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domenica 12 settembre 2021

Cambiamenti climatici: qual è la cosa peggiore che ci potrebbe capitare?

Un Brontotherium, una creatura simile ai moderni rinoceronti che visse fino a circa 35 milioni di anni fa in un mondo che era di circa 10 gradi centigradi più caldo del nostro. In questa scena, vediamo una pianura erbosa, ma la Terra era per lo più forestata a quell'epoca. Forse ci stiamo muovendo verso condizioni simili, anche se non è ovvio che gli esseri umani potrebbero cavarsela altrettanto bene di come ha fatto questo bestione ( immagine dalla BBC ).

 Traduzione da "The Seneca Effect"


Come era prevedibile, il sesto rapporto di valutazione dell'IPCC è sprofondato come una pietra sul fondo della memesfera pochi giorni dopo la sua presentazione. In parole povere, nessuno è interessato a sacrificare qualcosa per invertire la tendenza al riscaldamento e, molto probabilmente, non si farà nulla. 

Attenzione: non sto dicendo che non si possa più fare nulla. Penso che dovremmo continuare a fare ciò che possiamo, il più a lungo possibile. L'energia rinnovabile offre speranza per mitigare la pressione sul clima e dovremmo cercare di fare del nostro meglio per muoverci nella giusta direzione. Ma, a questo punto, potremmo aver superato il punto di non ritorno ed essere in caduta libera verso un mondo sconosciuto. Allora, qual è la cosa peggiore che ci può capitare?

I modelli non possono aiutarci troppo a rispondere. I sistemi complessi - e il clima della Terra è uno di essi - tendono ad essere stabili, ma quando superano i punti critici, cambiano rapidamente e in modo imprevedibile. Quindi, il meglio che possiamo fare è immaginare scenari basati su ciò che sappiamo, usando il passato come guida.

Supponiamo che gli umani continuino a bruciare combustibili fossili per qualche altro decennio, magari rallentando un po', ma ancora intenzionati a bruciare tutto ciò che è bruciabile, disboscare ciò che è disboscabile e sterminare ciò che è sterminabile. Di conseguenza, l'atmosfera continua a riscaldarsi, e così pure l'oceano lo fa. Poi, ad un certo punto -- bang! -- le concentrazioni di gas serra aumentano, il sistema entra in una fase di trasformazione accelerata e subisce una rapida transizione verso un mondo molto più caldo.

Il nuovo stato potrebbe essere simile a quello che era la Terra circa 50 milioni di anni fa, durante l'Eocene. A quel tempo la concentrazione di CO2 nell'atmosfera era dell'ordine delle mille parti per milione (oggi è di circa 400) e la temperatura media superficiale era di circa 10-12 gradi C superiore a quella attuale. Faceva caldo, ma la vita prosperava e la Terra era un pianeta rigoglioso e boscoso. In linea di principio, gli esseri umani potrebbero vivere in un clima simile a quello dell'Eocene. Il problema è che arrivarci potrebbe essere una corsa difficile, per non dire altro.

Nessuno può dire quanto velocemente potremmo arrivare a un nuovo Eocene, ma i punti di svolta dei sistemi complessi sono veloci, quindi non abbiamo bisogno di milioni di anni. Stiamo pensando, più probabilmente, a migliaia di anni e cambiamenti significativi potrebbero verificarsi in secoli o addirittura in decenni. 

Quindi, proviamo un esercizio per considerare l'ipotesi peggiore: ipotizzando un riscaldamento di 6-10 gradi che si verifica in un arco di tempo dell'ordine di 100-1000 anni, cosa ci aspetteremmo? Dipende non solo dalle temperature, ma dall'interazione di molti altri fattori, tra cui l'esaurimento dei minerali, il collasso economico e sociale e altri. Ora vi propongo una serie di scenari disposti da non così male a molto male. Ricordatevi che queste sono possibilità, non previsioni.


1. Eventi meteorologici estremi: uragani e simili . Questi eventi sono spettacolari e spesso descritti come la principale manifestazione del cambiamento climatico. Tuttavia, non è ovvio che un mondo più caldo mostrerà fenomeni atmosferici più violenti. Un uragano è una macchina termica che trasferisce il calore da una zona calda a una fredda. È più efficiente, e quindi più potente, maggiore è la differenza di temperatura. Da quello che sappiamo, in un mondo più caldo queste differenze dovrebbero essere inferiori a quelle che sono ora, quindi il potere degli uragani sarebbe ridotto, non potenziato. Potremmo però avere molta più pioggia perché un'atmosfera calda può contenere più acqua, e questa è una tendenza già rilevabile. Ma non dobbiamo aspettarci megadisastri che ci porterebbero - da soli - verso il collasso o l'estinzione. Gli eventi meteorologici estremi sarebbero principalmente locali e difficilmente una minaccia esistenziale per la civiltà umana. 

2. Incendi. Temperature più elevate significano maggiori possibilità di incendio, ma la temperatura non è l'unico parametro che entra in gioco. Le tendenze degli ultimi decenni indicano un debole aumento dela frequenza degli incendi nella zona temperata e, naturalmente, gli incendi fanno danni a chi non ha pensato troppo prima di costruire una casa di legno in una foresta di eucalipti. Tuttavia, per quanto ne sappiamo, gli incendi erano meno comuni nell'Eocene di quanto non lo siano ora, che è quello che ci aspetteremmo per un mondo di foreste tropicali. Gli incendi non dovrebbero rappresentare una minaccia per il futuro, anche se potremmo assistere a un temporaneo aumento della loro frequenza e intensità durante il periodo di transizione.

3. Ondate di calore.Non c'è dubbio che le ondate di calore uccidono e che stanno diventando sempre più frequenti. Un clima simile all'Eocene significherebbe che le persone che vivono in quella che è oggi la zona temperata sperimenterebbero le estati sotto forma di una serie continua di ondate di calore estremo. Parigi, ad esempio, avrebbe un clima simile a quello attuale di Dubai. Non sarebbe piacevole, ma è anche vero che a Dubai in estate si sopravvive usando l'aria condizionata e prendendo altre precauzioni. Finché manteniamo una buona fornitura di elettricità e acqua, le ondate di calore non rappresentano una grave minaccia. Senza elettricità, invece, il disastro incombe. Le ondate di calore potrebbero costringere una frazione importante della popolazione nelle zone equatoriali e temperate a spostarsi verso nord o trasferirsi sulle montagne (se ce ne sono), o, semplicemente, morire dove si trova. Il bilancio delle future ondate di calore è impossibile da stimare, ma potrebbe significare la morte di milioni o decine di milioni di persone. Potrebbe non distruggere la civiltà, ma gli umani dovrebbero allontanarsi dalle regioni tropicali del pianeta.

