sabato 24 novembre 2012

Uragano Sandy e Cambiamento Climatico: dalla compiacenza al panico

Di Ugo Bardi. Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di Massimiliano Rupalti


Secondo James Schlesinger, gli esseri umani hanno solo due modi di operare: compiacenza e panico. Questa è una descrizione adatta al nostro atteggiamento verso il cambiamento climatico. Finora, siamo stati in “modalità compiacenza”, ignorando il problema. Grandi disastri, come l'uragano Sandy, potrebbero spingerci dalla compiacenza al panico. In questo caso, potremmo entrare in una condizione di piena “modalità sopravvivenza” e dimenticare le vere cause di quanto sta accadendo.
 (Immagine da Bloomberg)

L'uragano Sandy ha colpito New York solo pochi mesi dopo la drammatica fusione del ghiaccio dell'Artico di quest'estate. La fusione ha a malapena generato un mormorio nei notiziari, ma non è passato inosservato. Ha provocato una forte sensazione di urgenza che è apparsa come una posizione più aggressiva quando Sandy ha colpito. Laddove in altre occasioni gli scienziati sono stati molto cauti nel collegare eventi specifici al cambiamento climatico, stavolta la cosa è stata differente. Questo, a sua volta, ha condizionato i media e la copertina di Bloomberg Bisinessweek, il cui titolo “E' il riscaldamento globale, stupido!” rappresenta un punto di svolta in questo atteggiamento.

Così, oggi vediamo un tentativo di costruire una strategia di comunicazione che potrebbe portare il cambiamento climatico in cima alle nostre priorità percepite. In questo senso, Sandy potrebbe essere considerato lo strumento che ci accompagna a questo. Ma funzionerà? Su questo punto, Andy Revkin ha pubblicato una nota dal titolo “Perché il disastro climatico potrebbe non far crescere l'Impegno pubblico sul cambiamento climatico”

Revkin cita ampiamente un testo di George Marshall, un esperto di comunicazione climatica. Il nocciolo della posizione di Marshall è che i disastri tendono a generare una reazione immediata laddove la gente tende a sviluppare un atteggiamento di coesione sociale, valori della comunità ed aiuto reciproco. In altre parole, la gente entra in “modalità sopravvivenza” e non ha tempo da dedicare alla comprensione di quali siano le vere cause di quello che gli sta accadendo. Infatti, non c'è prova che la gente colpita da disastri legati al clima come siccità, ondate di calore, alluvioni e simili abbia fatto la connessione fra quegli eventi e il cambiamento climatico.

Ciò conferma fondamentalmente quanto detto da James Schlesinger sui “due modi di operare” degli esseri umani: compiacenza e panico. Se ci troviamo in “modalità compiacenza”, non ci importa di prevenire possibili disastri. Se ci troviamo in “modalità panico”, non abbiamo tempo da dedicare alla prevenzione dei disastri.

Se questo è il modo in cui stanno le cose, abbiamo un grosso problema: se i disastri climatici sono rari, la gente rimarrà in modalità compiacenza e non unirà i puntini. Dall'altro lato, se i disastri climatici diventano molto frequenti, la gente entrerà in modalità panico e non avrà tempo per unire i puntini.

Quindi, è improbabile che l'uragano Sandy sia la bacchetta magica che porta il cambiamento climatico in cima alle priorità del mondo. Ciononostante, esso ci offre uno spiraglio di opportunità, almeno se non saremo colpiti da una sequenza di disastri così rapida che non ci sarà tempo per  pensare a quanto sta accadendo. Proprio ora che la fase di emergenza è finita, c'è tempo per fermarsi e riflettere sulle ragioni del disastro. Se lo facciamo, potremmo avere una possibilità di trovare un equilibrio precario fra compiacenza e panico: possiamo rimettere il cambiamento climatico al vertice delle priorità mondiali.


E' solo questo: uno spiraglio di opportunità. Sta a noi coglierla.


domenica 18 novembre 2012

Luca Chiari e Antonio Zecca sull'innalzamento del livello del mare

Da "La Repubblica" del 18 novembre 2012

Innalzamento del mare, andrà peggio
"Le stime dell'IPCC sono ottimistiche"

Il livello continuerà ad alzarsi per almeno due secoli. Alcuni scienziati italiani pubblicano il loro studio (incremento minimo entro il secolo dfino a 95 centimetri) e avvertono: ne risentirà tutto il Mediterraneo, bisogna subito ridurre le emissioni di gas-serra e prepararsi. Altrimenti ecco cosa potrebbe succedere 

di JACOPO PASOTTI

Innalzamento del mare, andrà peggio "Le stime dell'IPCC sono ottimistiche" VENTI centimetri guadagnati nel ventesimo secolo. Ed altri 20, ma in alcune parti del globo anche 60, saranno i centimetri di innalzamento del livello marino terrestre con cui le prossime generazioni faranno i conti entro la fine di questo secolo secondo l'ultimo rapporto dell'IPCC, il gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico. Ma secondo le ultime previsioni di alcuni scienziati italiani, queste cifre sono ottimiste. Loro stimano infatti un incremento minimo compreso tra 80 e 95 centimetri e, ripetono, all'origine di tutto ci sono le attività umane. L'unica opzione ora è una grossa frenata prima dell'impatto, ovvero rallentare il processo e non farsi cogliere impreparati.

Lo studio. In uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Global and Planetary Change, Antonio Zecca e Luca Chiari della Università di Trento, presentano un quadro ancora più preoccupante di quello proposto dall'IPCC: malgrado la riduzione dei combustibili fossili (dovuto sia ad un esaurimento naturale che ad un miglioramento della efficienza energetica) il livello del mare salirà di almeno 80-95 centimetri entro la fine del secolo e continuerà a farlo per almeno duecento anni. Lo studio è un ulteriore monito a ridurre, e immediatamente, le emissioni di gas-serra, al fine di rallentare la risalita del livello marino e cominciare a prendere misure per adattarsi ad un nuovo paesaggio costiero.

I fisici dell'atmosfera trentini hanno ripreso i modelli climatici dell'IPCC ed hanno incluso nuovi dati sull'attesa, seppur di incerta entità, diminuizione di combustibili fossili. Lo scopo era vedere in che modo questa diminuizione potrà influenzare la risalita del livello marino. "È importante sottolineare che le nostre stime rappresentano i valori minimi, perché i nostri scenari di emissione non tengono conto dei combustibili fossili non convenzionali e di futuri sviluppi tecnologici che potrebbero migliorare le attuali tecniche di estrazione", chiarisce Luca Chiari. In poche parole: il livellio marino potrebbe salire ancora di più. I risultati dello studio mostrano, purtroppo, che il mare continuerà inesorabilmente a salire anche nel caso della riduzione più drastica delle reserve di combustibili fossili. Ma, secondo Zecca e Chiari, l'innalzamento del mare potrebbe essere se non altro "frenato" con un radicale taglio elle emissioni, e questo consentirebbe all'umanità di muovere qualche passo verso l'adattamento all'inevitabile.


(18 novembre 2012)

sabato 17 novembre 2012

BBC: il grande complotto


Gira per il Web un testo di una stupidità sconcertante di un tale che si lamenta perché ha trovato che nel 2006 la BBC aveva tenuto un incontro dei "migliori esperti scientifici sul cambiamento climatico" e questi esperti non includevano nessun negazionista. Secondo il tale in questione, questo prova che la BBC è coinvolta in un complotto per indottrinarci e imbrogliarci. 

La storia è raccontata in dettaglio sul sito di "Ocasapiens" dove trovate tutti i link del caso, anche link al tale, noto fra le altre cose per aver dimostrato sulla base di rigorosi sillogismi che il riscaldamento globale non può esistere.

