venerdì 30 aprile 2010

La leggenda dei climatologi imbroglioni


Un giorno, i cammellieri dei deserti della Padania continueranno a raccontarsi la leggenda dei climatologi imbroglioni. 


Pochi giorni fa, uno dei membri del gruppo di "Climalteranti" è stato invitato a parlare  in TV. Quando ha chiesto qualche dettaglio su cosa si sarebbe detto nella trasmissione, la giornalista ha risposto che la trasmissione sarà dedicata, fra le altre cose a rispondere alla domanda, "perchè alcuni climatologi hanno falsificato i dati, denunciando una situatione peggiore di quanto effettivamente sia?

Insomma, la giornalista non si chiede se i climatologi hanno veramente imbrogliato, ma soltanto perché lo hanno fatto. Per lei, l'imbroglio è cosa assodata, nonostante che tutte le varie commissioni di inchiesta abbiano scagionato gli scienziati da ogni accusa. Le leggende si sa, hanno una vita propria e rapidamente diventano indipendenti da dati e fatti. E' probabile che in giro ci sia ancora un bel po' di gente che crede veramente che le fogne di New York siano piene di coccodrilli ciechi.

A sgonfiare la leggenda dei climatologi imbroglioni ci provano Stefano Caserini e Carlo Barbante con il post che segue (tratto da "Climalteranti"). Ottimo post, ma gli autori sono decisamente troppo ottimisti quando dicono che "il caso del trucco dei dati è chiuso". Ahimé, questa cosa dei climatologi imbroglioni probabilmente si continuerà a raccontare anche quando ci saranno le carovane di cammelli nei deserti della Padania.

Comunque, il post vale la pena di leggerlo. Eccolo qui di seguito

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Perché si è sgonfiato il Climategate /1 – Il trucco che non c’era

In questo primo post si mostra come la notizia diffusa in seguito allo scandalo “Climategate”, secondo cui i dati del clima erano stati “truccati”, fosse infondata.



Sono passati 5 mesi da quando, il 20 novembre 2009, scoppiò in tutto il mondo il “Climategate”.

Come si ricorderà, il furto dai server di un’università inglese di migliaia di email private, scambiate in un decennio da alcuni fra i più importanti scienziati del clima, suscitò un putiferio, fece gridare allo scandalo, chiamato in seguito con molta enfasi “Climategate”.

Già in quei giorni avevamo scritto che, sulla base di quanto si poteva leggere, era estremamente improbabile che ci fosse della sostanza scientifica in quella vicenda, e che la ritenevamo “un’altra delle polemiche senza vera sostanza, utili per illuderci ancora un po’ che possiamo non preoccuparci del riscaldamento globale“.

La maggior parte dei giornali e delle televisioni italiane, nonché molti blog che si occupano di clima, scrissero articoli molto diversi, dando per buone molte delle favole raccontate dalla grancassa negazionista italiana e straniera.

Con calma, esaminando le carte, si può ora dire che avevamo visto giusto, e avevano visto sbagliato quanti avevano anteposto ai fatti e alle risultanze scientifiche la propria volontà di non credere alla crisi climatica.

È ormai chiaro, come mostreremo in questo e in altro post, come le email avessero spiegazioni del tutto innocue, che non prevedevano l’alterazione dei dati della scienza del clima e ancor di più non mettevano in discussione l’onestà e la buona fede degli scienziati.

Cominciamo in questo post da uno dei casi più citati, la presunta falsificazione dei dati sul clima.
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“I’ve just completed Mike’s Nature trick of adding in the real temps to each series for the last 20 years (ie from 1981 onwards) and from 1961 for Keith’s to hide the decline”

Ho appena utilizzato il trucchetto usato da Mike [Mann, ndr] nell’articolo pubblicato su Nature di aggiungere le temperature reali a ciascuna serie degli ultimi 20 anni (cioè a partire dal 1981) e dal 1961 per quelli di Keith [Briffa, ndr]. per nascondere il declino”.

Questa è la frase incriminata, proveniente da un’email scritta da Phil Jones, che ha fatto il giro del mondo ed è stata ripetuta e commentata con sdegno migliaia di volte.

Le parole “trick” (trucchetto) e “hide the decline” (nascondere il declino) sono inequivocabili”, ha scritto sul Foglio Pietro Vietti, autore di numerosi articoli in cui la falsificazione dei dati viene data come fatto acquisito.

Secondo Roberto Vacca nelle email Mann e Jones “discutevano i trucchi per negare che ci fu un periodo caldo medioevale e nascondere misure recenti di temperature in diminuzione” (Nova-IlSole 24 ore del 4/2/2010).

Federica Paci ha scritto su La Stampa che Phil Jones si era dimesso a dicembre “per lo scandalo delle email che mostravano come i ricercatori avessero falsificato alcuni dati“.

Se le mail fossero vere” (e lo erano, ndr), il problema è che “queste lisciatine ai dati abbiano spinto nella direzione di evidenziare un riscaldamento che in realtà potrebbe non esserci stato“, diceva a milioni di persone sul TG2 Teo Georgiadis.