4. Innalzamento del livello del mareQui ci troviamo di fronte a una potenziale minaccia che va dal facilmente gestibile all'esistenziale, a seconda di quanto velocemente si sciolgono le calotte glaciali. L'attuale velocità di 3,6 mm/anno significa 3-4 metri di dislivello in mille anni. In tale arco di tempo, sarebbe ragionevolmente possibile adeguare le strutture portuali e spostarle nell'entroterra via via che il livello del mare aumenta. Ma se la velocità di salita aumenta, come previsto, le cose si fanno dure. Dover ricostruire l'intera infrastruttura commerciale marittima in pochi decenni sarebbe impossibile, per non parlare della possibilità di eventi catastrofici che coinvolgano grandi masse di ghiaccio che si schiantano in mare all'improvviso. Se perdiamo i porti, perdiamo il sistema commerciale marittimo. Senza di essa, miliardi di persone morirebbero di fame. A lungo termine, le calotte glaciali della Groenlandia e dell'Antartide dovranno sciogliersi completamente. L'innalzamento del livello del mare ha il potenziale di causare il collasso della civiltà umana, anche se non per causare l'estinzione della specie.

5. Crollo dell'agricolturaIn linea di principio, i cambiamenti climatici possono avere effetti dirompenti sull'agricoltura. Tuttavia, finora il riscaldamento non ha influito troppo sulla produttività agricola. Supponendo che non ci siano grandi cambiamenti improvvisi, l'agricoltura può continuare a produrre ai tassi attuali fintanto che viene fornita con 1) fertilizzanti, 2) pesticidi 3) meccanizzazione, 4) irrigazione. Eliminiamo uno di questi 4 fattori e i campi di grano si trasformano in un deserto (gli organismi geneticamente modificati (OGM) potrebbero non aver bisogno di pesticidi, ma hanno altri problemi). Mantenere questa fornitura richiede molta energia e questo potrebbe essere un grosso problema in futuro. La produzione artificiale di alimenti con energia fotovoltaicapotrebbe venire in soccorso, ma è ancora una tecnologia sperimentale e potrebbe arrivare troppo tardi. Poi, naturalmente, la tecnologia può fare ben poco contro i cambiamenti meteorologici importanti. Immaginate che il monsone annuale indiano dovesse scomparire: molto probabilmente sarebbe impossibile sostituire la pioggia monsonica con l'irrigazione artificiale e il risultato sarebbe centinaia di milioni di persone che muoiono di fame. La mancanza di cibo è uno dei principali assassinidella storia, direttamente o indirettamente come conseguenza delle epidemie che sfruttano le popolazioni indebolite. Non più di un secolo e mezzo fa, la carestia uccise direttamente circa il 30% della popolazione irlandese e il bilancio sarebbe stato maggiore se alcuni non fossero stati in grado di emigrare. Se estrapoliamo questi numeri al mondo di oggi, si parla di miliardi di vittime. Le carestie sono tra le maggiori minacce per l'umanità nel prossimo futuro, anche se il cambiamento climatico sarebbe solo un co-fattore nel generarle. Le carestie possono causare danni sufficienti a causare un collasso economico, sociale e culturale, anche se non l'estinzione della specie, perlomeno non direttamente. 

6. Collasso dell'ecosistema. La storia della Terra ha visto diversi casi di collassi ecosistemici che hanno comportato estinzioni di massa: i principali sono indicati come "Le cinque grandi estinzioni". La più grande ebbe luogo alla fine del Permiano, circa 250 milioni di anni fa. In quel caso, l'ecosistema si riprese dalla catastrofe, ma andò vicino a perdere tutti i vertebrati. La maggior parte delle grandi estinzioni sono correlate alle emissioni vulcaniche del tipo chiamato "grandi province ignee" che generano grandi quantità di gas serra. Il risultato è un riscaldamento sufficiente a sconvolgere l'ecosistema. L'attuale tasso di emissioni causate dall'uomo è più grande di qualsiasi altra cosa mai sperimentata dall'ecosistema prima, ma è improbabile che arrivi a livelli che potrebbero causare un disastro simile al Permiano. A differenza dei vulcani, a cui non interessa la biosfera, gli esseri umani verrebbero spazzati via molto prima di poter pompare abbastanza CO2 nell'atmosfera da causare la morte della biosfera. Tuttavia, un sostanziale collasso ecosistemico potrebbe essere causato da fattori quali l'eliminazione di specie chiave (ad esempio le api), l'erosione, l'inquinamento da metalli pesanti, l'arresto delle correnti oceaniche termoaline e altri. Il problema è che non abbiamo idea della scala temporale coinvolta. Alcune persone stanno proponendo la "estinzione umana a breve termine" (NTE) che si potrebbe verificare in pochi decenni al massimo. Non è possibile dimostrare che si sbagliano, anche se la maggior parte delle persone che studiano la questione tendono a pensare che il tempo necessario dovrebbe essere molto più lungo. Il collasso dell'ecosistema è una minaccia reale: se è successo in passato, potrebbe ripetersi in futuro. Potrebbe non essere definitivo e l'ecosistema probabilmente si riprenderebbe come ha fatto in passato. Ma, se accadrà, sarà la fine degli umani come specie (e di molte altre specie). 

7, L'imprevisto.Molte cose potrebbero causare un cambiamento improvviso e inaspettato dello stato del sistema. Ad esempio, concentrazioni di CO2 dell'ordine di 1.000 ppm potrebbero rivelarsi velenose per una biosfera che si è evoluta per concentrazioni molto più basse. Ciò porterebbe a un rapido collasso dell'ecosistema. Poi, l'inquinamento da metalli pesanti potrebbe ridurre così tanto la fertilità umana che gli esseri umani si estinguerebbero in un paio di generazioni (siamo particolarmente sensibili all'inquinamento perché siamo predatori apicali). In questo caso, la perturbazione umana sul clima scomparirebbe rapidamente, anche se gli effetti del passato si farebbero sentire ancora per molto tempo. Oppure, possiamo pensare a una guerra nucleare su larga scala. Provocherebbe un temporaneo "inverno nucleare" generato dall'iniezione di polvere che riflette la luce nell'atmosfera. Il conseguente raffreddamento interromperebbe l'agricoltura e ucciderebbe una grande frazione della popolazione umana. Dopo alcuni anni, però, il riscaldamento tornerebbe per vendicarsi con gli interessi. Oppure, potremmo pensare all'apparizione di un'intelligenza artificiale così evoluta da decidere che siamo una seccatura e sterminare l'umanità. Forse manterrebbe alcuni esemplari in uno zoo. Oppure, una vita basata sul silicio potrebbe trovare che l'intera biosfera è una seccatura e procederebbe a sterilizzare il pianeta. In tal caso, potremmo essere trasferiti come creature virtuali in un universo virtuale creato dall'IA stessa. E questo potrebbe essere esattamente quello che siamo! Questi scenari estremi sono improbabili, ma chi lo sa?

 


Quindi, ci troviamo sulla vetta del Dirupo di Seneca,  il picco della curva che descrive le rapide transizioni di fase di sistemi complessi sulla base del principio che "la crescita è lenta, ma la rovina è rapida ". Vediamo una valle verde in lontananza, ma la strada che scende dalla scogliera è così ripida e accidentata che è difficile dire se sopravvivremo alla discesa. 