Nel frattempo, una risposta al tale arriva da "Attacco alla Terra"




dove leggiamo che



La prossima volta che la BBC fa un servizio sul petrolio, lui si lamenterà perché non ha consultato i rabdomanti.

Quando la BBC farà un servizio su Margherita Hack, lui si lamenterà che non ha consultato gli astrologi.

Quando farà un servizio sul traffico aereo, lui si lamenterà che non ha consultato quelli rapiti dai dischi volanti.

Quando La BBC farà un servizio su Ludvig Van Beethoven, lui si lamenterà perché non ha consultato il suonatore di fisarmonica all'angolo.

Quando la BBC farà un servizio sulle tigri del Bengala, lui si lamenterà perché non ha consultato la signora Maria che ha un bel gattino tigrato.

Quando la BBC farà servizio sul Giappone, lui si lamenterà che non ha consultato il mio amico Gianni che gli piace tanto il Sushi e che ha visto "L'Impero dei Sensi" al cinema.

Quando la BBC farà un servizio sull'antica Roma, lui si lamenterà che non ha consultato uno di quei tizi vestiti da centurioni che si fanno fare le foto vicino al Colosseo. 


Quando la BBC farà un servizio sull'architettura medievale, lui si lamenterà perché non ha consultato quelli che vendono le statuine della torre di Pisa che cambiano colore in Piazza dei Miracoli

.......





giovedì 15 novembre 2012

Attacco alla Terra: tre bombe atomiche al secondo

(h/t "Attacco alla Terra")  


..... il nostro pianeta sta attualmente accumulando calore al ritmo incredibile di circa tre bombe atomiche di Hiroshima al secondo.... i dati per le temperature vanno su e giù, anno dopo anno, con il risultato che è possibile trovare sempre dei brevi periodi parte di una tendenza al riscaldamento a lungo termine in cui si notano brevi periodi di diminuzione delle temperature. Nel frattempo, il pianeta continua ad accumulare calore: equivalente a circa 250 bombe atomiche di Hiroshima dal momento in cui avete cominciato a leggere questo articolo.



.... our planet is currently building up heat at the stunning rate of around 3 Hiroshima bombs per second.......  The [temperature] record bounces up and down from year to year as the ocean exchanges heat with the atmosphere, meaning that it’s possible to find any short period during a long-term warming trend where temperatures fall briefly. Meanwhile the planet continues to build up heat – around 250 Hiroshima bombs worth since you started reading this article.


lunedì 12 novembre 2012

Intervista a Kevin Anderson: “Riduzioni rapide e profonde delle emissioni potrebbero non essere facili, ma da 4 a 6°C in più sarebbe molto peggio”

Guest post di Rob Hopkins

Da “Transition Culture”. Traduzione di Massimiliano Rupalti




Kevin Anderson è il Vice Direttore del britannico Tyndal Centre ed è un esperto di tendenze delle emissioni di gas serra. Egli darà la lezione annuale al Cabot Institute, ‘Abiti Reali per l'Imperatore’ il 6 novembre a Bristol, che registra già il tutto esaurito. Speravo di essere in grado di andarci e di farvi una relazione qui, ma non posso più, quindi come sostituzione, ho parlato la scorsa settimana con Kevin via Skype. Gli sono molto grato per il suo tempo e per questa intervista onesta, vigorosa e che fa pensare. 


Potresti condividere con noi le tue analisi su dove pensi che ci troviamo in termini di cambiamento climatico e quale sia la nostra attuale traiettoria se continuiamo così?

In termini di linguaggio intorno al cambiamento climatico, ho l'impressione che ci sia ancora un'opinione ampiamente diffusa secondo alla quale possiamo probabilmente far riferimento per evitare un pericoloso cambiamento climatico, caratterizzata da questo quasi magico aumento di 2°C della temperatura media della superficie terrestre. Questo è l'obbiettivo che abbiamo stabilito a Copenhagen e che abbiamo ripetuto a Cancun e per il quale gran parte delle nazioni del mondo hanno firmato. Penso che la retorica del fatto che non dovremmo eccedere i 2°C sia ancora presente. Ma ora non si tratta solo delle nostre emissioni. Se guardiamo le emissioni che abbiamo già immesso in atmosfera dall'inizio  di questo secolo e a quelle che probabilmente emetteremo nei prossimi anni, penso che questo dica un'altra cosa. E' difficile immaginare che, a meno che non abbiamo un cambiamento radicale del mare nelle sue attitudini nei confronti delle emissioni, eviteremo un aumento  di 6°C per la fine di questo secolo.

Possiamo dire con certezza, secondo te, che gli eventi atmosferici estremi di quest'anno possano essere collegati al cambiamento climatico?


Certamente no. Penso sia onesto dire che è improbabile che saremo mai in grado di collegare in modo forte singoli e particolari eventi al cambiamento climatico. Ora, ciò non vuol dire che non abbiamo un più alto livello di attribuzione, nel quale possiamo cominciare a dire che le cose che vediamo sono ciò che ci aspetteremmo di vedere con un clima che si riscalda. Stiamo lottando per trovare una qualsiasi altra ragione per questi eventi e per questo sembra una buona possibilità che questi eventi siano causati, se non esacerbati, dall'aumento di emissioni di CO2 ed altri gas serra e dal relativo aumento di temperatura. Ma credo che sia improbabile che saremo mai capaci di dire che ogni singolo evento sia un 'evento di cambiamento climatico'. 

Ma potresti affermare che, se ci trovassimo ancora a 280 ppm, un'estate del genere sarebbe molto meno probabile?

Sì, penso che sarebbe una considerazione giusta. Sarebbe molto meno probabile. Prima di quest'estate, la probabilità di avere questo meteo estivo sarebbe stata minore se non avessimo avuto aumenti significativi dei gas serra ed il loro impatto cumulativo nell'atmosfera. Stiamo cominciando a vedere eventi che sono difficili da spiegare in termini di normali probabilità. Ci sono eventi atmosferici estremi, abbiamo sempre avuto eventi simili, gli estremi avvengono. Ma se gli estremi cominciano ad avvenire regolarmente non sono più estremi e quello che vediamo non è un estremo meteorologico, vediamo un cambiamento nel clima. Ma è difficile dire che ogni evento particolare fra una gamma di eventi sia una conseguenza del cambiamento climatico e non semplicemente un evento atmosferico estremo. 

A volte la gente parla di questa 'nuova normalità', del fatto che le condizioni di base intorno a noi siano cambiate. In ciò che accade in termini di cambiamento climatico, come caratterizzeresti la 'nuova normalità' nella quale ci troviamo dato l'aumento che abbiamo avuto finora nelle emissioni?  

Penso che probabilmente sarebbe una normalità molto breve, non penso affatto che questa sia la normalità. E' la normalità di oggi, ma credo che il tasso di aumento delle emissioni, e non c'è alcun segno che quel tasso stia diminuendo significativamente, suggerisce che stiamo raggiungendo una nuova normalità, poi un'altra e poi un'altra. Sono una di quelle persone che conclude che stiamo probabilmente per vivere impatti significativi da cambiamento climatico nei prossimi 1-3 decenni e, ovviamente, anche oltre. Al momento, a meno che non cambiamo i nostri percorsi e traiettorie nelle emissioni, la normalità cambierà regolarmente. 

Hai già detto, e lo dirai a Bristol il 6 novembre, che per rispondere  adeguatamente al cambiamento climatico la crescita economica non è più compatibile. Potresti arricchire un po' questo aspetto per noi?

