mercoledì 11 settembre 2013

I tre tipi di negazione secondo Peter Sandman



Guest post di Peter Sandman

Da “The frog that jumped out”. Traduzione di MR


Peter Sandman discute i tre principali tipi di negazione. Per una discussione specifica sul cambiamento climatico andate su “Climate Change Risk Communication". Immagine da “resilience.org


La parola “negazione” ha molti usi e molte definizioni in diversi campi. Anche all'interno della comunicazione del rischio, la parola viene usata con significati molto diversi che sono normalmente più impliciti che definiti con cura. Io sono colpevole quanto chiunque altro. Senza pretendere di aver trovato una tipologia definitiva, lasciate che provi a prendere in giro tre tipi di negazione che penso siano importanti nella comunicazione del rischio.

Tutte e tre contano prevalentemente per l'invocazione della precauzione. E tutte e tre sono in contrasto con i normali problemi centrali dell'invocazione della precauzione, dell'ignoranza e dell'apatia. Se state provando a portare le persone all'azione nei riguardi di un rischio, la barriera principale è generalmente che queste non sanno abbastanza o non interessa loro abbastanza (o entrambe le cose) per prendere il rischio seriamente. Negazione che si traveste da apatia. Forse qualche negazione può essere persino vista come un tipo di apatia. Ma è diversa dall'apatia ordinaria in modo importante.

Negazione di tipo uno: fa male pensarci

Nel mio articolo del 2003 su “Oltre la Prevenzione del Panico” ho scritto sulla negazione come antidoto al panico: le persone sono così spaventate di essere a rischio di entrare nel panico che piuttosto negano il pericolo. “Come le persone apatiche”, indica l'articolo, “le persone che stanno nella negazione sono riluttanti a fare attenzione al problema. Se spinti a parlarne, lo fanno senza emozione”. La differenza chiave è come rispondono alle informazioni allarmanti. “Le persone apatiche non hanno molto interesse iniziale ai vostri avvertimenti, ma una volta che riuscite a far breccia in loro diventano più preoccupati. Ma le persone che stanno nella negazione hanno una reazione molto diversa: più è spaventoso il vostro messaggio, più questo li spinge in profondità nella negazione”.

In questo articolo e altrove, ho scritto di diversi modi di ridurre e prevenire questo tipo di negazione. Eccone sette:

  • Legittimate la paura, così può essere riconosciuta ed accettata.
  • Fornite opportunità d'azione. Le persone avranno meno bisogno di negare se hanno cose da fare. 
  • Fornite scelte d'azione. Le persone avranno meno bisogno di negare se hanno cose su cui decidere.
  • Concentratevi sulle vittime che hanno bisogno di essere difese e sulle potenziali vittime che hanno bisogno di essere protette. L'amore è un baluardo contro la negazione. 
  • Se è appropriato, concentratevi anche sui malfattori che devono essere presi e puniti. A meno che questo non diventi una rabbia fuori controllo, o viene essa stessa negata, la rabbia è a sua volta un baluardo contro la negazione. 
  • Plasmate una paura che tolleri, non l'essere senza paura. Anche voi lo trovate spaventoso, ma reggete la vostra paura ed affrontate la situazione – quindi forse posso falo anch'io. 
  • Stimolate la determinazione ma non necessariamente l'ottimismo, come Winston Churchill nei giorni oscuri della Seconda Guerra Mondiale: “Li combatteremo sulle spiagge...”

Nella mia colonna del 2009 sul sito “Comunicazione del Rischio del Cambiamento Climatico: il Problema della Negazione Psicologica” sono entrato più nel dettaglio. Questa colonna discute a lungo due fonti chiave della negazione del cambiamento climatico: la dissonanza cognitiva e l'emozione intollerabile (la discussione della “negazione psicologica” del cambiamento climatico in questo articolo non ha niente a che vedere con la “negazione strategica” di persone che hanno interesse nel convincere gli altri che il riscaldamento globale non è reale o con la “negazione intellettuale” di persone che sono sinceramente scettiche circa le prove della maggioranza).
Questa colonna del 2009 comporta una definizione molto più ampia della negazione di quanto non usassi nel 2003. Ora non è solo la paura che può “spingerti alla negazione”. Possono fare altrettanto colpa, tristezza, rabbia ed altre emozioni. E può farlo anche la sensazione di disagio (dissonanza cognitiva) che emerge quando non riusciamo a dare un senso alle nostre azioni e stili di vita.

La colonna della “Comunicazione del Rischio del Cambiamento Climatico” elenca anche qualche sottotipo di ciò che ora chiamo “negazione di tipo uno”, diversa dal sostenere semplicemente che il rischio non è tale.

  • Isolamento dell'influenza – riconoscere il rischio senza sentirne il contraccolpo emotivo.
  • Intellettualizzazione – riconoscere il rischio ma trovando dei modi per negarne l'importanza o l'urgenza. 
  • Trasposizione – reagire scompostamente a qualche altro rischio per evitare di concentrarsi su questo.
  • Umorismo – trasformare il rischio in qualcosa di ridicolo per evitare di doverlo prendere a cuore.  

“Il cuore della negazione è la distrazione motivata”, dichiara la colonna. “Sposto la mia attenzione dall'informazione che minaccia di sconvolgere la mia visione del mondo o la mia stabilità emotiva”.

Negazione di tipo uno: la pura apatia

Il primo tipo di negazione è più che altro basato sull'inconscio. Le persone non si dicono l'una con l'altra, o anche a sé stesse, “sento troppa dissonanza cognitiva per pensare a questo” o “sono troppo affranto emotivamente” per pensare a questo. Molto più probabilmente vedono loro stessi come semplicemente apatici rispetto al rischio... o vedono che voi vi sbagliate sicuramente sul fatto che sia una cosa seria. Dovete diagnosticare la negazione per affrontarla efficacemente.

Negazione di tipo due: non ho bisogno di altre preoccupazioni

Ho scritto molto di recente sul tipo di negazione due nella mia risposta del 2 luglio sul Guestbook. In poche parole: le persone spesso ignorano un rischio per minimizzare la propria angoscia. Quando un'angoscia molto forte innesca un interruttore emotivo, questa è negazione di tipo uno. Ma anche se non sono particolarmente angosciato rispetto ad un problema, potrei preferire di evitare di diventare angosciato per questo. Non è come se sentissi un qualche tipo di privazione da stress. Ho già abbastanza stress nella mia vita. Quindi me ne frego dei tuoi avvertimenti. Questa è la negazione di tipo due.

Nella mia risposta del 2 luglio nel Guestbook, ho denominato la negazione di tipo due “apatia voluta”. Come la negazione di tipo uno, è un tipo di disattenzione motivata. Ma la motivazione è molto meno potente e molto più conscia di quanto lo sia nella negazione di tipo uno. Non è che non posso reggere il pensare al nuovo problema. Preferirei soltanto non doverlo fare. Una volta che mi hai angosciato abbastanza rispetto a questo da far crollare la mia resistenza, aggiungerò il nuovo problema alla mia agenda delle preoccupazioni... e cancellerò o diminuirò alcuni problemi più vecchi per fargli spazio.

