teme addirittura che a breve non sarà più possibile utilizzare la tecnica Nmr, così importante nella ricerca scientifica e, soprattutto, in ambito diagnostico, proprio perché usa come liquido di raffreddamento l’elio.

LA STORIA DELLA FUSIONE NUCLEARE, dagli anni Cinquanta a oggi, dimostra che questa tecnologia non riuscirà a produrre elettricità a bassi costi e in modo attendibile in un futuro ragionevolmente vicino. Nonostante ciò, l’11 marzo di quest’anno, i giornali hanno riportato che Eni vuole puntare tutto sulla fusione nucleare «perché – ha detto l’ad Claudo Descalzi – permette di ottenere  energia pulita, inesauribile e sicura per tutti: una vera rivoluzione capace di superare le diseguaglianze fra le nazioni e di favorire la pace». Questa affermazione lascia alquanto perplessi dal momento non si capisce come i paesi poveri potranno accedere a una tecnologia così sofisticata e costosa.

Descalzi ha poi aggiunto che nel 2025 sarà pronto un impianto pilota a confinamento magnetico in grado di ottenere elettricità dalla fusione e che nel 2030 sarà operativa la prima centrale industriale basata su questa tecnologia. Sembra che all’improvviso e velocemente verranno risolti i tanti problemi incontrati dagli scienziati che lavorano nel settore da decenni: un vero miracolo! C’è il dubbio, non tanto remoto, che questa sia un’ulteriore mossa di Eni per sottrarre risorse alle già mature ed efficienti tecnologie del fotovoltaico e dell’eolico.

* coordinato dal professor Vincenzo Balzani


lunedì 10 ottobre 2022

Il Miracolo delle Rinnovabili

  


Questo post che ho pubblicato sul "Fatto Quotidiano" ha avuto un certo successo. Mi aspettavo i soliti insulti e accidenti che mi arrivano ogni volta che propongo le rinnovabili come una cosa seria, e li ho avuti, ma non così tanti come mi immaginavo. Sembra che i rompiscatole che pullulano nei commenti sul "Fatto" siano rimasti ammutoliti di fronte all'evidenza dei fatti. Ho anche avuto molti commenti favorevoli su FB, e messaggi privati di persone che vogliono approfondire l'argomento, incluso qualche politico di medio rango. E quindi, bene così, andiamo avanti: non abbiamo più bisogno di miracoli. Ne abbiamo già avuto uno e per ora ci basta. 



Da "Il Fatto Quotidiano dell' 8 Ottobre 2022

di Ugo Bardi – Settembre 2022


Si sa che i miracoli non sono una cosa tanto frequente e, se uno ha grossi problemi di salute, non è probabile che basti una nuotatina nella piscina di Lourdes per risolverli. Però, è anche vero che alle volte le cose cambiano rapidamente, aprendo nuove possibilità. E’ quello che sta succedendo con l’energia rinnovabile. Parlare di “miracolo” è un po’ troppo, lo so, ma gli sviluppi recenti della tecnologia ci hanno messo a disposizione uno strumento che fino a pochi anni fa non ci sognavamo nemmeno di avere. E questo potrebbe risolvere certi problemi che una volta sembravano irrisolvibili.

Per anni, sono andato in giro facendo conferenze sul cambiamento climatico e altri guai in vista, come l’esaurimento del petrolio. Di solito, quelli che venivano a sentire erano persone preparate a un messaggio non proprio tranquillizzante, ma il problema era cosa fare in proposito. Alla fine della conferenza, seguiva un dibattito in cui si dicevano sempre le stesse cose: andare in bicicletta, abbassare il termostato di casa, mettere doppi vetri alle finestre, lampadine a basso consumo, cose del genere.

Era un piccolo rituale tranquillizzante ma, in realtà, tutti sapevano che queste non erano vere soluzioni. Non che non servano a niente, ma sono spennellatine di verde su un sistema che continua a dipendere dai combustibili fossili per funzionare. Così, sono almeno vent’anni che si parla di doppi vetri e biciclette, ma le emissioni di CO2 continuano ad aumentare come prima, anzi, più rapidamente. Se non andiamo al cuore del problema, ovvero a eliminare i fossili, non arriviamo a niente. Ma come fare? Fino a pochi anni fa, sembrava che non ci fosse nessun modo eccetto tornare a zappare i campi come nel Medio Evo.

Ma oggi le cose sono cambiate radicalmente. Probabilmente non ve ne siete accorti, presi dal dibattito sulle elezioni. Ma che vinca la destra o la sinistra, cambia poco: il cambiamento, quello vero, sta arrivando con le tecnologie rinnovabili. Gli impianti eolici e fotovoltaici sono stati ottimizzati e i fattori di scala hanno generato massicci risparmi sui costi di produzione. Oggi, un chilowattora prodotto da un pannello fotovoltaico costa forse un fattore dieci di meno del chilowattora da gas naturale (e anche un quinto del chilowattora nucleare). Una volta, chiamavamo l’energia rinnovabile “alternativa,” ma oggi sono tutte le altre che sono alternative. Inoltre, produrre energia con impianti rinnovabili non inquina, non richiede materiali non riciclabili, non genera gas serra, non è suscettibile di sanzioni, e nessuno può bombardare il sole per lasciarci senza energia.

Ora, non mi fate dire che le rinnovabili hanno risolto automaticamente tutti i problemi. E’ vero che oggi costano poco, ma è vero anche che non sono gratis. Poi, ci vogliono investimenti per adattare le infrastrutture energetiche di tutto il paese, per creare dei sistemi di stoccaggio dell’energia, e molto altro. Non sono cose che si possano fare in un mese, e nemmeno in pochi anni. Si parla di un decennio, come minimo, per arrivare a un sistema energetico basato principalmente sulle rinnovabili. Ma è anche vero che ogni viaggio comincia dal primo passo. E adesso vediamo davanti a noi una strada da percorrere. Una strada che ci porta verso un mondo più pulito, più prospero e, sperabilmente, meno violento.

Non ho smesso di andare in giro a fare conferenze ma, adesso, posso proporre delle soluzioni reali. E non sono solo io ad essermi reso conto del cambiamento. Nel dibattito, oggi si sente l’entusiasmo di poter fare qualcosa di concreto. Molta gente chiede se possono installare pannelli fotovoltaici a casa loro. Altri raccontano di averlo già fatto. Alcuni sono arrabbiati neri (giustamente) con la burocrazia che gli impedisce di installare sul loro tetto o nel loro giardino. Lo vedete anche nelle discussioni sui social media. C’è sempre qualcuno che parla contro le rinnovabili ragionando come i flagellanti medievali che andavano in giro gridando “ricordati che devi morire”. Ma c’è anche chi gli risponde per le rime, tipo, “e allora andate pure a vivere felici nella vostra grotta insieme agli altri cavernicoli.” (o anche, come Massimo Troisi, “mo’ me lo segno”).

Se avete un balcone esposto a sud (e se il vostro comune non vi mette i bastoni fra le ruote), potete già installare dei pannelli fotovoltaici appesi alla ringhiera che vi aiuteranno a ridurre la bolletta dell’elettricità. Un pezzetto per volta, ci riusciremo!

giovedì 12 maggio 2022

Amo la Chimica -- Non amo le rinnovabili. La campagna contro l'energia pulita continua


Un sito molto artigianale a favore delle rinnovabili -- non è finanziato da nessuno. Ma se vogliamo veramente che l'energia rinnovabile si diffonda, dobbiamo fare molto meglio di così


Ho scoperto recentemente un Web sito intitolato "io amo la chimica" del quale non sto a darvi il link, per non portargli ulteriore traffico.  Sembra un sito informativo "pro bono" e ci sono anche degli articoli interessanti. Ma è anche un sito pro-nucleare e anti-rinnovabili. Ci trovate un articolo che critica pesantemente Armaroli e Balzani, i massimi esperti italiani di energia rinnovabile, dicendo che le rinnovabili, in sostanza, non servono a nulla. C'è anche un articolo pro-inceneritori (anzi, i "termovalorizzatori"), ci sono articoli favorevoli all'energia nucleare e cosette del genere.

Non è che ci sia niente da criticare se una persona che la pensa in un certo modo esprime le sue idee sul Web. Ma non posso fare a meno di notare che questo sito è un lavoro evidentemente professionale. Esiste in almeno quattro versioni: sito Web, Facebook, Instagram, e Twitter (e mi sembra che ci sia anche su YouTube). Su Facebook ha 12.000 followers, su Instagram ne ha 4000. Allora, è facile fare un sito Web artigianale come "Effetto Seneca," che state leggendo, ma tirar su oltre 10000 followers su FB richiede una gestione professionale. Lo stesso per un sito Web professionale che abbia un impatto. Non sono costi trascurabili e qualcuno li deve aver pagati. 

Nulla vieta di pensare che il gestore di "Amo la Chimica" abbia tirato fuori di tasca propria i soldi per questa impresa, o per mezzo di una colletta fra i suoi amici che "amano la chimica." Ma mi sembra più probabile che qualcuno abbia finanziato il sito e la sua gestione per ragioni commerciali. Intendiamoci, anche questa è cosa perfettamente lecita. Se l'industria dei fossili e quella dell'energia nucleare vogliono fare una campagna pubblicitaria per affossare i loro concorrenti principali, le rinnovabili, nulla glie lo impedisce.

Questo tipo di campagna pubblicitaria sta avendo successo, anche perché è fatto in modo intelligente e prende ispirazione da certi concetti cari al movimento ecologista, cercando di presentare le rinnovabili come il vero nemico dell'ambiente. Allora, non ci stupiamo se ci sono rallentamenti e ostilità di ogni sorta contro le rinnovabili. Finché l'industria delle rinnovabili non reagisce con gli stessi metodi, continueremo a dipendere dai combustibili fossili. 

Nel seguito, Luca Pardi (ricercatore CNR) esamina il sito in questione facendo alcune interessanti osservazioni, tipo quella dei "conformisti dell'anticonformismo" che "disegnano un conformismo inesistente, in questo caso l'ecologismo pro-rinnovabili, e si schierano con la conformità esistente: fossili + nucleare, per difendere lo status-quo".  