Ora parlerò specificatamente dell'Allegato 1, la parte ricca del mondo, i paesi OCSE, in generale i paesi che sono molto ben industrializzati. In quelle parti del mondo, il tasso di riduzione delle emissioni che sarebbe necessario anche solo per rientrare all'interno di una remota possibilità di evitare un pericoloso cambiamento climatico, caratterizzato dall'aumento di 2°C  per il quale ci siamo impegnati a livello internazionale, sarebbe nell'ordine di circa il 10% all'anno. Anche se una guida molto approssimativa è molto lontana dal rimuovere l'1,2 o 3% che molti scenari energetici o di emissioni considerano. E' ben oltre qualsiasi cosa siamo stati in grado di appoggiare, virtualmente ben oltre qualsiasi cosa abbiamo analizzato finora. Quello che sappiamo è che a breve termine, a causa del fatto che abbiamo bisogno di cominciare ora, non possiamo semplicemente disporre della fornitura sufficientemente in fretta. Per questo, nel breve e nel medio termine il solo grande cambiamento che possiamo fare è nel consumare meno. Ora questo sarebbe un bene, potremmo diventare più efficienti in quello che consumiamo con una riduzione del 2-3% all'anno, probabilmente. Ma tenete presente che nella nostra economia si diceva di crescere del 2% all'anno e noi stiamo qui a cercare di ottenere una riduzione del 3% all'anno nelle nostre emissioni, ciò significa un aumento del 5% nell'efficienza di ciò che facciamo ogni anno, anno dopo anno. 

La nostra analisi per i 2°C suggerisce che abbiamo bisogno di un 10% assoluto di riduzione all'anno, e non c'è analisi che suggerisca che questo sia in qualche modo compatibile con la crescita economica. Se consideriamo il Rapporto Stern, Stern è stato molto chiaro sul fatto che non ci fosse prova del fatto che qualsiasi tasso oltre l'1% annuo di riduzione delle emissioni sia mai stato associato a nient'altro che “recessione economica o sommossa”, credo sia la citazione esatta. Quindi non abbiamo precedenti storici di niente che sia più grande di una riduzione del 1% annuo nelle emissioni. Stiamo dicendo che ci serve una riduzione di circa il 10% all'anno ed è qualcosa che abbiamo bisogno di fare oggi. E per questo possiamo trarre una conclusione molto chiara da ciò, che nel breve e medio termine, la strada per l'Allegato 1, le parti ricche del mondo per soddisfare i loro obblighi ai 2°C, dovrebbero tagliare significativamente i consumi. E questo significherebbe di conseguenza dal breve al medio termine, una riduzione della nostra attività economica, per esempio non potremmo avere crescita economica. Ora, potremmo avere un'economia di stato stazionario, ma la mia sensazione generale è che probabilmente la matematica ci indica di consumare meno ogni anno per i prossimi anni, forse un decennio, più o meno. 

Questo è mai accaduto prima? Da quanto ho capito, quando l'Unione Sovietica è collassata c'è stato un taglio del 9% ed è durato solo un anno. Come potrebbe essere un taglio del 10% all'anno?

Ciò che ho capito del collasso dei paesi del blocco orientale è stato che la riduzione è stata del 5% all'anno per circa 10 anni. Quindi quello che abbiamo visto là è stato relativamente prolungato, completamente non pianificato ed è risultato essere molto caotico, una riduzione delle emissioni irregolare, ed anche allora ha consegnato solo la metà a un quarto, il tasso di riduzione, di quanto ci servirebbe per i 2°C. Quindi quando la loro economia è collassata, le loro emissioni sono crollate di circa il 5% all'anno per circa 10 anni. Avremmo bisogno almeno di un 10% all'anno se non considerevolmente di più e più a lungo di un periodo di 10 anni. Per l'Unione Sovietica il collasso economico, anche se un periodo terribile per molte persone, non ha tuttavia raggiunto il tasso di riduzioni di cui avremmo bisogno di vedere qui. Naturalmente la nostra visione è che per consentire i 2°C dovremmo pianificare la contrazione economica. Non ha necessariamente bisogno di avere l'impatto devastante, e molto iniquo, che ha molto chiaramente avuto in Russia in particolare. 

Dato che l'attuale amministrazione, o di fatto ogni amministrazione che venisse eletta in questo paese, non sarebbe mai in grado di fare campagna su un programma di contrazione dell'economia del 10% all'anno, quali sono le implicazioni? Come può il bisogno di fare questo convivere con la democrazia? 

Innanzitutto non dico che dobbiamo ridurre il nostro livello di consumo del 10% all'anno in termini di beni materiali. Non sto dicendo che la nostra economia deve ridursi del 10% all'anno. Le emissioni devono scendere del 10% all'anno, ma dovremmo essere in grado anche di ottenere qualche miglioramento nell'efficienza. Quindi l'economia non dovrebbe scendere quanto il tasso di emissioni. E' molto importante fare questa distinzione e naturalmente più il frutto che possiamo trovare sta in basso, e penso che ce ne siano molti di più là fuori di quanti ne abbiamo scoperti in precedenza, meno la contrazione materiale dell'economia sarà necessaria. Da alcuni dei nostri lavori provvisori abbiamo identificato alcuni miglioramenti molto significativi nell'efficienza di come facciamo ciò che facciamo; alcune tecniche, altre comportamentali. Non credo sia necessariamente disastrosa come la si dipinge da un punto di vista economico. 

Ciononostante qui stiamo parlando, bene che vada, di un'economia di stato stazionario. Le analisi che io ed i colleghi al Tyndall Centre abbiamo intrapreso suggeriscono che probabilmente ci dovrà essere una riduzione dei nostri consumi ed una contrazione economica. Come la possiamo vendere? Be', l'abbiamo venduta al momento. E' molto chiaro che ciò che stiamo vedendo nel Regno Unito e molte parti d'Europa è al massimo stagnazione, se non una riduzione economica nel nostro livello di consumo. Quindi siamo realmente arrivati al momento topico. Non tutti troviamo questo assolutamente terribile... non che sia stato equamente distribuito, credo che sia stato distribuito iniquamente. Penso che l'equità dovrebbe essere una delle considerazioni principali in questo. Dobbiamo tener presente che anche se abbiamo una contrazione economica, il che significherà necessariamente che molte persone dovranno consumare meno. Ritengo molto chiaro su questo che gli effetti distributivi significheranno molto probabilmente che molta gente, nel Regno Unito per esempio, non vedrà una riduzione nei propri livelli di consumo o nei propri livelli di benessere, ma altri di noi nel Regno Unito, come me, dovranno certamente vedere una riduzione nel livello dei consumi. 

Quindi penso che gli impatti della distribuzione possono significare che potrebbe essere molto più attraente, o meno repellente, per i politici di quanto possa sembrare a prima vista. In particolare, dato che affrontiamo molti problemi ora con la disoccupazione, la riduzione dell'assistenza sociale, ecc., problemi che colpiscono le persone in modo sproporzionato nella fascia dei redditi medio-bassi, è questa gente che potrebbe in effetti beneficiare di una transizione ad un'economia molto più efficiente e a basso tenore di carbonio. Le implicazioni dovranno ovviamente essere pensate nel processo, ma ogni governo che abbia abbracciato un'analisi più sofisticata del cambiamento climatico probabilmente riconoscerà la situazione economica in cui ci siamo comunque cacciati col nostro modello attuale. Mettete insieme queste due cose e ci sono reali opportunità ora per una transizione significativa di come e di ciò che facciamo, una transizione lontana dal modello dogmatico della crescita economica e in direzione di una alternativa stazionaria a basso tenore di carbonio. 

Quale ruolo vedi, certamente in termini di approccio di Transizione - come molte risposte analoghe a tutto ciò che vengono dal basso e guidate dalla comunità -  qual è la tua sensazione sul ruolo che le comunità possono svolgere nel far sì che questo accada?

