martedì 25 marzo 2014

Il picco degli investimenti segnala l'imminente collasso della produzione petrolifera

Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR


Questo di Turiel è un post molto importante che va letto insieme a quello di Gail Tverberg sullo stesso argomento. In sostanza, stiamo vedendo un momento epocale nella storia planetaria del petrolio: sebbene la produzione totale di liquidi riesca ancora a mantenersi costante o anche in leggero aumento, l'industria non ce la fa più a reggere i tremendi costi necessari. Siamo al "picco degli investimenti" - preludio dell'inevitabile declino (o collasso produttivo). E ora che facciamo? Beh, il primo passo è capire qual'è la verità. (U.B.)


di Antonio Turiel

Cari lettori,

l'inquietante articolo di Gail Tverberg sull'attuale tendenza delle grandi compagnie petrolifere a disinvestire nel cosiddetto upstream, cioè nell'esplorazione e lo sviluppo di nuovi giacimenti porta ad una riflessione profonda sul futuro immediato della nostra società. Nel momento più critico della crisi energetica, le compagnie petrolifere gettano la spugna. Non è una sorpresa. Quattro anni fa, su questo stesso blog, spiegavamo come alcune di queste compagnie stessero abbandonando l'investimento sull'upstream.

Il miraggio del fracking (soprattutto nella ricerca di petrolio leggero di roccia compatta, LTO nell'acronimo inglese) è stato l'ultimo tentativo di continuare in questo busisness. Come diceva recentemente un analista del mondo del petrolio, gli Stati Uniti avevano la necessità di cercare una risorsa da sfruttare perché non potevano permettersi il lusso di lasciare all'industria dell'estrazione degli idrocarburi più potente del mondo senza lavoro, visto che le conseguenze sociali ed economiche sarebbero inaccettabili. Così, si sono inventati il miracolo del fracking e con questa chimera hanno mantenuto l'illusione che si potesse continuare ad andare avanti sulla stessa strada per questi quattro anni; grazie alle sabbie bituminose del Canada, ai petroli ultrapesanti del Venezuela e al LTO, la produzione di petrolio si è potuta mantenere stabile intorno ai 76 milioni di barili al giorno (Mb/g) per tre anni e quella di tutti i liquidi del petrolio (che comprende i liquidi del gas naturale, PG nei grafici che seguono) intorno ai 90 Mb/g, come mostrano i seguenti grafici di un file di Burbuja.info:



Tuttavia, gli stessi grafici mostrano che il petrolio convenzionale, dopo un lungo plateau di produzione di poco più di 70 Mb/g di media all'anno iniziata verso il 2004 e con forti saliscendi che hanno seguito il ciclo economico, sembra aver già iniziato la sua inesorabile discesa. Niente di nuovo: il plateau produttivo risulta già dal rapporto del 2010 della IEA (che tende ad essere un po' più ottimista della EIA) e nel rapporto del 2012 si riconosce l'inizio del declino del petrolio convenzionale. Peggio ancora, come abbiamo già spiegato analizzando il rapporto del 2013 la IEA avverte che se non si producono gli investimenti in tempo, la produzione di petrolio può scendere rapidissimamente, creando problemi seri.

E qual è la reazione a questo avvertimento? Comincia ad essere evidente persino per il mondo degli affari il LTO da fracking sta arrivando alla sua fine e questa era l'ultima scommessa. Fine. Non c'è nient'altro; siamo realmente rimasti senza opzioni.

Naturalmente continuerà la ripetizione assurda degli stessi meme, le stesse chimere (gli idrati di metano un giorno, gli scisti bituminosi un altro, il petrolio Artico o persino quello Antartico, i giacimenti pre-sale in Brasile, le sue controparti sull'altro lato dell'Atlantico... la stessa cosa che si va dicendo da un paio di decenni o più) mentre altri sognano che le rinnovabili ci tireranno fuori dalla buca (cosa poco verosimile alla luce dei problemi che abbiamo discusso nella serie di post “I limiti delle rinnovabili”), o con i reattori nucleari a fusione (che probabilmente non saranno mai fattibili, che sia per la via ITER o per confinamento inerziale – diffidate dei comunicati stampa falsificati!), o quelli di quarta generazione (sui quali si sperimenta da 70 anni senza che si siano risolti i problemi cruciali che li affliggono) o con l'uso del gas naturale per autotrazione (che richiederebbe un investimento ingente non per la motorizzazione, ma per la distribuzione, quando il picco del gas è a sua volta dietro l'angolo), o con qualsiasi altra distrazione che paresse avere a che fare con l'energia (che siano tecnologie per batterie, grafene, magnesio o concentratori di energia infrarossa). Il fatto è che le aziende petrolifere sono esauste, come si spiegava nel post precedente ed hanno cominciato un'aggressiva politica di disinvestimento (guardate, per esempio, questa presentazione della Shell che riassume i suoi risultati del 2013 e le sue strategie per il 2014) Nel post di Gail Tverberg si mostrava il grafico di Steve Kopits che sintetizza la previsione di diminuzione dell'investimento delle compagnie multinazionali:


Nel grafico sopra, la linea grigia orizzontale rappresenta l'investimento in beni di capitale delle compagnie petrolifere private che si prevedeva di recente, a ottobre dello scorso anno, appena sei mesi fa; la linea grigia che scende, rappresenta la revisione fatta questo stesso mese, la linea nera tratteggiata, la previsione attuale e la rossa punteggiata quella che indicano le ultime dichiarazioni delle compagnie multinazionali: una caduta totale di circa un 30% in un solo anno. Pensate che in realtà, per conservare lo status quo, l'investimento in beni comuni dovrebbe crescere col tempo, visto che le risorse che rimangono sono sempre peggiori e richiedono uno sforzo maggiore, così che una caduta di un 30% dell'investimento anticipa una caduta molto più grande della nuova produzione. E non dimenticate che i giacimenti attualmente in produzione diminuiscono già di un 6% all'anno (come riconosceva a novembre la stessa IEA). Qualche specialista di energia furbo si è precipitato a dire che qui non succede niente, che il disinvestimento è frutto di un ciclo di sovra-investimento. Questa interpretazione ha un errore fondamentale, come evidenziava l'altro giorno Juan Carlos Barba: quando si produce un eccesso di investimento in un'attività produttiva (perché gli investitori vedono un buon affare e lo fanno crescere troppo in fretta) la produzione sale molto, più di quello che in realtà chiede il mercato, pertanto alla fine il prezzo scende. In quel momento gli investitori escono dall'affare e crolla l'investimento finché la cosa non sis tabilizza. Tuttavia, quello che succede qui è che mentre l'investimento saliva e saliva, la produzione è caduta e il prezzo è rimasto stabile.

Pertanto, spiegazione volgare secondo la quale si tratta di un normale ciclo di sovra-investimento non sta in piedi. Non preoccupatevi: sicuramente i nostri analisti economici di punta troveranno una qualche spiegazione contorta per giustificare la loro visione aprioristica; Qualsiasi cosa pur di non accettare che il picco del petrolio è già qui, perché il picco del petrolio era questo in realtà, che semplicemente è questa la puzza che fa il picco del petrolio. Certamente stiamo parlando del disinvestimento delle compagnie private e queste coprono solo un terzo del mercato mondiale del petrolio, ma le compagnie nazionali che forniscono gli altri due terzi hanno bisogno delle multinazionali per rilanciare la propria produzione, visto che hanno perdite più che significative (per esempio la messicana Pemex o la norvegese Statoil, ma è un fenomeno generalizzato – pensate a questa curiosa notizia sull'Arabia Saudita). E la ricetta per uscire da questo pantano, la stessa che viene ripetuta insistentemente in tutti i paesi con problemi di produzione di petrolio, che sia il Messico, il Venezuela, il Brasile, l'Argentina, il Bahrein, la Libia, l'Iran o la Norvegia, è quella di aprire all'investimento straniero. Naturalmente, chi proverà a investire in questa pletora di nuove e dubbie opportunità? Gli investitori naturali sarebbero le grandi multinazionali del petrolio, ma proprio queste stanno scappando dai giacimenti di dubbia redditività e concentrandosi sui benefici e sul buttare i dividendi, nel continuare ad aumentare la propria redditività ad ogni costo, anche a costo di diminuire l propria dimensione. Peggio ancora, queste si stanno disfacendo dei loro beni più problematici. Tanti giacimenti in vendita da un lato insieme a tanti paesi che cercano l'investimento per le proprie estrazioni nazionali dall'altro formano un eccesso di offerta che proietta più dubbi sulla redditività e scaccia la maggior parte degli investitori. E' pertanto ovvio che i problemi delle multinazionali del petrolio vanno a causare una forte diminuzione nel petrolio su scala mondiale tanto nel settore privato quanto in quello pubblico.

La conseguenza più diretta di tutto questo a breve termine è che non ci sarà un quarto ciclo di investimento come si ipotizzava nel post del mio amico Antonio García-Olivares: siccome la società non può tollerare prezzi più alti, le compagnie non possono andare avanti nell'estrazione delle risorse più care. Pertanto, se non cambia la tendenza attuale di disinvestimento non ci sarà un plateau di produzione di petrolio fino al 2040 come diceva Antonio García-Olivares (per quanto sarebbe un male già quello), ma il declino della produzione di tutti i liquidi del petrolio (non solo il petrolio convenzionale) comincerà subito. Di fatto, se non si agisce rapidamente, la perdita di investimento che stanno già applicando le compagnie multinazionali ed i movimenti prevedibili che faranno quelle nazionali possono condurre ad un crollo della produzione di tutti i liquidi del petrolio fra i 5 e i 10 milioni di barili al giorno (fino ad un 11% di quello che si produce adesso) in un lasso di tempo inferiore ai due anni. Se un crollo così rapido di questa dimensione si materializza, gli effetti sull'economia possono essere devastanti e la capacità di adattamento dei diversi paesi dipenderà dalla loro capacità di mettere mano ad altre risorse.