Ecco qua il pezzo di Luca Pardi


Amo la Chimica -- Non amo le Rinnovabili
di Luca Pardi


(Quelle del sito "Amo la Chimica") sono cose già dette in molte occasioni. In parte sono determinate anche da una presa di coscienza, non negativa, della limitatezza delle geo-risorse, oltre ai combustibili fossili, che è un tema che hai trattato anche tu nei tui libri: "La terra svuotata" (2011) ed "Extracted" (2014). Senza risalire a LTG, il primo specifico allarme sul ciclo di feedback energia- minerali- energia che io ricordo è quello del testo "Quel futur pour le metaux?" (2010) di Bihouix e de Guillebon.

Quello che è venuto dopo è una presa d'atto dell'allarme, a volte usata per dimostrare che le rinnovabili non sono più sostenibili delle altre fonti energetiche e, soprattutto, del nucleare. Il che è evidentemente una forzatura con una base di verità, i limiti delle geo-risorse appunto.

Quello che questa visione non tiene in debito conto sono due aspetti:

1) molti materiali sono riciclabili in modo efficace quasi ad libitum, basta volerlo. Le terre rare utilizzate in una turbina eolica possono essere recuperate facilmente, un po' meno il litio degli accumulatori, ma sicuramente le cose miglioreranno (anche se credo che la Scienza in quanto investigazione del mondo sia ad un punto di stallo, penso che ci sia largo margine per lo sviluppo tecnologico). Se non si fa è per un transiente storico- economico che farà presto a passare. Il vecchio slogan, riparazione- riuso -riciclo non è retorica ecologista, è quanto fanno tutte lo società umane (e non?) quando si trovano a toccare i limiti della propria espansione.

2) Molti materiali sono sostituibili. Non è detto che un motore elettrico debba contenere terre rare, i magneti permanenti esistevano anche prima del neodimio. Non è detto che si debba usare solo rame, anche l'alluminio è un buon conduttore (anche se farci dei fili non è semplice) e così via. Silicio? Non avremo mica il problema del silicio vero?

Il tipo di messaggio di "Io amo la chimica" è tipico di un genere di conformisti dell'anticonformismo. Disegnano un conformismo inesistente, in questo caso l'ecologismo pro-rinnovabili, e si schierano con la conformità esistente: fossili + nucleare, per difendere lo status-quo, facendo la figura dei guerrieri solitari della razionalità scientifica. Di persone di questo tipo nel nostro ambiente accademico ne ho incontrate a centinaia ormai. E hanno sempre dei nuovi allievi.

Un altro discorso del genere si verifica sui temi economici: l'anticonformista-conformista stabilisce che tutto ciò che è pubblico (Lo Stato) è male, poi cerca di convincere che i problemi dipendono dal troppo Stato (dopo oltre tre decenni di smantellamento) per perorare la superiorità del mercato e, soprattutto, la necessità di abbassare le tasse (ai ricchi). Il fondo di verità dipende dal fatto che gli stati tendono ad essere inefficienti e corrotti, burocratici ecc.

Far funzionare bene la cosa pubblica è come far funzionare un sistema energetico sostenibile, ci vuole la volontà politica, e per arrivare a questo esito si devono sconfiggere i nemici, quelli che remano contro. Non credo ci sia una via diversa.

A questo tipo di messaggio non c'è altra via che contrapporre un messaggio razionale e scientifico:

1) I materiali che estraiamo dalla crosta terrestre, al contrario dei fossili, sono riciclabili e il riciclo può, e dovrebbe, essere spinto al limite termodinamico (II principio)

2) I materiali possono essere sostituiti (un argomento che va rubato ai cornucopiani)

3) Le tecnologie hanno ampio margine di miglioramento. Quelle relative alle rinnovabili possono solo migliorare la situazione, quelle legate alle fossili no. Secondo me su questa strada si possono fare concessioni verbali anche al nucleare che secondo me si affossa da solo (ma posso sbagliare).

4) "Amo la vita", più della chimica, perché noi ne siamo parte, l'unica sostenibilità è un rientro all'interno della capacità di carico (che abbiamo ampiamente superato). La transizione energetica deve traghettare l'umanità a questo approdo, quindi le rinnovabili sono sostenibili, come qualsiasi cosa, solo nel quadro di un rientro di popolazione e consumi nell'alveo della sostenibilità. Il resto sono discorsi da accademici.


Luca Pardi



venerdì 8 gennaio 2016

La follia nucleare di Gates: l'innovazione di cui abbiamo veramente bisogno è la rapida implementazione delle rinnovabili

Da “Counterpunch”. Traduzione di MR


di Linda Pentz Gunter

La prima domanda che mi è venuta in mente leggendo dell'ultima avventura di investimento di Bill Gates è stata: “si tratta di una copertura per dirottare più soldi verso l'energia nucleare?” Gates ha rivelato la sua Coalizione Energetica Innovativa (Breakthrough Energy Coalition) all'inizio dei colloqui sul clima della COP 21 a Parigi con molte fanfare ma pochi dettagli, compresa la dimensione dell'impegno finanziario. I miei sospetti sono stati innescati non solo dall'impegno pubblico già esistente di Gates verso la ricerca sull'energia nucleare, ma dal nome scelto per questo gruppo di 28 fra le persone più ricche del mondo (principalmente uomini). L'Istituto di Innovazione (Breakthrough Institute), dopotutto, è il nome del gruppo nuclearista pseudo-verde i cui membri hanno promosso e interpretato un film di propaganda sull'energia nucleare nel 2013, "La Promessa di Pandora". Ma finora l'Istituto di Innovazione si mantiene ad un profilo basso nella Coalizione Energetica Innovativa, anche se, sospetto, non troppo a lungo.

lunedì 7 dicembre 2015

la capocchia climatica di Umberto Minopoli.



Leggete questa frase, da un post di Umberto Minopoli intitolato "Scienza ad Capocchiamhttps://lottimistablog.wordpress.com/2015/12/06/scienza-ad-capocchiam/

.... se in un secolo e mezzo ( 1850/1998) di piena industrializzazione e di CO2 umana immessa in atmosfera, la temperatura e’ aumentata di 0,8gradi come e’ possibile che in soli prossimi 80 anni ( previsioni dei religiosi del clima ) aumenti di 5 gradi. Cervellotico. Niente di scientifico. Sciamanismo. 

Per capire quanto questo paragrafo sia veramente "ad capocchiam", vediamo di applicare il ragionamento di Minopoli proprio a una capocchia; ovvero a un fiammifero.

Accendete un fiammifero, vedete che brucia, diciamo, in 10 secondi. E in questi dieci secondi si porta via forse un grammo di legno. Fate un po' il conto: per bruciare un chilo di legno, a un fiammifero per volta, ci vorrebbero ore. E per bruciare una casa, chissà quanto tempo.

Ora, immaginate che qualcuno vi dica che, sulla base del comportamento di una capocchia di fiammifero, una casa non può mai assolutamente bruciare. Come minimo, gli direste qualcosa tipo, "bene, allora vai a casa tua, accendi un fiammifero e comincia a dar fuoco al divano del salotto. Poi mi racconti cos'è successo."

Se volete essere precisi, potreste dire che la combustione è un processo "autocatalitico" e, per questa ragione, va sempre più veloce una volta che è cominciato. Ma non ce n'è bisogno: è solo una questione di buon senso; ci sono tantissime cose che sappiamo benissimo che cominciano piano e poi vanno sempre più veloci. E' per questo che se uno si butta dal sesto piano, il risultato finale si può descrivere con la parola "splat," anche se, nei primi metri, non sembrava che quel tale cadesse tanto rapidamente.

Anche per quanto riguarda il clima terrestre vale qualcosa del genere. La faccenda del riscaldamento generato dai gas serra è un tantino complicata per varie ragioni (come potete leggere, per esempio, qui) ma il risultato finale non è difficile a capire. Più CO2 c'è nell'atmosfera, più la temperatura sale. Oggi, stiamo emettendo enormemente più CO2 di quanto non facessimo ai primi anni del secolo scorso; quindi non c'è da stupirsi se l'atmosfera si sta scaldando sempre più rapidamente, ben di più di quanto non facesse cent'anni fa (e per favore non tirate fuori la storia della "pausa," che non è mai esistita).

Così, se continueremo ad emettere CO2 seguendo le tendenze di aumento che sono state la regola fino ad oggi, non è un'idea a capocchia che potremmo arrivare arrivare a degli aumenti di temperatura di 4-5 gradi centigradi. La cosa più preoccupante è che ci sono dei motivi per ritenere che il riscaldamento potrebbe essere molto più veloce di qualsiasi cosa si sia vista fino ad oggi. E questa è una cosa molto pericolosa, da non sottovalutare. Purtroppo, però, il cosiddetto "dibattito" sul cambiamento climatico sui giornali è spesso basato su ragionamenti veramente "a capocchia," come questo di Minopoli.

Tralascio di criticare il resto dell'articolo per carità di patria. Mi limito a notare che Minopoli è anche presidente dell'Associazione Nucleare Italiana, il che è preoccupante. C'è solo da sperare che un reattore nucleare non glie lo facciano mai vedere, se non da una notevole distanza. Minopoli mi fa venire in mente qualcosa che potrebbe essere successo al tempo di Chernobyl, magari con qualcuno dei tecnici del reattore che diceva, "Ma cos'è quest'idea a capocchia che il reattore può esplodere? Non vedete che finora non è successo niente?"


h/t Simone Bonacini

Nota aggiunta dopo la pubblicazione. Fa notare Sylvie Coyaud che

Mentre noi si cucinava, si ricordava che nel maggio 2014 il presidente Minopoli diceva:
Il rapporto delle Nazioni Unite punta sull’utilizzo del nucleare per contenere l’aumento della temperatura globale entro i 2°C fino al 2100, definendo il nucleare una delle tecnologie carbon free ‘chiave’”. Non solo. Dallo studio emerge l’importanza di attivare un processo di cooperazione internazionale per coinvolgere i paesi meno sviluppati nei processi di mitigazione delle emissioni di gas serra. L’Italia non deve avere un ruolo marginale nella definizione delle politiche energetiche mondiali.
Si cercava anche un compito affidabile a un volta-gabbana che ora esibisce tutto fiero le cinque caratteristiche del negazionismo climatico. Non s'è trovato niente, ma se c'è stato un po' di dibattito su tirar fuori in tempo il coulommiers dal frigo.



giovedì 9 luglio 2015

Produzione di energia: come stiamo con le rinnovabili?