La cosa più preoccupante non è tanto la ripida discesa in sé, ma che la maggior parte degli umani non solo non la capisce, ma nemmeno è in grado di percepirla. Anche dopo che la discesa è iniziata (e potrebbe essere già iniziata), è probabile che gli esseri umani fraintendano la situazione, attribuiscano il cambiamento ad agenti malvagi (i Verdi, i comunisti, i trumpisti o altro) e reagiscano in un modo che peggiorerà la situazione. Nella migliore delle ipotesi con un esteso greenwashing, nella peggiore con programmi di sterminio su larga scala.

Quindi, potremmo benissimo scomparire come specie in un futuro non remoto. Ma potremmo anche sopravvivere al disastro e riemergere dall'altra parte della transizione climatica. Per coloro che ce la faranno, il nuovo Eocene potrebbe essere un buon mondo in cui vivere, caldo e lussureggiante, ricco di vita. Forse alcuni dei nostri discendenti useranno lance con punta di pietra per cacciare un futuro equivalente dell'antica brontotheria dell'Eocene. E, chissà, potrebbero essere più saggi di quanto lo siamo stati noi. 

Che gli umani sopravvivano o meno, l'ecosistema planetario - Gaia - si riprenderà dalla perturbazione umana, anche se potrebbero volerci alcuni milioni di anni prima che riacquisti la squisita complessità dell'ecosistema com'era prima che gli umani quasi lo distruggessero. Ma Gaia non ha fretta. La Dea è benevola e misericordiosa (anche se a volte spietata) e vivrà per diverse centinaia di milioni di anni dopo che anche l'esistenza degli umani sarà stata dimenticata.

mercoledì 2 luglio 2014

ANCORA SULL'IPOTETICA ESTINZIONE DELLA SPECIE UMANA.

di Jacopo Simonetta

          In un precedente post, ho proposto un modello semplificato per descrivere le retroazioni operanti all'interno del sistema socio-economico che possono condurre sia alla crescita esponenziale di economia e popolazione, sia alla loro de-crescita, parimenti esponenziale, a seconda del contesto ed a come evolvono i rapporti fra le diverse riserve ed i diversi flussi all'interno del macro-sistema.

Più recentemente, ho cercato di illustrare brevemente quali sono i meccanismi di estinzione delle specie e mi sono chiesto se fosse possibile, in un futuro nell'ordine dei secoli, che qualcosa del genere accada anche alla nostra specie.

Da alcuni commenti ricevuti sia su questo blog che su facebook, mi sono però reso conto di essere stato poco chiaro su almeno due punti importanti.

Il primo è semplice:  L’uomo si estinguerà sicuramente, come tutte le altre specie del pianeta.   La domanda che si pone non è quindi se accadrà, ma se potrebbe accadere in tempi relativamente brevi (secoli) e se quello che stiamo facendo oggi potrebbe provocare un tale evento.

Questo ci porta al  secondo punto sul quale non credo che si possano invece avere certezze, ma solo discutere un argomento che, indubbiamente, ha un suo torbido fascino.

Si tratta di un terreno molto complesso ed insidioso, dove quasi tutto quello che si può dire può anche essere contestato, ma su alcuni punti possiamo fare affidamento:

1 – L’umanità nel suo complesso ha superato la capacità di carico del pianeta probabilmente durante gli anni ’70 e da allora la situazione è molto peggiorata, anche se le stime quantitative dell'overshoot sono necessariamente imprecise.   A livello locale esistono tuttavia differenze enormi, con comunità che superano i loro limiti per un ordine di grandezza ed altre che, viceversa, sono ancora entro la capacità di carico del loro territorio o quasi.

2 – Quando una popolazione supera i propri limiti di sostenibilità, la capacità di carico si riduce in misura direttamente proporzionale (ma non lineare) all'entità ed alla durate del superamento.

3 – I vortici di estinzione (v. qui) possono essere  attivati da forti decrementi della popolazione ed aggravati dalla frammentazione dell’areale.

Dunque abbiamo una situazione complessa  perché, nel breve termine, quanto più rapidamente diminuisse il numero degli umani sulla Terra, tanto maggiori sarebbero le probabilità di ritrovare condizioni di parziale equilibrio e, dunque, una relativa stabilità demografica.   Un apparente paradosso, in quanto più presto e più rapidamente cominceremo a diminuire, tanto prima e ad un maggiore livello potrebbe ristabilizzarsi la popolazione.    In altre parole, quanto più aumenterà ancora la popolazione, o quanto più posticipato e lento sarà il declino, tanto maggiori saranno le probabilità di scendere a livelli tali da innescare i fatali vortici di cui al mio precedete post.

Contemporaneamente però, lo scatenarsi delle retroazioni illustrate nei precedenti post potrebbero anche accelerare il declino al punto di renderlo fatale.  Molto dipenderà quindi dai fattori che interagiranno con queste retroazioni.   Fra quelli attualmente in essere, penso che i 5 che risulteranno maggiormente cruciali per il destino della nostra specie siano i seguenti:

Demografia.   Come abbiamo visto, tanto più una popolazione supera i limiti di sostenibilità, tanto più aumenta il rischio di una sua estinzione in una fase successiva.   Tuttavia nell'uomo la situazione è resa particolarmente complessa dal fatto che non conta solo il mero dato delle bocche da sfamare, ma anche, ed in modo importante, il livello di consumo pro-capite e complessivo, il livello di dipendenza dalle protesi tecnologiche, la cultura e molti altri fattori ancora.

Clima.   I climatologi discutono quale sia il livello di concentrazione di CO2 in atmosfera capace di scatenare retroazioni dai risultati catastrofici e le stime oscillano perlopiù fra i 350 ed i 450 ppm.   Attualmente siamo a 400 ppm e molte di queste retroazioni sono già partite (scioglimento di ghiacciai artici ed antartici, riduzione dell’albedo alle alte latitudini, liberazione di metano dai fondali marini e dal permafrost, riduzione dell’attività fotosintetica in molte aree del pianeta, ecc.).  Non possiamo sapere quale sarà la situazione fra uno o due secoli, ma sappiamo per certo da essa dipenderà in gran parte il destino della Biosfera e, dunque, dei nostri discendenti.

Biodiversità.   La biosfera del futuro sarà formata dalle forme di vita che si saranno evolute a partire da quelle di oggi.   Se nessuno può sapere quali saranno le condizioni ambientali del futuro, possiamo invece essere certi che quante più forme di vita evitiamo di cancellare oggi, tanto maggiori saranno le probabilità di avere ecosistemi vitali in futuro.   Questo è fondamentale perché l’azione della biodiversità è proprio la forza che tende a stabilizzare la capacità di carico del pianeta, come di un qualsiasi territorio delimitato.   In pratica, è il paracadute in grado di frenare il decremento della popolazione umana.   Anche il clima del futuro dipenderà in modo cruciale dalla biodiversità.   Infatti, nonappena (in un modo o nell'altro)  le emissioni industriali saranno tornate a livelli trascurabili, l’ulteriore evoluzione dell’atmosfera tornerà a dipendere in gran parte dall'evoluzione degli ecosistemi il cui grado di efficienza e di resilienza dipende in gran parte dalla biodiversità.

Suoli ed acqua.   Le riserve di fertilità e la disponibilità di acqua sono altri due fattori chiave nel determinare la capacità di carico di una territorio nei confronti della nostra specie.   E si tratta di due fattori in rapido peggioramento in quasi tutto il globo.  