Negazione di tipo tre: è futile pensarci

Questo è il tipo di negazione sul quale avete richiesto la mia attenzione. Normalmente va sotto l'etichetta di “impotenza acquisita”. Lo psicologo Martin Seligman e i suoi colleghi hanno sviluppato la “teoria dell'impotenza acquisita” negli anni 60 e 70 come spiegazione della depressione. In un esperimento chiave del 1967 di Seligman e Maier, i cani che sono stati scioccati quando non c'era via d'uscita hanno imparato a reggere gli shock in modo stoico senza cercare di scappare. In seguito, quando c'è stata una via d'uscita, essi tendevano a non trovarla. Avendo imparato che non c'era niente da fare per fermare la tortura, i cani sono diventati meno capaci di imparare nuove soluzioni disponibili. Come concetto di comunicazione del rischio, l'impotenza acquisita (negazione di tipo tre) è specifica al problema, piuttosto che globale. Imparare che non possiamo fare molto rispetto a un problema ci rende passivi, non inclini all'azione rispetto al problema stesso o persino di imparare altro su di esso. La negazione di tipo tre può essere conscia o inconscia. Alcuni – come voi – dicono che è inutile combatterla. Altri semplicemente si arrendono.

I confini fra la negazione di tipo tre e gli altri due tipi sono confusi. Se l'impotenza acquisita di qualcuno diventa così pervasiva da portare alla depressione, comincia a diventare come la negazione di tipo uno: non reggo il fatto di pensarci. La confusione funziona anche nell'altra direzione: le persone che non possono reggere il peso emotivo di affrontare un problema – come il cambiamento climatico – potrebbero difendersi da quel peso insistendo sul fatto che il problema è senza speranza. Come per il confine fra la negazione di tipo due e quella di tipo tre: se hai già troppi problemi nella tua agenda delle preoccupazioni, ha senso concentrarsi su quelli che sono più probabilmente risolvibili.

Cosa possiamo fare per combattere l'impotenza acquisita – la nostra o quella altri? Ho scritto a lungo di questo in un pezzo del 2012 del Guesbook intitolato “Perché le persone così politicamente inattive? Si tratta di negazione? Cosa si può fare?” In quella risposta ho cercato di distinguere la negazione (“No posso reggere quello che sento”) dalla disperazione/impotenza (“Credo che non serva a niente provarci”). Ora le chiamo rispettivamente negazione di tipo uno e di tipo tre.

La “risposta ovvia” all'impotenza acquisita, ho scritto allora, “è provare a rafforzare il senso di efficacia di chi vi ascolta. Ma penso che potrebbe essere – almeno in parte – la risposta sbagliata”, ho continuato:

Secondo la letteratura, il modo migliore per migliorare l'efficacia delle persone è quello di fare in modo che abbiano delle esperienze di padronanza; il successo porta sicurezza di sé. Ma ci sono altri modi, in particolare l'esempio (“ se lei può farlo posso farlo anch'io”) e il sostegno sociale (“se lui dice che posso farlo, forse posso farlo”). Non li metto in discussione – ma penso che sia probabilmente quasi irrilevante quando il basso livello di efficacia di qualcuno è per lo più una risposta razionale alla realtà... Al posto di fare il tifo per l'efficacia, la mia impressione è che aiuterà di più andare dall'altro lato dell'altalena della comunicazione del rischio:

  • “Questo sembra quasi inutile, non credi?”
  • “Al massimo possiamo aiutare un po' – e forse nemmeno quello!”
  • “Anche se vinciamo una battaglia o due, probabilmente non cambieremo il mondo”.

Il mito di Sisifo – il re greco condannato a spingere un masso su per una montagna per sempre – è potente proprio perché una tale fatica è proprio di Sisifo. Può essere una buona strategia di comunicazione del rischio per cercare di convincere le persone che ciò non è cosa... oppure, peggio, che dovrebbero sentirsi così che sia cosa o no. 
Eppure le cose cambiano...

Penso sia una buona strategia quella di riconoscere e persino proclamare che cambiamento e immutabilità siano entrambe caratteristiche della vita, che è difficile dire quale dei nostri sforzi possano fare una differenza (probabilmente piccola) e quali sforzi siano condannati dall'inizio. E soprattutto che è più divertente (“divertente” nel senso più serio) fare il meglio che potete di restare a guardare. 

Questa volta voglio aggiungere tre ulteriori osservazioni.

Primo, vale la pena di notare che i compiti da svolgere sembrano spesso di Sisifo quando invece non lo sono. Per fare un esempio fa i tanti: posso solo immaginare quanto scoraggiante potesse sembrare la battaglia per i diritti dei gay fino a soli pochi anni fa. I governi e le imprese fanno in modo di far sembrare i loro obbiettivi cruciali irraggiungibili. Spesso è saggio ignorare l'impressione di futilità e perseguire l'obbiettivo.

Secondo, gli organizzatori della comunità sono professionisti nel superare il falso senso di impotenza delle persone. A prescindere dalle vostre tendenze politiche, troverete molto valore in libri come Regole per Radicali di Saul Alinsky. Fra gli altri consigli, Alinsky scrive dell'enorme importanza delle prime vittorie, vittorie anche costruite, ottenute chiedendo aggressivamente qualcosa che stava comunque per accadere.

E terzo, a volte siamo davvero impotenti. A volte ha semplicemente senso arrendersi e risparmiare i nostri sforzi per un obbiettivo più raggiungibile.


La giustamente famosa “Preghiera della Serenità”, scritta del teologo Reinhold Niebuhr e resa famosa dagli Alcolisti Anonimi, chiede a Dio di “garantirmi la serenità di accettare le cose che non posso cambiare, il coraggio di cambiare le cose che posso cambiare e la saggezza di conoscerne la differenza”. Certamente non dichiaro di possedere la saggezza di conoscere la differenza.



martedì 10 settembre 2013

L'istruttiva storia della truffa dell'aereo annusatore



Non voglio fare nomi, ma non vi ricorda qualcosa di molto più recente.....?

 

Come fu che un estroso italiano tirò un pacco da 600 milioni di euro alla Francia

Pubblicato il 7 settembre 2013


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Un vulcanico “inventore” italiano illuse ELF e il governo francese per anni, facendo spendere una montagna di denaro per niente. Un’illusione ben piazzata per il titolo di bufala del secolo scorso.


Aldo Bonassoli era un autodidatta, un tecnico elettronico specializzato in effetti speciali, dotato di una spiccata fantasia e delle particolare propensione a mostrare invenzioni che non erano tali, ma solo simulazioni degli effetti attesi dalle presunte invenzioni. Già negli anni ’60 si fece notare con una dimostrazione nella quale disintegrò un oggetto, dichiarando che aveva realizzato il raggio della morte, che una leggenda attribuiva a Guglielmo Marconi, poi divenne realizzatore di effetti speciali e infine si dedicò a concepire un dissalatore.