Le bugie e i trucchi sul clima“, ha titolato a tutta pagina il Corriere della Sera, che in successivi articoli ha dato come fatto acquisito che dalla vicenda sia emerso che i dati sul clima erano stati truccati.

Non so descrivere il mio disgusto quando ho letto alcune lettere confidenziali in cui risulta inequivocabile un enorme misfatto perpetrato contro i più elementari canoni della scienza“, è scritto in un articolo di Mario Tomasino sul Giornale dell’Ingegnere.

Figure non proprio adamantine” dediti all’attività di “utilizzare metodi scientificamente poco corretti per produrre e/o enfatizzare dei dati scientifici“, è la sentenza che si può leggere nel recente libro “Riscaldamento globale: la fine” di Angelo Rubino e Davide Zanchettin.

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Il “trucco” di cui si parlava nella email fra Jones e Mann era semplicemente un modo di dire, slang scientifico per indicare un modo per risolvere le discrepanze fra due serie di dati: i dati delle temperature misurate, che mostravano un chiaro aumento negli ultimi tre decenni, e i dati ricavati da alcune proxy dendrometriche, che mostravano invece una diminuzione dopo il 1961, dovuta all’incapacità di queste variabili proxy di misurare il riscaldamento del pianeta dovuto in larga parte all’attività antropica. In pratica, non si voleva certo non considerare le temperature dei termometri, ma anzi Jones comunica nella mail di voler di usare quest’ultime, al posto delle temperature ricostruite dalle serie dendrometriche che erano state giudicate non adeguate, in un diagramma sulla ricostruzione delle temperature degli ultimi 1000 anni.

Il problema della divergenza era ben noto nella letteratura (si veda la figura a fianco, pubblicata qui); il metodo del non considerare i dati divergenti era stato pubblicato nella letteratura scientifica, spiegato alla luce del sole, e accettato fra gli esperti del settore come un modo adeguato di elaborare i dati.

Per chi volesse approfondire, la vicenda è ben spiegata qui.

Per chi non volesse approfondire autonomamente, può essere utile tener conto che per far luce sulla vicenda, quattro diverse organizzazioni hanno istituito gruppi e commissioni di indagine, composti da persone di diverse competenze e provenienze.

1) Il Parlamento inglese ha istituito una commissione che dopo varie audizioni ha scritto un rapporto finale;

2) L’University of East Anglia ha attivato un’inchiesta, affidandola a scienziati esterni ed indipendenti, il cui resoconto completo è chiamato anche “Rapporto  Oxburgh“;

3) L’Università della Pennsylvania ha indagato l’operato di uno dei suoi docenti, Micheal Mann, con un responso inequivocabile;

4) Cinque giornalisti dell’Associated Press hanno letto e riletto tutte le email e hanno concluso che le email mostrano che gli scienziati erano interessati solo a mostrare i dati nel modo più convincente possibile.

Da queste quattro indagini emerge in modo lampante che nessuno ha truccato dati, ne Philip Jones, ne Michael Mann, ne altri.

Le conclusioni del rapporto Rapporto Oxburgh, hanno messo in evidenza che i ricercatori hanno lavorato in modo rigoroso e secondo i canoni della ricerca scientifica, evidenziando chiaramente le metodologie utilizzate e le incertezze associate alle ricostruzioni delle temperature nel corso degli ultimi secoli. Non ci sono evidenze che i ricercatori abbiano manipolato i dati, cosa che sarebbe stata facile da scoprire dalla commissione di esperti. Anche gli strumenti statistici utilizzati, seppur migliorabili, hanno prodotto un record di temperature robusto.

La CRU ha inoltre dimostrato come le ricostruzioni delle temperature a scala globale ed emisferica siano insensibili sia al metodo di trattamento dei dati che al numero di serie temporali utilizzate.

Il rapporto Oxburgh contiene anche una critica velata all’IPCC, responsabile, secondo gli estensori, di non aver tenuto in debita considerazione nel quarto Assessment Report (AR4) la discrepanza tra i record di temperatura ricostruiti attraverso gli anelli di accrescimento degli alberi e le ricostruzioni strumentali della temperatura, come già spiegato qui sopra. Leggendo il Capitolo 6 dell’AR4-WG1 ci si rende conto invece di come questo argomento sia trattato con enfasi, tanto da essere anche ripreso nel rapporto tecnico. Non è stato ripreso nel sommario per i decisori politici, come tante altre cose importanti contenute nel primo rapporto di valutazione.
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A distanza di 5 mesi, a “bocce ferme” si quindi può ritenere senza ombra di dubbio che l’uso della parola “trucco” era del tutto innocuo, e non prevedeva affatto un’alterazione dei dati.