In sintesi, penso che probabilmente l’inizio della decrescita demografica seguirà di poco il picco globale dell’energia fossile.   Questo perché attualmente la nostra specie vive prevalentemente di questa (in particolare di petrolio greggio) ed è esclusivamente grazie alle fossili che ha potuto raggiungere gli attuali livelli demografici ed organizzativi.   Le energie rinnovabili, perlomeno con le tecnologie attuali, potranno fare molto per mitigare e rallentare questo declino, ma non credo che lo potranno evitare.   

Ma quando l’umanità dovrebbe cominciare a diminuire?   Non lontano dal 2030 pare una data abbastanza ragionevole sia in base al modello Word3, sia in base ad alcune proiezioni circa la disponibilità di energia (Turiel 2012), ma è bene chiarire che l’affidabilità di queste proiezioni è limitata in quanto i dati pubblicati circa le riserve sono intrinsecamente imprecisi e, sovente, volutamente falsati dalle imprese e/o dai governi.

Questo per quanto riguarda l’uomo (specie biologicaHomo sapiens L.), ma che dire dell’uomo moderno (specie culturale - Homo colossus Catton 1981)?    Anche in questo caso sappiamo alcune cose.   Ricordiamole:

1 – Da almeno 50.000 anni l’evoluzione dell’uomo è diventata prevalentemente culturale e solo molto marginalmente genetica.   Se oggi incontrassimo per strada un uomo di Cro-Magnon non ci colpirebbero la sua faccia od il suo portamento, bensì il suo abbigliamento ed il suo comportamento.   Dunque l’umanità attuale appartiene ad una specie (culturale) diversa da tutte quelle precedenti, il che giustifica, a mio avviso, il taxonHomo colossus” introdotto da Catton (vi sono complessi problemi di sinonimia con Homo oeconomicus  Mill 1844, ma qui non ci interessano).   Orbene,  già nel tardo paleolitico Homo sapiens aveva annientato tutte le altre specie biologiche congeneri,  diversificandosi però sul piano culturale con una spettacolare radiazione adattativa.   Nel corso degli ultimi 2 secoli circa, H. colossus ha di fatto annientato od assorbito tutte le altre specie culturali, restando di fatto l’unico taxon umano esistente.   Di solito, quando di una vasta gamma di taxa affini ne rimane solo uno, non è buon segno.

2 - Le società umane, come tutte le forme di vita e molte altre cose ancora, sono strutture dissipative dell’energia ed hanno un’incoercibile tendenza a strutturarsi o destrutturarsi in funzione dell’intensità del flusso di energia che le attraversa.    La società attuale globale è la struttura più complessa nell'universo conosciuto ed infatti è quella che dissipa la maggior quantità di energia in rapporto al proprio peso.   Un uomo medio attuale dissipa diecimila volte l’energia dissipata dal sole per unità di peso (E. Chaisson 2001).   Vale a dire che 1 kg di uomo dissipa quanto 10.000 kg di sole.   Ma se prendessimo alcune categorie (ad es. gli scienziati del CERN, i dirigenti delle grandi holdings, gli astronauti, ecc.) troveremmo che dissipano quantità di energia superiori per almeno un altro ordine di grandezza, semplicemente perché sono la parte maggiormente complessa della società globale.

3 – L’apporto di energia al sistema socio-economico ha già cominciato a degradare per qualità e, forse, anche per quantità (Turiel 2012).   E se non lo ha già fatto, lo farà presto.   E’ chiaro dunque, che, riducendosi l’apporto quali/quantitativo di energia, tali strutture dovranno necessariamente contrarsi e semplificarsi con inevitabili conseguenze sul piano culturale (ad es. chiusura del CERN, collasso della rete Internet, abbandono di musei, ecc.).

4 – Qualora risultasse invece possibile sostituire validamente i combustibili fossili e continuare ad incrementare l’input di energia, come alcuni sostengono, cadremmo invece in quella che Van Vallen ha definito “Effetto Regina Rossa” (da una frase che la Regina dice ad Alice in “Oltre lo specchio", di L. Carroll).  Vale a dire che un organismo evolvendosi modifica il proprio ambiente, cosicché si deve poi ulteriormente evolvere per adattarsi ai cambiamenti che ha indotto e così via, in modo tendenzialmente accelerato.  Finquando la specie riesce a tenere il ritmo, si evolve e permane; quando non riesce più a tenere il passo si estingue.   In riferimento alle specie biologiche questo succede piuttosto raramente in quanto la complessità degli ecosistemi e la limitatezza delle risorse disponibili frenano la retroazione.   Sta però accadendo probabilmente questo alla specie culturale H. colossus che, grazie all’energia fossile, ha potuto accelerare a dismisura la propria velocità evolutiva.   Ma così ha necessariamente provocato una parallela, non lineare, evoluzione dell’ecosistema.   Per un paio di secoli siamo stati più veloci noi e la prova ne è il passaggio da 1 a 140 miliardi di “abitanti 1800 equivalenti".
Se moltiplichiamo il numero di persone per i consumi medi pro-capite
 troviamo che l'umanità odierna ha impatti equivalenti a 140 miliardi dei nostri bisnonni.



















Ma da alcuni decenni la velocità evolutiva dell'ecosistema globale sta superando la nostra come indicato, ad esempio, dal riapparire di infezioni incurabili o dall'inutilità del dibattito politico in materia di clima.   Al momento sono piccoli segni, ma indicano che abbiamo cominciato a perdere terreno, malgrado finora non abbiamo avuto problemi seri di energia.

In sostanza, se avremo carenza di energia, i sistemi economici, culturali e politici di cui facciamo parte si dovranno contrarre e destrutturare di conserva. Se, viceversa, davvero trovassimo il modo di superare la crisi energetica incipiente, non potremmo evitare di accelerare ulteriormente il cambiamento dell’ecosistema globale, rilanciando il meccanismo perverso della “Regina Rossa”.

In conclusione, la mia del tutto personale opinione è che l’estinzione di Homo sapiens L. nel corso dei prossimi 2 - 3 secoli è estremamente improbabile, se non impossibile.   Viceversa, l’estinzione di H. colossus Catton è pressoché certa già entro la metà del secolo corrente.   Ma non sarà questo che fermerà l’evoluzione.   Al contrario, dopo un severo “collo di bottiglia”, c’è da aspettarsi la rapida evoluzione di un vasto numero di specie culturali adattate alle condizioni locali che saranno diversissime da zona a zona.