Utilizzo delle fonti di energia (composizione di immagini)
Sintesi

L’utilizzo delle fonti rinnovabili è aumentato notevolmente negli ultimi anni.
Tanti grafici ci vengono presentati (e lo farò anch'io) con curve esponenziali in cui si vede che: l’installazione di impianti eolici e fotovoltaici sono aumentati notevolmente; allora, come mai c’è tutta questa difficoltà a soppiantare i combustibili fossili?

Capiremo perché le fonti rinnovabili sono marginali nella produzione di energia e di come servirebbe un investimento notevolmente superiore all'attuale; oltre a questo, ci sono alcuni vincoli che ne limitano il potenziale, dovuti al fatto che: solo una piccola parte (circa il 16%) dell’energia utilizzata dall'uomo è sotto forma di energia elettrica.

Introduzione

La nostra società si basa sull'utilizzo di fonti energetiche che forniscono, ogni anno, una quantità enorme di energia.

Continuare ad utilizzare i combustibili fossili a lungo, non è possibile per vari motivi:

1. Sono una fonte esauribile: finiti quelli a disposizione, sarà necessario un lunghissimo periodo (milioni di anni) prima che se ne formino ancora;

2. Sono inquinanti (carbone in primis): se sfruttate intensamente, l’ambiente non riesce a smaltirli;

3. Aumentano la concentrazione di gas serra nell'atmosfera con effetti sul clima nel lungo periodo;

Chiaramente se l’uscita dai combustibili fossili è una cosa desiderabile, è anche vero che bisogna avere un’idea quantitativa delle forze in gioco, per capire come muoversi e con quale velocità. Ogni giorno, l’energia primaria utilizzata dall'uomo nel mondo equivale a circa 260 Mbep/day (Mbep: milioni di barili di petrolio equivalente); chiaramente questa energia non è fornita solo dal petrolio (poco più di 90 Mbep/day) ma da un mix di fonti energetiche. Le fonti energetiche non esauribili (rinnovabili) su cui si sta puntando sono principalmente le seguenti: Eolico, solare (fotovoltaico) e biomasse. Ci sono altre fonti energetiche, ma non sono risultate competitive o hanno potenziali inferiori.

Potenza installata

Se ci concentriamo alla sola energia elettrica abbiamo visto che, negli ultimi anni, la potenza installata, di campi eolici e solari, è aumenta di molto.

(Grafico 1)
fonte: http://www.bp.com/en/global/corporate/about-bp/energy-economics/statistical-review-of-world-energy.html

Possiamo vedere che: mentre la crescita, nei primi anni, è aumentata velocemente (maggiore pendenza curva), in questi ultimi anni si è quasi stabilizzata (crescita costante, pendenza costante).

Se inseriamo pure le altre fonti energetiche abbiamo il seguente:

(Grafico 2)
fonte: http://www.bp.com/en/global/corporate/about-bp/energy-economics/statistical-review-of-world-energy.html

Si può vedere che: la potenza installata predominante, utilizza ancora i combustibili fossili; la seconda fonte è l’idroelettrico e al terzo posto, superando il nucleare, c’è l’eolico.
I valori del 2014 sono i seguenti:

(tabella 1)
fonte: http://www.bp.com/en/global/corporate/about-bp/energy-economics/statistical-review-of-world-energy.html

L’idroelettrico, come si vede, è stata sempre la fonte rinnovabile più usata, ma si può anche notare che essa è cresciuta lentamente e non abbia più grandi potenzialità di crescita. Alcuni parlano di micro dighe, ma la loro manutenzione incide molto sul rendimento ed è “come raschiare il fondo del barile”; non si prevedono grandi aumenti. Analizzare i grafici in potenza installata, però ci potrebbe indurre in errore, in quanto, alla fine, quello che a noi interessa è la quantità di energia prodotta e non quella potenziale.

Energia prodotta

Vediamo l’energia prodotta dalle fonti rinnovabili

(Grafico 3)
fonte: http://www.bp.com/en/global/corporate/about-bp/energy-economics/statistical-review-of-world-energy.html

Si può vedere che la maggiore fonte energetica per la produzione di energia elettrica è l’eolico (escludendo l’idroelettrico), mentre il solare, malgrado abbia metà della potenza dell’eolico, esso ne produce poco più di ¼ di energia (solare 186 TWh, eolico 706 TWh).

Se adesso paragoniamo l’energia prodotta da tutte le fonti rinnovabili con quella delle altre fonti, abbiamo:

(Grafico 4)
fonte: http://www.bp.com/en/global/corporate/about-bp/energy-economics/statistical-review-of-world-energy.html

Come si vede, le nuove fonti rinnovabili, tutte messe insieme, stanno guadagnando terreno, ma risultano ancora minoritarie. Il nucleare, che ha una potenza installata inferiore all'eolico, risulta produrre più energia di tutte le fonti rinnovabili messe insieme (eolico + solare + geotermico + …).
Se poi facciamo il paragone con l’energia elettrica prodotta dalle fonti fossili abbiamo:

(Grafico 5)
fonte: http://www.bp.com/en/global/corporate/about-bp/energy-economics/statistical-review-of-world-energy.html


E i seguenti valori:

(tabella 2)
fonte: http://www.bp.com/en/global/corporate/about-bp/energy-economics/statistical-review-of-world-energy.html


Dai quali è possibile fare le seguenti considerazioni:

1. La maggior parte dell’energia elettrica prodotta al mondo, viene prodotta dalle centrali a combustibili fossili. Malgrado nell'ultimo anno, si sia ridotta leggermente la loro incidenza percentuale (- 0,78 %), in valore assoluto, sono continuate a crescere (+93 TWh);

2. La produzione da fonti rinnovabili (escluso idroelettrico) è aumentata dello 0,61 % con un incremento di +167 TWh;

3. L’aumento totale di energia consumata nell'ultimo anno è stato di +410 TWh; quindi le fonti rinnovabili, pur crescendo (+93 TWh), non sono riuscite neanche a soddisfare l’aumento del fabbisogno energetico; questo vorrebbe dire che: le rinnovabili pur crescendo in valore assoluto e in percentuale, rischiano di avere un’incidenza con una curva a campana (aumenta la loro incidenza in %, poi si stabilizza, per poi ridiscendere).

Confronto tra energia primaria ed elettrica

Guardiamo adesso i consumi totali di energia primaria al mondo:

(Grafico 6)
fonte: http://www.bp.com/en/global/corporate/about-bp/energy-economics/statistical-review-of-world-energy.html


Quindi, le rinnovabili (escluso idroelettrico) coprono il 6% del fabbisogno energetico elettrico, il quale è una piccola parte rispetto al totale di energia primaria richiesta.

La percentuale di energia elettrica sul totale di energia primaria è la seguente:

(Grafico 7)
fonte: http://www.bp.com/en/global/corporate/about-bp/energy-economics/statistical-review-of-world-energy.html

I cui valori degli ultimi due anni sono:

(tabella 3)
fonte: http://www.bp.com/en/global/corporate/about-bp/energy-economics/statistical-review-of-world-energy.html

L’energia primaria, nell'ultimo anno, è cresciuta di +0,2 Gtep (equivalenti a 880 TWh elettrici).

Come si vede, ci sono voluti ben 30 anni per aumentare l’incidenza dell’energia elettrica dal 31% al 41% (+10%) cioè +3,3% a decennio.

Se la nostra società continuasse con questo ritmo, ci potrebbe essere una migrazione all'uso totale di energia elettrica in circa 180 anni ((100 % - 41 %) / 3.3 * 10).

Chiaramente, se i trasporti riuscissero a passare all'elettrico (invenzione di una pila rivoluzionaria), la crescita della quota dell’elettrico aumenterebbe molto più velocemente.

Ci potremmo soffermare sulle caratteristiche tecniche (pro e contro) di ogni fonte, ma per trarre delle conclusioni, ci bastano i dati che abbiamo analizzato.

Conclusioni

Sono le seguenti:

1. Le fonti rinnovabili eolico e solare, stanno crescendo, ma essi, oggi, rappresentano solo una minima quota dell’energia elettrica prodotta al mondo (circa il 6% dell’elettrico e il 2,5 % dell’energia primaria);

2. Gli investimenti in questo settore sono stati alti da parte di alcuni paesi come: Italia, Germania e Cina; ma l’aumento della loro produzione di energia nell'ultimo anno (+93 TWh) non è riuscito a compensare l’aumento del consumo di energia elettrica (+410 TWh) e ancor meno, l’aumento totale di energia primaria (+0,2 Gtep uguali a 880 TWh elettrici); da questo ne consegue che gli investimenti in rinnovabili sono nettamente inferiori al necessario.

Quindi: è necessario che, i vari settori dell’economia (trasporti, estrazione mineraria, ecc) passino all'elettrico e nel frattempo gli investimenti in fonti rinnovabili dovrebbero aumentare (a livello mondiale) di 25 volte per poter fare una transizione entro il 2035 (20 anni), oppure di 15 volte, per fare una transizione entro il 2050 (35 anni).

Prossime pubblicazioni

Magari, in un prossimo post, metteremo a confronto i maggiori investimenti necessari nelle fonti rinnovabili, con l’andamento a campana della disponibilità dei combustibili fossili.

Della serie:
se stiamo raggiungendo il picco della produzione netta di energia annua, sarà possibile mantenere la società attuale, e nel frattempo investire una parte dell’energia nelle fonti rinnovabili?

By Alessandro Pulvirenti

venerdì 22 maggio 2015

Il collasso del petrolio: sta per succedere qualcosa di sinistro

DaResource Crisis”. Traduzione di MR

Di Ugo Bardi




Il recente collasso del prezzo del petrolio segnala la fine imminente dell'industria del petrolio e del gas come grande produttrice mondiale di energia. Dovrebbe essere una cosa buona, in linea di principio, ma dal processo potrebbe ancora emergere qualcosa di sinistro (nell'originale "something wicked this way comes" dal "Macbeth" di Shakespeare).