È questa una cosa assodata, che è persino stata riconosciuta nell’audizione alla Commissione Parlamentare inglese da uno dei più attivi e storici negazionisti inglesi, Nigel Lawson, che è stato un vero e proprio pupillo di uno dei principali centri italiani di disinformazione sulla tematica climatica: “trick” è un modo di dire accettabile e non sta a significare che i dati siano stati manipolati” (…).
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Insomma, il caso del “trucco” dei dati è chiuso.

Testo di Stefano Caserini e Carlo Barbante

giovedì 29 aprile 2010

Tetterremoto (boobquake)



Vi segnalo un'iniziativa di Jen McCreight, del blog "blag hag," che si definisce "liberale, geek, nerd, scientifica, ateista e femminista perversa."

L'idea è partita da un'esternazione di un ayatollah iraniano (*), Kazem Sedighi che aveva sostenuto che i terremoti sono causati dall'immodestia delle donne. Di conseguenza, Jen McCreight ha proposto un esperimento chiamato "boobquake" (terremoto delle tette) che mi sono permesso di tradurre come "tetterremoto." L'idea era che il 26 aprile le donne avrebbero dovuto vestirsi con scollature più profonde possibile, compatibilmente con la pubblica decenza, e vedere se questo causava dei terremoti.

Con il titolo "in nome della scienza, offro le mie tette", il post di Jen McCreight ha avuto un successo strepitoso. Ecco la nostra Jen vestita per l'esperimento


Ora, questa cosa del tetterremoto è, ovviamente, molto divertente, ma vorrei anche dire che è un perfetto esempio di un esperimento scientifico fatto secondo le regole. C'è una ipotesi ("le scollature delle donne causano i terremoti") e una metodologia per provarla o scartarla: aumentare l'intensità della perturbazione e vedere se ha un effetto. Scientificamente è impeccabile.

I risultati: eccoli qui in forma di numero di terremoti al giorno.


L'effetto del tetterremoto sembra rientrare bene nei limiti della variazione statistica, come analizzato dalla stessa Jen McCreigh, nonostante il lieve aumento degli ultimi tre punti della curva. Conclusione: le scollature delle donne non provocano terremoti.

Ora, questo post lo giudicherete OT in un blog sul clima, ma secondo me non lo è affatto. Non vorrei entrare troppo in polemica, ma c'è un sacco di gente qui da noi che sulla questione climatica ragiona con lo stesso rigore scientifico dell'ayatollah iraniano citato in questa storia. Per esempio, lanciandosi in interpretazion del cambiamento climatico non supportate da prove ("E' tutto un complotto!") E c'è anche gente che da i tre ultimi punti di una curva trae delle conclusioni su tutta la storia di un fenomeno, come nel caso del lieve aumento dei ghiacci polari degli ultimi tre anni da cui concludono che la calotta polare sta tornando alla normalità.

Questi qui, dalla curva di cui sopra probabilmente darebbero ragione all'Ayatollah Sedighi e concluderebbero che, si, le scollature provocano i terremoti.


* Questo post non va inteso come un offesa nei riguardi dell'ayatollah Kamen Sedighi  che sono sicuro fosse bene intenzionato con il suo sermone, anche se la sua ipotesi si è rivelata scientificamente scorretta. Neppure, il post va inteso come offensivo verso gli ayatollah iraniani o l'Iran in generale; paese per il quale ho grande ammirazione e rispetto.

mercoledì 28 aprile 2010

Come vincere la guerra del clima



E' stato il presidente Jimmy Carter a dire che la crisi energetica degli anni '70 era "l'equivalente morale di una guerra". La crisi climatica ci richiede sforzi e sacrifici equivalenti a quelli per una guerra e forse maggiori. Possiamo vincerla in una società assestata sull'unico scopo di massimizzare i consumi? (foto: i marines a Iwo-Jima).



Con l'inizio della seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti si impegnarono in uno sforzo economico senza precedenti. Possiamo quantificare questo impegno dalla seguente tabella tratta dal blog di Stuart Staniford "Early Warning"


Da "early warning" Variazione della spesa federale negli Stati Uniti durante gli anni della seconda guerra mondiale. GDP, (Gross Domestic Product) = PIL (Prodotto Interno Lordo)

Come si vede, in pochi anni le spese per lo sforzo bellico degli Stati Uniti sono aumentate da poco più dell'1% a oltre il 37% del PIL. In un solo anno, nel 1941, sono aumentate del 270%.Evidentemente, gli Americani hanno fatto dei grossi sacrifici. Altrettanto vero che questi sacrifici sono stati fatti senza imposizioni dittatoriali e rimanendo in un sistema democratico.

Quindi, è possibile concertare uno sforzo comune per il bene generale. Il punto che fa Staniford nel suo post è che il surplus che ha la nostra società oggi è enormemente superiore a qualsiasi cosa che fosse disponibile per i nostri antenati che vivevano in società agricole. Se riuscissimo ad avere a disposizione il 37% del PIL dei paesi industrializzati avremmo delle immense risorse per risolvere il problema climatico, quello della sostenibilità e della crisi energetica. In pochi anni potremmo invertire la tendenza verso il disastro e, in qualche decennio, risollevare il sistema industriale con nuove risorse, riassorbire parte della CO2 emessa nel passato e sterzare in modo decisivo la società umana verso la sostenibilità.