Se tutto questo fosse poco, c'è un altro problema: la forte dipendenza dal petrolio dell'estrazione di altre risorse naturali, energetiche e non. Alcuni dei giacimenti più estremi di carbone, gas e uranio richiedono l'uso di un'ingente quantità di carburanti per spostare tutti i macchinari necessari. E siccome il carbone, il gas e l'uranio a buon mercato si stanno a loro volta esaurendo, il peso del combustibile sui costi di produzione sta salendo: pensate per esempio che proprio ora il costo del diesel usato nell'estrazione rappresenta il 10% del prezzo dell'uranio. E questo senza entrare nel merito dell'impatto sul settore agricolo, fortemente dipendente dal petrolio, che colpisce non solo la redditività nulla dei biocombustibili, ma l'alimentazione umana. Per quanto riguarda l'estrazione dei minerali in generale, i costi crescenti di produzione (riflesso del maggior consumo di combustibile nella misura in cui i filoni rimanenti hanno concentrazioni di minerale più povere) compromettono la fattibilità dello sfruttamento di molti minerali (come mostra questo articolo, le miniere d'oro potrebbero chiudere in sei mesi se non sale il prezzo).

Alicia Valero ha scritto una tesi estesa e dettagliata qualche anno fa che a volte cito in questo blog, la quale usa un'approssimazione interessante per affrontare il problema della scarsità di materie prime, che siano energetiche o meno. L'idea consiste nel calcolare l'exergia di qualsiasi materia, quantificata come la quantità di lavoro utile che rappresenta per la società. Questa approssimazione exergetica permette di trattare il picco del rame o dell'oro allo stesso modo che il picco del petrolio o del carbone. Essenzialmente, il nostro problema non è solo che l'energia utile che ci arriva dal petrolio e dall'uranio sta già diminuendo e che quelle del carbone e del gas sono dietro l'angolo, ma che inoltre l'exergia di molte materie prime fondamentali per la nostra società (che sia rame, neodimio, acciaio o cemento) sta già diminuendo o non è lontana dal farlo.

L'approssimazione economicistica che domina la visione della nostra società, tanto lontana dalla Termodinamica, vede solo i costi monetari e i cicli di investimento ed è incapace di riconoscere che i tetti di produzione si stanno abbassando. Credono semplicemente che con più investimenti si potrebbe ottenere un aumento della produzione, senza comprendere che un mucchio di banconote verdi non afferrano la pirite o un pezzo di carbone dal fondo di una miniera. Nel momento in cui la diminuzione della produzione sia evidentemente minore dei livelli attuali i guru di questo credo che chiamiamo Economia tireranno fuori qualche loro assurda teoria ad hoc, riedizioni della vecchia falsità del Peak Demand, e ci diranno che i gusti della società sono diventati più austeri e che abbiamo deciso di usare meno di tutto per coscienza ecologica o altri motivi, come se la penuria fosse una scelta. Niente di nuovo dai tempi di Esopo, insomma.

Lasciando da parte questo pensiero sociopatico e ignorante della realtà fisica, lo scenario che si profila per il nostro futuro immediato è quello della Grande Scarsità. Se non si agisce subito, la probabilità di sperimentare nei prossimi anni, persino nell'arco di non troppi mesi, una transizione fortemente non lineare è molto elevata. Il livello di stress del sistema  ora è altissimo. In tutto il mondo stanno scoppiando conflitti in cui l'energia, anche senza essere sempre il fattore fondamentale, è uno dei fattori importanti. Ciò aumenta il rischio di un crollo repentino del flusso di energia e materiali; pensate, per esempio, cosa succederebbe se aumentassero le ostilità con la Russia, paese che si alterna con l'Arabia saudita al primo posto della produzione mondiale di petrolio e che fornisce il 26% del gas naturale e più del 40% del petrolio che si consuma in Europa. Pensate cosa succederebbe se l'instabilità attuale e crescente in Bahrein o in Yemen finissero per degenerare ion guerre civili e contagiassero un'Arabia Saudita in cui i costi di produzione crescono con l'invecchiare dei suoi giacimenti, compromettendo la sua stabilità di bilancio e la pace sociale. O se l'Iran, il Venezuela o l'Algeria finissero in una guerra civile. Oltre alla tragedia nei paesi disgraziati che soccombessero, vi immaginate dove finirà il benessere dell'occidente quando questi smettono di mandarci puntualmente il loro petrolio e il loro gas naturale?

Questo è un punto di non ritorno nella Storia dell'Umanità. Le contraddizioni del nostro sistema economico non possono essere ignorate ancora per molto, ma i nostri leader continuano a sognare l'uscita dalla crisi e al ritorno alla crescita economica. Ma in pochissimo tempo dovranno prendere misure d'urgenza per evitare che la società collassi. E' facile prevedere che nel momento in cui nostri governanti si rendono conto che il petrolio necessario sta smettendo di arrivare, a causa del disinvestimento delle grandi compagnie, gli Stati entrino nel capitale di queste imprese per prendersi in carico i progetti meno redditizi. Tale misura garantirà un flusso minimo di base per l'attività economica, ma sarà possibile a costo di mettere tasse molto superiori a quelle attuali, per cui questa ultima intenzione di mantenere lo status quo allargherà rapidamente la povertà e la miseria nella società. In aggiunta, dato il costo eccessivo che implicherà questo intervento per ogni paese, il commercio del petrolio soffrirà, poiché i paesi saranno riluttanti a condividere una materia tanto essenziale e che costa loro tanti sacrifici.

Ora guardatevi attorno. Su che risorse può contare il vostro paese? Quale sforzo sociale implicherà il loro sfruttamento autarchico? Come vi condizionerà la miseria che viene, che potenziale avete per resistere alla prossima onda?

Si può tratteggiare il caso della Spagna come un caso tipo. Se si conserva la modalità di reazione dimostrata durante questi primi anni di crisi energetica, nel prossimo decennio la Spagna si appoggerebbe al proprio carbone autoctono. Le centrali elettriche in attività sarebbero principalmente quelle idroelettriche, eoliche e termiche a carbone, le quali permetteranno di mantenere un livello di fornitura non molto inferiore all'attuale, anche se il consumo crollerebbe considerevolmente, per cui non ci si dovrebbero aspettare grandi cadute della rete durante i prossimi decenni. Il problema è, come abbiamo ripetuto tante volte, che l'elettricità è solo il 21% del consumo di energia finale nella Spagna di oggi. Per il resto degli usi energetici si convertirebbe il carbone nazionale in idrocarburo liquido usando il processo di Fisher-Tropsch anche se si perderebbe per strada il 50% della sua energia. Siccome la produzione sarebbe insufficiente a coprire la domanda attuale, si restringerebbe progressivamente il suo uso, che si concentrerebbe nell'agricoltura, nell'Esercito e nei servizi essenziali e si abbandonerebbe la mobilità privata, alla portata soltanto di più ricchi. Questo farebbe sprofondare la maggior parte dell'attività economica attuale del paese e condannerebbe una gran massa della popolazione alla povertà ed alla sopravvivenza nei limiti più miserabili della società. Un fenomeno che abbiamo già descritto qui: la Grande Esclusione. Col tempo, l'organizzazione sociale potrebbe diventare un nuovo feudalesimo.

Questo è inevitabile? No, perbacco. Non abbiamo motivo di seguire una strada così triste. Non è il nostro destino inesorabile finire schiavizzati, né molto meno, come non lo è nemmeno il collasso della società o l'estinzione della razza umana; sicuramente non deve finire in Apocalisse. Ma se non facciamo attenzione il nostro destino può essere davvero poco brillante. Possiamo ancora evitarlo. Per questo il primo passo è quello di riconoscere la verità, una verità dura che deve essere detta in faccia. E infine passare dall'idea all'azione. Ma alla svelta, non c'è più molto tempo..

Saluti.

AMT


lunedì 24 marzo 2014

Il riscaldamento globale si auto-rinforza

Da “Common dreams”. Traduzione di MR

Circolo vizioso: la quantità di riscaldamento coinvolto nella perdita di ghiaccio dell'Artico ora ammonta a circa un quarto di tutto il riscaldamento. 

Di Jacob Chamberlain


Ghiaccio marino dell'Artico che fonde (Foto: Ian Joughin / Fonte: LiveScience)

Una delle difese fondamentali della natura contro il riscaldamento globale – la riflessione dei raggi solari dalla Terra da parte del ghiaccio marino dell'Artico – è vittima del... riscaldamento globale. E, secondo uno studio pubblicato lunedì, l'anello di retroazione malefico è peggiore di quanto si pensasse. La nuova ricerca, pubblicata negli Atti dell'Accademia Nazionale delle Scienze, mostra che la capacità del ghiaccio artico di riflettere la luce del Sole – conosciuta scientificamente come albedo – è diminuita drammaticamente dal 1979, con i calcoli che mostrano la capacità della regione di riflettere la luce solare ridotta di più del doppio di quanto hanno mostrato studi precedenti. Quando una quantità minore di raggi solari viene riflessa verso lo spazio, l'oceano aperto assorbe più calore, portando ad una ulteriore fusione di ghiaccio nella regione. Il problema si auto alimenta ed è fonte di grande preoccupazione per gli scienziati e per coloro che sono preoccupati dal cambiamento climatico.

“E' una cosa grossa – inaspettatamente grossa”, ha detto l'autore principale dello studio Ian Eisenman, uno scienziato del clima dell'istituzione Scripps di Oceanografia in California, sul tasso di perdita. “Il ritiro del ghiaccio marino dell'Artico è stato un attore importante nel riscaldamento globale che abbiamo osservato negli ultimi decenni”. E Mark Flanner, un ricercatore climatico all'Università del Michigan, ha detto al New Scientist che lo studio “riafferma che la retroazione dell'albedo è un potente amplificatore del cambiamento climatico, forse anche di più di quanto simulato dall'attuale generazione di modelli climatici”. Il rapporto è il primo che usa misurazioni satellitari che risalgono al 1979 per valutare la diminuzione della riflessione della luce solare nella regione. La quantità di riscaldamento dell'Artico causata da questo fenomeno ora ammonta a circa un quarto del riscaldamento totale causato dall'effetto serra, hanno detto i ricercatori. “Fondamentalmente, questo significa più riscaldamento”, ha detto Eisenman.