Affermando di aver inventato un nuovo metodo per dissalare l’acqua, nel 1965 attirò l’attenzione del conte belga Alain de Villegas, un ecologista, anti-nuclearista e fermamente convinto dell’esistenza degli UFO, dicono le cronache. Quando il sistema si dimostrò del tutto inefficace, i due pensarono bene di cambiare approccio, dedicandosi a un’apparecchiatura che, se non era in grado di trasformare in acqua potabile quella di mare, sarebbe servita a trovare quella custodita sottoterra, uno strumento per “annusare” l’acqua sorvolando i territori da analizzare.

De Villegas faceva parte dell’Unione Pan-Europea, un gruppo anticomunista con sede in Belgio e attraverso i contratti del gruppo incontra Jean Violet ), un avvocato che lavorava per lo SDECE (lo spionaggio francese) e che era una vera e propria eminenza grigia della destra francese, la chiave che aprirà al duo, ora un terzetto (nell’immagine sotto), le casse della Republique. A Violet l’idea della ricerca dell’acqua piaceva, tanto che si attivò per cercare finanziamenti negli Stati Uniti, ma gli americani erano disposti a metterci i soldi solo di fronte a un prototipo funzionante, e non se ne fece niente. L’idea piacque invece all’industriale italiano Carlo Pesenti, amico di Violet, e venne formata una compagnia, la Fisalma, registrata a Panama. Violet riuscì attraverso l’amicizia con il ministro spagnolo del turismo, ad ottenere alcuni siti per effettuare i test.

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I test dimostrarono solo che il sistema non funzionava, ma de Villegas a quel punto annunciò che la macchina avrebbe potuto anche trovare il petrolio. Pesenti si fece tentare e investì ancora. Usando i soliti contatti ottennero una licenza d’esplorazione in Zululand, dove si recarono Bonassoli e gli ingegneri di Pesenti e dove si arrivò a trivellare un sito identificato come buono. Un buco profondo sei chilometri che non trovò altro che roccia basaltica e che indusse Pesenti a ritirarsi dall’avventura. Poteva essere la parola fine, ma i contatti del conte e dell’avvocato ancora una volta li introdussero a potenziali finanziatori, i dirigenti di ELF, compagnia petrolifera francese che operava di sponda con il governo di Parigi nel perseguimento degli interessi strategici del paese e che è sempre stata la vacca grassa che ha pagato i conti dei servizi francesi e anche di molti politici e faccendieri.

A loro Bonazzoli spiega per sommi capi il funzionamento della sua apparecchiatura a “onde gravitazionali” dicendosi disposto a una dimostrazione, senza scienziati presenti, dato il pericolo che un’idea del genere potesse essere rubata, un trucco ricorrente in truffe del genere. I dirigenti di ELF vollero crederci e puntare su quella che sembrava una grande speranza per un’azienda che dopo la crisi petrolifera aveva poche prospettive d’espandere le attività estrattive e per di più aveva appena perso i giacimenti in Algeria e Iraq e il gas in Iran. La possibilità di diventare un mero distributore era reale e probabilmente la dirigenza era disposta a correre più di qualche rischio. La dimostrazione andò a buon fine, l’apparecchiatura sorvolò a bordo di un’aereo dei pozzi conosciuti e li descrisse come dovevano essere, i dirigenti furono pienamente convinti.

Nel maggio del 1976 ELF firma un contratto-capestro per 2 anni d’esclusiva e la prelazione per un secondo allo scadere del primo. Milioni franchi affluiscono nelle casse di Fislama, ora controllata al 100% da De Villagas, che comincia a investire pesantemente. Allestisce laboratori, compra una piccola flotta aerea e assume qualche decina di tecnici e dipendenti.  Nel 1978 parte il secondo contratto e Bonassoli deve cominciare a rivelare i suoi segreti, tuttavia saltando da un contrattempo all’altro riesce a resistere qualche mese. A complicare le cose ci si mette un incidente particolare, durante uno dei test l’aereo registra la presenza di uranio nella Manica. Si scopre che si tratta di quello che muove un sottomarino atomico e tutto il progetto viene subito coperto dal segreto militare. I sottomarini a propulsione nucleare hanno il loro vantaggio maggiore nel non poter essere individuati, se la macchina di Bonassoli li scova cambia tutto.

L’inganno alla fine è scoperto dagli uomini di ELF, che tuttavia temono di esporsi presso i vertici dell’azienda e presso i padrini politici dell’impresa, anche al presidente Giscard D’Estaing è stata offerta una dimostrazione, non delle più convincenti e più di un ministro ha controfirmato le ingenti spese, che alla fine della festa saranno contabilizzate in 600 milioni di euro. Mettersi contro l’apparato che procede con enorme inerzia e fiducia è rischioso. La disgrazia per Bonassoli comincia con il cambio della guardia ai vertici di ELF e con l’arrivo di Albin Chalandon alla guida dell’azienda. Messo al corrente del progetto sembra sposarlo, ma poi la mancanza di risultati lo convince a volerci vedere chiaro, attività che non contraddice gli ordini di d’Estaing, che gli aveva parlato del progetto segreto e dato disposizione di continuare a finanziarlo.

Fu così che ELF viene ufficialmente a conoscenza della verità, la prova si ha quando inviò il noto fisico Jules Jorowitz a indagare e questi smaschera Bonazzoli, con un trucco. Visto che il dialogo con l’autodidatta italiano si trascinava nel nulla, Jorowitz accettò di buon grado d’assistere a una delle “dimostrazioni” in cui si era specializzato Bonazzoli, il quale lo invitò a porre un righello dentro una busta opaca e infine produsse con la sua macchina un’immagine che secondo lui rappresentava il righello “visto” attraverso la busta. Ma Jorowitz prima d’infilarlo nella busta lo aveva spezzato in due e posto nella busta in due pezzi e invece nell’immagine di Bonassoli appariva era perfettamente integro. Bonassoli imperturbabile andò avanti dicendo che si trattava di un errore determinato dal fatto che alla macchina mancava un pezzo, ma la frode era ormai scoperta

Bonassoli per anni non ha fatto altro che disegnare a mano le mappe dei giacimenti ricalcando quelli esistenti e usando poi i disegni per nutrire i suoi due dispositivi, uno che le trametteva su uno schermo e un altro che in pratica li fotocopiava, non c’erano sensori che cercavano di leggere il terreno e quelli che ci avevano messo non avevano alcuna influenza sul comportamento della macchina. Il lavoro non fu sospeso subito, un mese dopo un’altra dimostrazione si tramutò nella messa a nudo del meccanismo della truffa, quella macchina che produceva le mappe dei giacimenti e che sembrava una fotocopiatrice, era davvero una fotocopiatrice E visto che riproduceva solo gli input di Bassoli, è abbastanza chiaro che anche la storia del sottomarino nucleare nasce dalla conoscenza da parte di Bonassoli della sua presenza. Forse una gentilezza degli amici degli amici, interessati ad aumentare il livello di segretezza attorno al progetto.