Il problema è che non stiamo facendo niente del genere. Al contrario, le risorse di quelli che dovrebbero occuparsi di problemi reali sono sprecate in futili dibattiti; disperatamente cercando di frenare la marea montante di incompetenza e di propaganda anti-scienza.
 
Il vero disastro che abbiamo davanti sta in questo blocco decisionale che ci condanna all'inazione. Abbiamo ancora qualche anno di tempo - una breve "finestra di opportunità" che ci potrebbe ancora consentire di concentrare le risorse rimanenti per fermare le crisi in corso. Bisogna però raggiungere un livello di consenso, di condivisione sugli scopi da ottenere e soprattutto, sul fatto che questi scopi meritano un sacrificio da parte di tutti. Al tempo della guerra, si diceva che bisogna rinunciare al burro per avere i cannoni.

Per il momento, questo consenso non l'abbiamo ottenuto. Negli esempi storici del passato, siamo riusciti a ottenerlo soltanto focalizzando l'attenzione contro un "nemico" umano. Non ci sono esempi chiari di un consenso ottenuto su costruire qualcosa piuttosto che distruggerla. Qui è la grande sfida che abbiamo davanti: costruire un consenso sulla necessità di gestire il pianeta senza distruggerlo e in modo tale che ci siano risorse disponibili per tutti.

Ci riusciremo? Per il momento, sembra di no. Ma se è vero che - come nota Staniford - oggi abbiamo risorse che nessuna società del passato aveva, è anche vero che abbiamo mezzi di comunicazione, di studio, e di modellazione anche quelli immensamente superiori a qualsiasi cosa che le società del passato avevano. Se gli imperi di una volta erano ciechi davanti al crollo che li aspettava, noi possiamo sapere cosa ci aspetta e fare qualcosa per evitare il crollo. Forse, allora, questa guerra la possiamo anche vincere.

martedì 27 aprile 2010

Come perdere la guerra del clima

 

Un bombardiere Lancaster scarica bombe incendiarie sulla Germania durante la seconda guerra mondiale. Se i tedeschi avessero avuto radar migliori avrebbero potuto contrastare questi bombardamenti in modo efficace, ma la miopia e la stupidità dei politici nazisti aveva distrutto la ricerca avanzata sui radar nelle università tedesche. Una forma simile di miopia potrebbe renderci difficile combattere oggi contro le sfide globali del clima e dell'esaurimento delle risorse.


Il rapporto fra scienziati e potere politico è sempre difficile. A partire da Galileo, gli scontri si sono susseguiti con una serie storica di purghe che, in tempi moderni, includono la "caccia alle streghe" negli Stati Uniti negli anni '50, la rivoluzione culturale in Cina negli anni '70 e varie persecuzioni in Unione Sovietica ai tempi di Stalin e più tardi.

Questo è successo tutte le volte che gli scienziati hanno prodotto risultati che andavano ad avere un impatto su questioni politiche, economiche o sociali. Sta succedendo anche oggi quando i climatologi hanno cercato di mandare un avvertimento sulla questione del riscaldamento globale. Ovviamente, la cosa ha dei risvolti politici, economici e sociali e questo da fastidio a chi ha interesse a lasciare le cose come stanno.


Oggi, stiamo vedendo sui media un'ondata di anti-scienza che è diretta soprattutto contro i climatologi ma che rischia di sommergere tutta la scienza e gli scienziati. Il linciaggio mediatico che abbiamo visto ultimamente è solo il primo passo di una tendenza che, nella storia, ha portato a provvedimenti per licenziare gli scienziati o mandarli in esilio o, comunque, metterli in condizioni di non dare fastidio.

"La repubblica non ha bisogno di Scienziati" disse il giudice che aveva condannato Antoine Lavoisier alla ghigliottina. Il problema è che, oggi come allora, la repubblica ha bisogno di scienziati. Quantomeno, oggi ci sembra difficile pensare a una società moderna senza l'apporto della scienza e della ricerca; per cui gli scienziati non si possono ghigliottinare tutti. Anche i cinesi, dopo aver mandato gli scienziati a lavorare i campi al tempo della rivoluzione culturale si sono accorti che avevano perso degli ottimi ricercatori per guadagnare dei pessimi contadini. Alla fine li hanno richiamati indietro e il grande balzo in avanti dell'economia cinese è anche dovuto alla disponibilità di un sistema di ricerca efficiente e bene integrato.