Dallo studio:


Il ritiro del ghiaccio marino dell'Artico è stato uno dei cambiamenti climatici più drammatici degli ultimi decenni. Circa 50 anni fa era stato previsto che un inscurimento dell'Artico associato alla scomparsa del ghiaccio sarebbe stata una conseguenza del riscaldamento globale. Usando le misurazioni satellitari, questa analisi quantifica direttamente quanto l'Artico si sia inscurito visto dallo spazio in risposta al recente ritiro del ghiaccio marino. Pensiamo che questo declino abbia causato 6,4 ± 0.9 W/m2 di riscaldamento radiativo dal 1979, considerevolmente maggiore delle aspettative dei modelli e delle recenti stime dirette. In media, a livello globale, questo cambiamento dell'albedo equivale al 25% della forzante diretta del CO2 durante gli ultimi 30 anni. 



domenica 23 marzo 2014

2°C di riscaldamento:disastro incombente per l'agricoltura

Da “Climate Progress”. Traduzione di MR (non più online).


Mentre gli agricoltori seminano le colture di quest'anno potrebbero essere distratti dal fatto che dal 2030 – fra poco più di 15 anni – i rendimenti dei raccolti nelle regioni temperate e in quelle tropicali soffriranno in modo significativo a causa del cambiamento climatico. Pubblicato sabato sulla rivista Nature Climate Change, un si possono saggio ha scoperto che, senza adattamento, ci si possono aspettare perdite nella produzione di grano, riso e mais con soli 2°C di riscaldamento. Lo studio inasprirà le scoperte già allarmanti della sezione del Gruppo di Lavoro II del Quinto Rapporto di Valutazione del IPCC, che dev'essere pubblicato alla fine di marzo. Il Gruppo di Lavoro II si concentra sugli impatti ambientali, economici e sociali che il cambiamento climatico avrà e a quale livello di vulnerabilità i diversi settori ecologici e socio-economici saranno soggetti.

Il Quarto Rapporto di Valutazione, nel 2007, ha scoperto che le regioni dal clima temperato come Europa e Nord America avrebbero retto a un paio di gradi di riscaldamento senza un effetto rilevabile sui rendimenti dei raccolti. Alcuni studi pensavano persino che l'aumento delle temperature avrebbe aumentato la produzione. Tuttavia, il nuovo studio, che ha attinto dall'insieme di dati più completo ad oggi sulle risorse delle colture – più del doppio del numero disponibile nel 2007 – ha scoperto che le colture verrebbero influenzate negativamente dal cambiamento climatico molto prima di quanto ci si aspettasse.

“Mentre diventavano disponibili altri dati, abbiamo visto uno spostamento nel consenso che ci dice che gli impatti del cambiamento climatico nelle regioni temperate avverrà prima piuttosto che dopo”, ha detto in una dichiarazione il professor Andy Challinor della Scuola della Terra e dell'Ambiente dell'Università di Leeds e autore principale dello studio. “Inoltre, l'impatto del cambiamento climatico sui raccolti varierà sia di anno in anno sia di luogo in luogo – con la variabilità che diventa maggiore quando il meteo diventa sempre più imprevedibile. Il cambiamento climatico significa un raccolto meno prevedibile, con diversi paesi che vincono e perdono in anni diversi”. Secondo lo studio, a partire dal 2030 i rendimenti dei raccolti sperimenteranno un impatto sempre più negativo con diminuzioni di oltre il 25% che diventano più comuni dalla seconda metà del secolo. Il cambiamento climatico è già una grande preoccupazione per coloro che lavorano in agricoltura in quanto i cambiamenti meteo, della qualità del terreno e della disponibilità d'acqua si ripercuotono in tutto il settore.

I prezzi del cibo delle colture di base come il grano e il mais sono alti quest'anno, in quanto la produzione globale lotta per tenere il passo con l'aumento della domanda. I prezzi delle colture sono soggetti ad impatti molto localizzati e la crisi in Ucraina ha causato un'impennata dei prezzi del mais e del grano, visto che quel paese è uno dei 10 principali esportatori di entrambe le colture. Il cambiamento climatico agirà solo da amplificatore della natura precaria dell'industria. Un altro studio recente ha scoperto che l'effetto medio del cambiamento climatico sul prezzo dei raccolti per il 2050 sarà di un 20% in più, con alcuni prezzi che non cambiano affatto mentre altri aumentano di oltre il 60% a seconda della regione.

In California, dove una siccità record è un indicatore di una normalità più calda e più secca portata dal cambiamento climatico nella regione, quasi 500.000 acri di terra coltivabile – circa il 12% della disponibilità di terra coltivabile dello scorso anno – potrebbe essere esclusa quest'anno, causando miliardi di dollari di danno economico. I prezzi di verdure come carciofi, sedano, broccoli e cavolfiori potrebbe aumentare del 10%. La California produce circa l'80% delle mandorle del mondo, con una produzione che è più che raddoppiata dalle 912 milioni di libbre del 2006 alle 1,88 milioni di libbre dello scorso anno. Con una domanda globale di mandorle in pieno boom, specialmente in Asia, la siccità della California è probabile che abbia un impatto negativo sui prezzi delle mandorle nel mondo. Mentre i mandorli non sono l'ideale per il clima già secco della California e richiedono un'irrigazione significativa, l'industria ha messo radici e sarà costretta ad adattarsi a qualsiasi condizione di coltura ci sarà in futuro.

venerdì 21 marzo 2014

La bolla scientifica e tecnologica


Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR


di Antonio Turiel


Cari lettori,

qualche mese fa Tasio Urra mi ha inviato questo saggio. In questo periodo lo ha pubblicato su Attac e ripubblicato su Rebelión, oltre all'apparizione su altri media. Tasio mi ha chiesto di ripubblicarlo anche qui per migliorarne la diffusione e per la sua rilevanza in questo contesto. Di sicuro non vi lascerà indifferenti.

Saluti.
AMT

La bolla scientifica e tecnologica: mercificazione, controllo della conoscenza e opportunismo...

Di Jokin_Zabal@

Jokin_Zabal@ è l'alter ego di José Anastasio Urra Urbieta, docente ordinario di gestione aziendale all'Università di Valencia, membro di ATTAC País Valencià, delegato sindacale del CGT e autore del libro “Le bugie della crisi... Un aneddoto del cyberspazio?, di Jokin_Zabal@” (http://www.attacpv.org/public/www/web3/images/file/LasMentirasDeLaCrisis.pdf).

Colpisce il fatto di verificare la generalizzazione delle istituzioni mondiali e delle persone che intonano il mantra della crescita economica, senza tuttavia considerare le restrizioni fisiche di tale crescita in una biosfera finita e limitata, come soluzione a tutti i mali socioeconomici del nostro tempo, dagli imprenditori, ai governi, ai politici, a tutti gli elettori di tutte le tendenze politiche in tutti i territori, passando per il principali sindacati maggioritari. Né risulta meno stupefacente il numero crescente di istituzioni e persone che, di fronte ai problemi socioeconomici ed ecologici che stiamo attraversando, confida quasi ciecamente, in vere e proprie manifestazioni di fede, nella scienza, nel sapere e nella tecnologia come motori di questa crescita e pietre filosofali di fronte a tutte le avversità e le sfide.

Tuttavia, se consideriamo le grandi sfide che abbiamo di fronte, il cambiamento climatico antropogenico, il sovraccarico degli ecosistemi e la crisi energetica e, allo stesso tempo, allo stato attuale della scienza, del sapere e della tecnologia, siamo fregati. Doppiamente fregati.

Senza nemmeno entrare nella valutazione delle restrizioni che il cambiamento climatico antropogenico o il sovraccarico degli ecosistemi stanno già introducendo nel nostro pianeta, e che aumenteranno soltanto nei prossimi decenni, la IEA come è risaputo, o dovrebbe esserlo, ha esplicitamente riconosciuto per la prima volta nel suo rapporto World Energy Outlook de 2010 che il “picco” mondiale del petrolio, o il momento a partire dal quale il petrolio comincia irreversibilmente a declinare, è avvenuto nel 2006. Nel World Energy Outlook de 2013, la IEA afferma già che, in assenza di ulteriori investimenti [sic], nel 2035 dovremo “arrangiarci” con una produzione di petrolio di uno scarso 18% della disponibilità attuale, che tocca i 75 Mb/g. Considerare il cambiamento climatico che abbiamo già provocato, la pressione ecologicamente insopportabile del nostro modello di sviluppo economico sugli ecosistemi e il “picco” del petrolio, come stiamo facendo, presuppone di accettare il fatto che siamo fregati, visto che con tali restrizioni e scarse possibilità di sostituzione energetica molte cose devono cambiare un pochissimo tempo perché nel giro di pochi anni possiamo organizzarci socio-economicamente senza cadere in un collasso di civiltà, peraltro già iniziato, insormontabile.

Ma se di fronte alla realtà di tale scenario consideriamo in più lo stato attuale della scienza, del sapere e della tecnologia, siamo fregati due volte. Lo siamo già perché la scienza, il sapere e la tecnologia, che sono gli strumenti sui quali potrebbe, e dovrebbe, fare leva il formidabile cambiamento senza precedenti che abbiamo di fronte, attualmente sono controllati politicamente, mercificati e presi da un opportunismo grave, si prostituiscono al Business As Usual, o al “più della stessa cosa che ci ha portato sin qui” e che ha generato una bolla scientifica e tecnologica simile alla bolla economica e finanziaria che già conosciamo, che in un futuro non lontano molto probabilmente può solo scoppiare.

Le recenti dichiarazioni del professor Andre Geim dell'Università di Manchester – vincitore del Nobel per la Fisica nel 2010 per la sua scoperta del grafene, materiale tanto di moda – vanno in questa direzione, quando ci avverte che “Temiamo, temiamo molto, la crisi tecnologica” in cui ci siamo cacciati negli ultimi decenni. In occasione della celebrazione del Forum Economico Mondiale del 2012 di Davos, Geim descrive come la crescente mercificazione della conoscenza scientifica e la ricerca del profitto rapido a detrimento della ricerca scientifica pura, o di base, durante gli ultimi decenni ci abbiano portato ad una riduzione allarmante, e con implicazioni gravi, del tasso mondiale di scoperte scientifiche.