Una nuova radiazione adattativa è, normalmente, ciò che accade dopo una massiccia estinzione.  Certo, non vedremo mai più i prodigi tecnologici che oggi ci paiono banali semplicemente perché non saranno mai più disponibili le risorse che la nostra civiltà a dissipato.   Ma l’archeologia ci dimostra che società complesse e forme altissime di arte sono possibili anche con risorse relativamente modeste.



venerdì 13 giugno 2014

Futuro profondo: il destino finale della specie umana

Da “Resource crisis”. Traduzione di MR

di Ugo Bardi


Negli anni 50 sapevamo come sarebbe stato il futuro: un'era di prosperità e di miracoli senza precedenti. Energia troppo a buon mercato da poterla quatificare, macchine volanti, vacanze sulla Luna e la conquista dello spazio. Poi, gli eroi spaziali tornavano sulla Terra per rilassarsi sl bordo delle loro piscine mentre dei maggiordomi-robot portavano loro dei cocktail. Per la verità, il futuro di quel tempo aveva un lato oscuro: quello dell'olocausto nucleare. Ma era comunque un futuro in cui l'ingegno umano trionfava su tutto il resto.

Il futuro di oggi è completamente diverso. Il modo in cui vediamo il destino della specie umana è inestricabilmente collegato al grande “impulso” di combustione di carbonio che è andato avanti per un paio di secoli e che ora sta raggiungendo il suo picco. Il carbonio fossile ci ha portati dove ci troviamo ora, creando la prosperità della nostra civiltà industriale. Ma i combustibili fossili si stanno rapidamente esaurendo e questo crea numerose conseguenze. Una è l'impossibilità di mandare avanti una società industriale senza energia a buon mercato abbondante. L'altra è il riscaldamento globale che sta trasformando la Terra in un pianeta completamente nuovo. Questi effetti plasmeranno la specie umana del futuro in modi che non possono essere previsti con esattezza, ma che possiamo immaginarci sotto forma di “scenari” - futuri che potrebbero verificarsi. Quindi, ecco alcuni futuri possibili per la specie umana, messi in ordine dal meno attraente (estinzione a breve termine) a quelli più ottimistici, che comprendono l'espansione nell'intera galassia. 

1. Estinzione

L'estinzione è uno scenario semplice da descrivere: la specie umana si estingue e questo è quanto. La scala temporale dell'estinzione potrebbe essere nell'orine di millenni, secoli o, forse, solo decenni (nell'ultimo caso, potremmo definirla “Estinzione a Breve Termine”, un termine reso popolare da Guy McPherson). In ogni caso, l'estinzione sarebbe molto rapida in confronto al lasso temporale dell'esistenza del homo sapiens, cioè almeno 200.000 anni. 

L'estinzione è uno scenario del tutto possibile se ipotizziamo il dipanarsi di alcuni degli effetti più terribili dell'impatto umano sull'ecosfera, in particolare le emissioni di gas serra. Il grande “rutto del metano” che potrebbe risultare dalla fusione del Permafrost terrestre potrebbe aumentare le temperature fino a 6-8°C ed anche di più in tempi nell'ordine di pochi secoli o anche molto più rapidamente. In questa versione estrema, il riscaldamento globale potrebbe evolvere in una “catastrofe venusiana”, dove tutta la biosfera potrebbe essere sterilizzata da temperature estremamente alte. Per la verità, questo scenario sembra essere escluso dai risultati degli attuali modelli climatici, ma non abbiamo bisogno della catastrofe venusiana per squilibrare l'ecosistema ad un grado tale che le le risorse di cui gli esseri umani hanno bisogno per sopravvivere vengano distrutte. A quel punto, la conseguenza potrebbe essere solo una: l'estinzione. 

Questo è uno scenario che lascia poco da discutere sul destino della specie umana: Ma, ipotizzando che la biosfera non venga completamente distrutta, il pianeta potrebbe recuperare in seguito? Forse sì, ma non è detto. Oggigiorno, la Terra si trova pericolosamente vicina al margine interno della zona abitabile del Sistema Solare e viene spinta via da essa dal graduale aumento della radiazione solare. E' un processo molto lento per gli standard umani, ma si stima che i vertebrati non abbiamo che un periodo limitato, forse non più di 100-150 milioni di anni, di vita prima che la Terra diventi troppo calda perché possano sopravvivere. Un grande disastro come quello che stiamo contemplando in questo scenario potrebbe spazzare via la Terra dalla zona abitabile dai vertebrati. In questo caso, la biosfera terrestre potrebbe ritornare a un mondo di creature unicellulari come è stato durante gli eoni dell'Archeano o del Proterozoico. In tal caso, è possibile, e forse probabile, che i vertebrati non si ri-evolvano mai più e che il pianeta rimanga dominato da forme di vita unicellulari finché non viene sterilizzato da ulteriori aumenti della radiazione solare, fra circa un miliardo di anni da adesso

Ma ipotizziamo che l'ecosistema possa recuperare senza grandi perdite di phyla. In tempi nell'ordine delle centinaia di migliaia di anni, l'eccesso di CO2 nell'atmosfera verrebbe rimosso e trasformato in carbonati solidi. Ciò raffredderebbe lentamente il pianeta e l'ecosistema recupererebbe gradualmente la sua produttività precedente. A quel punto, i vertebrati potrebbero ritornare di nuovo abbondanti e la Terra si presenterebbe molto simile a com'era milioni di anni fa, quando gli antenati degli essri umani non sembravano destinati alla grande esplosione di numeri che sarebbe avvenuta con l'Antropocene. 

C'è una possibilità che la Terra faccia evolvere ancora specie di esseri senzienti? Non è impossibile. Se alcune specie di primati possono sopravvivere al grande impulso di carbonio, potrebbero sviluppare di nuovo la capacità di costruire strumenti e, col tempo, un'intelligenza di tipo umano. Ci vorrebbe del tempo, considerando che ci sono voluti quasi 50 milioni di anni per arrivare all'homo sapiens dai primati delle origini, ma sarebbe comunque possibile entro il tempo di vita della biosfera per i vertebrati. Se tutti i primati si estinguono, allora l'impresa diventa più difficile, considerando che ci sono voluti 400 milioni di anni perché apparissero i primati dopo l'evoluzione dei vertebrati. Ma, ancora una volta, non sarebbe impossibile e, comunque, forse gli esseri senzienti non hanno bisogno di essere primati. Così, potrebbe esserci una seconda possibilità (e probabilmente anche l'ultima) per le creature intelligenti di fare meglio di quanto abbiamo fatto noi. Buona fortuna a loro.

2. Lo scenario Olduvai.

Il “Ritorno a Olduvai” è stato proposto da Richard Duncan nel 1996 per descrivere l'effetto del graduale esaurimento dei combustibili fossili. Prende il nome da quello di una regione della Tanzania, in Africa, dove vivevano i nostri remoti antenati. L'idea è che, senza combustibili fossili, gli esseri umani perderebbero la loro fonte principale di energia e sarebbero costretti a tornare al loro stile di vita di sopravvivenza più antico: come cacciatori-raccoglitori. 

Lo scenario Olduvai potrebbe dipanarsi come risultato di una combinazione di fattori. Prima di tutto, i combustibili fossili diventerebbero gradualmente così costosi da rendere un'economia industriale impossibile. In parallelo, il riscaldamento globale aumenterebbe le temperature così tanto che le latitudini tropicali e temperate diventerebbero impossibili da abitare per tutto l'anno da parte degli esseri umani. A questo punto, gli esseri umani sarebbero costretti a ritirarsi nelle regioni del nord e del sud estremo, dove non è scontato che l'agricoltura sia possibile. Mentre ci allontaniamo dall'equatore, un forte fattore limitante è il basso livello di irraggiamento solare. Le colture possono crescere bene alle alte latitudini, ma il problema già evidente oggi in regioni come l'Islanda e la Groenlandia e che potrebbe rendere impossibile mantenere l'agricoltura per un tempo molto lungo.