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Scoperto l’inganno, tutto fu messo a tacere a grande velocità, Bonassoli ritornò senza problemi in Italia, de Villegas restituì le cifre non ancora spese e acconsentì alla liquidazione della Fisalma. Venne venduta la flotta aerea, gli immobili, e alla fine della rapida e informale liquidazione rimase un buco di 600 milioni di euro in valuta attualizzata, tanto era costato il giochino all’erario francese, che in cambio aveva ottenuto il nulla. De Villegas ci rimase veramente male, oltre che rovinato, se ne persero le tracce in direzione di un convento sudamericano dove si sarebbe ritirato a vivere gli ultimi anni di vita, questo almeno è quello che ricorda di lui Chalandon in un’intervista a distanza di anni.

La storia però non era destinata a morire, Giscard d’Estaing era riuscito a schivare lo scandalo e anche l’attenzione delle Corte dei Conti, che aveva notato il flusso improvviso di centinaia di milioni da alcuni conti della ELF che fino ad allora avevano registrato movimenti infinitamente più modesti. La Corte dei Conti si accontentò di una lettera del governo che invocava il segreto di stato, ma rimase traccia del procedimento e nel 1983 il nuovo viceministro del Tesoro accusò l’ex ministor Beck di aver distrutto il rapporto della Corte dei Conti. Giscard d’Estaing apparve allora in televisione, molto indignato, dicendo che nessun documento era andato cancellato e, mostrando una copia del rapporto, accusò l’opposizione di rimestare nel torbido con accuse risibili.

Fu una vittoria di Pirro, il 2 gennaio del 1984 il nuovo primo ministro Pierre Mauroy lo mostrerà in pubblico dandone diffusione e accusando l’ex presidente di aver cercato di coprire l’imbarazzantissima storia, che ovviamente agiterà le acque francesi a lungo, ancora di più quando al sospetto che si trattasse di uno schema per finanziare occultemente la destra, si sostituì definitivamente la consapevolezza della truffa subita, non ci volevano credere. Bonassoli l’ha scampata, ma non è diventato ricco, è tornato a vivere in Italia modestamente, con una pensione di qualche centinaio di euro al mese e a chi lo va a intervistare continua a dire che la sua macchina funziona e che lui lascerà i progetti in eredità al mondo, nel frattempo li affina come può e li raccoglie in grosso quaderno, ma non li spiega a nessuno perché altrimenti glielo rubano.

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L’immagine che rimane è quella dell’impresa di un mitomane, un uomo che impegava tutte le sue capacità e conoscenze tecniche per creare l’illusione dei risultati attesi, un simulatore mai pentito che si è tirato dietro il belga genuinamente convinto della sia genialità e a ruota un circo di personaggi che ha voluto crederci  e puntare capitali (pubblici) ingenti su una scommessa che non aveva basi verificabili, in fondo c’era caduto anche Pesenti, che giocava con i suoi. È potuto accadere perché gli sprovveduti finanziatori di Bassoli avevano disperatamente bisogno di credere di avere in mano qualcosa che potesse cambiare come d’incanto un quadro d’insieme che tendeva al pessimo. Per il presidente francese fu probabilmente solo una questione di fidarsi dei dirigenti della grande azienda pubblica e dell’entusiasmo che a un certo punto trasudava a diversi livelli per l’apparecchio fatato.

Decisamente più severo invece dev’essere il giudizio per i tecnocrati di ELF, che hanno agito da sprovveduti e per anni si sono fatti abbindolare da Bonassoli, quando un minimo di cautela avrebbe potuto fermare il conto dell’avventura a cifre ben più modeste, se non a zero. Non hanno rilevato i precedenti specifici di Bonassoli, non hanno rilevato i flop, non ha rilevato neppure il fatto per anni il dispositivo, spacciato per funzionante fin da subito, non sia mai riuscito a dare riscontri inequivocabili, nonostante la flotta della Fisalma abbia percorso migliaia di chilometri. Ma non è passata su un nuovo giacimento neppure per sbaglio e i buchi per terra inutili come quello di Pesenti nello Zululand si sono susseguiti inesorabili, mentre Bonassoli continuava imperterrito a recitare la sua parte di scienziato scorbutico, custode di un segreto rivoluzionario. La parte che già aveva scelto di recitare per tutta la vita e che ai francesi è costata una cifra stellare, una raffica di scandali e una figuraccia terrificante, destinata a rimanere negli annali della storia della Republique. 



lunedì 9 settembre 2013

Scienza del clima: i costi enormi dei cambiamenti dell'Artico

Di Gail Whiteman, Chris Hope e Peter Wadhams

Da “Nature” del 24 luglio 2013. Traduzione di MR 


Il metano rilasciato dalla fusione del permafrost avrà impatti globali che devono essere modellizzati meglio, dicono Gail Whiteman, Chris Hope ePeter Wadhams (pdf originale).


ALEXANDER/ARCTICPHOTO
Tubi che trasportano petrolio dai pozzi di Endicott Island in Alaska.

A differenza della perdita di ghiaccio marino, della vulnerabilità degli orsi polari e dell'aumento della popolazione umana, gli impatti economici di un riscaldamento dell'Artico sono stati ignorati. Gran parte delle discussioni economiche finora ritengono che l'apertura della regione sarà benefica. L'Artico viene pensato come il luogo dove si trovano il 30% del gas e il 13% del petrolio non ancora scoperti e dove le nuove rotte di navigazione aumenterebbero il commercio [1, 2]. Il mercato assicurativo dei Lloyd's di Londra stima che gli investimenti nell'Artico potrebbero raggiungere i 100 milioni di dollari entro dieci anno [3].

Il costo eccessivo del danno ambientale proveniente dallo sviluppo viene riconosciuto da alcuni, come i Lloyd's [3] e il gigante petrolifero francese Total, e i pericoli di perdite di petrolio nell'Artico sono tema di studio da parte di un gruppo di investigazione del Consiglio Nazionale della Ricerca degli Stati Uniti. Ciò che manca nell'equazione è una prospettiva planetaria sul cambiamento dell'Artico. La modellizzazione economica degli impatti risultanti sul clima mondiale, in particolare, è stata scarsa. Abbiamo calcolato che i costi di una fusione dell'Artico saranno enormi, perché la regione è centrale per il funzionamento dei sistemi terrestri come gli oceani e il clima. Il rilascio di metano dal permafrost che si scongela sotto al Mare Siberiano Orientale, a nord della Russia, ci costa da solo un prezzo medio globale di 60 trilioni di dollari, in assenza di un'azione di mitigazione – una cifra comparabile alla dimensione dell'economia mondiale del 2012 (di circa 70 trilioni di dollari). Il costo totale del cambiamento dell'Artico sarà molto più alto. 