Sfortunatamente, sono brutte notizie ma non nuove. Nel 2005, in uno degli studi di maggior portata sull'evoluzione mondiale della tecnologia, sorprendentemente poco divulgato, pubblicato in una delle principali riviste accademiche mondiali sulla tecnologia e gli affari,  uno scienziato indipendente, Jonathan Huebner, Fisico per l'esattezza, ha dimostrato con un alto grado di certezza, come riflette la figura allegata a queste frasi, che l'innovazione tecnologica radicale, quella che ha un grande impatto socioeconomico capace di produrre pietre miliari nello sviluppo e nel progresso dell'umanità, ha raggiunto il suo “picco” nel 1873 [sic], anno dal quale il tasso mondiale di di innovazione radicale non ha mai smesso di declinare. Evidentemente, questi risultati non sono per niente piaciuti in determinati circoli vicini all'industria e i risultati di Huebner hanno subito il tentativo di messa in discussione dal momento della pubblicazione, anche se con poco successo. Se fossero veri e coerenti, come sembra, l'esperienza e l'intuizione di Andre Geim arriverebbe soltanto a ratificare una tendenza abbastanza più pesante di soli “pochi decenni”.


Se lo scenario descritto da tali ricerche e casistica non fosse sufficientemente grigio, un numero crescente di scienziati e intellettuali si avvicinano, sempre di più, a questa prospettiva della nostra realtà, andando anche più il là facendo un'ipotesi più opprimente: non si tratta solo del fatto che il tasso di scoperta scientifica sia diminuito, e che sia pertanto minore, ma che la quantità assoluta di progresso scientifico nel suo insieme può essere inferiore nella misura in cui trascendiamo nel tempo. E' l'ipotesi che fondamentalmente mantengono e argomentano il medico e professore di psichiatria evolutiva all'Università di Newcastle, Bruce Charlton o l'analista di sistemi cibernetici e programmatore di software Anthony Burgoyne, fra gli altri, oltre ad offrirci innumerevoli chiavi e tracce su come siamo arrivati a questa situazione.

Secondo Charlton, la chiave si trova, di nuovo, in una mercificazione della conoscenza scientifica che ha incentivato un “professionalizzazione” della scienza e del lavoro scientifico e generato un opportunismo collettivo che ha portato a convertire in “cartamoneta” la pubblicazione di articoli irrilevanti sulle riviste accademiche, confondendo collettivamente la vera crescita della conoscenza e progresso scientifico con una mera espansione di “chiacchiere e cose senza valore” [sic].

Questa stessa cosa è quello che alcuni di noi stanno presenziando, osservando e denunciando nel nostro contesto nazionale, sopportando da vicino, a volte, l'opportunismo e l'arroganza di molti il cui unico fine sembra farsi una posizione di carriera universitaria e/o politica e di una grande maggioranza che aspira semplicemente a conservare o migliorare il proprio status quo. Mentre si riduce il finanziamento all'università e ai centri di ricerca pubblici, come il CSIC, fiore all'occhiello della nostra ricerca, si gratificano le università private, che hanno una capacità di ricerca praticamente nulla e approfittano dei tagli per concedere un ruolo ancora più determinate in tutta l'attività universitaria alla valutazione dell'attività di ricerca del personale universitario, che in Spagna viene fatto da anni medianti i cosiddetti sessenni (complementi salariali che sono nati per retribuire la produttività della ricerca e che hanno finito per diventare in misura della sua “qualità”, requisito di promozione e sviluppo di carriera) ed i procedimenti di accreditamento che porta a termine l'ANECA (Agenzia Nazionale di Valutazione della Qualità e dell'Accreditamento)  e le agenzie di valutazione autonome.

In parole povere, sono completamente a favore che si valuti l'attività di insegnamento e quella di ricerca degli universitari e degli scienziati, funzionari o meno, ma non che detta valutazione si converta in un elemento di controllo politico oscuro e discrezionale che incentivi e legittimi il “si salvi chi può” e che castighi chiunque la cui motivazione sia prima di tutto il mero piacere della scoperta scientifica e il progresso della scienza, oltre il valore economico immediato o la “convenienza” dei risultati della ricerca.

Oltre a contribuire ad una enorme bolla dalle conseguenza prevedibili, tale controllo politico, mercificazione e perversione della scienza e del progresso scientifico produce dei paradossi significativi. Come osserva il professor Juan Torres, la ricercatrice Saskia Sassen, che ha ricevuto di recente il Premio Principe delle Asturie di Scienza Sociale, una delle scienziate più importanti della nostra epoca, non ha ottenuto nessun sessennio, nessun accreditamento, di fronte ai criteri delle nostre agenzie di valutazione, che antepongono sempre lo stesso criterio, le pubblicazioni JCR (Journal Citation Reports) negli ultimi 5 anni. La Sassen non ne ha nessuna, ma ha pubblicato libri e saggi, frutto di progetti di ricerca veri e referenze fondamentali per accademici compromessi ed ha pubblicato numerosi articoli su media di grande diffusione, ma ha resistito alla pratica di il suo curriculum con articoli standardizzati senza interesse né lettori al di là dei circoli di amici che si citano reciprocamente e cattedratici con insaziabili ansie di farsi una posizione a qualsiasi prezzo.

Ma, quando la bolla scientifica scoppierà, cosa resterà dopo l'esplosione? Come afferma il professor Charlton, magari solo la vecchia scienza, quella di un'era nella quale la maggioranza degli scienziati erano almeno onesti nel cercare di scoprire la verità sul mondo naturale. Nel migliore dei casi potremmo subire un regresso scientifico di vari decenni più che di qualche anno, ma probabilmente è molto peggio di così...

giovedì 20 marzo 2014

La follia del presidente Putin

Da “Club Orlov”. Traduzione di MR

di Dmitri Orlov

Juliette Bates
[Grazie mille a Max che mi ha aiutato a mettere insieme questo articolo]

Di tutte le varie interpretazioni che i leader occidentali e i commentatori hanno dato del perché il presidente della Federazione Russa abbia risposto in quel modo agli eventi in Ucraina nel corso di febbraio e marzo 2014 – rifiutandosi di acconsentire all'instaurazione di un regime neofascista a Kiev e sostenendo il diritto della Crimea all'autodeterminazione – quella più impressionante e illuminante è che sia impazzito. Impressionante ed illuminante, cioè, per quanto riguarda l'Occidente stesso.

In tempi passati, lo scenario internazionale rifletteva un ordine multipolare, una molteplicità di ideologie in competizione, modelli alternativi di organizzazione sociale ed economica. Allora le azioni di un altro paese potevano essere capite nei termini della sua ideologia alternativa. Anche riguardo alle figure estreme – Stalin, Hitler, Idi Amin, Pol Pot – chiamarli folli era un esempio di iperbole, un modo esagerato di descrivere la sfacciataggine con la quale hanno perseguito i loro obbiettivi politici razionalmente determinati. Ma quando il Cancelliere Angela Merkel si chiede se Putin viva “in un altro mondo”, facendo eco a un tema della narrativa dei media occidentali, la questione sembra implicare qualcosa di letterale.

Mettiamo in dubbio la salute di qualcuno quando non riusciamo a spiegarne il comportamento o la logica sulla base di un intendimento comune di realtà consensuale. Diventano del tutto imprevedibili per noi, capaci di andare aventi in una normale conversazione un momento e saltarci alla gola quello successivo. Le loro azioni appaiono avventate e disordinate, come se vivessero in un mondo parallelo, ma completamente diverso da quello in cui viviamo noi. Putin è dipinto come un mostro e l'Occidente si comporta in modo sconcertante e impaurito. Il finto shock col quale l'Occidente guarda agli sviluppi in Crimea potrebbero essere visti come una tattica progettata per isolare e intimidire Vladimir Putin. Il fatto che questa tattica non solo non funzioni, ma in realtà si ritorca contro chi la mette in pratica, cambia il falso shock in shock vero: le medicine occidentali non funzionano più – su sé stesso e su chiunque altro.

L'Occidente – cioè, gli Stati Uniti e l'Unione Europea – ha giocato il ruolo di primario psichiatra nel manicomio del mondo fin da quando l'URRS è crollata. Prima del 1990 il mondo era nettamente diviso fra due ideologie in competizione bloccate in un punto morto nucleare. Ma poi Mikhail Gorbachov ha capitolato. E' stato un campione dei “valori umani comuni” e voleva risolvere il conflitto delle superpotenze in modo pacifico, mettendo insieme il meglio di entrambi i sistemi (tutte le vittorie umanistiche del socialismo sovietico più tutta la seducente e consumistica prosperità del capitalismo americano).

Ma di fatto Gorbachov ha capitolato; l'URRS e stata smembrata e, nel corso degli anni 90, la Russia stessa è andata vicino ad essere distrutta e smembrata. Anche se in Occidente, dove è ancora una figura popolare, Gorbachov viene ritenuto l'orchestratore di una dissoluzione pacifica dell'URRS, il seguito caotico del collasso dell'URRS è stato un evento estremamente traumatico, con un'enorme perdita di vite. Quando Putin chiama il collasso dell'URRS “la più grande catastrofe geopolitica del secolo”, riecheggia il sentimento di molti Russi – che, a proposito, amano chiamare Gorbachov “Mishka mécheny” (“Michele il segnato” - segnato dal diavolo, cioè).

Durante il periodo post collasso la Russia non poteva fornire alcuna ideologia per competere. Infatti, non aveva affatto un'ideologia, eccetto per un impianto di liberalismo occidentale che, data la mancanza di un quadro legale fattibile o tradizioni di proprietà privata e di società civile, si è trasformata rapidamente in un tipo di banditismo particolarmente brutale. Ma poi è arrivato Putin e, usando la sua esperienza nel KGB e i collegamenti con altri “poteri forti” post sovietici, ha confezionato un nuovo ordine, che prima ha decimato, o soppiantato o assorbito i banditi e poi ha imposto ciò che Putin ha chiamato “la dittatura della legge”. Questo è il primo pezzo importante della nuova ideologia russa: è la legge che conta e nessuno può esserne al di sopra – neanche gli Stati Uniti.

Ora, confrontate il concetto di “dittatura della legge”, interna così come internazionale, come è stato promulgato da Putin, a quella specie di legge che ora prevale negli Stati Uniti. Negli Stati Uniti ora ci sono due categorie di persone. Ci sono coloro che sono al di sopra della legge: il governo americano e le sue agenzie, comprese NSA, FBI, DOD, ecc.; il finanzieri di Wall Street e il governo ombra degli appaltatori che non vengono mai perseguiti per i loro crimini; i super ricchi che sono politicamente collegati e possono prevalere legalmente contro chiunque semplicemente tirando soldi agli avvocati.