Quindi, gli esseri umani che vivono alle latitudini alte potrebbero rendersi conto che la miglior strategia di sopravvivenza per loro è adottare uno stile di vita simile a quello dei moderni Inuit, anche se a temperature molto più alte. Vivrebbero principalmente pescando e cacciando mammiferi marini nella stagione calda – ritirandosi nei loro rifugi durante la lunga notte polare. Nell'emisfero settentrionale, questo stile di vita sarebbe possibile nell'anello di terra che circonda il Polo Nord, in parte dell'Eurasia e del continente americano. Nell'emisfero meridionale significherebbe il vertice del continente americano, la Terra del Fuoco e forse un'Antartide senza ghiaccio, dove gli esseri umani potrebbero vivere per la prima volta nella storia. 

Gli esseri umani moderni sono stati cacciatori e raccoglitori per almeno 200.000 anni. I loro antenati ominidi hanno usato questa strategia per un paio di milioni di anni, come minimo. Quindi, cacciare e raccogliere è un modo di vivere stabile e di successo che gli esseri umani potrebbero adottare per lungo tempo, tanto quanto l'ecosistema planetario sarebbe in grado di conservare il pianeta nelle condizioni degli ultimi 10 milioni di anni, più o meno. In questo caso, queste regioni ad alte latitudini probabilmente si ricongelerebbero e si ricoprirebbero di ghiaccio. Gli esseri umani potrebbero quindi tornare a latitudini minori. A questo punto, probabilmente riscoprirebbero l'agricoltura e ricomincerebbero una civiltà agricola, come avevano fatto decine o centinaia di migliaia di anni prima. Passiamo quindi allo scenario successivo: il ritorno all'agricoltura.

3. Il ritorno all'agricoltura. 

Supponete di finire i combustibili fossili facili, cioè, quelli abbastanza a buon mercato da poter sostenere una società industriale. E supponete che non abbiamo usato l'energia che avevamo – quando l'avevamo – per costruire un'alternativa. Quindi, saremo costretti a tornare al mondo com'era prima che cominciassimo a bruciare combustibili fossili: un'economia completamente basata sulle risorse biologiche, cioè sull'agricoltura. 

Questo è uno scenario lineare che non implica eventi speciali se non l'ipotesi che gli effetti del cambiamento climatico non sarebbero così drastici e rovinosi come alcuni scenari li descrivono. Non che la transizione non sarebbe traumatica per gli esseri umani. Il mondo senza combustibili fossili e senza alternative a questi non sarà in grado di sostenere, nemmeno lontanamente, la stessa popolazione che l'agricoltura alimentata dai combustibili fossili aveva sostenuto. E non è solo la mancanza di combustibili fossili che ridurrà la produttività agricola, è il fatto che secoli di agricoltura intensiva hanno distrutto una grande percentuale del suolo fertile che ha dato vita alla civiltà umana. Questo porterebbe necessariamente a una drastica riduzione della popolazione umana. In un tale scenario, “traumatico” è sicuramente riduttivo. Ma la specie umana sopravviverebbe. 

In questo futuro agricolo, difficilmente ci sarebbe la possibilità di una nuova rivoluzione industriale. I combustibili fossili che hanno creato quella attuale sarebbero finiti e ci vorrebbero milioni di anni perché si riformino, se ma lo faranno. I metalli sarebbero a loro volta scarsi, anche se i nostri discendenti contadini si troverebbero bene a passare al setaccio le rovine delle vecchie città in cerca di metalli. Avrebbero un sacco di ferro e rame e potrebbero perfino usare l'alluminio per le loro pentole fondendo le miriadi di lattine delle bibite che sono rimaste in giro. Ma il loro livello tecnologico sarebbe gravemente limitato dalla mancanza di combustibile: avrebbero solo legna e carbonella per la loro metallurgia. Quindi, i nostri discendenti potrebbero ancora lavorare il ferro e potrebbero ancora uccidersi fra loro con spade e lance (e, forse, anche con qualche sporadico moschetto e cannone). Ma non sappiamo di nessuna società del passato che abbia potuto sviluppare una rivoluzione industriale senza una fonte di energia abbondante e a buon mercato. 

Curiosamente, tuttavia, c'è una possibilità di una nuova esplosione dell'industrializzazione in questo futuro lontano. Sarebbe il risultato dell'estrazione mineraria in Antartide e, in misura minore, in Groenlandia ed altre regioni settentrionali ad alte latitudini. A causa della copertura di ghiaccio, finora queste regioni sono state scarsamente sfruttate per i minerali (o non lo sono state affatto, nel caso dell'Antartide). Ma il grande impulso di carbonio potrebbe scaldare il pianeta a sufficienza da fondere i ghiacciai del mondo completamente ed aprire queste terre all'estrazione mineraria. In questo caso, i nostri discendenti potrebbero avere una seconda (e probabilmente ultima) possibilità di sviluppare una nuova rivoluzione industriale basata sul carbone. Ciò riporterebbe tutto al punto di partenza: con una nuova società industriale minacciata dalla combinazione mortale di esaurimento e cambiamento climatico. I nostri discendenti sarebbero in grado di fare meglio di noi? Considerando che sono – di fatto – i nostri discendenti, probabilmente no. Quindi, questo secondo ciclo di industrializzazione potrebbe essere davvero l'ultimo sul pianeta. 

A parte il carbone dell'Antartide, i nostri discendenti potrebbero rimanere contadini per molto, molto tempo. Si dice che le società agricole del passato potevano essere descritte come “contadini governati da briganti”, ma questa è una semplificazione eccessiva per una struttura sociale integrata in cui di diversi strati eseguono compiti altamente specifici: contadini, guerrieri, preti, artigiani ed altro. Col tempo, le società agricole potrebbero evolvere convergendo nella struttura sociale tipica di altre specie che praticano l'agricoltura: principalmente formiche e termiti. Queste specie sono “eusociali” (o “ultrasociali”, secondo alcune definizioni) e praticano la specializzazione estrema, per esempio le “regine” che si occupano della riproduzione, mentre gli altri membri della società sono femmine sterili lavoratrici e guerrieri. La società umana agricola del futuro potrebbe diventare qualcosa di simile? Perché no? Almeno un'altra specie di mammiferi ha sviluppato una piena eusocialità (la talpa nuda). 

Le specie eusociali sono altamente resilienti e tendono a dominare l'ecosistema, come fanno le formiche e le termiti e lo hanno fatto con successo negli ultimi 50 milioni di anni. In linea di principio, gli esseri umani eusociali potrebbero anche mantenere il proprio dominio dell'ecosistema e continuare in questo ruolo per decine o centinaia di migliaia di milioni di anni, finché non scompariranno gradualmente in un lontano futuro quando la Terra diventa troppo calda perché i vertebrati sopravvivano. Se succede questo, sarebbero stati i vertebrati di maggior successo della storia della Terra, una specie che ha anche brevemente sognato di conquistare lo spazio.