Ma cosa devono fare gli scienziati per essere utili alla repubblica? Secondo certe interpretazioni, dovrebbero essere soltanto un supporto al sistema produttivo. Una specie di sistema di controllo qualità pagato dallo stato che anche aiuta gli industriali a fare prodotti migliori e più competitivi. Sembrerebbe che non pochi politici vedano gli scienziati esattamente in questi termini e non solo oggi. Vi faccio un esempio che risale alla seconda guerra mondiale. In un libro di Eckert e Schubert nel loro "Cristalli, elettroni e transistor", 1986, troviamo questo frammento di un discorso del 1937 di Hermann Goering, allora plenipotenziario al riarmamento della Germania.

L'addestramento di una nuova generazione di personale tecnico altamente qualificato per mezzo degli istituti di tecnologia, le università, le scuole tecniche, etc., è di importanza talmente critica per lo stato generale della tecnologia avionica che ho domandato al ministero della Scienza e dell'educazione poco dopo che siamo arrivati al governo di tener conto le speciali esigenze dell'aviazione nell'assicurare qualunque supporto personale tecnico…

Notate come vede il problema? Per l'aviazione, c'è bisogno di "personale tecnico". Goering era stato lui stesso un pilota di caccia durante la prima guerra mondiale e si rendeva conto benissimo di quanto fosse importante avere dei buoni aerei. Però non riusciva a rendersi conto che non bastava; non era sufficiente migliorare la tecnologia degli aerei per farli andare più veloci e più in alto. Occorreva pensare "fuori dalla scatola" per sviluppare tecnologie che dessero un vantaggio decisivo a chi le aveva - il radar per esempio. Ma "pensare fuori dalla scatola" richiede intelletti liberi. Non lo può fare del semplice personale tecnico, ci vogliono scienziati. Ma il governo nazista in Germania diffidava dei propri scienziati e fece in modo di cacciarne via molti dei migliori, (basta un nome: Albert Einstein).

Per tutta la guerra, l'impronta di questo atteggiamento di chiusura alla scienza si fece sentire sulle prestazioni del sistema militare tedesco. I tedeschi avevano ottimi aerei, ottimi carri armati, ottimi sommergibili. Ma gli alleati avevano sviluppato altri tipi di innovazioni. Il radar, in particolare, fu un'arma decisiva. Si disse che la bomba atomica aveva solo concluso la guerra ma che era stata vinta dai radar.


Il bello della faccenda è che la scienza necessaria per fare i radar era stata sviluppata in Germania. I radar alleati furono sviluppati da uno scienziato austriaco emigrato negli Stati Uniti, Karl Lark Horovitz. Erano basati su un semiconduttore chiamato "Germanio" e dal nome vi potete immaginare dove era stato scoperto. Insomma, fra i tanti altri errori che fece, il governo nazista commise anche uno specie di "suicidio scientifico." 

Combattere una guerra è cosa già abbastanza difficile; ma oggi abbiamo di fronte problemi molto più complessi, come il riscaldamento globale e l'esaurimento delle risorse. Di che tipo di scienziati abbiamo bisogno per risolverli? Molti sembrano pensare che abbiamo bisogno di quel tipo di "personale tecnico" di cui parlava Goering. Secondo questa visione, lo scienziato deve limitarsi a inventare gli aggeggi che gli viene richiesto di inventare. Siamo a corto di petrolio? Inventino qualche altra cosa che brucia: idrogeno, per esempio. Riscaldamento globale? Beh, continuiamo come prima a bruciare carbone; nel frattempo qualche scienziato inventerà un modo di seppellire la CO2 da qualche parte in modo che non dia fastidio.

Se, invece, gli scienziati vengono  a dire che per combattere il riscaldamento globale bisogna smettere di bruciare carbone.... eh? Chi si credono di essere?  Bisogna rimetterli al loro posto.

Quando il governo tedesco si accorse che i radar disponibili non erano abbastanza buoni per contrastare l'offensiva aerea alleata cercò disperatamente di rimediare rimettendo gli scienziati al lavoro sui radar. Ma era troppo tardi. La guerra era ormai perduta  - così come rischiamo anche noi di perdere la guerra del clima.

lunedì 26 aprile 2010

L'inferno è quando i politici si mettono a fare i climatologi

Nel seguito, potete leggere il resoconto di un interrogazione presentata dall'Onorevole Sergio Berlato, deputato al parlamento europeo, presentata giusto il mese scorso. Mi pare una bella illustrazione del concetto che avevo espresso in precedenza, ovvero che l'inferno è quando i politici fanno i climatologi.

Sarebbe impietoso andare a analizzare punto per punto questo sconclusionatissimo documento; ma almeno voglio notare qualche dettaglio.

Prendete allora la frase "Avete forse notizia che qualche animal-ambientalista si sia prodigato nel mettere una toppa a questo buco (nell'ozono) per salvare l’umanità?" Notevole: possibile che un europarlamentare non abbia mai sentito parlare neanche vagamente del Protocollo di Montreal del 1987 che ha abbattuto enormemente le emissioni di sostanze che riducono lo strato di ozono? Fra le altre cose, il trattato è stato ratificato dall'Unione Europea nel 1994 e quindi sembra che l'Unione non abbia ritenuto che il problema fosse una "bufala". Per sapere queste cose basta cercarsele su Wikipedia!