E quindi ci sono coloro che sono al di sotto della legge: tutti gli altri. Questi sono fra le persone più mansuete del mondo, vivono nella paura costante di essere denunciati e deprivati dei propri risparmi – o arrestati, intimiditi per accettare un patteggiamento e rinchiusi. Ora possono essere detenuti indefinitamente senza un'accusa. Possono essere rapiti da qualsiasi parte del mondo, trasportati in un “sito oscuro” e torturati. Possono essere messi sotto processo senza essere informati dell'accusa e condannati sulla base di prove che vengono loro tenute segrete. Le loro comunità possono essere poste sotto legge marziale senza motivo. Individualmente, si può loro sparare a vista senza provocazione o sospetto o illecito. All'estero, quando feste di matrimonio e funerali vengono messi sotto attacco da droni selvaggi, questo è un crimine di guerra – a meno che non ci sia dietro Washington, nel qual caso si tratta solo di un “danno collaterale”.

Grazie alla inesorabile sorveglianza della NSA, ora non abbiamo alcuna privacy e non possiamo avere segreti. Per esempio, il Cancelliere tedesco Merkel è decisamente “al di sotto della legge”. Quando, grazie ad Edward Snowden, ha scoperto che la NSA stava spiando le sue conversazioni al cellulare, si è sentita oltraggiata e se ne è lamentata con amarezza. A differenza di Putin, lei non è “matta”: è una partecipante volontaria ad una realtà consensuale in cui ciò che dice Washington è la legge e quello che dice lei è solo rumore, a beneficio del mantenimento dell'illusione della sovranità tedesca. A suo beneficio, chiediamole nella sua lingua madre tedesca: “Frau Merkel, glauben sie wirklich dass die amerikanischen Politiker Übermenschen und die Deutschen und Russen und Ukrainer Untertanen sind?” (Signora Merkel, crede davvero che i superuomini politici americani, i tedeschi, i russi e gli ucraini siano suoi sudditi?)

La seconda innovazione di Putin è quella che lui chiama “democrazia sovrana”. E' un sistema di democrazia rappresentativa che è completamente impermeabile alla manipolazione politica estera. Be', non completamente impermeabile: proprio come è una cosa buona. E' vero che di tanto in tanto una piccola infiammazione da qualche parte è salutare per mantenere il sistema immunitario attivo, è considerato salutare che gli intellettuali anticonformisti di Mosca e San Pietroburgo – molti dei quali, nella loro follia giovanile, adorano ancora l'Occidente – si vadano a far malmenare periodicamente dalla polizia antisommossa. L'adorazione sembra reciproca e guardare i media occidentali che adorano un pugno di nullità la cui idea di arte pubblica è quella di andare nei supermercati e infilarsi polli congelati nella vagina (cioè le “Pussy Riots”) fornisce il necessario sollievo comico. Ma il il firewall del conservatorismo russo rimane impenetrabile alle avance occidentali (come ha evidenziato il professor Cohen di recente, prima dell'agitazione degli americani sui diritti degli omosessuali, i gay russi venivano chiamati “finocchi”; ora vengono chiamati “finocchi americani” ed i diritti degli omosessuali i Russia hanno fatto un gigantesco passo indietro).

Ancora una volta, confrontiamo questo allo stato delle cose che oggi prevale negli Stati Uniti, dove il presidente Obama ha annunciato, durante il suo discorso di quest'anno sullo Stato dell'Unione, che, visto che il Congresso non collabora con lui, di governare per decreto (“ordine esecutivo”, in americano burocratese). In risposta, il Congresso sta facendo una bozza di legge che punta a costringere l'amministrazione Obama ad applicare le leggi del Congresso. Apparentemente, hanno smarrito tutte le copie della costituzione americana, che descrive già questo stesso processo in considerevole dettaglio. La loro apparenza studiata di stallo legislativo infinito sembra essere un velo progettato per oscurare il lavoro vero di distribuzione di finanziamenti inappropriati fra i finanziatori della loro campagna elettorale – finanziamenti che ora si aggirano sui trilioni di dollari all'anno. Aggiungete a questo il fatto che metà del Congresso americano ha promesso un'alleanza con Israele. Agli occhi dei russi, gli Stati Uniti non sono né sovrani né una democrazia; sono il corpo incancrenito di una democrazia alimentato dai più grassi avvoltoi del pianeta.

Nella comprensione contemporanea russa, l'Ucraina neanche è sovrana (è aperta alla manipolazione straniera sfacciata) e pertanto il suo governo è illegittimo. Il referendum del dicembre 1991 che ha dato l'indipendenza all'Ucraina è stato condotto in violazione della costituzione che vigeva allora e l'indipendenza ucraina è pertanto a sua volta illegittima. Visto che il recente rovesciamento armato del governo ucraino è stato allo stesso modo contrario alla costituzione ucraina, l'Ucraina non ha più per niente una costituzione. Il referendum della Crimea, d'altra parte, è un'espressione legittima della volontà del popolo in assenza di una qualsiasi autorità legittima, pertanto fornisce una base legale solida per andare avanti. Il fatto che il governo statunitense, e altri che lo seguono, abbia dichiarato che il referendum della Crimea sia illegale non vale nulla: non ha il potere di inventare leggi per conto della Russia ed è fuori dalla competenze di politica interna della Russia.

* * *

Si potrebbe contrassegnare l'ascesa degli Stati Uniti al ruolo di psichiatri del mondo circa dalla fine della guerra fredda. E' crollato il Muro di Berlino e il Capitalismo Occidentale, la Democrazia e i Liberalismo sembrava che avessero vinto. La visione occidentale unificata di come funziona il mondo, di cosa fa andare avanti la società, di cosa quale sia la forma  più produttiva di organizzazione economica, sociale e produttiva ha prevalso sull'intero pianeta. Francis Fukuyama ha pubblicato il suo trattato involontariamente esilarante sulla “Fine della Storia”. In questo contesto, negando alla Federazione Russa la cortesia di permetterle di avere una visione coerente e alternativa, gli Stati Uniti stanno tentando di riguadagnare l'illusione di una supremazia incontrastata, della loro egemonia assoluta, del loro ruolo di capi moralizzatori ed arbitri di cosa è normale ed anormale nel pensiero e nel comportamento. Perché o il mondo è impazzito o dev'essere impazzito Putin. La precedente diagnosi sembra essere stata errata: “L'ho guardato negli occhi. L'ho trovato molto diretto e affidabile. Abbiamo avuto un dialogo molto buono. Ero in grado di sentire la sua anima; un uomo profondamente impegnato col proprio paese e i migliori interessi del suo paese”, ha detto George W. Bush del presidente Putin al Summit in Slovenia nel 2001. Ed ora il paziente sta diventando pazzo e l'Occidente sta cercando disperatamente di trascinarlo indietro al manicomio.

Anche la simpatia per questi guardiani di questo manicomio è dovuta. Gli sviluppi in Ucraina e Crimea sono particolarmente problematici per l'Occidente, perché violano la concezione lineare della storia dell'Occidente. A questo proposito, le nazioni avanzate del primo mondo occidentali anticipano la concorrenza e cercano, semplicemente per la loro grande compassione, di incoraggiare gli sbandati come l'Ucraina sulla via verso l'entrata come membri dell'Unione Europea e della NATO, l'unione monetaria ed una bancarotta nazionale lenta e controllata nelle mani del FMI. Il crollo dell'Unione Sovietica è stata una chiave di volta psicologica in questa storia che si raccontano. Prosperano nella loro storia, perché questa li definisce e dà loro il senso di significato e di scopo. Qualsiasi cosa mini le loro premesse e fondamenti di base è profondamente fastidiosa. Tuttavia, molti esempi di fallimenti non mitigati nel 21° secolo sono difficili da ignorare ed hanno fatto risuonare questa narrativa come sempre più traballante. Con momenti topici come l'11 settembre, il fiasco in Afghanistan, la guerra civile in corso in Iraq, la fusione della finanza globale del 2008, la disoccupazione e la stagnazione economica irrisolvibili che affliggono l'Occidente in questi primi 15 anni del 21° secolo e poi dei fiaschi in seria in Libia, Siria, Egitto ed ora Ucraina, diventa facile vedere il significato speciale che questo particolare confronto con Vladimir Putin abbia per la fragile psiche occidentale.

Il viaggio ascendente dell'Occidente nella storia lineare sembra essere finito. Il paradosso sottostante a questo confronto è che una situazione con poste così basse – la Crimea e le tendenze politiche di uno stato minore fallito – abbia assunto vaste proporzioni, questo suggerisce un significato più profondo. L'agitazione politica che ha messo radici nel suolo fertile che divide l'Oriente dall'Occidente, in Ucraina, che si traduce letteralmente come “terra di confine”, funge da potente simbolo del declino dell'egemonico dell'Occidente. Questo confronto continua a gettare ombre di proporzioni storiche perché l'autorità dello psichiatra e del poliziotto del mondo viene apertamente sfidata. La breve illusione del trionfo dell'Occidente scricchiola. Non siamo entrati in una qualche fase post storica, in un qualche futuro fondamentalmente nuovo. I prigionieri si stanno liberando e sembra come se lo psichiatra sia stato quello pazzo per tutto il tempo.

Considerate l'asimmetria. Cos'è l'Ucraina è per l'Occidente se non una pedina politica est europea nello scacchiere geopolitico, uno che si deve evitare che si unisca alla Russia in linea con la tendenza generale? Ma per la Russia, l'Ucraina è una parte storica di sé stessa, il luogo della prima capitale russa Kievan Rus (da dove è stata spostata, alla fine a Mosca, poi a San Pietroburgo, poi ancora a Mosca). E' una regione in cui la Russia ha 11 secoli di storia linguistica, culturale e politica comune. Metà dell'Ucraina consiste di terre Russe  Kharkov fosse russa (perché lo è) e ad un certo punto sono rimasto sorpreso di scoprire che ora avrei avuto bisogno di un visto per andarci – perché ero rimasto bloccato dal lato sbagliato della frontiera rinominato Kharkiv. (In caso ve lo chiedeste, per trasformare in ucraino, prendete il russo e sostituite 'y', 'o' e 'e' con 'i', 'i', con 'y' e 'g' con 'h'. Per ritrasformarlo chiedete a un russo). A partire dal dicembre scorso, i russi di Kharkov e di altre regioni russe dell'Ucraina sono rimasti bloccati dalla parte sbagliata del confine, soggetti ad un governo instabile, disfunzionale e notevolmente corrotto, per 22 anni. E' un piccolo miracolo che ora agitino bandiere russe in modo sfrenato.