JOSH HANER/THE NEW YORK TIMES/REDUX/EYEVINE
Bolle di metano emergono da sedimenti al di sotto di un lago gelato in Alaska. 

Gran parte del costo sarà sostenuto dai paesi in via di sviluppo, che dovranno far fronte ad eventi atmosferici estremi, peggior salute e minore produzione agricola, quando il riscaldamento dell'Artico condiziona il clima. Tutte le nazioni saranno colpite, non solo quelle nel profondo nord, e tutte dovrebbero preoccuparsi dei cambiamenti che avvengono in questa regione. Servono più modelli per capire quali regioni e quali parti dell'economia mondiale saranno più vulnerabili.

Bomba economica ad orologeria

Mentre la quantità di ghiaccio artico declina ad un rimo senza precedenti [4, 5], lo scongelamento del permafrost in mare aperto rilascia metano. Sotto la Piattaforma Artica della Siberia Orientale c'è una riserva di circa 50 gigatonnellate (Gt), immagazzinata sotto forma di idrati di metano. Quando il fondo del mare si scalda, è probabile che venga rilasciata, in modo continuativo nel corso di 50 anni oppure improvvisamente [6]. Concentrazioni di metano più alte nell'atmosfera accelereranno il riscaldamento globale e solleciteranno cambiamenti localizzati nell'Artico, accelerando il ritiro del ghiaccio marino, riducendo la riflessione dell'energia solare ed accelerando la fusione della calotta glaciale della Groenlandia. Le ripercussioni saranno percepite ben lontano dai poli.

Per quantificare gli effetti del rilascio di metano artico sull'economia globale, abbiamo usato PAGE09. Questo modello integrato di valutazione calcola gli impatti del cambiamento climatico e i costi delle misure di mitigazione ed adattamento. Una versione precedente del PAGE era stata usata nella Stern Review del governo del Regno Unito del 2006 sull'Economia del Cambiamento Climatico per valutare l'effetto delle emissioni di gas serra supplementari sul livello del mare, sulla temperatura, sul rischio di alluvioni, sulla salute e sugli eventi atmosferici estremi tenendo conto dell'incertezza [7]. Il modello valuta in che modo il valore netto attuale degli effetti climatici vari per ogni tonnellata di biossido di carbonio emesso o risparmiato.

Abbiamo eseguito il modello PAGE09 10.000 volte per calcolare intervalli di sicurezza e per valutare la gamma di rischi provenienti dal cambiamento climatico fino all'anno 2200, tenendo conto dei cambiamenti del livello del mare, dei settori economici e non economici e delle discontinuità come la fusione della Groenlandia e della calotta glaciale dell'Antartico Occidentale (guardate le Informazioni Supplementari). Abbiamo sovrapposto un impulso di un decennio di 50 Gt di metano, rilasciato in atmosfera fra il 2015 e il 2025, su due scenari standard di emissione. Il primo è stato uno scenario “business as usual”: emissioni di CO2 e di altri gas serra in aumento senza un'azione di mitigazione (lo scenario usato dal Rapporto Speciale del IPCC sugli Scenari di Emissione A1B). Il secondo scenario è stato un caso di “basse emissioni”, in cui c'è un 50% di possibilità di mantenere l'aumento delle temperature medie globali al di sotto dei 2°C (lo scenario basso 2016r5 proveniente dal Met Office). Abbiamo anche esaminato l'impatto di impulsi di metano successivi, di maggior durata o più piccoli.


In tutti questi casi c'è un cartellino del prezzo globale esorbitante attaccato ai cambiamenti fisici nell'Artico, malgrado i guadagni economici a breve termine per le nazioni Artiche e per alcune industrie.

L'impulso di metano anticiperà di 15-35 anni la data media per la quale l'aumento della temperatura media globale eccede i 2°C al di sopra dei livelli preindustriali – al 2035 nello scenario business as usual e al 2040 nel caso basse emissioni (leggi “metano Artico”). Ciò porterà ad altri 60 trilioni (al valore netto attuale) di impatti del cambiamento climatico per lo scenario senza mitigazione, o al 15% costi totali medi previsti per gli impatti del cambiamento climatico (circa 400 trilioni). Nello scenario a basse emissioni, il valore medio netto attuale degli impatti del cambiamento climatico è di 82 trilioni di dollari senza il rilascio di metano; con l'impulso, altri 37 trilioni di dollari, o il 45%, viene aggiunto (vedete Informazioni Supplementari).

Questi costi rimangono gli stessi a prescindere dal fatto che le emissioni di metano vengano ritardate di 20 anni, colpendo nel 2035 piuttosto che nel 2015, oppure spalmato su due o tre decenni, piuttosto che su uno. Un impulso di 25 Gt di metano ha metà dell'impatto di un impulso di 50 Gt.

Le conseguenze economiche saranno distribuite in tutto il globo, ma i modelli mostrano che circa l'80% di esse avverranno nelle economie più povere di Africa, Asia e Sud America. Il metano in più amplifica le inondazioni nelle aree basse, gli stress di caldo estremo, le siccità e le tempeste.

Problema globale

Gli impatti completi dell'Artico che si scalda, compresi, per esempio, l'acidificazione degli oceani e l'alterazione della circolazione oceanica e atmosferica, saranno molto più grandi del costo da noi stimato per il solo rilascio di metano.

Per trovare il costo reale, sono necessari modelli migliori per includere le retroazioni che non sono state incluse su PAGE09, come collegare l'estensione del ghiaccio artico all'aumento della temperatura media dell'Artico, l'aumento del livello globale del mare e l'acidificazione degli oceani, così come includere le stime dei costi economici e dei benefici della navigazione. Lo sviluppo di gas e petrolio nell'Artico dovrebbe anche, per esempio, tenere conto degli impatti del carbonio nero, che assorbe la radiazione solare ed accelera la fusione del ghiaccio, proveniente della navigazione e dalla combustione in torcia del gas.

Dividere le cifre globali dell'impatto economico in paesi e settori industriali potrebbe aumentare la consapevolezza dei rischi specifici, compreso l'allagamento di piccole isole stato o di città costiere come New York da parte dell'aumento dei mari. Le economie di media latitudine come quelle di Europa e Stati Uniti potrebbero essere minacciate, per esempio, da un collegamento proposto fra il ritiro del ghiaccio marino e la forza e la posizione della corrente a getto (jet stream) [8], che porta inverni estremi e tempo primaverile. Si pensa che l'inusuale posizionamento del jet stream sull'Atlantico abbia causato il periodo di freddo protratto di quest'anno in Europa.  Tali analisi integrate del cambiamento dell'Artico devono entrare nella discussione globale sull'economia. Ma né i Forum Economico Mondiale (FEM) nel suo Rapporto sul Rischio Globale né il Fondo Monetario Internazionale (FMI) nella sua Prospettiva Economica Mondiale [9] riconoscono la potenziale minaccia economica proveniente dai cambiamenti nell'Artico.