Credo che l'approccio della comunità, l'approccio dal basso, sia assolutamente centrale per risolvere alcune delle sfide e dei problemi che ci troviamo ad affrontare ora. Quindi penso che le comunità siano molto importanti. Sono importanti in diversi modi. Si potrebbe pensare che le azioni individuali, di ogni famiglia, di ogni comunità locale in sé e per sé siano insignificanti, ho sentito dire questo troppo spesso. Il punto riguarda meno le emissioni di un individuo, anche se importanti, ma più l'esempio che rappresenta. Da ad altra gente l'opportunità di vedere che puoi fare le cose in modo diverso. Se le comunità, anche se fossero solo una o due comunità, cominciassero a fare le cose in modo significativamente diverso, costituiscono un esempio di quello che possiamo fare. Se quegli esempi hanno successo si possono diffondere. Una volta che si sono diffusi, i politici possono cominciare a vedere quegli esempi all'opera e possono cominciare a metter giù un programma dall'alto che coincida con quello dal basso. Possiamo realmente indirizzare i politici dove  funziona e formulare argomenti per implementare politiche che faciliterebbero questo tipo di cambiamenti. Se abbiamo intenzione di uscire dal buco nel quale ci siamo ficcati, c'è una reale possibilità di collaborazione fra azioni dal basso individuali, attraverso le comunità, ecc. e quelle dall'alto che cercano di facilitare le iniziative quando emergono. E' il tipo di collaborazione di cui abbiamo bisogno se vogliamo vedere un cambiamento reale e sostanziale. E se vediamo questo nel Regno Unito, ciò aiuta all'interno dell'unione Europea e può indicare una transizione più ampia e globale. Credo che tutti noi abbiamo una responsabilità nel provare a portare questi cambiamenti nelle nostre vite e nel nostro ambiente circostante e questo può essere davvero significativo. Quello che facciamo noi stessi è assolutamente centrale per portare cambiamenti sostanziali. 

Quale pensi che sia il ruolo degli scienziati in tutto questo? Dovrebbero concentrarsi solo sulla scienza definitivamente provata o muoversi verso una presa di posizione da attivisti come James Hansen? Come vedi questo equilibrio fra scienza ed attivismo?  

Questa è una domanda molto difficile. Secondo me come scienziati dobbiamo comportarci da scienziati. Ora, siamo esseri umani, quindi la scienza non sarà mai la professione perfetta, obbiettiva e neutrale come tentano di descrivere i libri di testo. Ciononostante penso che sia molto importante nella nostra scienza rimanere neutrali e obbiettivi quanto più possiamo. La scienza non è in bianco e nero, c'è una grande incertezza in molta scienza, ci sono grandi probabilità e chiaramente il cambiamento climatico è avvolto in tutto questo. Ma penso che sia assolutamente centrale che come scienziati ci comportiamo da scienziati. Come individui, come cittadini (possiamo essere scienziati, ma siamo anche cittadini), non ci vedo niente di male nel sollevarsi e dire “penso che i miei colleghi ed altra gente di scienza abbiamo delle preoccupazioni per la società e quindi devo scegliere di agire sulla base di questa analisi”. C'è una dualità qui. Un individuo può, come scienziato, fare il suo lavoro in modo neutrale e quindi usare quel lavoro per informare il modo in cui agisce come cittadino. Se Hansen ed altri voglio incatenarsi a dei bulldozer che costruiscono nuove autostrade, che è la loro scelta come cittadini, non sono in disaccordo con questo. Quello che non mi troverebbe d'accordo sarebbe se tutti cominciassero ad usare la scienza impropriamente per sostenere altre serie di vedute. Perché la gente, come l'analisi di Hansen, sembra più estrema, la gente quindi presume che lui stia spingendo i confini della scienza. Penso che gli scienziati che spingono i confini della scienza siano coloro che si attengono deliberatamente, e conosco molte di queste persone, ad una linea che è politicamente appetitosa, perché questo è ciò che i politici, quello che i loro padroni che li pagano, quello che la società, vogliono sentire.

Lo scienziato del clima James Hansen mentre viene arrestato durante una protesta contro l'oleodotto di Keystone XL.

In realtà credo che Hansen e alcuni di quegli scienziati che sono preparati per sollevarsi e fare dichiarazioni molto forti provenienti dalla loro ambito scientifico, siano coloro che sono più neutrali ed obbiettivi; fin troppi degli scienziati che lavorano sul cambiamento climatico sono trascinati, secondo me, da una linea politica. Sembra neutrale perché non suona estrema, è compatibile con l'ortodossia. Ma non è questo il modo in cui dovremmo fare scienza. Che rientri o meno nell'ortodossia, dovremmo essere obbiettivi, robusti, diretti e onesti riguardo la scienza.

Passi molto del tuo tempo circondato da tutti quegli studi, ricerche e pubblicazioni, tutti quei modelli che peggiorano sempre di più. Come lo affronti questo da un punto di vista personale e cosa fai nella tua vita che sia motivato da ciò che incontri nella tua vita professionale?

Devo dire che diventa sempre più difficile, ha condizionato la mia vita personale in modo considerevole durante gli ultimi anni e sta peggiorando. Trovo molto difficile impegnarmi nella scienza e quindi non collegarla a quello che noi individui,  società e decisori politici stiamo facendo o non facendo in modo evidente. E' stato molto impegnativo per me con alcuni colleghi di lavoro, meno all'interno del gruppo più ristretto nel quale sono coinvolto qui a Manchester, ma sicuramente è così col gruppo più allargato di colleghi coi quali lavoro sul cambiamento climatico, i quali, mi pare, non hanno alcun riguardo per ciò che le loro ricerche gli indicano. Per molti, ma con eccezioni significative, il proprio lavoro sembra essere poco più di qualcosa che serve a pagarsi il mutuo. Lo trovo molto difficile. Sono dell'avviso che incomba su di noi come scienziati e cittadini il fatto che dovremmo cambiare quello che stiamo facendo nelle nostre vite e penso che la gente prenderebbe molto più in considerazione l'analisi che facciamo se decidessimo di vivere ampiamente in accordo con la nostra scienza. Secondo me, sono troppo pochi gli scienziati che lavorano sul cambiamento climatico che facciano realmente questo. Ma trovo anche sempre più difficile non sfidare amici e famiglia, che spesso sembrano ignorare completamente gli impatti delle loro azioni.

 Ora sono arrivato al punto in cui penso che quando emettiamo in modo dissoluto, noi stiamo consapevolmente danneggiando la vita e le prospettive di alcune delle persone più povere della nostra comunità, sia nel Regno Unito sia, più significativamente, a livello globale. Ciononostante continuiamo oscenamente a farlo. Siamo felici di mettere pochi centesimi in una ciotola, al centro della città, per aiutare la gente che vive nelle zone più povere del mondo, ma non sembra che siamo preparati a fare cambiamenti sostanziali nel modo in cui viviamo anche quando ci rendiamo conto dell'impatto che hanno le nostre emissioni. Eppure la scienza è molto chiara su questo, sul fatto che la gente vulnerabile nelle aree più povere del mondo soffriranno ripercussioni terribili da ciò stiamo facendo ora e da quello che abbiamo già fatto. Trovo quasi riprovevole che gli scienziati siano in grado di ignorare completamente un messaggio tanto chiaro; sappiamo che la gente che vive nella fascia costiera del Bangladesh soffrirà molto significativamente del nostro comportamento come accadrà a molta altra gente, gente povera in tutto il mondo. E noi non dimostriamo, collettivamente come società e spesso come individui, nessun interesse o compassione che siano significativi. Ho eliminato molte delle attività che seguivo in precedenza. Molte delle mia amicizie legate alle attività. Come scalatore, viaggiavo molto in aereo durante le festività. Questo è dovuto cambiare considerevolmente. 