Persino il confuso John Kerry è stato recentemente sentito concedere che la Russia abbia “interessi legittimi” in Ucraina. Sfidando la Russia sull'Ucraina, l'Occidente non sta solo attraversando una “linea rossa” immaginaria che Obama ama proclamare in continuazione. Instaurando un regime neo fascista, rabbiosamente anti-russo a Kiev, ha superato il doppio giallo, garantendo una collisione frontale. La questione è quale lato sopravviverà a questa collisione: la colonna di carri armati russa o la Limousine di John Kerry? La mossa di apertura dell'Occidente è di negare i visti e congelare i conti di certi ufficiali e uomini di affari russi, che o non hanno conti bancari in Occidente o hanno già ritirato i soldi lo scorso venerdì ( per la cifra di un paio di miliardi di dollari) e non stanno pianificando di viaggiare verso gli Stati Uniti.

La Russia ha promesso di rispondere “simmetricamente”. Nel proprio arsenale c'è: far scoppiare l'enorme bolla finanziaria e causare una ripresa del collasso finanziario del 2008 con qualsiasi mezzo, dal richiedere oro al posto della moneta a corso forzoso come pagamento di petrolio e gas, al buttar via le riserve di dollari americani (di concerto con la Cina), al mettere l'UE sulla rotta veloce verso il collasso economico dando alla valvola del gas naturale una leggera girata in senso orario, al lasciare le truppe degli Stati Uniti e della NATO in Afghanistan (che sono in procinto di evacuare) incagliate e senza rifornimenti dichiarando forza maggiore sull'attuale accordo di cooperazione in vigore, in cui gran parte delle loro strade di rifornimento sono autorizzate a passare in territorio russo. Questo se la Russia decide di agire con decisione. Ma la Russia potrebbe anche scegliere di fare poco o niente, il quindi solo contagio finanziario del default azionario dell'Ucraina, insieme alle agitazioni finanziarie sul caos ucraino, che interrompe le consegne di gas naturale all'Europa, potrebbero essere abbastanza per far cadere il vacillante castello di carte dell'Occidente.

Quindi, cosa rimane della egemonia globale dell'Occidente e del suo diritto di giocare da psichiatra del mondo? Fate di questo ciò che vorrete, ma alcune lezioni sembrano molto chiare. Primo, ora sembra che, dal punto di vista della Russia, avere buone relazioni con Washington sia del tutto opzionale, ma che l'Ucraina sia molto più importante. L'America è superflua. Secondo, all'Unione Europea non è stato chiesto di scegliere un nuovo padrone, ma l'obbedienza servile ai diktat di Washington non ha portato bene e potrebbe lasciarla a rabbrividire al buio il prossimo inverno senza che Mosca abbia alcuna colpa, quindi la UE dovrebbe cominciare ad agire in accordo con il suo ovvio interesse, piuttosto che contro di esso.




mercoledì 19 marzo 2014

Gail Tverberg: il crollo della fornitura mondiale di petrolio


Questo pezzo di Gail Tverberg potrebbe prendere come titolo il vecchio slogan pubblicitario della Pirelli "La potenza è nulla senza controllo." L'autrice sostiene, infatti, che non abbiamo tanto un problema di disponibilità di risorse petrolifere, quanto un problema di controllare la loro estrazione. Questo controllo, oggi, è assicurato dal sistema finanziario che, come sappiamo, è estremamente fragile e soggetto a collassi improvvisi. Un nuovo collasso come quello del 2008 appare probabile per il prossimo futuro e genererebbe il crollo della produzione petrolifera - come era già successo nel 2008. E' uno dei tanti modi di vedere il "collasso di Seneca" (U.B.)



Da “Our Finite World”. Traduzione di MR


  Di Gail Tverberg

Quiz: Cosa provocherà il crollo della fornitura mondiale di petrolio?


  1. Troppo poco petrolio nel sottosuolo.
  2. I prezzi del petrolio sono troppo bassi per i produttori.
  3. I prezzi del petrolio sono troppo alti per i consumatori da portare a recessione, default del debito e alla fine a un taglio della disponibilità del credito e prezzi del petrolio molto bassi.
  4. Gli esportatori di petrolio sono soggetti a disordini civili e rovesciamenti di governo, a causa dei prezzi bassi e/o dell'esaurimento delle riserve.
  5. La mancanza di denaro (e di risorse fisiche che possano essere acquistate con quel denaro) per estrarre il petrolio dal sottosuolo. 
  6. Problemi legati all'inquinamento – troppo smog in Cina; troppi problemi col fracking; troppi problemi con il CO2.
  7. L'attuale sistema finanziario crolla e può essere rimpiazzato soltanto da uno che permetta molto meno debito. I prezzi del petrolio rimangono troppo bassi sotto un tale sistema. 


Dal mio punto di vista, ogni risposta diversa dalla prima è probabile che sia almeno parzialmente giusta. Alla fine, il problema è che per estrarre petrolio, o qualsiasi altro combustibile fossile, dobbiamo mantenere insieme i sistemi finanziari e politici. Ci si può attendere che questi sistemi falliscano ben prima che finiamo il petrolio nel sottosuolo. Gran parte del petrolio nel sottosuolo (così come gran parte dei combustibili fossili nel sottosuolo) saranno lasciati nel sottosuolo, dal mio punto di vista. Basare le stime sulla futura produzione di petrolio sulle riserve di petrolio è probabile che dia un'indicazione di gran lunga troppo alta rispetto alla reale produzione futura. Numeri ancora più assurdi provengono dall'uso dei numeri delle “risorse” (che sono maggiori di quelli delle riserve) per fare stime della produzione petrolifera futura. La produzione di carbone e gas naturale è probabile che crolli esattamente nello stesso momento in cui lo fa il petrolio, perché è probabile che i problemi siano finanziari e politici, non problemi di “risorse nel sottosuolo”.

L'applicazione diretta della Teoria di M. King Hubbert è sbagliata

M. King Hubbert è conosciuto per le sue stime della produzione petrolifera futura (1956, 1962, 1976) basate sulle quantità di riserve. Ci sono due cose importanti da osservare sulle sue stime:

(a) Le stime di riserva di petrolio usate sono di riserve petrolifere a flusso libero del tipo che i geologi stavano attualmente osservando. Così, sono ristretta alle riserve “economiche da estrarre"

(b) Quando Hubbert ha mostrato grafici della produzione petrolifera mondiale che seguono una curva in genere simmetrica (quindi la discesa sembra un'immagine nello specchio di quella della salita), Hubbert ha mostrato anche altre fonti di fornitura energetica (nucleare nei sui primi saggi, solare negli ultimi) che salivano a livelli alti, prima che la produzione mondiale di petrolio diminuisse. Ha anche parlato di fare combustibili liquidi usando enormi quantità di energia più biossido di carbonio e acqua – in altre parole, invertendo la combustione (1962). Per far decollare il nucleare o il solare a questi livelli molto alti, questi dovrebbero essere estremamente economici.

Le ipotesi fatte da M. King Hubbert sono effettivamente ipotesi che permetterebbero all'economia di continuare a crescere e al sistema finanziario di “rimanere in piedi”. Se una persona guarda alla situazione attuale, le cose sono molto diverse. Non abbiamo una fornitura di combustibile sostitutiva che permetterà all'economia di continuare a crescere a prescindere dal consumo di combustibili fossili. Le riserve pubblicate includono grandi quantità di petrolio nel sottosuolo che non sono del tipo economico da estrarre. Estrarre tale petrolio sarà impossibile se i prezzi del petrolio sono molto bassi, o se manca la disponibilità di credito. E' una tentazione per gli osservatori guardare le riserve di petrolio e dare per scontato che vada tutto bene, ma non è proprio il caso.

Problema fondamentale: la futura estrazione di petrolio e la futura sostituzione sono incerte

Un problema fondamentale è “l'incertezza” delle riserve dichiarate e le quantità di risorsa: C'è un sacco di petrolio nel sottosuolo, se siamo realmente in grado di tirarlo fuori. Tirarlo fuori richiede la combinazione di un sistema finanziario che ci permetta di farlo (prezzi sufficientemente alti per i produttori, adeguata disponibilità di credito per i produttori, investimento azionario disponibile in caso il credito non lo sia, compratori che si possano permettere i prodotti) e un sistema politico che permetta che questo accada (cittadini che non facciano sommosse per mancanza di cibo in paesi che estraggono petrolio; banche aperte in paesi che cercano di importare petrolio; connessioni di mercato adeguate fra paesi). Analogamente, la sostituzione è possibile fra prodotti energetici se è possibile superare i molti ostacoli coinvolti nel farlo. Ci sono due ostacoli di costi: il costo più alto attuale del sostituto e il costo della transizione. Il costo di transizione arriva ad essere molto alto se ci sono molti “costi sommersi” che vengono persi – per esempio, se i cittadini vengono costretti a passare rapidamente da auto a benzina ad auto elettriche in modo tale che il valore di rivendita delle loro auto a benzina crolla precipitosamente. C'è anche un ostacolo tecnologico: dobbiamo avere la tecnologia per permettere di usare la diversa fonte energetica. Se il costo del sostituto è più alto del costo della fonte energetica originale, un cambiamento verso il sostituto tende a far contrarre l'economia, perché i salari andranno “meno lontano”. Se i cittadini devono pagare molto di più per le nuove auto, o se l'elettricità è più cara, i cittadini taglieranno le spese voluttuarie. Questo taglio delle spese porterà a licenziamenti nei settori voluttuari e renderà più difficile per il governo raccogliere sufficiente gettito fiscale.