Nel 2012, notando che il profondo nord sta aumentando la propria importanza strategica  e citando il bisogno di dialogo informale fra i leader mondiali, il FEM ha lanciato il suo Consiglio per il Programma Globale sull'Artico. Ciò è benvenuto, ma serve più azione. Il FEM dovrebbe dare il via a investimenti nella modellizzazione economica rigorosa. Deve chiedere ai leader del mondo di considerare la bomba economica ad orologeria che c'è al di là dei guadagni a breve termine provenienti dalla navigazione e dall'estrazione.

Il FEM dovrebbe anche incoraggiare i piani di adattamento e mitigazione innovativi. Sarà difficile – forse impossibile – evitare grandi rilasci di metano nel Mare della Siberia Orientale senza grandi riduzioni delle emissioni globali di CO2. Dato che il metano proviene dal riscaldamento del letto del mare, ridurre i depositi dei carbonio nero sulla neve e sul ghiaccio potrebbe farci guadagnare del tempo prezioso [10]. Ma fattori sconosciuti potrebbero anche significare che le nostre stime di impatto siano prudenti. Il metano che emerge in un'esplosione improvvisa potrebbe permanere più a lungo nell'atmosfera e innescare cambiamenti di temperatura più rapidi che se il gas fosse rilasciato gradualmente.

La scienza dell'Artico è un bene strategico per le economie umane, perché la regione conduce effetti cruciali sui nostri sistemi biofisici, politici ed economici. Senza riconoscere questo, i leader e gli economisti mondiali non vedranno il quadro generale.

Riferimenti

1. Gautier, D. L. et al. Science 324, 1175–1179 (2009).
2. Smith, L. C. & Stephenson, S. R. Proc. Natl Acad. Sci. USA 110, E1191–E1195 (2013).
3. Emmerson, C. & Lahn, G. Apertura dell'Artico: Opportunità e Rischio nel Profondo Nord (Chatham House–Lloyd's, 2012); disponibile su http://go.nature.com/ruby4b.
4. Wadhams, P. AMBIO 41, 23–33 (2012).
5. Maslowski, W., Kinney, J. C., Higgins, M. & Roberts, A. Annu. Rev. Earth Planet. Sci. 40,625–654 (2012)
6. Shakhova, N. E, Alekseev, V. A, & Semiletov, I. P. Doklady Earth Sci. 430, 190–193 (2010).
7. Hope, C. Clim. Change 117, 531–543 (2013)
8. Francis, J. A. & Vavrus, S. J. Geophys. Res. Lett. 39, L06801 (2012).
9. Fondo Monetario Internazionale. Prospettiva Economica Mondiale (FMI 2013)
10. Shindell, D. et al. Science 335, 183–189 (2012).

sabato 7 settembre 2013

La vera ragione della guerra in Siria



Immagine da NOAA. Sull'effetto del cambiamento climatico e la guerra in Siria, vedi anche il blog di Simon Donner, e il blog della rana.


Mi sfuggono le ragioni che fanno si che Dio debba essere tanto interessato a quello che mangiamo o che non mangiamo. Tuttavia, riconosco anche che il Papa ne sa più di me di teologia. Quindi, questo Sabato ho deciso di digiunare per la pace in Siria. In ogni caso, non c'è niente altro che posso fare.

martedì 3 settembre 2013

Rimanere delusi dalla scienza

Da “Mythodrome”. Traduzione di MR

di Paula

 

Persona Comune: Ogni notte, il mio cane sa quando mia moglie torna a casa dal lavoro 10 minuti prima che lei arrivi, non importa quale turno faccia. Forse il mio cane è sensitivo! Non sarebbe figo?
Scienziato: Non possono esistere cose come i cani sensitivi, perché l'universo è una macchina. O è una coincidenza o stai mentendo.
PC: Non sto mentendo e non è una coincidenza. Lo vedo tutti i giorni!
S: La tua esperienza soggettiva non ha valore, perché non può essere misurata.
PC: Ah, va bene, allora fottiti.

Persona Comune: Ho preso questa medicina a base di erbe e mi ha fatto sentire meglio.
Scienziato: Il tuo corpo è una macchina chimica che richiede sostanze chimiche specifiche in quantità specifiche. Gli studi provano che le medicine alle erbe non contengono le sostanze chimiche necessarie a far star meglio il tuo corpo. E' stato l'effetto placebo e quindi non conta nulla.
PC: Be', a prescindere da cosa lo ha fatto accadere, la medicina a base di erbe mi ha fatto sentire meglio. Come fa a non contare questo?
S: “Effetto Placebo” significa che la tua esperienza soggettiva non vale nulla perché non può essere misurata in unità chimiche.
PC: Ah, va bene, allora fottiti.

Scienziato: Il riscaldamento globale è un problema serio che dobbiamo affrontare immediatamente.
Persona Comune: Non vedo nessun riscaldamento globale, di fatto quest'estate è stata molto mite.
S: Le nevi del Kilimanjaro sono sparite. Il Polo Nord è un lago. Puoi vederlo coi tuoi stessi occhi!
PC: Perché mai quello che vedo coi miei occhi dovrebbe contare ora quando non conta negli altri casi? Hai detto che la mia esperienza soggettiva non ha valore, quindi fottiti.

***

Sin da quando ero una bambina ho amato la scienza. Amo i microscopi, i telescopi, gli stetoscopi, gli oscilloscopi ed ogni tipo di “scopi” esistenti. Non sono mai stata capace di capire perché gli altri non siano affascinati dal mondo naturale come lo sono io. Non sono stata in grado di capire perché praticamente tutti gli Stati Uniti si siano messi insieme contro la scienza e gli scienziati non solo riguardo al riscaldamento globale, ma anche in rapporto a quasi tutto ciò che la scienza fa. Pensavo che fosse perché la scienza non ha fatto proprio un buon lavoro di comunicazione col grande pubblico. E questo è vero, tecnicamente. In realtà, la scienza è molto diretta nell'insultare coloro che non si accodano ad una visione dell'universo meccanicistica. Negli ultimi anni, gli autodefiniti scienziati militanti atei come Richard Dawkins hanno inasprito il problema lavorando deliberatamente chiunque non condividesse la sua (decisamente infondata) fede nell'universo meccanicistico (cioè, nel “materialismo”).