Ho amici vicini del periodo in cui lavoravo per l'industria del petrolio, amici che pensano che il cambiamento climatico sia un problema serio ma che non sono preparati a fare nessun cambiamento ai propri stili di vita. Sono sorte alcune sfide serie per me nel mantenere le relazioni personali. Non voglio far finta che sia facile. Non credo che il futuro, per coloro fra di noi che hanno la posizione molto fortunata di vivere in occidente, sia pieno di opportunità vincenti. La gente che ha sfruttato bene, che ha ricavato molto dal nostro sistema occidentale e vive stili di vita che sprecano molto carbonio, affronterà sfide difficili e non dovremmo fingere il contrario. Finché non abbracciamo strumenti alternativi per trovare valore nelle nostre vite. Penso che questa transizione da dove siamo oggi, stili di vita ad alto tenore energetico e di carbonio, agli stili di vita finali a basso tenore di carbonio sarà sia difficile sia impopolare. Ma alla fine dei conti, non vedo alternative. Riduzioni rapide e profonde delle emissioni potrebbero non essere facili, ma da 4 a 6°C in più sarebbe molto peggio. 

Vedi qualche possibilità che questo possa essere guidato dal governo?

No, non credo che sarà guidato dal governo. Penso che non sarà guidato da nessuno. Penso che sarà una conseguenza emergente di una società che se ne occupa, di cui il governo è una parte e di cui cittadini e individui sono a loro volta parte, non mi è mai piaciuta particolarmente l'idea di grandi personaggi, di meravigliose guide, credo molto di più in un sistema emergente, le proprietà ed i valori che sono compresi all'interno di un sistema. Ora possiamo vedere che questo si manifesta qualche volta in un leader, ma è in realtà una conseguenza di quella società che va in una certa direzione. Ecco perché, non sono in cerca di grandi personalità che si facciano carico di tutto e di portarlo avanti. Sto cercando che tutti noi ci impegniamo e da questo emerga un nuovo modo di pensare il mondo. Date le sfide economiche, le crisi (o comunque le vogliamo chiamare) che stiamo vedendo in questo momento, questa è una vera opportunità di cambiamento. Un'opportunità che abbiamo bisogno di cogliere. Abbiamo bisogno di pensare in modo diverso, di pensare positivo, ma di riconoscere, dal mio punto di vista, che non sarà facile. Possiamo istituire questi cambiamenti noi stessi sia dal basso sia dall'alto. E' questo il tipo di guida di cui abbiamo bisogno, la guida da parte di ognuno di noi.

Pensi che, da una prospettiva di cambiamento climatico, in realtà una prospettiva di approfondimento e peggioramento della recessione sia la cosa migliore che ci possa accadere?

Al momento vedo solo come se riguardasse tutti gli altri. L'iniquità sta aumentando, non diminuendo. Le recessioni non sono bei momenti – non siamo chiaramente tutti in recessione contemporaneamente. Molti di noi non hanno fatto alcun cambiamento, i ristoranti in cui andiamo, gli hotel in cui andiamo, le vacanze che ci prendiamo e inoltre c'è l'altro aspetto, cioè che stiamo smantellando le politiche sociali e non investiamo in infrastrutture verdi. Buttiamo costantemente soldi, un terzo di trilione nelle banche, non in una nuova rete e in un nuovo insieme di tecnologie rinnovabili o nell'adeguamento delle case. Quindi, abbiamo la prospettiva di fare le cose in modo diverso, offertaci dalla recessione, ma ci stiamo facendo sfuggire queste opportunità, giorno dopo giorno stiamo buttando via queste opportunità. Andare verso una società a basso tenore di carbonio e resiliente, potrebbe essere molto più positivo di quanto non si stia rivelando.  

Bill McKibben sostiene che dobbiamo tornare a 350 ppm. E' possibile?

Be' lo è, a termine molto lungo. Ma non entro il tipo di quadro temporale di cui stiamo parlando al momento, a meno che le strade della geo-ingegneria funzionino, e penso che dobbiamo essere molto cauti riguardo al succhiare CO2 dall'aria quando non riusciamo ancora nemmeno a spegnere la luce quando lasciamo una stanza! Trovo che questo sia particolarmente bizzarro, ma non per dire che ora non dovremmo spendere un po' di soldi nella ricerca di tecnologie per emissioni negative. Ritengo altamente improbabile che torneremo indietro a 350 ppm anche entro parecchie generazioni. Ciò non significa che non dovremmo averlo come obbiettivo, ma quello che penso che dovremmo cercare di fare è di stabilizzare la concentrazione più rapidamente possibile ai livelli ai quali si trova oggi. Essi saranno più alti domani e ancora più alti dopodomani. Quello che abbiamo bisogno di fare immediatamente è di fermare questo tasso di crescita e poi togliere la CO2 via dall'atmosfera più velocemente che possiamo. Non so se saremo capaci di risucchiarla. Al momento è una cosa molto lontana. E' un futuro alla Dr. Stranamore. Non per dire che non abbia qualche possibilità nel lungo termine, ma al momento stiamo estraendo gas di scisti e sabbie bituminose e un sacco di carbone. Stiamo per scavare sotto l'Artico. Non dobbiamo preoccuparci troppo della Geo-ingegneria per il futuro, abbiamo semplicemente bisogno di smettere di estrarre combustibili fossili dal sottosuolo, oggi. 

Hai parlato della necessità di tagliare le emissioni del 10% all'anno, di quanto sarà difficile, di come non sarà una cosa facile e che condizionerà ogni aspetto di ciò fa che la gente, in particolare la gente abituata ad avere il meglio. Puoi descrivere un po' come pensi che sarà quando ci arriveremo? Che visione hai, come pensi che saranno le cose se realmente abbiamo successo, se saremo in grado mettere insieme la volontà e lo spirito collettivo e riusciremo realmente a tirarcene fuori? Puoi descrivere come potrebbe essere arrivarci? 

Questo è molto difficile... come sarà il futuro? E' difficile per noi come scienziati ed ingegneri non imporre i nostri modi personali di vedere il mondo. Ci sono cambiamenti particolari che mi piacerebbe che il mondo raggiungesse che non sono collegati al carbonio o al clima, non metterci questi nella mia visione del futuro non è facile. Ora ho 50 anni. Ho vissuto molto bene negli anni 70 e molto bene negli anni 80. Non penso che la mia qualità di vita sia aumentata significativamente dagli anni 70 e 80, tuttavia le mie emissioni e le emissioni pro capite sono davvero schizzate in modo significativo. Così, abbiamo vissuto una buona qualità di vita, vita relativamente a più basso tenore di carbonio di quelle che viviamo oggi, non troppo tempo fa. Ora, molto di questo è stato perché consumavamo meno. Vivevamo già vite di grande consumo e penso che se ci avessimo abbinato le conoscenze tecniche che abbiamo oggi, questo potrebbe realmente migliorare le tecnologie che usiamo nella realtà per avere stili di vita molto buoni – non stiamo parlando di tornare troppo indietro nel tempo, quando la gente era molto povera. Abbiamo avuto buoni trattamenti medici, buone scuole, buone reti di trasporto. Quindi penso che possiamo creare un'alleanza fra le nostre capacità tecniche attuali con il riconoscimento del fatto che abbiamo consumavamo considerevolmente di meno di quanto consumiamo oggi ma non avevamo stili di vita notevolmente diversi – tornare agli anni 50, 40 o 30 sarebbe molto diverso, ma non penso che questo valga per gli anni 70 e 80. 