Con il collasso dei prezzi del petrolio in corso, possiamo dire che la festa è finita per l'industria del petrolio e del gas, in particolare per la produzione di petrolio e gas “tight” (o “di scisto”). I prezzi potrebbero anche tornare a livelli ragionevolmente alti, in futuro, ma l'industria non sarà mai più in grado di riguadagnare lo slancio che ha fatto dichiarare ai suoi sostenitori statunitensi “l'indipendenza energetica” e “secoli di abbondanza”. La bolla potrebbe non scoppiare all'improvviso, ma di sicuro si sgonfierà.

Quindi cosa succederà ora? La situazione è, a dir poco, “fluida”. E' in atto una grande corsa per convincere gli investitori a mettere i loro soldi dove c'è ancora qualche possibilità di fare un profitto. Penso che possiamo identificare almeno tre diverse strategie per il futuro: 1) di più del solito (petrolio e gas) 2) una spinta verso il nucleare e 3) una spinta verso le rinnovabili. Cerchiamo di esaminare quale futuro potrebbe essere in serbo per noi.

1) Una spinta per più gas e petrolio. Sembra chiaro che l'industria del petrolio e del gas non ha ancora ammesso la sconfitta; al contrario, sogna ancora di secoli di abbondanza (vedete per esempio questo articolo su Forbes). Sembra impensabile che gli investitori vogliano ancora finanziare imprese incerte come quella di strizzare più petrolio dai giacimenti esausti o, peggio ancora, da tecnologie difficili e costose come la liquefazione del carbone. Ma non si dovrebbe mai sottovalutare il potere del BAU. Se le persone pensano di avere assolutamente bisogno di combustibili liquidi saranno disposte a fare qualsiasi cosa per ottenere combustibili liquidi.

Il problema principale di questa idea non è tanto la fattibilità tecnica. Impiegando tutte le risorse a portata di mano nell'impresa (e mettendo sul lastrico l'intera economia facendolo) non sarebbe impossibile allontanare il picco del petrolio ancora di qualche anno. Il problema è un altro: il tempo sta per scadere col cambiamento climatico. Se continuiamo a bruciare idrocarburi, non ce la possiamo fare. Vale a dire, non possiamo salvare la civiltà dal collasso causato dal clima. Ciò vale se continuiamo a bruciare al “tasso naturale”, cioè secondo la curva a campana. Immaginate se invece continuassimo a crescere con la produzione (come secondo tutti i politici del mondo dovremmo fare).

Tutto ciò sta diventando noto e, di conseguenza, una spinta verso la produzione di idrocarburi (o, Dio ce ne scampi, più carbone) sarà possibile solo se accompagnata da una forte campagna propagandistica destinata a zittire la scienza del clima e l'attivismo climatico. Alcuni sintomi del fatto che ci sia qualcosa del genere in lavorazione sono abbastanza evidenti da essere inquietanti. Considerate che nessuno dei candidati Repubblicani alle elezioni statunitensi del 2016 sostiene la necessità di azione per il cambiamento climatico, che in Florida agli impiegati governativi non è permesso usare il temine “cambiamento climatico” o “riscaldamento globale”, che la NASA ha subito una riduzione dei fondi su qualsiasi cosa abbia a che fare col cambiamento climatico, ed altro. Quindi comincia ad apparire una certa logica: “metti la museruola alla scienza e continua a bruciare”. Sta per succedere qualcosa di molto strano...

2) Una nuova spinta verso il nucleare. Questa opzione non sarebbe male quanto la prima, più idrocarburi. Perlomeno le centrali nucleari non generano gas serra direttamente e sappiamo che è una tecnologia che può produrre energia. Ciononostante, gli ostacoli associati alla sua espansione sono giganteschi. Il primo e principale problema è che la produzione di uranio minerale non è sufficiente per incrementare l'energia nucleare da una piccola percentuale dell'energia primaria mondiale ad una grande – essere in grado di farlo richiederebbe investimenti così grandi da essere sbalorditivi. Per non dire niente della necessità di minerali rari nelle centrali nucleari: berillio, niobio, afnio, zirconio, terre rare ed altro; tutte presenti in quantità limitate. Inoltre ci sono problemi da incubo nello smaltimento dei rifiuti, nella sicurezza e nel controllo strategico.

Ciononostante, se fosse possibile convincere gli investitori a riversare soldi nell'energia nucleare, sarebbe possibile vedere un tentativo di farla ripartire, nonostante i vari problemi e i disastri che hanno dato una fama negativa al nucleare. Un tentativo di fare proprio questo sembra che si stia articolando. Si dice che il presidente Obama stia prendendo in considerazione un ritorno massiccio al nucleare e agli investitori viene detto di prepararsi per un'enorme impennata dei prezzi dell'uranio. Funzionerà? Improbabile, ma non impossibile. Sta per succedere qualcosa di sinistro...

3) Una grande spinta per le rinnovabili. Sorprendentemente, l'industria delle rinnovabili potrebbe avere delle serie possibilità di avere il sopravvento su una senescente industria petrolifera, lasciando l'industria nucleare al palo e ansimante a guardare. Il progresso della tecnologia rinnovabile, specialmente nelle celle fotovoltaiche, è stata semplicemente fantastica nell'ultimo decennio (vedete per esempio il recente rapporto del MIT). Oggi abbiamo una serie di metodi per produrre energia elettrica che possono competere con le fonti tradizionali, watt per watt, dollaro per dollaro. Considerate che le più efficienti di queste tecnologie non hanno bisogno di materiali particolarmente rari e che nessuna ha il problema strategico e di sicurezza del nucleare. Infine, considerate che è stato dimostrato (Sgouridis, Bardi e Csala) che l'attuale tecnologia rinnovabile potrebbe prevalere sulle attuali fonti abbastanza velocemente da evitare grandi danni da parte del cambiamento climatico.

Sembra che abbiamo un vincitore, giusto? Infatti, l'atmosfera intorno alle rinnovabili è di palpabile ottimismo. Se l'energia rinnovabile prende abbastanza slancio, non ci sarà niente in grado di fermarla finché non ci ha tutti catapultati, volenti o nolenti, in un nuovo mondo (più pulito): Però c'è un problema. L'industria rinnovabile è ancora piccola in confronto all'industria nucleare e lo è in modo particolare in confronto a quella del petrolio e del gas. E sappiamo che chi è più grosso di solito riesce a menare chi ha ragione. Il puro e semplice potere finanziario della tradizionale industria energetica potrebbe essere sufficiente a far abortire il cambiamento prima che diventi inarrestabile. Sta per succedere qualcosa di sinistro...




venerdì 27 febbraio 2015

Sbarazzarci dei vecchi reattori nucleari ci costerà molto di più di quanto non si pensi

Da “Business Insider Australia”. Traduzione di MR (h/t Cristiano Bottone)


Un reattore nucleare in un centro di ricerca  a Kiev.


Londra/Parigi (Reuters) – Il crollo della società di servizi tedesca E.ON ha portato a preoccupazioni sul fatto che i fondi messi da parte per lo smantellamento dei reattori non saranno sufficienti, ma globalmente il costo dello smantellamento del nucleare è incerto in quanto le stime variano ampiamente. Man mano che i vecchi reattori di prima generazione chiudono, il vero costo dello smantellamento sarà cruciale per il futuro dell'industria nucleare, già sofferente in seguito al disastro di Fukushima del 2011 e per la competizione da parte del gas di scisto a buon mercato, del crollo dei prezzi del petrolio e di un'inondazione di energia rinnovabile da eolico e solare. La IEA ha detto alla fine dello scorso anno che quasi 200 dei 434 reattori in funzione intorno al globo verrebbero dismessi entro il 2040 ed ha stimato il costo del loro smantellamento  a più di 100 miliardi di dollari statunitensi.

lunedì 22 dicembre 2014

World Energy Outlook 2014: il picco di tutto?

Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR


Di Antonio Turiel

Cari lettori,
negli ultimi giorni, a parte dedicare tempo ai molteplici impegni professionali e di divulgazione, sono stato occupato a preparare il tema del post di oggi: la mia analisi del rapporto per eccellenza del panorama energetico mondiale, il World Energy Outlook, che nella sua edizione del 2014 è stato presentato dalla IEA il 12 novembre scorso. Un rapporto come al solito molto lungo (748 pagine), con moltissime informazioni su ciò che le menti pensanti di questa agenzia della OCSE credono che sarà il futuro della fornitura energetica del pianeta. Data la lunghezza di questo post, nel quale analizzo molti aspetti di questo rapporto, lo organizzerò in diverse parti per facilitarne la lettura, vale a dire: Prospettiva storica; Strutture del WEO 2014; Petrolio; Carbone; Nucleare; Gas; Ciò che rimane nel calamaio e Conclusioni.

Prospettiva storica

Come abbiamo discusso in numerose occasioni, la IEA è sempre restia ad accettare la cruda realtà di un mondo finito con risorse finite, ma lentamente i problemi associati alla fornitura di petrolio hanno trasceso i suoi rapporti, nei quali la IEA ha sempre cercato di presentare la faccia più favorevole degli eventi che i suoi modelli di previsione di offerta e domanda le offrivano. Così, nel 2010, la IEA ha riconosciuto per la prima volta che il petrolio greggio era giunto alla sua produzione massima, che dovrebbe mantenersi costante fino al 2035, ma si consolava pensando a quali altri idrocarburi avrebbero preso in gran parte in mano la situazione. Nel 2012, coloro che hanno avuto la pazienza immergersi nel rapporto, hanno trovato la sorpresa del riconoscimento del declino della produzione di petrolio greggio, anche se la stampa si è concentrata solo sulla fantasia secondo la quale gli Stati Uniti sarebbero diventati autosufficienti nel prossimo futuro, anche se semplicemente esaminando il grafico originale di quel rapporto nel quale si sosteneva un'affermazione così azzardata, era già possibile vedere che tale autosufficienza si sarebbe potuta ottenere soltanto, a parte che facendo molte ipotesi  e molto ottimistiche, se in più gli Stati Uniti avessero rinunciato a più del 30% del consumo attuale.