Un altro problema fondamentale: l'aumento dei salari non tiene il passo dell'aumento dei prezzi del petrolio (o dell'energia)

Agli economisti piace farci credere che ci paghiamo semplicemente i salari a vicenda. I salari possono aumentare arbitrariamente in modo molto indipendente dal fatto di creare realmente beni e servizi usando prodotti energetici. Sfortunatamente, questo non sembra essere vero nella pratica. Sulla base della mia ricerca, negli Stati Uniti gli alti prezzi del petrolio sono associati a salari stagnanti, al netto dell'inflazione. I salari non aumentano velocemente quanto i prezzi del petrolio. Piuttosto, i salari tendono ad aumentare quando i prezzi del petrolio sono bassi, rendendo beni e servizi abbordabili. Parte del problema con i prezzi del petrolio in aumento è che questi si irradiano nell'economia in molti modi: prezzi del cibo più alti, perché per produrre e trasportare il cibo si usa petrolio; prezzi più alti dei metalli, perché per produrre metalli si usa petrolio e in prodotti finiti superiori, come automobili e nuove case, perché viene usato petrolio per produrli. Coi salari che non crescono a sufficienza rispetto ai prezzi del petrolio, i lavoratori ritengono di dover tagliare i beni voluttuari. Il risultato è la recessione ed i licenziamenti. Documento questo problema nell'articolo Limiti della fornitura di petrolio e crisi finanziaria continua, pubblicato nella rivista Energy nel 2012. Il rovescio della medaglia di questo problema è che senza salari in aumento rapido quanto quello del costo dell'estrazione del petrolio, è difficile che il prezzo di vendita salga a sufficienza da garantire un margine di profitto adeguato ai produttori di petrolio. Sono i prezzi del petrolio inadeguati per i produttori che sembrano essere il problema attuale. Parlo di questo problema in due recenti post: Cosa ci aspetta? Prezzi del petrolio più bassi nonostante i maggiori costi di estrazione e L'inizio della fine? Le compagnie petrolifere tagliano le spese. Gli economisti non pensano che i prezzi possano rimanere troppo bassi per i produttori. Può accadere, perché il loro modello di domanda e offerta non è corretto in un mondo con limiti energetici. Anche se i prezzi aumentano ancora temporaneamente, la recessione torna a colpire e torniamo di nuovo a prezzi bassi.

Un altro problema fondamentale: i ritorni decrescenti

I ritorni decrescenti si verificano quando ci vuole sempre più energia o altre risorse per produrre la stessa quantità di beni. Nel caso dell'offerta di petrolio, raggiungiamo i ritorni decrescenti perché le compagnie estraggono il petrolio facile prima. Così, il prezzo del petrolio aumenta perché quello che può essere prodotto più economicamente è in gran parte finito. Se vogliamo ottenere più petrolio, dobbiamo estrarre quello più costoso da estrarre. Un modo per capire cosa fanno i ritorni decrescenti è quello di pensare ad un'economia che produce due tipi di beni e servizi:

  1. I beni e servizi che il consumatore vuole realmente – come cibo, acqua potabile, trasporto che prende il consumatore da porta a porta, beni elettronici e edilizia che soddisfi le necessità della persona.
  2. Tutte quelle “cose” intermedie che servono per fare i prodotti finali del punto (1).  

Ciò che accade coi ritorni decrescenti è che una parte sempre maggiore del lavoro fisico e delle risorse vanno a finire nei prodotti intermedi, lasciandone sempre di meno per produrre prodotti finali e meno per “far crescere” realmente l'economia. In un certo senso, è come se stessimo diventando sempre meno efficienti nel produrre beni e servizi finali. Dal mio punto di vista, questa è una delle ragioni principali per cui i salari smettono di aumentare mentre i prezzi del petrolio aumentano e mentre altri prezzi energetici aumentano.

Un altro problema fondamentale: il tasso di crescita dell'offerta di energia è strettamente legato al tasso di crescita del PIL

Usiamo l'energia per fare beni e servizi, quindi è ovvio che usare più energia porterebbe a una maggiore crescita del PIL. Gli economisti non necessariamente concordano con questo. A volte sono dell'opinione che la connessione abbia a che fare solo con la “domanda” - in altre parole, quando l'economia cresce rapidamente ha bisogno di più petrolio e di prodotti energetici per sostenere la propria crescita. Parlo del discorso di Steve Kopits su questo tema in L'inizio della fine? Le compagnie petrolifere tagliano le spese. Una cosa che forse non è ovvia è il fatto che l'offerta di energia economica tende a decollare più facilmente di quella costosa. L'offerta di energia economica richiede un investimento relativamente inferiore. I beni creati usando l'offerta di energia economica tendono a non essere costosi, rendendoli più facili da vendere ai consumatori e più competitivi sul mercato mondiale. Parlo di questi problemi su I limiti del petrolio riducono il PIL; l'Alleggerimento Quantitativo dipana un problema.

Un altro problema fondamentale: il ruolo del debito

Il debito a lungo termine gioca un ruolo estremamente importante nell'economia, perché permette ai consumatori di comprare beni costosi come case e automobili che altrimenti non potrebbero permettersi e perché permette alle aziende di investire in progetti prima di aver risparmiato profitti sufficienti dai progetti precedenti per finanziare i nuovi progetti. Permette anche ai governi di spendere più soldi di quelli che hanno sotto forma di tasse. Tutto questo potere d'acquisto tende a sostenere il prezzo dei beni come petrolio e metalli, rendendo fattibile la loro estrazione. Abbiamo avuto una possibilità di capire quale ruolo importante giochi il debito nel 2008, durante la crisi del debito della seconda metà dell'anno. Durante quel periodo, il prezzo del petrolio è crollato dal toccare brevemente i 147 dollari ai 30 dollari. Le grandi banche avevano bisogno di essere salvate e la compagnia di assicurazione AIG è stata rilevata dal governo degli Stati uniti per problemi coi derivati.

Figura 1. Prezzo del petrolio “spot” settimanale West Texas Intermediate, basato su dati EIA.

Il grande crollo del prezzo del petrolio del 2008 era dovuto ad un crollo della domanda di petrolio a causa della mancanza di disponibilità di credito. Ho scritto un articolo nel 2008 sull'enorme impatto che questa diminuzione della disponibilità del credito ha avuto sui prezzi dell'energia di tutti i tipi, persino dell'uranio. Una preoccupazione correlata si riferisce al fatto che “prendere in prestito dal futuro” - che è quello che facciamo col debito a lungo termine, è un grande affare più fattibile in un'economia in crescita di quanto lo sia in un'economia in contrazione. Ci sono molti default nel secondo caso, perché la gente continua a perdere il lavoro e le imprese continuano a chiudere.

Figura 2. Ripagare i prestiti è facile in un'economia in crescita, ma molto più difficile in un'economia in contrazione.

La preoccupazione che ho è che la crescita economica rallenti, raggiungeremo un punto in cui il debito a lungo termine diventa difficile da ottenere. La mancanza di credito del 2008 non è stata rimessa completamente a posto. E' stato solo con l'aiuto dell'Alleggerimento Quantitativo (AQ), che ha aggiunto più domanda al mercato a causa dei tassi di interesse molto bassi, che i prezzi del petrolio sono stati in grado di aumentare di nuovo dopo il crollo del 2008. Con la crescita economica molto lenta che abbiamo sperimentato di recente, è stato necessario usare l'AQ per mantenere i tassi di interesse bassi a sufficienza perché la gente si potesse permettere di comprare case e automobili. Se l'economia passa dall'aggiungere debito al sottrarre debito, è probabile che vedremo un enorme calo dei prezzi del petrolio, probabilmente simile a quello del 2008 fino a a circa una trentina di dollari. Se questo può accadere ancora, non è chiaro se la Federal reserve sarebbe in grado di trovare un modo di far di nuovo crescere i prezzi, perché sta già usando un'enorme quantità di incentivi e quindi ha meno opzioni rimaste. Se i prezzi del petrolio scendono ad un livello basso e rimangono bassi, una grande parte della produzione petrolifera sarà discontinua. Saranno fatte pochissime nuove trivellazioni. Effetti simili è probabile che avvengano per gli altri combustibili fossili e anche per l'estrazione dei metalli. Una tale diminuzione della produzione di petrolio è probabile che sia netta – almeno pari a quella di quando è collassata l'ex Unione Sovietica. La produzione di petrolio è scesa di circa il 10% all'anno e anche altri usi energetici sono diminuiti rapidamente. I clienti come l'Ucraina e la Corea del Nord hanno assistito a declini netti delle loro importazioni di petrolio.

Un altro problema fondamentale: il finanziamento del governo

I governi sono possibili solo grazie ai surplus di un'economia. Surplus più grandi permettono più impiegati e più servizi governativi. Mario Giampietro (2009) è un ricercatore che scrive specificamente di questo problema. Inoltre, mentre un'economia cresce, l'aumento degli introiti delle tasse rende facile aggiungere più programmi e servizi. Quando un'economia raggiunge i ritorni decrescenti, studi di economie passate mostrano che un inadeguato finanziamento del governo è uno dei maggiori colli di bottiglia. Questo avviene perché il crollo delle risorse pro capite porta ad una maggiore disparità di salario, coi nuovi lavoratori che trovano difficile trovare lavori ben pagati. I governi sono chiamati a fornire più programmi d'assistenza nel momento esatto in cui la loro capacità di raccogliere finanziamenti sufficienti per pagare questi programmi è carente. Un grande fattore che porta al collasso è l'incapacità dei governi di raccogliere tasse sufficienti da cittadini sempre più poveri.