Una transizione tale sarebbe certamente impegnativa, con un po' di equità e distribuzione e con uno spostamento dell'enfasi da una società fortemente individuale e basata sul consumo ad una che abbracci di più la collaborazione. Ammetto che questa sarebbe più attraente per me, ma riconosco che alcune persone non vedrebbero un cambiamento tale sotto una luce positiva. Ciononostante, penso che sia dura immaginare che usciamo dal buco in cui siamo senza un più alto grado di sforzo collettivo. Non credo che dovremmo cercare di tornare indietro al punto in cui non possiamo viaggiare e in cui viviamo vite austere. Con un più alto grado di equità, le scarse risorse energetiche possono essere bilanciate da vite di grande benessere. E' un futuro di sufficienza più che di avarizia e voglie, che sia radicalmente diverso dal punto in cui siamo oggi dipenderà da quanto rispondiamo rapidamente adesso, ma non credo debba necessariamente esserlo. Avremo molte opportunità per comportarci diversamente, adottare abitudini di minor consumo e combinare questo con cambiamenti significativi nel tipo di tecnologie già disponibili e nella loro efficienza. Tutto questo potrebbe orientarci in una direzione resiliente e a basso tenore di carbonio. 

Pensi che le Tradeable Energy Quotas (TEQ's) introdotte da David Fleming possano essere uno strumento utile a questo scopo? 

Io e il mio collega Richard Starkey, abbiamo lavorato molto su questo allora, infatti conoscevamo David molto bene. Sì, penso che sia certamente una strada molto seria da considerare e infatti David Maliband vi si era molto appassionato allora, la DEFRA (Departmente for Environment, Food and Rural Affairs) alla fine lo ha respinto come “uno strumento economico troppo avanti rispetto al proprio tempo”, quindi era per il futuro. Be', forse il futuro è qui adesso e dovremmo riconsiderare di usarlo. Esso aggiunge una dimensione di equità molto buona che richiede cambiamenti più grandi da coloro di noi che emettono di più degli altri. Casualmente, è questo aspetto di onestà che potrebbe guidare l'innovazione e i primi che l'adotteranno, più che tasse o strumenti economici, per cui chi emette molto potrebbe essere in grado di comprarsi il proprio cambiamento. 

Penso che ci sia qualche merito significativo in questo approccio. Approntarlo non sarà facile. Ma dobbiamo ricordare – la gente dice che sia come un razionamento - che il razionamento esiste già in ciò che chiamiamo salario, il nostro reddito. Quindi il razionamento ci è famigliare. Ci destreggiamo in continuazione con le nostre razioni di risorse a causa di quello che possiamo permetterci o no. Questa non è altro che una ulteriore razione. Non sono sicuro che sia molto difficile, come qualcuno dice di immaginare, dover razionare, in particolare se questo riguarda soltanto i consumi delle nostre famiglie, l'elettricità, il gas e così via e il consumo dei nostri veicoli. Penso che quando cominci a estenderlo oltre, questo cominci a diventare problematico ma, credo, applicato alle famiglie e ai trasporti potrebbe essere uno strumento utile nel catalizzare un impegno diffuso e più equo e nel guidare più efficacemente l'innovazione e lo sviluppo di quanto farebbero gli strumenti economici standard.  






































giovedì 8 novembre 2012

Abbiamo dato la caccia al demone sbagliato!


Guest post di Graeme Maxton. Questo testo è apparso su diversi quotidiani il primo novembre 2012. Viene qui riprodotto col permesso dell'autore.

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di Massimiliano Rupalti

Guardati le spalle!

E' il riscaldamento globale di cui dobbiamo preoccuparci, non la crescita economica o Al-Qaeda

Sembra quasi che ci siamo.

Il paese che usa più petrolio, che ha prodotto la più grande quantità di emissioni di CO2 per decenni è che ha costantemente negato l'evidenza del cambiamento climatico, ha ricevuto lo schiaffo di cui aveva bisogno. Con decine di morti, un'infrastruttura fatta a pezzi e miliardi di dollari di danni, l'Uragano Sandy è stata la sveglia di cui l'America aveva bisogno. Oltre a questo, è stato un evento al quale tutti dovremmo prestare attenzione. E' tempo di smettere di sprecare soldi in false guerre e cominciare a spenderli per proteggerci da una minaccia molto più grave. 

Nell'ottobre 2012 ho partecipato all'Assemblea Generale del Club di Roma a Bucharest. La ci sono state presentate le ultime prove sugli effetti del cambiamento climatico, ed erano spaventose. Le previsioni fatte solo cinque anni fa si sono già rivelate ampiamente sbagliate. Nel 2007 gli scienziati hanno detto che pensavano che l'Artico sarebbe stato libero dai ghiacci dalla fine di questo secolo. Al ritmo attuale di fusione tuttavia, sarà senza ghiacci dall'estate del 2015. E sarà libero dai ghiacci tutto l'anno dal 2030.  

Tuttavia questa non è la preoccupazione principale, visto che questo è ghiaccio galleggiante, marino. Quando si fonde non fa aumentare i livelli del mare. La vera preoccupazione è la Calotta Glaciale della Groenlandia, che si sta a sua volta fondendo ad un ritmo senza precedenti. Se anche quello sparisce, gli effetti saranno catastrofici. I livelli del mare nel mondo salirebbero fra i 6 e i 7 metri, cancellando città come New York, Londra e Shanghai. L'aggiunta di così tanta acqua dolce fredda nei mari cambierebbe anche le correnti oceaniche e gli schemi meteorologici in modi che non possiamo a malapena immaginare. Allo stesso tempo, l'aumento delle temperature nell'emisfero nord  ora rischia di fondere gran parte del Permafrost siberiano, che rilascerà grandi nubi di metano lì intrappolato e accelerando la velocità del cambiamento climatico ancora di più. Questi rischi danno il via ad una reazione a catena, per fermare la quale non potremmo fare nulla. 

Gli effetti di quello che stiamo facendo al pianeta sono intorno a noi. Dalle tempeste e le alluvioni alle siccità di quest'anno. Dal 1980, il numero di catastrofi naturali è salito di una media di 400 all'anno fino alle circa 1.000 attuali, secondo il Munich Re. Ironicamente, il Nord America è stato già più colpito dal “meteo estremo” di qualsiasi altro luogo. 

Abbiamo bisogno di fare cambiamenti urgenti al modo in cui viviamo se vogliamo evitare la crisi. I cambiamenti ora anticipati non colpiranno solo i nostri figli e nipoti. Colpiranno tutti noi. 

Quando sono state fatte le previsioni qualche anno fa, gli scienziati hanno detto che più o meno sarebbe stato a posto se avessimo limitato l'aumento delle temperature medie entro i 2°C. Tuttavia mancheremo quell'obbiettivo. Perché non abbiamo fatto effettivamente niente per fermare il danno che stiamo facendo. Se non cambiamo, ora siamo diretti verso un aumento di 4°C, il che porterà le temperature della Terra indietro ai livelli visti 40 milioni di anni fa. Questo provocherà la fusione anche dell'Antartico, con un aumento del livello del mare di 60-70 metri. Le siccità e le alluvioni che vivremo lungo il percorso renderebbero il pianeta virtualmente inabitabile.  

Mentre questi cambiamenti stavano avvenendo, mentre sono stati negati e ignorati, stavamo combattendo invece due guerre insensate. La prima è stata la guerra della crescita. I governi del mondo hanno speso trilioni per cercare di sostenere le loro economie, per fare in modo che continuassero a crescere e che le persone spendessero. Nel processo, hanno fatto in modo che continuassimo a scavare sempre di più per i materiali grezzi del mondo e a consumare sempre di più cose di cui non abbiamo bisogno., rendendo i cambiamenti del clima anche peggiori. 