Evoluzione prevista per le importazioni di petrolio degli Stati Uniti  secondo il WEO 2012. Come si vede, gli Stati Uniti non giungono mai all'autosufficienza, dovendo importare ancora più di 3 Mb/g nel 2035. Sopra si ipotizza che altri 3 Mb/g verranno da una maggiore “efficienza da parte della domanda”, cosa che finisce per essere un eufemismo per dire che si distruggerà la domanda come conseguenza di un'importante recessione economica. Altri dettagli nel post World Energy Outlook 2012: fare di necessità virtù.


Nello stesso 2012 ho elaborato un'analisi abbastanza dettagliata, incrociando dati di diverse fonti con le previsioni della IEA, per cercare di offrire una prospettiva sull'evoluzione dell'energia netta del petrolio, la quale ci ha indicato un panorama piuttosto preoccupante.


Evoluzione dell'energia netta del petrolio in uno scenario realista, derivato dallo scenario delle Nuove Politiche del WEO 2012. Altri dettagli su Il tramonto del petrolio

L'anno scorso, il WEO 2013 ci ha mostrato un grafico ancora più inquietante. In questa occasione non ho neanche dovuto lavorare sui dati. Il grafico 14.6 ci ha mostrato una rapida riduzione della produzione di petrolio nei prossimi anni se non si fosse continuato ad investire a sufficienza.


E come abbiamo spiegato ripetutamente in questo blog, nonostante questo “avviso ai naviganti” da parte della IEA, la politica delle grandi compagnie è stata piuttosto quella di annunciare tagli degli investimenti. La ragione di tale strategia di disinvestimento è che l'affare non è più tanto redditizio, visto che gli investimenti in produzione non convenzionale sono rovinosi. Non solo questo, ma tutte le tensioni accumulate nel sistema aumentano il rischio di uno scollegamento improvviso per il quale alcuni paesi potrebbero collassare, specialmente se si protrae l'attuale situazione dei prezzi del petrolio in ribasso. In questo contesto, ho analizzato con attenzione i parametri del WEO 2014, cercando di verificare quali tendenze raccoglie, di quelle enunciate sopra, e quali si permette di tralasciare o di addolcire e in quel caso per quale motivo. E i mie risultati sono piuttosto sorprendenti, come vedrete.

Struttura del WEO 2014

Il WEO 2014 è strutturato in tre parti:

- La parte A parla delle tendenze energetiche globali, secondo i suoi tre scenari di riferimento: Politiche attuali, in cui si suppone che non ci siano cambiamenti delle tendenze attuali; Nuove politiche, in cui si ipotizza che le politiche che si stanno profilando entrino in vigore e Scenario 450, in cui il mondo il mondo si imbarca nell'ambizioso programma di lotta al cambiamento climatico con l'obbiettivo di mantenere la concentrazione di gas ad effetto serra al di sotto delle 450 ppm equivalenti di CO2. Lo scenario di base per la IEA, come sempre, è quello delle Nuove politiche, salvo quando venga detto esplicitamente il contrario, tutti i grafici si riferiscono a questo scenario.

- La parte B è dedicata alla descrizione in dettaglio dell'energia nucleare.

- La parte C si occupa delle prospettive energetiche dell'Africa. In questo post non mi occuperò di questa parte.

L'inizio della parte A è dedicato alla spiegazione di alcuni dettagli dei modelli economici usati per comporre gli scenari. Richiamano l'attenzione, per esempio, i cambiamenti introdotti nello Scenario 450, visto che si riconosce che è poco probabile che ci sia un'azione concentrata prima del 2020. Nella parte delle ipotesi economiche, la IEA ci offre un grafico aggiornato sul rapporto fra energia e PIL per diverse regioni della Terra:



Di questo grafico è interessante evidenziare che anche se il rapporto fra crescita del consumo di energia e crescita del PIL non è costante (non sono linee rette), in generale le inclinazioni sono positive, cioè, che il PIL cresce sempre quando cresce il consumo di energia e decresce quando diminuisce il consumo di energia. Pertanto, la relazione fra energia e PIL è quasi sempre dello stesso tipo, tanto nei periodi di crescita economica quanto nei periodi di recessione. Le poche aree con inclinazioni negative (in cui tipicamente il PIL cresce nonostante la diminuzione del consumo di energia) sono rare e corrispondono a periodi transitori a seguito di una grossa recessione, periodi nei quali l'economia non ha ancora trovato il proprio punto di equilibrio. Di fatto, il periodo più prolungato con inclinazione negativa sembra corrispondere agli ultimi anni dopo il 2008 e soltanto nel caso degli Stati Uniti. Dato che negli Stati Uniti durante questo periodo si sono verificati due effetti di distorsione del rapporto economico (l'importazione di energia esportando inflazione da un lato e l'eccessivo indebitamento delle società energetiche che estraggono idrocarburi di bassa qualità dall'altro), entrambi transitori e difficilmente ripetibili, è difficile credere che si possa convertire questo breve periodo in un paradigma, vi starete forse dicendo. Ma non è ciò che dice la IEA, che invece ha convertito una tale anomalia nella parte centrale del proprio scenario delle Nuove politiche. Da un lato, la IEA ipotizza che la crescita media annuale del PIL in termini reali nell'OCSE sarà del 1,9%, ma allo stesso tempo ipotizza una situazione di stagnazione energetica per il mondo attualmente più industrializzato: gli Stati Uniti passerebbero da un consumo totale di energia primaria di 2135 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio (Mtoe, nell'acronimo inglese) nel 2012 a 2190 Mtoe nel 2040, l'Europa passerebbe da 1769 a 1697, il Giappone da 452 a 422 e la Russia da 749 a 819 (ma tenendo conto che nel 1990 consumava 880 Mtoe). Vale a dire: una crescita esigua, dello 0,3% annuale per gli Stati Uniti e leggermente negativa per l'Europa e per il Giappone. Il resto del mondo, invece, vedrà crescere il proprio consumo di energia a ritmi fra l1 e il 2% all'anno, piuttosto considerevoli, ma inferiori alle medie storiche di crescita del consumo energetico: Con questa crescita, il resto del mondo garantirebbe una crescita del PIL reale a un ritmo del 4,6% all'anno, roba da niente.


Come si verificherà un tale prodigio, che contraddice l'intuito ed anche i dati sperimentali che ci offre la stessa IEA sull'evoluzione del PIL rispetto al consumo di energia? La risposta ce l'abbiamo a pagina 53: “Nello scenario di Nuove politiche la domanda di energia primaria mondiale aumenta di circa il 37%fra il 2012 e il 2040. La domanda cresceva più rapidamente nei decenni passati; questo rallentamento della crescita della domanda si avrà dai guadagni in efficienza energetica e cambiamenti strutturali nell'economia globale a favore di attività meno intensive energeticamente" (il grassetto è mio). Cioè: la IEA identifica che l'energia non fluirà con la stessa intensità di prima (anche se non ammette apertamente che ci saranno problemi con diversi combustibili) ma ci dice di non allarmarci, perché il PIL continuerà a crescere nonostante il consumo energetico non lo segua (e che nella OCSE addirittura ristagni), grazie al fatto che i nostri processi energetici sono più efficienti (pare non abbiano ancora sentito parlare del paradosso di Jevons) e propone perché inoltre ci concentreremo in attività di maggior valore aggiunto. Questa riflessione dovrebbe allarmare i paesi come la Spagna, dove non si è predisposto nulla per settori del genere e dove non si stanno ponendo le condizioni per fare questa fortissima e rapidissima transizione, ma dove piuttosto avviene il contrario, con un'espulsione in massa dei giovani attraverso l'emigrazione.

Un punto chiave per il miracolo che sta chiedendo la IEA è l'evoluzione dello sviluppo tecnologico: A pagina 46 da i dettagli di quali sono le principali conquiste che si aspetta: più rinnovabili (anche se riconosce una caduta dell'investimento nelle stesse), più nucleare (la questione sulla quale sembra puntare questo rapporto), sistemi di cattura e sequestro del carbonio (CCS; è interessante evidenziare che, secondo i regolamenti della EPA americana, le nuove centrali termiche a carbone dovranno essere equipaggiate con CCS entro 10 anni – vedremo di cosa si tratta), più biocombustibili negli Stati Uniti (si riconosce che c'è stato un forte crollo nel 2012 – coinciso con la fine dei sussidi negli Stati Uniti – ma che c'è stato un grande recupero nel 2013), più veicoli ibridi ed elettrici e la proverbiale efficienza energetica (Lord Jevons, questo sconosciuto). Tutte idee vecchie, tutte già verificate, in alcuni casi, per decenni e tutte hanno dimostrato di avere dei limiti pratici che negano qualsiasi possibilità che possano avere un impatto significativo su grande scala. Per esempio, nonostante queste espressioni di buona volontà, possiamo leggere più avanti nel rapporto (box 2.2, pagina 61) che il fotovoltaico fornirà nel 2040 il 4% dell'elettricità mondiale, mentre l'eolico darà l'8% della stessa elettricità. Risulta che l'incremento dell'elettrificazione in questo periodo sarà, secondo questo scenario, moderato, per cui il contributo delle rinnovabili all'energia primaria del mondo passerebbe dal 12% nel 2012 al 19% nel 2040 (e non dimenticate che la maggior parte delle rinnovabili sono biomassa – principalmente le legna che usano i contadini di tutto il mondo – e idroelettrico). In nessun punto si discute con quale rame si produrrà questo incremento di elettrificazione, soprattutto tenendo conto del fatto che il picco di produzione del rame sembra essere in un orizzonte prossimo; non ci sono neanche allusioni ai possibili problemi di forniture di terre rare, che sono necessarie per le tecnologie più efficienti. Come vedete, non si profila niente di realmente eccitante nell'orizzonte energetico, non è affatto evidente che si possa ottenere un aumento della nostra fornitura di energia da parte di nuove fonti e da una migliore efficienza. Eppure, sta lì la scommessa della IEA per il futuro.