4. La grande rivoluzione metabolica.

In più di 4 miliardi di anni di esistenza, la Terra non è mai stata ferma. Forze potenti l'hanno plasmata in una serie continua di rivoluzioni che hanno visto lo sviluppo forme di vita sempre più complesse, sempre più capaci di sfruttare il gradiente termodinamico creato dalla luce del Sole. Durante questo periodo, abbiamo assistito a diverse rivoluzioni metaboliche, due delle quali sono state le più importanti. La prima è stata la fotosintesi, circa 4 miliardi di anni fa. La seconda è stata il metabolismo aerobico, circa 2,5 mliardi  di anni fa. E' le seconda rivoluzione, alla fine, che ha generato i vertebrati e noi. 

Oggi, sembra che abbiamo raggiunto un impasse in questa crescita sempre in aumento di complessità biologica. Di fatto potremmo essere diretti nella direzione di un'inversione di tendenza creata da cambiamenti a lungo termine dell'ecosfera. Il termostato planetario che stabilizza la temperatura della Terra funziona regolando la concentrazione di CO2 nell'atmosfera. Ma con il graduale aumento della radiazione solare queste concentrazioni sono già prossime al limite minimo necessario per la fotosintesi. Quindi, l'attuale ecosistema si trova in una situazione senza uscita: a lungo termine, o verrà distrutto dalla mancanza di CO2 o dalle alte temperature. Quindi, perché un sistema complesso sopravviva, ci serve una rivoluzione metabolica davvero drastica. La fotosintesi organica ha raggiunto i suoi limiti: dobbiamo passare ad un tipo di substrato completamente diverso.

Cos'è la fotosintesi, dopotutto? E' un modo per trasformare l'energia solare in elettroni eccitati ed usarli per creare composti chimici che possono ridare indietro quell'energia a richiesta. L'efficienza della fotosintesi in questo processo è ritenuta arrivare a circa il 13% in condizioni ideali – in pratica è nell'ordine del 8%. Notata anche che le piante non funzionano come macchine fotosintetiche al di fuori di una gamma ridotta di temperature e senza nutrienti e sostanze chimiche che non sempre sono disponibili.

Così, se vogliamo un'altra rivoluzione metabolica ci serve qualcosa che sia più efficiente e meno esigente in termini di condizioni ambientali. Una possibilità è la cella fotovoltaica (FV). L'efficienza di una moderna cella FV al silicio può essere maggiore del 20% nel creare elettroni eccitati. Di per sé, le celle non immagazzinano energia, ma possono essere accoppiate con dispositivi di immagazzinamento ed usate per alimentare una varietà di processi e reazioni per una efficienza complessiva che è confrontabile (e probabilmente superiore) a quella della fotosintesi. Le celle FV al silicio funzionano usando elementi abbondanti: principalmente silicio ed alluminio, più tracce di azoto, boro e fosforo. L'attuale generazione usa anche argento, ma non è cruciale. Ma il grande vantaggio della “fotosintesi del silicio” è che le celle FV a stato solido non hanno bisogno di acqua o di ossigeno gassoso e possono funzionare a temperature bassissime o molto alte, fino a qualche centinaio di gradi centigradi. La “zona abitabile” per le celle FV non è un guscio stretto intorno al Sole: copre un volume enorma che comprende i grandi pianeti e probabilmente si estende anche più vicino e più lontano dal Sole. La quantità di energia solare che può essere raccolta in questo volume è incredibilmente più grande della piccola quantità intercettata dalla Terra. 

Naturalmente, i dispositivi FV a stato solido non vengono normalmente considerati una parte fotosintetica di un ecosistema. Godono del nome di “celle”, ma a differenza delle celle biologiche non si riproducono. Le celle FV delegano la loro riproduzione ad entità specializzate; fabbriche di celle, proprio come le formiche lavoratrici delegano la loro riproduzione ad entità specializzate: le formiche regine. Quindi, fa tutto parte di un nuovo ecosistema che sta emergendo, un ecosistema che comincia dall'inizio come eusociale. 

Sappiamo che i sistemi complessi diventano più complessi quanta più è l'energia che vi fluisce. Se l'ecosistema a stato solido risulta essere più efficiente di quello biologico, allora le prospettive sono da capogiro anche se limitiamo il nostro orizzonte alla superficie della Terra. Naturalmente, è difficile per noi immaginare le conseguenze di tale rivoluzione (pensate a quanto sarebbe difficile per un protista dell'era Proterozoica immaginare l'avvento dei vertebrati). Ciò che possiamo vedere è che un sistema del genere è nato interconnesso su scala planetaria. Il rapido sviluppo di Internet ci sta dando un assaggio di questa nuova situazione di interconnessione estesa. Dal nostro punto di vista di esseri umani, è una perdita spiacevole di privacy. Dall'altra parte, le formiche in un formicaio non sono molto interessate alla privacy. Si tratta, ancora una volta, di una delle caratteristiche dell'eusocialità: si pagano i vantaggi di efficienza con una perdita di individualità. Ma difficilmente possiamo dire più di così: se il nuovo sistema deve nascere, nascerà. Ciò che farà è impossibile da dire, ma può – teoricamente – espandersi a tutto il sistema solare e sopravvivere per tutto il tempo di vita che rimane al Sole, circa 5 miliardi di anni – e anche di più. 

In un certo senso, sarebbe il il trionfo finale degli esseri umani che avrebbero progettato la nascita di un nuovo ecosistema che abbraccia l'intero sistema solare e forse fino all'intera Galassia. E, se è così, saranno ricordati con gratitudine? (Notate, tuttavia, che non ci sentiamo particolarmente in debito verso i nostri antenati monocellulari). 

5. Dove stiamo andando, comunque?

Tutte le civiltà del passato sono declinate ed hanno collassato. Ma il collasso non è nient'altro che un cambiamento rapido e, finché il Sole splende, l'ecosistema ha almeno una possibilità di passare a livelli di complessità maggiori. Il futuro che possiamo vagamente intravedere oggi è ricco di possibilità. Miliardi di anni fa, Marte – e probabilmente anche Venere – hanno avuto una possibilità di sviluppare un'ecosfera organica. Ma in entrambi i casi il tempo disponibile è stato troppo breve e presto entrambi i pianeti hanno lasciato la zona abitabile e sono stati sterilizzati. La Terra ha avuto un tempo molto più lungo, miliardi di anni in più, per sviluppare l'ecosistema che conosciamo oggi. Ma la Terra non è mai stata ferma e non sta ferma: il cambiamento sta accelerando a velocità mai viste prima nella storia. Potremmo precipitare in un pianeta sterile o passare ad un nuovo sistema di incredibile complessità. Si tratta della sfida finale per la specie umana, una sfida che non possiamo evitare di affrontare. 



venerdì 18 aprile 2014

L’UNICITA’ DELLA SPECIE UMANA NE DETERMINA IL FATO? Parte 1 – Premessa.