Il problema della scala mobile a due direzioni

Per come la vedo, l'economia per come è attualmente costruita da solo due opzioni: su e giù. Gli indicatori della “scala mobile verso l'alto” sono

  1. Energia a buon mercato
  2. Offerta di energia in crescita 
  3. Crescita del PIL
  4. Crescita dei salari
  5. Crescita del debito
  6. Programmi di assistenza governativi in crescita

Gli indicatori della “scala mobile verso il basso” sono

  1. Offerta energetica cara da produrre
  2. Offerta di energia che cresce lentamente
  3. La crescita del PIL ritarda o declina
  4. I salari arrancano
  5. L'eccezionale debito tende a contrarsi
  6. Incapacità in aumento di finanziare i programmi di governo


I due ammazza-accordi rispetto a queste due Scale mobili sono

  • Passare dalla crescita dell'offerta di debito alla contrazione dell'offerta di debito. E' come passare dall'economia Keynesiana all'opposto. O dall'avere una carta di credito con un grande quantitativo disponibile al dover pagare il vecchio debito della carta di credito senza aggiungerne di nuovo. 
  • Incapacità in aumento di finanziare i programmi di governo


Le due ragioni sopraelencate sono il motivo per cui mi aspetto che problemi finanziari e governativi conducano alla fine dell'attuale sistema. I ritorni decrescenti stanno già conducendo a prezzi del petrolio più alti facendoci passare dalla scala mobile verso l'alto a quella verso il basso. Ho dei dubbi sul fatto che possiamo ristabilire un uso diffuso del debito diffuso a lungo termine dopo un collasso, perché per allora l'economia sarà chiaramente in contrazione. Si sente spesso la gente parlare di sbarazzarsi del sistema bancario a riserva frazionaria perché richiede la crescita per essere mantenuta, ma di fatto avere un sistema del genere è stato molto utile per permettere l'estrazione dei combustibili fossili e all'economia di usare metalli e cemento in quantità. La disponibilità di titoli è stata a sua volta utile. Una parte essenziale dell'economia di oggi sono le linee di approvvigionamento molto lunghe. Queste permettono che vengano fatti prodotti molto complessi, usando gli approvvigionamenti da tutto il mondo. Ciò che abbiamo scoperto nella crisi del credito del 2008 è che molte aziende (sia grandi che piccole) in queste catene di approvvigionamento sono state duramente colpite dalla mancanza di disponibilità di credito. Vedo questo problema come molto difficile da risolvere. Se non può essere risolto, dovremo affrontare il fatto di fare beni localmente tramite aziende più piccole e linee di approvvigionamento molto più corte. Sarebbe un sistema diverso da quelle che abbiamo oggi e probabilmente sosterrebbe una popolazione mondiale più piccola.

Molti “picchisti” penserebbero che in qualche modo sia possibile “scendere al piano rialzato” ed avere un'economia attuabile simile a quella di oggi con una piccola quantità di costose rinnovabili più un continuo approvvigionamento di combustibili fossili. Ho difficoltà a vedere questo accadere realmente. Un problema è la probabilità che l'approvvigionamento di combustibile fossile declinerà rapidamente a causa del prezzo basso. Un altro problema potenziale è un grande taglio della disponibilità del credito che rende le transazioni difficili; un terzo problema sono i problemi governativi, in quanto le tasse sono inferiori a quello che serve per finanziare i programmi. In teoria potremmo tornare alla scala mobile verso l'alto se troviamo combustibili alternativi che soddisfino tutte le specifiche richieste - molto economici; disponibili in grandi quantità; in espansione anno dopo anno; che possano essere trasformati in combustibili liquidi simili al petrolio e non inquinanti. Ciò sembra improbabile adesso. Altrimenti, ciò che abbiamo è la “cosa” che che abbiamo oggi, finché dura. L'economia non si fermerà in un attimo. Abbiamo anche l capacità di riciclare le cose che non possiamo più usare, questo potrebbe essere più utile in un altro luogo. I pannelli solari che la gente possiede attualmente continueranno a funzionare per un po' (specialmente off-grid) e la rete continuerà probabilmente per un po'. Sappiamo che molte hanno vissuto in economie locali, prima che avessimo i combustibili fossili ed è probabile che sia di nuovo possibile. Certo è che viviamo in tempi interessanti.



martedì 18 marzo 2014

Toccare un nervo scoperto della tribù anti-scienza: Lawrence Torcello sulla disinformazione sul clima

Da “The frog that jumped out”. Traduzione di MR

Lawrence Torcello deve aver toccato un nervo scoperto della tribù anti-scienza, almeno a giudicare dagli insulti che sta ricevendo per questo articolo, (provate a cercare “Torcello” e “climate” su Google e vedrete cosa intendo). Nell'articolo, Torcello comincia dal terremoto del 2009 che ha colpito la città de L'Aquila, causando centinaia di vittime. Ne è seguito un processo in cui diversi scienziati italiani sono stati accusati di negligenza colposa e giudicati colpevoli. In alcuni casi, i giudici sono stati accusati di “medievalesimo”, ma in un commento al blog di Michael Tobis ho osservato che gli scienziati, qui in Italia, si sono fatti prendere dalla loro paura di essere etichettati come “catastrofisti” ed hanno finito per dire ai cittadini che non c'era ragione per preoccuparsi a causa di un possibile terremoto. Il collegamento con l'attuale dibattito sul clima è evidente e Torcello lo esamina qui in profondità.

Ugo Bardi 

La disinformazione sul clima è negligenza colposa? 

Di Lawrence Torcello 

L'importanza di comunicare chiaramente la scienza la pubblico non dovrebbe essere sottovalutata. Capire bene il nostro ambiente naturale e condividere quell'informazione può essere una questione di vita o di morte. Quando si tratta di riscaldamento globale, gran parte del pubblico rimane nella negazione riguardo una serie di fatti sui quali la maggioranza degli scienziati concorda. Con una posta così alta, una campagna di disinformazione dovrebbe essere considerata negligenza colposa. Il terremoto che ha scosso L'Aquila nel 2009 fornisce un caso di studio interessante di comunicazione raffazzonata. Questo disastro naturale ha lasciato più di 300 vittime e quasi 66.000 senzatetto. In una strana successione di eventi, sei scienziati italiani e un funzionario locale della Protezione Civile sono stati successivamente condannati a sei anni di prigione.


La sentenza è stata pensata comunemente per condannare gli scienziati che hanno mancato di prevedere un terremoto. Al contrario, come l'esperto di valutazione del rischio ha indicato David Ropeik, il processo è stato in realtà sul fallimento degli scienziati nel comunicare chiaramente i rischi al pubblico. Le parti condannate sono state accusate di fornire “informazioni inesatte, incomplete e contraddittorie”. Come ha dichiarato un cittadino:

Tutti sappiamo che i terremoti non possono essere previsti e che l'evacuazione non era un'opzione. Tutto ciò che volevamo era un'informazione più chiara sui rischi, in modo da fare le nostre scelte.

Il punto cruciale è che gli scienziati, quando sono stati consultati sulle scosse in corso nella regione, non hanno concluso che un terremoto devastante fosse impossibile a L'Aquila. Ma quando il Ministro della Difesa ha tenuto una conferenza stampa dicendo che non c'era pericolo, non hanno fatto alcun tentativo di correggerlo. Non credo che la comunicazione scientifica fatta male debba essere criminalizzata, perché fare questo probabilmente scoraggerebbe gli scienziati dal coinvolgersi col pubblico.

Ma la tragedia de L’Aquila ci ricorda quanto sia importante la comunicazione scientifica chiara e quanto ci sia in gioco riguardo alla comprensione pubblica della scienza. Altrove ho sostenuto che gli scienziati hanno un obbligo etico di comunicare le proprie scoperte quanto più chiaramente possibile al pubblico, quando tali scoperte sono rilevanti per la politica pubblica. Analogamente, credo che gli scienziati abbiano il conseguente obbligo di correggere la disinformazione pubblica in modo piì visibile ed inequivocabile possibile. Molti scienziati riconoscono questi obblighi morali civici. Il climatologo Michael Mann ne è un buon esempio; Mann di recente ha posto il problema dell'impegno pubblico in un editoriale sul New York Times: Se vedi qualcosa, dì qualcosa.

Disinformazione e negligenza colposa 

Tuttavia, i critici del case de L'Aquila si sbagliano se concludono che la negligenza colposa non dovrebbe mai essere collegata alla disinformazione scientifica. Considerate i casi in cui la comunicazione della scienza viene attaccata intenzionalmente per tornaconto politico o finanziario. Immaginate se a L'Aquila, gli scienziati stessi avessero fatto un tentativo di comunicare il rischio di vivere in una zona sismica. Immaginate che anche avessero raccomandato un piano scientificamente informato ma costoso di preparazione al terremoto.

Se quelli con un interesse politico o finanziario all'inazione avessero finanziato una campagna organizzata per screditare le scoperte riconosciute della sismologia, e per qualche ragione non ci si fosse affatto preparati, molti di noi sarebbero d'accordo sul fatto che in finanziatori della campagna negazionista sarebbero stati criminalmente responsabili delle conseguenze di quella campagna. Io sostengo che questo è proprio quello che sta succedendo con l'attuale e ben documentato finanziamento del negazionismo del riscaldamento globale. Molte più morti di quelle del terremoto de L'Aquila possono essere attribuite al cambiamento climatico e possiamo essere certi che le morti per il cambiamento climatico continueranno ad aumentare col riscaldamento globale. Ciononostante, il negazionismo climatico rimane un serio deterrente contro una significativa azione politica negli stessi paesi che sono maggiormente responsabili della crisi.

Finanziamento del negazionismo climatico

Abbiamo buone ragioni per considerare che il finanziamento del negazionismo climatico sia criminalmente e moralmente colposo. L'accusa di negligenza criminale e morale dovrebbe essere estesa a tutte le attività dei negazionisti climatici che ricevono un finanziamento come parte di una campagna per minare la comprensione pubblica del consenso scientifico.

La negligenza colposa viene normalmente intesa come risultato di mancanze nell'evitare pericoli ragionevolemtne prevedibili o la minaccia di danni alla sicurezza pubblica conseguente a certe attività. Coloro che finanziano le campagne di negazionismo climatico possono ragionevolmente prevedere la diminuzione della capacità del pubblico di rispondere al cambiamento climatico come risultato del loro comportamento. Infatti, l'incertezza pubblica riguardo alla scienza del clima, e la risultante mancata risposta al cambiamento climatico, è lo scopo intenzionale dei negazionisti motivati.

La mia argomentazione probabilmente solleva un comprensibile, se fuorviata, preoccupazione riguardo alla libertà di parola. Dobbiamo fare la distinzione cruciale fra la libertà di di ognuno di dire le proprie credenze impopolari e il finanziamento di una campagna organizzata strategicamente per minare la capacità pubblica di sviluppare ed esprimere opinioni informate. Proteggere la seconda come forma di libertà di parola forza la definizione di libertà di parola fino al punto di minarne il concetto stesso.

Cosa dobbiamo farne di coloro che stanno dietro al ben documentato finanziamento da parte delle multinazionali del negazionismo del riscaldamento globale? Coloro che si battono per assicurarsi che vengano date al pubblico “informazioni inesatte, incomplete e contraddittorie”? Credo che li capiamo correttamente se sappiamo che non solo sono corrotti e subdoli, ma criminalmente negligenti nel loro intenzionale disprezzo della vita umana. E' tempo che le società moderne interpretino e aggiornino di conseguenza il loro sistema legale.