Petrolio

Per la IEA è chiaro che il consumo di energia continuerà a crescere nei prossimi anni, in modo tale da soddisfare la domanda crescente di una popolazione che vedono in continuo aumento. Ricordiamo che, a parità di altri fattori, la crescita della popolazione è il fattore che contribuisce di più all'aumento del PIL e con il pensiero economico classico – la dottrina religiosa imperante – il PIL deve sempre aumentare, per cui la via più facile è mediante l'aumento della popolazione. Nel caso particolare del petrolio, si prevede un aumento, nei prossimi 26 anni, di circa 14 Mb/g, fino a raggiungere il livello dei 104 Mb/g. Quanto è lontano il WEO del 2007, in cui ci si aspettava di giungere ai 120 Mb/g nel 2025 (secondo il WEO 2014, nel 2025 la produzione di tutti gli idrocarburi liquidi – che non sono esattamente petrolio – sarà circa di 96 Mb/g. Il panorama potrebbe sembrarci un pochino meno promettente di quello dell'anno scorso e la IEA si sforza di proporre un messaggio positivo, anche se non può evitare di dare avvertimenti sul fatto che il cammino verso il futuro può avere delle gravi complicazioni. Così, a pagina 74 possiamo leggere: “Le risorse restanti economicamente sfruttabili dei combustibili fossili e dell'uranio su scala globale sono più che sufficienti per coprire la crescita prevista della domanda fino al 2040, nello scenario Nuove politiche (…). Ma se queste risorse saranno finalmente sviluppate e un po' meno chiaro, date le incertezze risultanti dalla confluenza di fattori geopolitici, economici e politici e all'impatto del cambiamento tecnologico”. Per alimentare maggiormente la confusione, la IEA mostra a pagina 75 il tipico grafico degli anni rimanenti per ogni combustibile: è l'errore tipico Q/P (Quantità di petrolio/Produzione di petrolio), della quale abbiamo già parlato in alcune occasioni, che di solito serve ad illustrare alcuni articoli d'opinione che appaiono sulla stampa. Per evitare che vi disturbiate a cercare il grafico in questione, ve lo copio qui. Naturalmente, non c'è alcun riferimento all'EROEI in tutto il rapporto.


A pagina 76 si riconosce, a parole, che la produzione di petrolio greggio convenzionale diminuirà leggermente: dai 70 Mb/g del 2005 (questo dato non è menzionato in questo WEO, ma ma è stato presentato nelle edizioni precedenti) si manterrebbe a 68 Mb/g fino al 2030 e poi diminuirebbe fino ai 66 Mb/g nel 2040. Il fatto è che questo WEO è molto testuale e meno grafico, meno basato su dati di quelli precedenti, per quanto riguarda il petrolio. Non c'è alcun grafico come quello del 2012, col quale ho fatto l'analisi del post “Il tramonto del petrolio”, ma c'è qualcosa di meglio: una tavola a pagina 117 coi valori numerici di produzione per tipo ed anno (secondo la quale, di sicuro) la produzione di petrolio greggio nel 2013 è stata di 68,6 Mb/g. Traetene le vostre conclusioni). L'analisi di questa tavola sarà il tema del prossimo post. In generale la IEA  da in questo WEO le informazioni col contagocce e le poche cose che mostra le presenta in modo inusuale, cercando di dissimulare i fatti: guardate questo grafico che occupa la pagina 79:




In realtà sono grafici della produzione stimata dei paesi esaminati, ma a tutti è stato sottratto il livello di produzione del 2013. Se guardiamo bene, questi grafici non stanno dicendo che la produzione di petrolio (non dicono “convenzionale, così dobbiamo intendere che si riferiscano a tutti gli idrocarburi liquidi) diminuirà in Russia e nel Mare del Nord (molto leggermente, se si confronta con altre stime), aumenterà molto poco e solo a partire dal 2025 in Arabia Saudita, toccherà il suo massimo produttivo negli Stati Uniti verso il 2017 o 2018 (dove sono finiti i sogni di indipendenza energetica?) e realmente dipenderà principalmente dal Canada e in misura maggiore da Brasile ed Iraq il fatto che non cominci un declino irreversibile. Tenendo conto che in Brasile le prospettive nella pratica non si stanno rivelando tanto buone e che in virtù di ciò che abbiamo visto è possibile che nel 2040 non esista uno stato chiamato Iraq, sembra tutto un esercizio di volontarismo piuttosto che una cosa concreta. Una delle sezioni più interessanti del WEO 2014 è quella che parla degli investimenti nella produzione di energia. Estrapolo alcune frasi che credo siano abbastanza significative:

Pagina 85: “La decisione di impegnare capitale nel settore energetico viene sempre più modellata da misure politiche e incentivi dei governi, più che dai segnali di un mercato competitivo [riferimento ad un rapporto sull'investimento pubblicato dalla IEA qualche mese fa]. Nel settore del petrolio, ci si attende che la dipendenza da paesi con un accesso più restrittivo alle risorse cresca, nella misura in cui la produzione di petrolio del Nord America [NOTA: cioè, Canada, Stati Uniti e Messico] torni piatta dal 2030 in avanti. Le turbolenze geo-politiche come quelle presenti in Iraq, Libia ed altre parti del Medio oriente e del Nord Africa, sono la base dei rischi negativi sulla produzione di petrolio a lungo termine, cosa che indica un rischio significativo del fatto che l'investimento non arrivi in tempo, durante il decennio in corso, per evitare un deficit di fornitura a partire dal 2020”. Come vedete, i problemi possibili “sul terreno”, come piace dire alla IEA, sarebbero la causa del fatto che non si verifichi in tempo l'investimento, se alla fine succede questo. E, come vedete, nessuno si addentra ad analizzare se questi problemi sono il risultato di una instabilità intrinseca frutto dei crescenti costi di estrazione e il crollo del beneficio che corrisponde all'estrazione di fonti con EROEI molto bassi. Come sappiamo, l'incremento della produzione di petrolio degli Stati Uniti non sta portando ad un aumento del consumo della preziosa materia prima in quel paese. In realtà, lo scenario che maneggia la IEA, che è già abbastanza inquietante per l'OCSE, è molto preoccupante in termini di petrolio: dato che la produzione di tutto ciò che la IEA chiama petrolio aumenterebbe solo di 14 Mb/g da qui al 2040 al di sopra degli attuali 90 MB/g di produzione, il suo scenario prevede una drastica redistribuzione del consumo.


Come si vede nel grafico, il consumo dell'OCSE diminuirebbe a 10 Mb/g, cioè, intorno al 23% del suo consumo attuale, perché soprattutto Cina ed India possano aumentare il proprio. Pertanto, lo scenario di riferimento per la IEA, che contempla una stagnazione del consumo energetico per l'OCSE, è in realtà uno scenario di forte discesa del consumo di petrolio in questa area, che dovrà essere compensato da gas, nucleare e rinnovabili. Se si analizzano in modo critico le tendenze degli ultimi anni, una transizione tanto ordinata e di questa dimensione sembra, quanto meno, molto improbabile. Non c'è da meravigliarsi che alla pagina 104 venga dedicato tutto un paragrafo per parlare dei vantaggi del car sharing negli spostamenti e si menziona persino che probabilmente abbiamo superato il picco delle auto nell'OCSE (picco del petrolio non si può dire, ma la sua ombra è lunga). Analizzando le riserve tecnicamente recuperabili di petrolio, il WEO 2014 da da intendere chiaramente che considera che siano più che sufficienti per coprire la domanda prevista in uno qualsiasi dei tre scenari. Detto così non è chiaro se stanno tenendo conto dei ritmi reali di produzione, visto che la questione non è solo se le riserve saranno sufficienti (lo sono senza dubbio), ma se la quantità che si potrà estrarre a ritmi realistici potrà coprire la domanda (cosa abbastanza più incerta, come sappiamo). Come si dice a pagina 111, le risorse mondiali di idrocarburi liquidi non rinnovabili (che comprendono petrolio greggio convenzionale, liquidi del gas naturale, super pesanti, kerogene e tight oil) sarebbero di circa 6 miliardi (spagnoli) di barili di greggio, dei quali 1,7 miliardi sono considerati riserve provate (espressi in termini del quoziente Q/P che da luogo in seguito a tante confusioni, circa 50 anni ai livelli di consumo attuali se si potesse estrarre questo petrolio al ritmo che pare a noi, ma già sappiamo che non è così). Ci sono diverse cose curiose qui. Un miliardo di queste risorse corrispondono al kerogene, che non è chiaro come si possa estrarre economicamente (vedete la discussione nel post sulla redditività del fracking). Ci sono altri quasi 2 miliardi che corrispondono ai petroli superpesanti, alcuni dei quali sono di redditività molto bassa o nulla, e 344.000 milioni sono di tight oil. Non sappiamo a quante di queste tre risorse sia stata assegnata la categoria di “riserve provate”. Dato che per l'insieme di risorse di petrolio si verifica un rapporto di 3,5 a 1 tra risorse e riserve, sembra ragionevole che esista una relazione simile per queste tre risorse concrete e le loro riserve provate, pertanto c'è una quantità sicuramente non molto lontana dai 900.000 milioni di barili di riserve che vengono considerate provate ma che sarà piuttosto difficile sviluppare completamente.

Un'altra cosa curiose è che la IEA dice che, nonostante le riserve provate siano sufficienti a coprire la domanda attesa, è molto importante che se ne trovino di nuove a causa del fatto che la maggior parte delle attuali riserve sono controllate dall'OPEC e, pertanto, non sono troppo affidabili (controllano troppo il prezzo, dice la IEA). Qui si introduce tutta una discussione sul fatto che la classificazione attuale di riserve provate e probabili sia adeguata tenendo conto del modello di estrazione delle risorse non convenzionali, anche se a me pare un po' ipocrita e soltanto una giustificazione al fatto di dire che si continueranno a trovare risorse ad un buon ritmo nei prossimi anni, grazie a queste nuove pratiche contabili.