Su Facebook ho seguito per un po' di tempo una pagina chiamata “Amo fottutamente la scienza”. All'inizio era straordinaria, con immagini dello spazio profondo, informazioni sulla scoperta di nuove specie , grafici e tabelle di quello-che-vuoi, tutte le cose che amo di più della scienza. Poi sono cominciati ad arrivare i fumetti di zoticoni coi denti da coniglio che credono che la nonna abbia mandato un messaggio dall'oltretomba, le barzellette sulla medicina ayurvedica e lo yoga, intere discussioni di gente che rideva dei pazienti malati di cancro che cercavano trattamenti alternativi alla chemioterapia. Quando una persona ha fatto notare che la scienza ha i suoi limiti e non conosce tutto, il gruppo lo ha trovato esilarante. Quando ho provato a far notare che ciò di fatto è vero e che se la scienza sapesse tutto si fermerebbe, sono stata accusata di credere ai santoni.

Stupisce che la gente rifiuti la scienza?Questa non è scienza, è l'adesione dogmatica ad una filosofia non condivisa dalla stragrande maggioranza della gente nel mondo. E' una presupposizione sulla natura dell'universo non sostenuta da una valutazione intellettuale onesta dei dati disponibili.

Sono stata a lungo convinta che il problema dell'America con la scienza fossero quegli americani idioti che rifiutano di essere qualsiasi cosa che non sia stupido. Non credo sia più così. Il problema dell'America con la scienza deriva dalla scienza stessa. Gli scienziati sono stati impegnati nella missione di provare che tutti nel mondo sono idioti tranne loro. Sono indottrinati a non ammettere mai che la scienza non ha la capacità di misurare alcune cose, probabilmente la maggior parte delle cose, e tutto quello che non può misurare viene trattato come inesistente, anche se dei dati schiaccianti indicano l'esistenza di cose non misurabili e le persone che non accettano la finzione secondo la quale le cose non misurabili non esistano vengono trattate come subumani ottusi.

La scienza è più interessata a confermare i propri pregiudizi che a scoprire qualcosa sull'universo. E' diventato estremamente difficile per me accettare qualsiasi cosa che la scienza abbia da dire oltre a riportare misure che io stessa potrei effettuare se avessi il tempo e le risorse per farlo. L'establishment scientifico semplicemente non è intellettualmente onesto.



lunedì 2 settembre 2013

Picco del petrolio di scisto?

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR

Un grafico fornito da Jean Laherrere che indica che la produzione di petrolio di scisto in Nord Dakota potrebbe presto raggiungere il picco e cominciare a declinare.


Questo grafico, elaborato da Jean Laherrere, ha a che fare con la produzione di petrolio dello “Scisto di Bakken”, una formazione geologica presente sotto gran parte del Nord Dakota. Gli scisti possono contenere depositi di petrolio, nella maggior parte dei casi sotto forma di “tight oil” (petrolio di roccia compatta). Questo è petrolio intrappolato in una matrice porosa che non può scorrere verso la superficie senza l'aiuto di sofisticate tecnologie di fracking (potete trovare una bella illustrazione del processo qui). Il recente ritorno della produzione di petrolio negli Stati Uniti, che ha dato adito a così tanto ottimismo sul futuro della produzione di petrolio, è quasi soltanto collegato all'uso di questa tecnologie di estrazione dello Scisto di Bakken.

Il problema è, naturalmente, quanto a lungo sarà possibile mantenere la tendenza alla crescita rapida della produzione dai depositi di Bakken. Nel grafico, Laherrere mostra la produzione di petrolio in Nord Dakota (produzione del ND) in migliaia di barili al giorno (kb/g) come il numero di impianti di esplorazione (impianti nb). Laehrrere ha anche spostato la curva degli impianti in avanti di circa un anno, in modo da adattarla alla curva di produzione).

Ora, è chiaro che non possiamo produrre nulla che non abbiamo prima trovato. Così, è risaputo che la produzione di una certa area rispecchia l'esplorazione, ma viene spostata avanti nel tempo. Col petrolio convenzionale il ritardo temporale fra le scoperte a la produzione è nell'ordine dei 30-40 anni. Con il petrolio dagli scisti, sembra essere molto più rapido: i pozzi vengono messi in produzione rapidamente ma hanno anche una vita breve.

Nel grafico, Laherrere scopre un ritardo temporale di soltanto un anno circa. E, siccome vediamo una caduta del numero di impianti di esplorazione nel 2012, sembra probabile che la produzione comincerà a declinare presto, forse durante questo stesso anno.

Questa è una conclusione che va presa con cautela visto che la caduta del numero di impianti di esplorazione potrebbe essere solo un fenomeno temporaneo. Ma è anche vero che l'estrazione del petrolio di scisto è costosa in termini di risorse ed energia necessarie. Alla fine, come sempre, è una questione di EROEI: possiamo avere solo il petrolio che ci possiamo permettere di estrarre.

Su questo tema, vedete anche il post di Stuart Staniford sulla produzione dello Shale di Bakken che giunge a conclusioni simili a quelle di Laherrere. Vedete anche questo mio post che esamina la produzione di gas di scisto usando lo stesso metodo. Vedete anche l'articolo completo di Jean Laherrere sulle recenti tendenze della produzione di petrolio.


domenica 1 settembre 2013

L'apocalisse di Antonio Turiel

Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR


di Antonio Turiel

Cari lettori,

è già da tempo che al cinema, nei racconti, nelle serie televisive nei fumetti e nei videogiochi – insomma, nei mezzi che attualmente costituiscono l'espressione della cultura popolare – si possono trovare racconti di un futuro più o meno apocalittico. Nel mondo dei videogiochi c'è un termine specifico per i titoli di questo argomento: survival horror, o orrore del sopravvissuto. La cosa più comune è che la disgrazia mondiale sopraggiunga sotto forma di zombi dell'apocalisse (un'infezione trasforma la maggior parte della popolazione in mostruosi antropofagi e i sopravvissuti lottano contro di loro) oppure una catastrofe di portata mondiale (meteoriti, vulcani, esplosioni radioattive ed ogni tipo di fenomeno, a volte compresa una – tipicamente repentina, il che la rende poco realista – scarsità mondiale di petrolio). In tutti i casi la catastrofe presuppone la fine della nostra civiltà e l'inizio di una nuova epoca di scarsità, necessità e grandi pericoli.

Questo tipo di fantasia ha una lunga tradizione nel mondo occidentale. Non per caso una catastrofe che può mettere in ginocchio la civiltà di solito viene chiamata Apocalisse, in riferimento all'ultimo libro del Nuovo Testamento. Le rivelazioni che l'Apostolo San Giovanni e i suoi accoliti lasciarono riflesse in quel libro si riferivano alla desiderata caduta di Roma (la bestia dalle sette teste emersa dal mare, per far cadere la quale, sicuramente, ci vollero diversi secoli) ma sono serviti per secoli come base di tante profezie millenarie. Se si guarda la storia dell'Europa si può vedere che con una certa frequenza i paesi hanno attraversato dure crisi di identità, di messa in discussione profonda del proprio modello di civiltà e proprio in quei momenti l'idea di vivere in una civiltà decadente che sarà purificata dalle fiamme dell'Apocalisse è diventata ricorrente.