Il primo di una piccola serie di post di Jacopo Simonetta sul fato della specie umana



   
 Di Jacopo Simonetta


Desmond Morris, Konrad Lorenz e tanti altri hanno ampiamente illustrato quanto abbiamo in comune con i nostri cugini pelosi, eppure non c’è dubbio che il Fato della nostra specie sia molto diverso da quello delle altre grandi scimmie.  Perché?  Quali sono le caratteristiche a noi proprie che hanno determinato un tanto diverso destino? Senza pretesa di completezza, vediamo 4 caratteristiche, fra loro correlate, che con tutta probabilità hanno giocato (e giocheranno) un ruolo fondamentale nella nostra storia.

1 – L’uomo è una specie estremamente polifaga.   Esistono tantissime specie onnivore (ad es. quasi tutte le scimmie, cinghiali, cani, ratti, corvi, blatte, grilli, ecc.), ma nessuna riesce a ingerire e digerire una varietà di cibi che vanno dalla balena al lievito, passando per il sale ed i ravanelli.  Se poi consideriamo non solo il cibo, ma tutte le sostanze che vengono utilizzate per la produzione di beni e servizi, l’uomo da solo utilizza una gamma di risorse forse altrettanto vasta di quella utilizzata dalla Biosfera intera.  Questo ha delle conseguenze.   Sappiamo, infatti, che gli animali specializzati nello sfruttamento di risorse specifiche hanno un effetto stabilizzante sugli ecosistemi di cui fanno parte, mentre gli onnivori tendono a destabilizzare i loro ecosistemi. Ma sappiamo anche che ecosistemi stabili favoriscono gli “specialisti” (che sono più efficienti), mentre gli ecosistemi instabili favoriscono i “generalisti” (che sono più resilienti). Si formano quindi degli anelli a retroazione che tendono a mantenere determinate situazioni, ma è molto più facile e rapido passare dalla combinazione “ecosistema stabile-dominanza di specialisti” a “ecosistema instabile -dominanza di generalisti” piuttosto che il contrario e questo per ragioni termodinamiche complesse, ma ineludibili.  Essendo che l’uomo, tenuto conto dell'intera sua attività economica, è la specie più polifaga in assoluto, è anche quella che maggiormente destabilizza il proprio ambiente.

2 – L’uomo evolve soprattutto sul piano culturale. Nella nostra specie, le competenze acquisite durante la vita dei singoli individui possono essere trasmesse ad altri individui, anche in gran numero e non necessariamente discendenti, senza neppure un’interazione diretta.  Questo consente una rapidissima diffusione delle innovazioni e delle conoscenze. E poiché l’effetto di una popolazione in seno ad un ecosistema dipende da come questa si comporta e con quali mezzi si procura il fabbisogno, un uomo munito di zappa e lo stesso identico individuo alla guida di un trattore sono entità ecologicamente altrettanto diverse che un topo ed un elefante; con la differenza che il passaggio da zappa a trattore può avvenire in una sola generazione od anche meno. Questa straordinaria velocità evolutiva impedisce alle altre specie (legate ai ben diversi tempi dell’evoluzione biologica) di adattarsi a noi,  con l’ eccezione di quelle che, non per caso, sono divenute i nostri parassiti. Un aspetto particolarmente rilevante connesso con l’evoluzione tecnologica è che questa consente alla nostra specie di continuare ad estendere la gamma delle risorse che può sfruttare, oppure di accaparrarsene in misura maggiore.   Di fatto, l’uomo è dunque un “invasore biologico permanente” in quasi tutti i luoghi dove si trovi.

3 – L’uomo tende a formare strutture super-individuali di tipo quasi coloniale, sempre più complesse ed interconnesse.   In effetti, l’unità evolutiva e funzionale dell’uomo moderno non è l’individuo, bensì la società di cui ognuno fa parte.   Il nostro grado di integrazione non ha raggiunto i livelli di alcuni insetti, ma, in compenso, costituisce strutture di vastità e complessità senza paragoni possibili nel resto della Biosfera.   La tendenza alla complessità è probabilmente molto più antica della nostra specie, ma in noi ha raggiunto livelli senza precedenti.   Questo comporta dei vantaggi notevoli in quanto livelli organizzativi superiori ci consentono  di superare i fattori che limitano la crescita dei livelli inferiori.   Si pensi, ad esempio, all'immensa rete del commercio mondiale, od al funzionamento del sistema sanitario. Ma la complessità è anch'essa soggetta alla nota legge dei “ritorni decrescenti”, cosicché ogni ulteriore incremento comporta vantaggi minori rispetto al precedente, mentre aumentano i consumi unitari e globali di energia e risorse. Vi è dunque un limite oltre il quale lo sviluppo del sistema diventa controproducente, senza che questo perda però la sua incoercibile tendenza alla crescita.   La burocrazia di qualunque paese moderno è un eccellente esempio di questo fenomeno. Inoltre, l’aumento della complessità comporta un parallelo incremento della specializzazione dei singoli elementi che, complessivamente, diventano più efficienti, ma meno resilienti. Parallelamente, si sviluppano difficoltà crescenti di dialogo e reciproca comprensione fra i soggetti specializzati in materie e ruoli diversi, fino a minare la capacità stessa di reazione coordinata del sistema complessivo.  

4 – L’uomo elabora dei modelli mentali che descrivono la realtà ed il suo funzionamento.    Salvo il caso di reazioni puramente istintuali, usiamo questi modelli come chiavi di lettura per  capire la realtà, interpretare le informazioni che ci giungono dal mondo, elaborare le risposte.   Questi modelli sono sempre fortemente identitari perché sono una creazione collettiva dei gruppi che li elaborano e condividono. Ciò costituisce quel fenomeno unico nel  mondo biologico che è la costruzione sociale della percezione della realtà.   Percezione che, a tutti gli effetti pratici, sostituisce la realtà stessa, tanto che vi è chi parla di “costruzione sociale della realtà”.

L’insieme di queste quattro caratteristiche ci ha permesso di diventare la specie dominante del  pianeta in una misura difficile da capire e da credere.   Se   moltiplichiamo il numero delle persone per i consumi energetici pro-capite medi, abbiamo un indice dell'impatto termodinamico che abbiamo sul pianeta (human equivalent).   Considerando 1 l'impatto del terrestre medio nel 1800, troviamo che i sette miliardi di umani attuali consumano ed inquinano quanto 140 miliardi dei nostri bisnonni.

Ma l'enorme disponibilità di energia fossile ci ha permesso di accaparrarci anche una quota sempre maggiore di energia solare fissata dalla fotosintesi, passata da meno del 5 al 50% circa, mentre l’umanità con i suoi animali domestici (praticamente meno di una decina di specie in tutto) costituisce il 97% circa della biomassa di vertebrati terrestri oggi viventi.  Tanto quanto, ai loro tempi, tutte le centinaia di specie di dinosauri messe insieme.  
Il primo di una piccola serie di post di Jacopo Simonetta

E’ la prima volta che nella storia del Pianeta un solo animale assurge a tale importanza e ciò sembra giustificare il termine di “Antropocene” proposto per definire il periodo geologico attuale.   Resta però da vedere se si tratta dell’inizio di un’era, oppure della catastrofe che porrà termine all'era precedente.