Infilandolo nella discussione sulle nuove riserve, il WEO 2014 approfitta per dire che due terzi di ciò che si spera di trovare  nei prossimi anni dovranno essere in estrazioni nel mare (off shore). Niente è casuale: la IEA ha il Messico nel mirino e nonostante non ci presenti alcun grafico sull'evoluzione della produzione globale di petrolio per tipologia, ce lo offre invece nel caso del Messico.


Come vedete, ipotizzano una fortissima caduta della produzione di petrolio a partire dai giacimenti attualmente in estrazione nel paese nordamericano (nella notazione della IEA), che verrà compensata da un aumento incredibilmente grande della produzione proveniente da giacimenti ancora da scoprire, principalmente offshore. Si aspettano che accada tutto questo, come dicono esplicitamente, sulle ali della famosa riforma energetica del Messico, che deve permettere che il capitale privato inverta la pessima tendenza produttiva attuale (cosa che non pochi mettono in dubbio). Qui la IEA si allinea con questi interessi economici e, con questo grafico che allego sopra, fornisce argomenti a favore dell'apertura energetica (che temo molto che scatenerà un mare d'inchiostro in Messico, sullo stile del meme falso dell'indipendenza energetica degli Stati Uniti). E' il caso di dire che un incremento tanto rapido e brutale della produzione di petrolio proveniente da giacimenti non ancora conosciuti in un'area in cui, seppure poca, esiste già un'estrazione ed un'esplorazione, risulta difficile da credere. I commenti che si fanno su Iraq ed Iran sono sulla stessa linea: un ottimismo difficile da sottoscrivere. Vi lascio, senza ulteriori commenti, la curva che stimano per l'Iran. Fino al 2013 sono dati, a partire da lì è la loro previsione.


Non riesco a finire l'analisi di questa parte senza tradurre alla lettera un paragrafo sulle “Prospettive di produzione” (pagina 114), nel quale la IEA fa la sua previsione a breve e medio termine, poiché credo che i prossimi anni metteranno a dura prova queste affermazioni.

“La produzione di petrolio fino al 2040 nello scenario di Nuove politiche si può dividere in maniera utile in due periodo, con la transizione fra i due che avviene nel decennio degli anni 20 di questo secolo (Figura3.10). Il primo periodo è caratterizzato da una produzione sostenuta nei paesi non OPEC: il tight oil (e in misura minore il petrolio da acque profonde) degli Stati Uniti, le sabbie bituminose del Canada, i giacimenti in acque profonde del Brasile e la crescente produzione di liquidi del gas naturale da diverse fonti fanno sì che la produzione non OPEC si stabilizzerà e comincerà a retrocedere, a causa della diminuzione della produzione convenzionale in Russia, Cina, più tardi in Kazakistan e alla fine di una saturazione negli Stati Uniti”.

Carbone

Qui troviamo una delle sorprese (relative) di questo WEO: la IEA prevede praticamente una stagnazione del consumo di carbone a partire dal 2020 (crescite fra lo 0,2% e lo 0,3% annuali), dando luogo ad un plateau produttivo che ricorda quello che nel 2010 si era verificato per il petrolio greggio convenzionale. Il grafico si può trovare nella presentazione alla stampa.



Dato che nel 2012 è stato verificato che tale plateau non si era verificato, ma che il petrolio convenzionale in realtà stava già diminuendo, è legittimo chiedersi se qualcosa del genere succederà anche col carbone. In linea di principio ciò non è troppo probabile, poiché questo limite estrattivo sembra essere originato più da una difficoltà intrinseca di consumare più carbone da parte del suo maggior utilizzatore, la Cina, a causa dei problemi logistici ed ambientali che causa, non tanto all'impossibilità di aumentare la produzione. Cioè, che è possibile che in questo caso ciò che prevede il WEO 2014 è un picco della domanda e non della produzione, che alla fine viene a mettere in dubbio una volta di più la perfetta sostituibilità delle diverse fonti di energia. In questo modo, sarebbe possibile mantenere una produzione di carbone approssimativamente costante per vari decenni, come i dati delle riserve sembrano avvallare. In aggiunta, non si deve scartare il fatto che il messaggio che sta mandando la IEA contenga un certo contenuto politico: al prossimo vertice di Parigi si deve decidere come si taglieranno le emissioni di CO2 e il carbone è il combustibile più inquinante e che produce più CO2 per caloria prodotta (anche se, come sembra, le estrazioni da fracking non gli vanno molto lontano). E' piuttosto significativo il grafico delle emissioni previste a seconda del tipo di combustibile:


Come si vede, si pensa che le emissioni associate al petrolio ed al carbone rimangano praticamente costanti a partire dal 2020 (di fatto il petrolio salirebbe ancora leggermente, mentre il carbone manterrebbe il livello più o meno dal 2017), mentre le emissioni di CO2 associate al gas salirebbero a buon ritmo. Obbiettivamente questa è una visione di come dovrebbe essere il mix energetico nei prossimi anni e che favorisce gli interessi degli Stati Uniti grazie al gas di scisto (purtroppo nella IEA, nonostante le numerose notizie apparse sulla stampa, non hanno ancora imparato che il gas di scisto è una rovina). Anche così, queste proiezioni rispetto al carbone contraddicono le attuali tendenze, come quella della Germania (che sta consumando più carbone, principalmente la sua lignite nazionale). Ciononostante, il WEO 2014 afferma che il consumo di carbone in Europa scenderà, principalmente a causa dell'aumento della produzione energetica rinnovabile (che in Europa dicono che raddoppierà), anche se il totale dell'energia primaria consumata sarà inferiore (ma il PIL crescerà, a causa immagino della presunta maggiore efficienza nello sfruttamento dell'energia elettrica negli usi finali, il che è sicuro, se parliamo di motori, abbastanza meno certo se parliamo di altri usi). Per maggiore contraddizione, in un'altra sezione del WEO si afferma che la produzione di petrolio (o meglio, di idrocarburi liquidi) si farà più complessa e diversificata grazie all'introduzione massiccia di impianti di conversione del gas liquido e di trasformazione del carbone in liquido grazie al processo di Fischer-Tropsch, nonostante le prove della sua attuale piccolezza (il WEO parla di una decina di migliaia di barili al giorno di produzione). L'ipotesi di un picco della domanda di carbone sembra, pertanto, abbastanza ragionevole. Tuttavia, a pagina 190 troviamo questo grafico rivelatore, in cui la produzione di carbone è ripartita per tipo di miniera: 



La striscia azzurra corrisponde alle miniere esistenti, che a quanto pare soffriranno di un abbassamento della produzione che accelererà a partire dal 2025. La striscia marrone corrisponde a progetti di espansione, basati su miniere già esistenti. Apportano qualcosa, ma non invertono la tendenza né modificano sensibilmente i tempi. La chiave si trova, pertanto,  nella striscia verde, che corrisponde a miniere nelle quali non è ancora stato fatto il primo buco (e nelle quali pertanto il volume delle riserve e la produzione ottenibile hanno una componente speculativa). La IEA sta preparando il terreno per discutere del picco del carbone nei prossimi anni?Il resto di questa sezione è abbastanza inutile. Evidenzio che, seguendo la moda del momento, una sotto sezione è dedicata alla discussione della cattura e dell'immagazzinamento del carbonio (Carbon Capture and Storage, CCS). I sistemi di CCS si basano sull'iniezione dei gas di combustione delle centrali termiche a carbone in alcuni bacini sotterranei o, allungandone il ciclo, il suo uso nel recupero secondario o terziario del petrolio (nel quale si favorisce il flusso di petrolio iniettando gas in pressione). Dato che l'obbiettivo è catturare il il CO2 per continuare a bruciare carbone, si pongono una serie di difficoltà pratiche. Qualsiasi studente del primo anno di Fisica sa che la resistenza di un gas all'essere iniettato in un bacino aumenta esponenzialmente con la quantità di gas già accumulato al suo interno, cosicché questi sistemi consumano una grande quantità di energia ed alla fine si saturano ad un certo valore, raggiunto il quale non è più possibile iniettare altro gas. I bacini geologici a disposizione di uno di questi impianti ha sicuramente limiti di capacità inferiori alla produzione potenziale di CO2 della centrale termica, quindi, cosa si fa del CO2 in eccesso? C'è anche la questione della tenuta stagna del bacino: se si creano delle crepe, il CO2 uscirà nell'atmosfera e lo sforzo sarà stato vano (e questo senza contare il fatto che le alte pressioni potrebbero, in determinate situazioni, indurre sismicità: i lettori spagnoli ricorderanno senza dubbio il fiasco del magazzino Castor, di fronte alle coste di Castellón. Per ultimo, c'è la questione per cui l'iniezione di gas nel sottosuolo consuma una grande quantità di energia (nei prototipi più avanzati di CCS, un 25% della produzione dell'impianto), proprio in un momento nel quale sicuramente non ci interessa perdere altra energia. Tutte queste cose sono conosciute già da anni eppure si continua ad insistere ripetutamente su questa idea, che è sconfitta in anticipo dalla realtà. 

Gas

Secondo questo WEO, il gas supererà il petrolio come fonte principale di energia degli Stati Uniti prima del 2030, in parte a causa della diminuzione della domanda di quest'ultimo (suppongo che sia perché presumono che le auto elettriche alimentate da rinnovabili prenderanno il sopravvento nei trasporti o perché presumono che i liquidi associati al gas verranno maggiormente usati nell'autotrazione). Questa affermazione della IEA servirà ad alimentare per qualche anno ancora l'idea che la rivoluzione del gas di scisto sia la panacea, finché questa bolla finanziaria non finisca per scoppiare. Significativamente, l'epigrafe di questa sezione è: “Liquidi del gas naturale alla riscossa?”. Per i disinformati, dire che la maggior parte del contenuto dei liquidi del gas naturale , e in modo analogo nei gas di petrolio liquefatti o GPL, è una miscela variabile di butano e propano. Cioè che tutti i progressi nell'autotrazione basati su questi combustibili consistono fondamentalmente nel recuperare, in versione moderna, quei taxi alimentati con bombole di butano che erano frequenti nella Spagna degli anni 70 e 80, cosa interessante ora che la gente usa meno butano nelle abitazioni, ma che ha un percorso limitato perché il prezzo di questa alternativa andrà alle stella quando il mercato cresce. In quanto al gas naturale in sé stesso, secondo le proiezioni della IEA, il suo uso principale sarebbe per la generazione di elettricità. Nonostante le difficoltà di creare nuovi mercati per il gas naturale, soprattutto se il petrolio ed il carbone non andranno ad alimentare più crescita economica, la IEA scommette che il gas crescerà a buon ritmo, prendendo in qualche modo il posto degli altri combustibili. 