La seconda guerra insensata è stata la Guerra al Terrorismo. Secondo uno studio della Brown University dello scorso anno, il costo per l'America dei primi 10 anni dopo l'11 settembre sono la cifra sconcertante di 4 trilioni di dollari. Altri trilioni sono stati spesi dall'Europa ed altrove. Durante tutto questo tempo, ci sono stati soltanto 251 morti legati al terrorismo nel mondo sviluppato e nessuna negli Stati Uniti. Nello stesso periodo, in decine di migliaia sono stati uccisi dal cambiamento climatico. Secondo Munich Re, 30.000 persone sono state uccise solo in Nord America, fra il 1980 e il 2011, a causa di incidenti legati al meteo. 

Per più di un decennio abbiamo dato la caccia al demone sbagliato. E' la Terra stessa. A meno che non impariamo a trattarla con rispetto e cominciare e a rispondere ai segnali che ci sta mandando, ci consumerà tutti. 

Graeme Maxton è Membro del Centro Internazionale del Club di Roma

martedì 6 novembre 2012

E' il Riscaldamento Globale, stupido


Di Paul M. Barrett
Da “BloombergBusinessWeek” del 1 novembre 2012. Traduzione di Massimiliano Rupalti


Foto della Nasa attraverso Getty Images

L'uragano Sandy si avvita al largo della costa della Florida mentre una linea di nuvole associate ad un potente fronte freddo si avvicina alla Costa Est degli Stati Uniti il 26 ottobre

Sì, va bene, è poco fine dare la colpa di ogni tempesta al cambiamento climatico. Uomini e donne in camici bianchi da laboratorio ci dicono – ed hanno ragione – che sono molti i fattori che contribuiscono ad ogni grave episodio atmosferico. I negazionisti del clima sfruttano la complessità scientifica per evitare ogni discussione. La chiarezza, tuttavia, non si trova fuori portata. L'uragano Sandy la richiede: almeno 40 morti statunitensi. Le perdite economiche sono previste raggiungere i 50 miliardi di dollari. Otto milioni di case senza elettricità. Centinaia di migliaia di persone evacuate. Più di 15.000 voli costretti a terra. Fabbrice, negozi ed ospedali chiusi. La Lower Manhattan al buio, silenziosa e sott'acqua.

Una ricerca non scientifica della letteratura dei social network su Sandy rivela un tweet (avete letto bene) di Jonathan Foley, direttore dell'Istituto per l'Ambiente dell'Università del Minnesota. Il 29 ottobre, Foley diceva così: “Questo tipo di tempeste accadrebbero senza il cambiamento climatico? Sì. Alimentate da molti fattori. La tempesta è più forte a causa del cambiamento climatico? Sì”. Eric Pooley, vicepresidente del Fondo per la Difesa dell'Ambiente (Environmental Defense Fund) ed ex caporedattore di Bloomberg BusinessWeek, ci offre un'analogia col baseball: “Non possiamo dire che gli steroidi siano responsabili di nessuna Home Run di Barry Bonds, ma gli steroidi lo hanno sicuramente aiutato a colpirne di più e a colpirle più lunghe. Ora abbiamo il meteo sotto steroidi”.In un post del 30 ottobre Mark Fischetti di Scientific American ha fatto un giro nel territorio dei dottorati ed ha scoperto sempre più esperti accreditati disposti a scrollarsi di dosso gli ammonimenti del clima. Il consenso sempre più ampio: “Il cambiamento climatico amplifica altri fattori di base che contribuisco alle grandi tempeste. Per esempio, gli oceani si sono scaldati, apportando più energia alle tempeste. L'atmosfera terrestre si è scaldata, quindi trattiene più umidità, che viene riversata nelle tempeste e quindi scaricata su di noi”. Anche gli allergici alla scienza possono afferrare la sostanza di questo. 

Sandy è stata caratterizzata da una spaventosa e ulteriore svolta che implica il cambiamento climatico. Un uragano atlantico che si sposta sulla Costa Est che si è scontrato con aria fredda che scendeva dal Canada. La collisione ha sovraccaricato il livello d'energia della tempesta ed esteso la sua portata geografica. A spingere l'aria fredda verso sud era uno schema atmosferico, conosciuto come blocco alto, sopra l'Oceano Artico. Gli scienziati climatici Charles Greene e Bruce Monger, dell'Università di Cornell, scrivendo a inizio anno su Oceanography, hanno fornito le prove che la fusione dei ghiacci legati al riscaldamento globale contribuiscono allo stesso schema atmosferico che ha spinto la bolla gelida giù attraverso il Canada e gli Stati Uniti orientali.  

Se tutto questo non impressiona, dimenticate gli scienziati apparentemente dediti all'avanzamento del sapere e a salvare vite. Ascoltate invece le compagnie assicurative impegnate nella compilazione statistica dei profitti. Il 17 ottobre il gigante assicurativo tedesco Munich Re ha pubblicato un rapporto preveggente intitolato “Meteo estremo in Nord America”. Globalmente, il tasso degli eventi atmosferici estremi sta crescendo e “in nessun altro posto al mondo il numero di catastrofi naturali è evidente come in Nord America”. Dal 1980 al 2011, i disastri meteorologici hanno causato perdite per 1,06 trilioni di dollari. La Munich Re ha scoperto “un numero quasi quintuplicato di eventi di perdite legati al meteo in Nord America negli ultimi tre decenni”. Invece c'è stato “un aumento di un fattore 4 in Asia, di 2,5 in Africa, di 2 in Europa e di 1,5 in Sud America”.

Il cambiamento climatico antropogenico “è ritenuto contribuire a questa tendenza”, dice il rapporto, “anche se esso influenza i diversi pericoli in modi diversi”. Il riscaldamento globale “colpisce particolarmente la formazione di ondate di calore, siccità, eventi di precipitazioni intense e, a lungo termine, probabilmente anche l'intensità dei cicloni tropicali”, ha detto Munich Re. Lo scorso luglio è stato il mese più caldo registrato negli Stati Uniti da quando sono iniziate le registrazioni nel 1895, secondo il NOAA. Il Drought Monitor degli Stati Uniti ha riportato che i due terzi degli Stati Uniti continentali hanno sofferto condizioni di siccità l'estate scorsa. E' certo, la Munich Re vuol stipulare più contratti di riassicurazione (il supporto di polizze comprate da altre compagnie assicurative), quindi può darsi che abbia una ragione egoistica per provocare ansia. Ma essa non ha nessun motivo evidente per indicare il riscaldamento globale al di sopra delle altre cause. “Se i primi effetti del cambiamento climatico sono già percettibili”, ha detto Peter Hoeppe, il capo della Geo Risk Research della compagnia, “tutti gli allarmi e le misure contro di esso sono diventate ancora più urgenti”. 

Il che fa sorgere la questione di quali allarmi e misure intraprendere. Nel suo libro Conundrum, David Owen, uno scrittore dello staff del New Yorker, sostiene che finché l'Occidente pone un valore alto e insindacabile sulla crescita economica e la gratifica del consumatore – con la Cina ed il resto del mondo in via di sviluppo subito dietro – continueremo a bruciare combustibili fossili le cui emissioni intrappolano il calore nell'atmosfera. Treni veloci, auto ibride, lampadine compatte fluorescenti e compensazioni del carbonio non sono semplicemente sufficienti, dice Owen. 