L'attrattiva principale della narrativa apocalittica è che offre una via d'uscita ad una civiltà che è giunta ad un punto morto, ad un'impossibilità di continuare per la stessa strada da cui veniva. Siamo tutti in grado di vedere cose che non funzionano intorno a noi, in ciò che percepiamo come “società”, nel nostro paese, nel nostro stato. Solo quando si accumulano troppe cose negative comincia a sembrare desiderabile distruggere tutto e iniziare da zero, cercando di non tornare a commettere gli stessi errori del passato, eliminando tutto ciò che è stato fatto male. Il che, con un certo cinismo, implica anche eliminare milioni di persone che già sono, nella nostra percezione, “male educate”. Per qualche curioso motivo, quelli che credono, fino a desiderarlo, nell'arrivo dell'Apocalisse pensano, che loro saranno fra quelli che sopravviveranno, nonostante ci si aspetti che la carneficina sia estrema ed estesa.

Tuttavia, la narrativa apocalittica si adatta poco alla realtà delle transizioni, comprese quelle dei collassi delle civiltà. Generalmente il collasso di una civiltà impiega molti decenni, anche vari secoli, e la riduzione è abbastanza graduale per la percezione umana, anche se storicamente rappresenta solo alcune generazioni. Proprio perché ogni generazione è una vita completa ed i nuovi venuti danno per scontato che ciò che i grandi chiamano “il nuovo ordine delle cose” sia la normalità. Abbiamo già commentato che la psiche umana ha la tendenza a modellare la propria memoria in forma di stati (visione statica) e non di processi (visione dinamica), così che normalmente vediamo lo stato A e poi lo stato B senza comprendere che c'è stata tutta una successione continua che ci ha portato, ed era prevedibile che ci portasse, da A a B. Quindi, salvo in casi di declino improvviso di alcune risorse fondamentali (cosa che potrebbe accadere durante il tramonto del petrolio già in corso, ma che non è prevedibile che accada nella generalità dei casi), non è l'Apocalisse ciò che potrebbe aspettarci nel futuro, ma uno scenario di degrado continuo del tipo de La Grande Esclusione. Colui che richiama l'Apocalisse sta dicendo che preferisce uno scenario di sangue e fuoco dove potrebbe lottare per una vita più austera ma libera, forse perché intuisce che la cosa più probabile è che senza grandi clamori possa semplicemente diventare uno schiavo.

A margine delle persone che aspettano e desiderano l'Apocalisse come momento personale di redenzione, in generale la società, e in particolare le persone con una migliore posizione sociale in essa, rifiutano in toto una tale narrativa e persino l'uso dell'aggettivo “apocalittico” è considerato dispregiativo, usato per disprezzare chi è ritenuto fuori di senno per il fatto di affermare o credere che una tale cosa possa accadere. La cosa a volte giunge al limite del fanatismo quando qualcuno segnala una difficoltà o un problema e viene tacciato di essere un veggente o un “apocalittico”. Questa è, di fatto, la situazione in cui tante persone che tentano di promuovere la presa di coscienza riguardo alla crisi energetica si sono trovate in miriadi di occasioni. Io stesso mi sono trovato a confronto con gente che, dopo aver proposto la propria soluzione tecnologica al “problema” e dopo aver sentito le mie obbiezioni ad essa, invece di capire che la chiave sta nel ripensare il problema, continua a cercare una crescita infinita in un pianeta finito e mi dice sprezzante: “Lei ha una visione apocalittica”. Senza arrivare a questo, in una discussione non così radicale, molta gente ride – e forse tu, caro lettore, lo farai – quando le dico che io non sono un pessimista.

Che io non sia un pessimista dovrebbe risultare evidente semplicemente vedendo che impiego una quantità significativa del mio tempo libero a fare divulgazione sul problema della crisi energetica (credo sia necessario qui un riconoscimento ed una celebrazione del lavoro di Antonio, di Ugo e di altri –  forse anche del mio e quello di alcuni di voi lettori... ndt.). Se io pensassi che non c'è niente da fare, che senso avrebbe dedicare tanto tempo ad una causa persa? E' proprio perché credo che si possa e si debba fare qualcosa che spiego queste cose. Ovviamente non ho tutte le soluzioni per tutti i problemi; cerco solo di creare consapevolezza, visto che non potremo mettere la conoscenza e la capacità di questa società nella giusta direzione per costruirci un futuro se prima non siamo coscienti del problema che abbiamo. E nonostante gli anni che abbiamo perso già nel tentativo di cambiare una rotta di collisione, continueremo a provarci sempre, perché noi, coloro che si dedicano a questo, crediamo che le cose si possano ancora cambiare in meglio.

Chi è in realtà il vero pessimista? Colui che crede che non si possa cambiare nulla. Il suo comportamento è simile a quello dell'autista del nostro autobus che segue prosegue per la sua strada e all'improvviso vede che il ponte per il quale doveva passare è crollato, ma nonostante questo persiste nel proseguire per la stessa strada. Noi gli diciamo che può svoltare, che può girare a sinistra o a destra per continuare su un'altra strada, o che perlomeno freni, ma lui dice che ha fatto la stessa strada migliaia di volte, che gli ingegneri stradali sono persone molto abili e che se vien fuori un qualche problema lo risolveranno in tempo, che alla fine dei conti siamo solo degli ignoranti e dei catastrofisti... e continua imperturbabile sulla stessa strada, quella che lo porterà nel burrone, e noi con lui. Proprio queste persone che dicono che “nulla cambierà”, che “la crescita economica non è negoziabile” (frase che letteralmente un economista che aveva avuto delle responsabilità importanti nello Stato spagnolo mi ha detto in una riunione qualche mese fa), sono le persone che con più probabilità accusano coloro che avvisano del problema di essere “catastrofisti” ed “apocalittici”. Forse inconsciamente, le loro accuse cercano di nascondere il loro senso di colpa, che in realtà sono loro i catastrofisti. E sono loro stessi, il giorno in cui comprenderanno che il loro beneamato programma di progresso e la loro visione di crescita infinita fanno acqua da tutte le parti, coloro che probabilmente aspetteranno e desidereranno con fervore devoto l'Apocalisse che li redima.

Non ci aspetta l'Apocalisse più avanti; piuttosto un amaro declino ed una miseria crescente, se non sappiamo gestire questa situazione. Ma possiamo gestire correttamente questa situazione difficile. Sì, possiamo. Possiamo trasformare questa crisi storica in un'opportunità storica, quella di ripensare il sistema economico e trasformarlo in qualcosa di più umano e più giusto. Si può passare dall'idea all'azione. Facciamolo.

E se mi dite che non si può far nulla, allora forse dovreste guardarrvi dentro e rendervi conto di chi sia in realtà il pessimista, il catastrofista, l'apocalittico.

Saluti.
AMT