Il posto nel mondo in cui dovrebbe crescere di più la domanda di gas naturale sarebbe la Cina, ad un ritmo impressionante del 5,2% all'anno. Evidentemente è questo il modo in cui la Cina potrà livellare il proprio consumo di carbone. Date le tendenze attuali, questa supposizione sembra abbastanza azzardata, tenendo in considerazione inoltre che il commercio e la distribuzione del gas necessita di costose infrastrutture che richiedono anni per essere ripagate. I prossimi anni metteranno alla prova le ipotesi della IEA. La seconda regione col maggior incremento del consumo di gas naturale è il Medio Oriente (2% di crescita annuale). Come ha già fatto per il petrolio, la IEA non vede alcun problema futuro nella produzione di gas, nonostante che a questo punto ci troviamo già a pochi anni dal suo picco produttivo, il quale potrebbe essere accelerato dalle turbolenze col petrolio. Così, con l'animo di poter continuare a comprare le diverse revisioni che si faranno nel prossimo decennio sulla produzione di gas naturale, includo qui il grafico corrispondente a questo WEO. Sicuramente, siccome non vedono ancora arrivare il picco di produzione del gas convenzionale, qui ci suddividono la produzione per tipologie: un dettaglio che sarà utile per riferimenti futuri. 


Merita una menzione anche il fatto che dedichino una sottosezione a discutere dei problemi di sicurezza della fornitura di gas, in particolare alla luce del recente e crescente conflitto fra Russia e Unione Europea alla cui basa c'è l'Ucraina. Mostrano un grafico molto interessante sul quali sono state le importazioni di gas naturale per l'Europa (non l'Unione Europea), che a sua volta può essere utile per tracciare la strada del nostro futuro.


Nucleare

Il WEO 2014 dedica una parte enorme alla discussione di questa fonte di energia, nonostante il suo carattere minoritario (circa il 4% dell'energia primaria generata nel mondo) e delle sue scarse proiezioni di futuro. Perché? Perché fondamentalmente la IEA abbraccia la tesi secondo la quale le riserve di uranio sono enormi e che l'evoluzione tecnologica permetterà di ampliare enormemente le risorse che passeranno ad essere economicamente disponibili – abbiamo molto bisogno di una tecnologia che a breve termine cominci a dare un apporto in mezzo a tante carenze. Ma l'evoluzione dell'energia nucleare negli ultimi decenni non è stata molto brillante, essendo passata dal fornire il 18% dell'elettricità mondiale nel 1998 al 11% di adesso (vedete il grafico più in basso). Ma per la IEA la questione chiave sono le basse emissioni di CO2 di questa fonte: di fatto, nello scenario 450, l'energia nucleare cresce ad un ritmo vertiginoso.


Il WEO 2014 presume che si installeranno 332 Gw di potenza in più da qui al 2040 (il che è una castroneria: attualmente ci sono 392 Gw), principalmente in potenze emergenti e negli Stati Uniti, mentre scommette sul fatto che si prolunghino la vita delle licenze di esercizio in occidente. Richiama l'attenzione l'ipotesi poco delicata secondo la quale il Giappone recupererà progressivamente la sua forza nucleare, a partire dal 2020 per non ferire suscettibilità nei dintorni e soltanto ai tre quarti di quello che avevano prima dell'incidente di Fukushima. In seguito c'è una lunghissima discussione sui costi, scomponendo i diversi fattori che contribuiscono agli stessi e la sensibilità che hanno a diversi fattori (compreso il prezzo dei combustibili fossili). Mi è sembrato interessante vedere che il prezzo del combustibile è già intorno al 10% dei costi della centrale (quando ho cominciato a fare questo, i sostenitori di questa tecnologia si vantavano del fatto che il combustibile rappresentava soltanto l'1% dei costi) e poi un'altra discussione, non meno lunga, sulla percezione pubblica di questa energia. Qui si presentavano tre sotto-scenari disaggregati da quello di riferimento; in uno di questi (Low nuclear) nel 2040 ci sarebbe un po' meno energia nucleare installata (366 Gw). In quanto alle risorse, si dice che c'è uranio sufficiente per alimentare uno qualsiasi dei tre sotto-scenari. C'è anche un certo cinismo implicito, per esempio nel grafico che ci informa quale dovrebbe essere il ritmo di chiusura delle attuali centrali nucleari e qual è quello che prevedono nello scenario di riferimento, dando per scontato che ci saranno molti prolungamenti delle licenze operative oltre la vita utile nominale delle centrali e che di fatto verranno estese per molti decenni. 


Ma quello che risulta estremamente scioccante è il riconoscimento aperto del fatto che con le miniere di uranio esistenti e con l'uranio immagazzinato dei decenni antecedenti (riserve secondarie, nel gergo del settore), presumendo inoltre che tutte le miniere attualmente previste si realizzino in tempo, mancherà uranio a partire dal 2020 e verso il 2040 non si potrà coprire tutta la domanda ma meno del 60% (mancheranno circa 45.000 tonnellate di uranio naturale equivalente su circa 105.000 richieste).


Questo è né più né meno il picco dell'uranio. Sono sicuro che a Pedro Prieto piacerà vedere emergere le fauci di uraniator in questo “supply gap” (“mancanza di fornitura”) che ci ricorda tanto quello già visto un decennio fa nelle previsioni per il petrolio. La sola cosa che la IEA riesce a fare per cercare di scongiurare prospettive così pessime è il paragrafo che segue e che accompagna il grafico che vi ho appena indicato: 

“L'estrazione di risorse di uranio ancora da scoprire potrebbe aggiungere forniture di uranio nel futuro, sempre che si faccia esplorazione e sviluppo su scale significative. Inoltre, le risorse di uranio non convenzionali (acqua di mare e fosfati), così come i cicli di combustibili alternativi come quelli che si basano sul torio, promettono di fornire combustibile nucleare a lungo termine se si fa il necessario sviluppo tecnologico. Un'ampia gamma di tecnologie nucleari è attualmente in via di sviluppo (per esempio, i reattori di quarta generazione), il che congiuntamente alla rielaborazione potrebbero anche contribuire ad allontanare di un tempo ancora maggiore qualsiasi scarsità di combustibile”. 

Ciò che mi sembra preoccupante di questo paragrafo è che tutti questi argomenti vengono usati da decenni senza che nessuno dei progressi desiderati si sia verificato per ragioni tecniche che sono ben conosciute (per me il massimo del ridicolo è il riferimento all'uranio dell'acqua di mare). E' triste giungere a pagina 430 di questo rapporto per vedere che dopo tanto parlare siano rimasti senza parole.

Ciò che rimane nel calamaio

E' tantissimo: ci sono diverse sezioni interessanti, come quella dedicata alle rinnovabili, all'efficienza e all'elettrificazione. E tutta la parte dedicata all'Africa. Secondo il WEO le rinnovabili occuperanno una grande percentuale della produzione energetica futura ed è abbastanza fiducioso soprattutto rispetto al fotovoltaico, data la riduzione del costo dei pannelli, anche se riconosce che i recenti cambiamenti legislativi in diversi paesi lo stanno ostacolando e ricorda che le sovvenzioni statali ai combustibili fossili sono 6 volte maggiori che alle rinnovabili (anche se dimentica di commentare che i combustibili fossili stanno producendo più di 10 volte più energia delle rinnovabili). Nel paragrafo dell'efficienza non c'è il minimo riferimento al Lord Jevons. In quanto all'elettricità, c'è un'interessante discussione sulla sicurezza della fornitura energetica, che potrebbe vedersi compromessa, dice la IEA, a causa della maggior inclusione di energia rinnovabile e la perdita di interesse degli investitori in impianti convenzionali che tuttavia dovrebbero esserci per dare sostegno. Il quadro di questa discussione porta il titolo significativo di: “Mantenere accese le luci” (pagina 209).

Conclusioni

Il linguaggio tranquillizzante che viene sempre impiegato dalla IEA sulle prospettive di futuro in quanto alla fornitura di energia, risulta nettamente smentito quando si entra nei dettagli dei dati da essa stessa forniti. Nel rapporto di quest'anno possiamo trovare riferimenti per nulla velati ai problemi di produzione di petrolio se non c'è sufficiente investimento, a un picco del carbone che si potrebbe interpretare come un picco della domanda (fondamentalmente dovuto alla Cina) ma che in realtà potrebbe giungere ad essere un picco produttivo reale  e al riconoscimento, ormai senza perifrasi, che, senza un cambiamento radicale, la produzione di uranio comincerà a diminuire nel prossimo decennio. L'unica materia prima non rinnovabile per cui i grafici non mostrano problemi è il gas naturale, ed anche questa è abbastanza discutibile. Dati i dubbi crescenti sul buon passo dell'economia mondiale (che verranno confermati o smentiti nei prossimi mesi) non si può escludere che si verifichi una pericolosa retroazione negativa fra la produzione di questi materiali e i cicli di investimento e disinvestimento nella loro produzione. La produzione di petrolio, carbone e uranio (e in realtà anche quella del gas naturale) accumula tensioni tali che, lasciata al suo sviluppo naturale, porterebbe all'arrivo dei picchi contemporanei di tutte e di conseguenza di molte altre materie prime non energetiche. E' il temuto Peak Everything, il cui effetto sociale è la Grande Scarsità

Ponendo lo sguardo indietro, guardando a ciò che facciamo come società con questo corpo di prove crescente sui limiti della crescita, la sola cosa che vedo è che continuiamo a guardare, così come a seguire, le linee di evoluzione e di degrado più o meno previste dai modelli. Insomma, vedo come ci stiamo avvicinando al disastro finale. Se mai ci fosse un momento per reagire, è sicuramente questo. 

Saluti.
AMT