Per non parlare poi del concetto che "le evidenti condizioni climatiche riscontrabili anche in questi giorni in tutto il mondo, ancora più evidenti in tutta Europa e quindi anche in Italia, dimostrerebbero l’assoluta infondatezza delle previsioni eco catastrofiste, portando invece a pensare che il nostro pianeta possa andare incontro ad una fase di progressivo raffreddamento," E questo detto nel mese di Marzo 2010 che è risultato il più caldo della storia, da quando si fanno misure della temperatura globale.

A parte gli scherzi, tuttavia, cose come queste pongono dei veri problemi: il mandato degli elettori all'onorevole Berlato include il potere di improvvisarsi climatologo? Sapevano delle sue opinioni sul clima gli elettori che lo hanno votato? Che garanzie abbiamo che chi ci rappresenta si prenda la responsabilità delle conseguenze delle posizioni che prende? Sono interrogativi seri che vanno a toccare gli elementi di fondo del sistema democratico.


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http://www.sergioberlato.it/euronews_archivio_dettaglio.asp?newsl=102


INTERROGAZIONE DELL’ON. SERGIO BERLATO ALLA COMMISSIONE EUROPEA PER SMASCHERARE L’IMBROGLIO ECOLOGISTA SUI CAMBIAMENTI CLIMATICI


L’on. Sergio Berlato, deputato al Parlamento europeo e vice capo delegazione italiana del PPE (Partito Popolare Europeo) ha presentato un’interrogazione alla Commissione europea per smascherare l’imbroglio ecologista che vorrebbe accreditare la tesi del surriscaldamento del pianeta ad opera delle attività antropiche ed in particolar modo per l’emissione dell’anidride carbonica (CO2).Nella sua interrogazione l’eurodeputato vicentino si chiede se non sia giunto il momento di smascherare il grande bluff architettato ad arte dagli eco-catastrofisti che avevano profetizzato l’innalzamento della temperatura del pianeta con il conseguente scioglimento dei ghiacciai e l’inondazione dei continenti.

Secondo la maggioranza degli scienziati mondiali in buona fede, le evidenti condizioni climatiche riscontrabili anche in questi giorni in tutto il mondo, ancora più evidenti in tutta Europa e quindi anche in Italia, dimostrerebbero l’assoluta infondatezza delle previsioni eco catastrofiste, portando invece a pensare che il nostro pianeta possa andare incontro ad una fase di progressivo raffreddamento, fase ciclica considerata normale dagli esperti di clima perché già verificatasi sul pianeta anche in epoche passate.

Siamo sicuri di trovarci di fronte all’ennesima bufala orchestrata da alcune organizzazioni animal ambientaliste al servizio di alcune multinazionali che, per ottenere maggiori profitti dalle loro attività, assoldano le ben note organizzazioni animal-ambientaliste per terrorizzare la gente e richiedere alle istituzioni l’emanazione di provvedimenti inutili per la collettività ma molto redditizi per le tasche di ben noti soggetti.

Ricordiamo quanto avvenuto per l’altra bufala del buco dell’ozono? Per anni siamo stati terrorizzati dal pericolo di venire abbrustoliti dai raggi ultravioletti che ci arrivavano sulla testa attraverso questo fantomatico buco creatosi nell’atmosfera per colpa delle bombolette spray con le quali le nostre signore si spruzzavano la lacca sui capelli.

Avete più sentito parlare di questo buco nell’ozono? Avete forse notizia che qualche animal-ambientalista si sia prodigato nel mettere una toppa a questo buco per salvare l’umanità?
Vogliamo forse parlare dell’altra bufala dell’influenza aviaria o di quella suina, descritta come pandemie che avrebbero decimato la popolazione umana in Europa?

L’unico risultato che hanno avuto questi allarmi ingiustificati è stato l’impennata dei fatturati di alcune multinazionali dell’industria farmaceutica che hanno venduto ai vari governi milioni di dosi del vaccino antiinfluenzale per arginare un’emergenza inesistente.

Dietro agli ecocatastrofisti ci sono gli interessi economici di alcune multinazionali.

E’ arrivato il momento di smascherare l’imbroglio di questi impostori.


on. Sergio Berlato
Deputato italiano al Parlamento europeo

sabato 24 aprile 2010

Neanche se sparissero i ghiacci polari............


Estensione in miglia quadate dei ghiacci artici dal 1953 a oggi. Da skeptical science.

E' un tema comune quando si discute di cambiamento climatico di domandarsi che cosa ci vuole per convincere la gente. Quanto deve andare in su la temperatura per far capire ai più duri di comprendonio che l'atmosfera si sta riscaldando? Cosa deve succedere perchè la situazione appaia chiara nella sua drammaticità? C'è chi si è ridotto a dire che bisognerebbe che sparissero i ghiacchi artici per far capire le cose a certa gente.