Tuttavia, anche lui è d'accordo sul fatto che il primo passo responsabile sia di rimettere il cambiamento climatico sul tavolo delle discussioni. Il problema è stato assente durante il dibattito presidenziale e, a prescindere da chi vince il 9 novembre, è improbabile che appaia nel calendario del Congresso a breve termine. Dopo Sandy, ciò sembra folle. Mitt Romney è passato dall'essere un sostenitore, anni fa, dell'energia pulita e delle limitazioni delle emissioni, all'essere, più di recente, un agnostico del clima. Il 30 agosto, ha  sminuito la promessa del suo avversario di fermare il cambiamento climatico fatta durante la campagna presidenziale del 2008. “Il Presidente Obama ha promesso di cominciare a rallentare l'innalzamento degli oceani e di guarire il pianeta”, ha detto Romney alla Convetion Repubblicana Nazionale a Tampa, città sballottata dalle tempeste. “La mia promessa è quella di aiutare voi e i vostri famigliari”. Due mesi dopo, sulla scia di Sandy, famiglie sommerse in New Jersey e New York hanno avuto bisogno d'aiuto per affrontare quella cosa dell'innalzamento dell'oceano. 

Obama e i suoi strateghi hanno chiaramente deciso che, in una lotta serrata in tempi di fragilità economica, egli avrebbe dovuto competere con Romney promettendo di estrarre più carbone e perforare più pozzi petroliferi. Nel percorso della campagna, quando Obama parla di ambiente, lo fa solo per stimolare “lavori verdi”. Durante il suo periodo di carica, Obama ha fatto un modesto progresso sui problemi climatici. Gli standard di efficienza energetica della sua amministrazione ridurranno della metà le emissioni di gas delle nuove auto e dei nuovi camion dal 2025. I suoi regolamenti e le regole proposte sulle emissioni di mercurio, carbonio ed altri elementi dalle centrali a carbone stanno obbligando le imprese a chiudere gli impianti più sporchi e vecchi. E il paese ha raddoppiato la generazione di energia da fonti rinnovabili come solare ed eolico. 

Ciononostante, l'energia rinnovabile conta ancora per meno del 15% dell'elettricità del paese. Gli Stati Uniti non possono scrollarsi di dosso la loro dipendenza dai combustibili fossili andando in crisi d'astinenza. Uffici e fabbriche non possono lavorare al buio, Gli armatori, gli autotrasportatori e le compagnie aeree non abbandoneranno il petrolio in una notte. Mentre gli scienziati e gli imprenditori cercano tecnologie di rottura, il prossimo presidente dovrebbe spingere un piano energetico che sfrutti le generose disponibilità di gas naturale interno. Bruciate per produrre corrente, emettono circa la metà della CO2 rispetto al carbone. Questo è un avvicendamento già in corso e vale la pena che si espanda. Gli ambientalisti che tengono una linea dura 'niente gas' sbagliano (se riferito al fracking, non si sbagliano affatto... ndt.). 

Le forze conservatrici paladine del mercato – come fanno i liberali intelligenti – e gli incentivi finanziari dovrebbero essere parte di un programma sul clima. Nel 2009 la Camera dei Deputati ha approvato una legge di limitazione e scambio che avrebbe premiato gli operatori industriali più agili che capiscono come usare energia più pulita. La proposta è morta in Senato nel 2010, vittima dell'ostruzionismo Repubblicano ispirato dal Tea-Party e dalla decisione di Obama di spendere il suo capitale politico per spingere la riforma della sanità. Nonostante il fanatismo Repubblicano riguardo a tutte le forme di intervento governativo sull'economia, l'idea di tassare il carbonio deve rimanere una parte del dibattito nazionale. Un modo politicamente plausibile di tassare le emissioni di carbonio è quello di trasferire gli introiti agli individui. L'Alaska, che paga dei dividendi ai propri cittadini dai diritti imposti alle compagnie petrolifere, potrebbe dare ispirazione (proprio come la cura Romney in Massachussets ha indicato la via alla cura di Obama). 

Alla fine, la crisi del riscaldamento globale richiederà soluzioni globali. Washington può diventare un fautore dello spostamento dal carbone verso le alternative delle economie cinese e indiana solo se gli Stati Uniti intraprendono azioni politiche concertate. All'ultima conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico a Durban, in Sudafrica, i governi del mondo si sono accordati per cercare un nuovo accordo legale che costringa i firmatari a ridurre le loro emissioni di carbonio. I negoziatori hanno convenuto di elaborare un nuovo trattato per il 2015 da rendere operativo dal 2020. Per funzionare, il trattato avrà bisogno di contenere un modo per penalizzare i paesi che non soddisfino gli obbiettivi di riduzione delle emissioni, cosa che gli Stati uniti hanno sinora rifiutato di sostenere. 

Se non altro, l'uragano Sandy potrebbe suggerire che abbiamo bisogno di impegnarci di più nel prepararci ai disastri e a come rispondere. Come col cambiamento climatico, Romney ha mostrato un atteggiamento disinvolto allarmante sulle emergenze meteorologiche. Durante un dibattito Repubblicano preliminare dello scorso anno, gli è stato chiesto di punto in bianco se le funzioni del Federal Emergency Management Agency – FEMA -  (Protezione Civile statunitense) dovessero tornare agli Stati. “Assolutamente”, ha replicato. Lasciamo che gli Stati si difendano da soli o, meglio ancora, incarichi di questo il settore privato. Un servizio “paghi quando sali sul tetto” potrebbe essere attraente per i plutocrati; quando le acque alluvionali salgono, la gente comune gradisce la Guardia Nazionale. 

E' possibile che l'affermazione contro la FEMA di Romney fosse soltanto una ruffianata nei confronti della Destra, piuttosto che una proposta politica seria. Tuttavia, il bisogno riconfermato di una capacità federale di affrontare i disastri – il FEMA e Obama hanno ricevuto commenti entusiastici dal Governatore del New Jersey Chris Christie, un sostenitore di Romney – rende la dichiarazione del candidato presidenziale Repubblicano tanto più riprovevole. Gli Stati Uniti hanno lasciato che i trasporti e ad altre infrastrutture di diventassero obsolete e deteriorate, il che rappresenta una minaccia non solo alla sicurezza pubblica ma anche alla salute economica del paese. Con le alluvioni che avvenivano ogni secolo che ora avvengono con  pochi anni di intervallo, il Governatore di New York Andrew Cuomo ed il Sindaco di New York Michael Bloomberg hanno detto che la città più grande del paese avrà bisogno di considerare l'installazione di protezioni da sovratensione e di rendere in qualche modo impermeabile il suo enorme sistema di metropolitana. “Non è prudente sedere qua e dire che non accadrà ancora”, ha detto Cuomo. “Io credo che accadrà di nuovo”. 

David Rothkopf, il capo esecutivo ed editore generale di Politica Estera, ha indicato in un post del 29 ottobre che Sandy ha portato anche la sua città natale, Washington, ad un fermo che impedisce di svolgere gli affari di Stato. Per diminuire gli impatti futuri, ha consigliato di sotterrare le linee elettriche urbane e suburbane, un miglioramento costoso ma sensibile. Dove prendere i soldi? Rothkopf ha proposto di spostare i fondi ai pachidermi burocratici del dopo 11 settembre come il Dipartimento per la Sicurezza Nazionale, che sostiene sia uno spreco. In realtà, ciò che manca nell'approccio americano al cambiamento climatico non sono le risorse per agire, ma la volontà politica di farlo. Un sondaggio del Pew Research Center, condotto in ottobre, ha scoperto che due terzi degli americani dicono che ci sono “prove solide” che la Terra si stia scaldando. Sono 10 punti in meno rispetto al 2006. Fra i Repubblicani, più della metà dicono sia che non è un problema serio sia che un problema non lo è affatto. Tali numeri riflettono il successo dei negazionisti climatici nell'inquadrare il cambiamento climatico come nemico della crescita economica. Questo è sia miope sia pericoloso. Gli Stati Uniti non possono permettersi distruzioni regolari delle dimensioni di Sandy nelle attività economiche. Per limitare i costi dei disastri legati al clima, sia i politici sia il pubblico devono accettare la misura in cui stanno partecipando a causarli.