Ma non sembra che basti nemmeno quello. Guardate i dati sull'estensione dei ghiacci polari, nella figura più sopra. La tendenza sembrerebbe evidentissima; ogni anno, in media, perdiamo qualcosa. Eppure l'argomento dell'estensione dei ghiacci è un cavallo di battaglia dei negazionisti climatici. Guardate gli ultimi tre inverni - c'è stata una leggera ripresa dal 2007 a oggi. Se poi guardiamo le estati polari, i livelli sembrano leggermente aumentati rispetto a - forse - il 2003. Ma la tendenza media rimane in discesa evidente. Tuttavia, questa lieve ripresa è stata sufficiente a molti per sostenere che "i ghiacci artici stanno tornando alla normalità" come ha fatto Anthony Watts con tanto di grafici colorati.

Da noi, ci ha pensato Guido Guidi a notare la ripresa del 2010, ritenendola sufficiente per smentire "i profeti di sventura".

Purtroppo, c'è poco da esultare su questa faccenda. La situazione appare chiara se guardate il dato relativo al volume di ghiaccio, piuttosto che alla sua estensione. E' qui, si va decisamente male (immagine da skeptical science) :


In sostanza, il lieve incremento dell'estensione dei ghiacci artici è un'illusione di ritorno alla normalità. Il fatto è che i ghiacci sono occasionalmente più estesi, ma sono più sottili. E quello che conta alla fine è che c'è sempre meno ghiaccio. Come del resto è logico: se la temperatura planetaria aumenta, il ghiaccio si fonde.

Eppure, anche di fronte a un fenomeno così evidente, c'è sempre qualcuno che riesce a pescare i dati che gli fanno comodo per cercare di convincere tutti quanti che il riscaldamento globale non esiste. E' quello che in inglese si chiama "cherry picking" e da noi "cercare il pelo nell'uovo". Ci saranno sempre delle piccole oscillazioni dell'estensione dei ghiacci artici (finchè ce ne saranno) e ogni volta che queste oscillazioni saranno nel senso di avere un po più di ghiaccio ci sarà sempre qualcuno che proclama "si torna alla normalità!"

Anche se i ghiacci artici spariranno completamente, troveranno sempre il modo di dire che hanno ragione loro.

venerdì 23 aprile 2010

Earth day: il giorno dopo


Il giorno dopo "il giorno della terra", qualche ulteriore riflessione sul tema da Giorgio Nebbia e Paolo Berbenni. (da "ilB2B.it")


Abbiamo incontrato il nemico... e il nemico siamo noi

Giorgio Nebbia e Paolo Berbenni parlano dell’istituzione della Giornata della Terra e dell’evoluzione della coscienza e della responsabilità in ambito ambientale

22/04/2010 

Cadono quest’anno quaranta anni dal 22 aprile 1970, dichiarato in tutto il mondo “Giornata della Terra”, Earth Day: l’inizio, di fatto, della "primavera dell'ecologia". Il 1970 arrivava dopo una lunga serie di contestazioni contro le esplosioni di bombe nucleari che facevano cadere su tutto il pianeta le loro scorie radioattive, contro la diffusione planetaria dei pesticidi clorurati persistenti, come il Ddt, i cui effetti nocivi erano stati rivelati pochi anni prima dalla biologa americana Rachel Carson; arrivava in un periodo in cui la popolazione mondiale, allora di 3,7 miliardi di persone, stava aumentando in ragione di cento milioni di persone all'anno e in cui, dopo la fine dell'occupazione coloniale, centinaia di milioni di famiglie, in Asia, in Africa, in America latina, rivendicavano il diritto a migliori condizioni di vita.

Il 1970 era arrivato nel pieno della disastrosa guerra del Vietnam nella quale l'esercito americano aveva impiegato diserbanti tossici per distruggere le foreste e la giungla in cui potevano rifugiarsi i partigiani Vietcong; le città industriali erano afflitte da un traffico congestionato e la loro aria era oscurata dai fumi industriali; il petrolio copriva vaste superfici del mare e gli incidenti industriali provocavano stragi di vite umane.

In quei giorni fu come se si aprissero gli occhi a un gran numero di persone: in un'epoca di grande sviluppo economico gli abitanti dei Paesi industrializzati si accorsero improvvisamente che le fumose ciminiere delle fabbriche non segnavano l'avanzata del progresso, ma buttavano nell'atmosfera polveri e sostanze cancerogene e acidi che andavano a finire nei polmoni dei cittadini, nei fiumi, sui boschi.

L'automobile, massimo segno del successo tecnologico, appariva improvvisamente un aggeggio che, invece di liberare dai vincoli dello spazio, costringeva a muoversi a pochi chilometri all'ora, tutti in fila, in mezzo a un'atmosfera inquinata da fumi, metalli, veleni. La plastica, trionfo dell'industria chimica sintetica, era un bellissimo materiale che, dopo l’uso, restava indistruttibile e copriva i mari, si fermava sugli argini dei fiumi, svolazzava per i campi coltivati. Il turismo assicurava riposo e divertimento a folle sempre maggiori, a spese della distruzione degli alberi e delle spiagge, riproducendo in riva al mare o nelle valli i rumorosi e inquinati modelli della vita urbana.

Il lavoro nelle fabbriche liberava grandi masse di persone dalla miseria secolare a prezzo di incidenti, avvelenamenti, morti, tanto che alcuni scrissero che "lavorare fa male alla salute". Il petrolio, i minerali, i prodotti forestali, i raccolti agricoli potevano trasformarsi in merci, in carta, in macchine ed energia, in cibo - beni abbondanti e a basso prezzo - soltanto perché i Paesi industriali costringevano i Paesi poveri a vendere quasi per niente le loro risorse naturali, lasciandoli con terre desolate, con i fiumi inquinati, con nuovi deserti.

Nella primavera di quarant’anni fa una nuova generazione di giovani, gli stessi delle lotte studentesche e operaie in California, a Parigi, a Berlino, a Milano, misero in luce i lati oscuri del progresso, si accorsero che le Università, i grandi scienziati, il potere economico e politico avevano tenuto nascosti gli aspetti negativi del "progresso" merceologico; furono scoperte parole magiche e sconosciute come "ecologia".

Qualcuno ricordò che il nome era stato inventato da un seguace di Darwin, un certo Ernst Haeckel, nel 1866, più di un secolo prima, ma la parola era rimasta sepolta nei laboratori e nelle cattedre universitarie i cui scienziati neanche potevano immaginare che la loro tranquilla e distinta disciplina potesse trasformarsi nella bandiera di una nuova contestazione.

La parola "ecologia" divenne allora domanda di un cambiamento verso un mondo meno violento e più ospitale per gli esseri umani; i sit-in, quelle forme di lezioni all'aperto dei campus delle università americane, riunivano migliaia di studenti e docenti di pre- stigio, autori di libri che chiedevano una nuova etica di vita nell'ambiente.

Il 22 aprile 1970 fu un evento importante anche in Italia; i movimenti ambientalisti in Italia erano appena nati - Italia Nostra esisteva dal 1955, il Wwf era stato fondato pochi anni prima, Legambiente sarebbe nata dieci anni dopo. La Federazione delle Associazioni Scientifiche e Tecniche (Fast) di Milano organizzò alla Fiera di Milano una grande conferenza internazionale i cui atti, purtroppo ormai una rarità bibliografica, contenevano un inventario delle forme di violenza contro l’ambiente. Amintore Fanfani, che allora era presidente del Senato, creò una commissione "speciale" invitando alcuni studiosi ad informare i senatori sui "problemi dell'ecologia".

La prima "giornata della Terra" rappresentò uno sti- molo culturale formidabile: un gran numero di persone - giornalisti e studenti, professori e comuni cittadini - si misero a pensare, a leggere, a scrivere, a parlare di ecologia. I cristiani si ricordarono che San Francesco aveva spiegato che gli esseri umani e gli animali e le parti inanimate della natura, come l'acqua e il fuoco, erano tutti “prossimo”, fratelli da trattare con rispetto e amore. Molti scoprirono che perfino gli austeri padri del comunismo, Marx ed Engels, contemporanei di Liebig, diDarwin, di Haeckel, avevano riconosciuto i legami fra gli esseri umani e la terra e la natura, e avevano avvertito che tali legami venivano rotti dal modo capitalistico di produrre. Alcuni si permisero addirittura di spiegare la fallacia del “Prodotto interno lordo” come indicatore bel benessere e dello sviluppo umano.

In quella lontana "giornata della Terra" di quarant’anni fa sui muri delle città americane apparve un manifesto in cui era riprodotta la vignetta di un fumetto, allora celebre, Pogo, un opossum umanizzato che, come molti personaggi dei fumetti, ironizzava sul comportamento, nel bene e nel male,degli umani. Pogo guardava un diligente ecologista che gettava per terra un foglio di carta straccia, e Pogo si chinava a raccoglierlo mormorando sconsolato: "Ho scoperto il nemico e il nemico siamo noi". Anche oggi quante volte si vedono delle degnissime persone, eminenti nella loro professione, che si dichiarano fedeli amici dell'ecologia, ma poi fanno a gara per sfrecciare su ingombranti Suv e per costruire suntuose ville (meglio se abusive) nei boschi e sulla riva del mare.Che cosa è rimasto di quella voglia di cambiamento, di quell’ondata di speranza?

Nel 1973 la prima crisi petrolifera offrì l’occasione al potere economico e finanziario per spiegare che quelle dell’ecologia era tutte favole, che occorreva energia a basso prezzo, che, in Italia, diecine di centrali nucleari avrebbero permesso di superare la crisi, che occorreva produrre e consumare più automobili, più merci, più plastica, diffusero l’illusione che la tecnica avrebbe risolto tutto. La breve stagione dell’austerità, promossa dalla sinistra nella seconda metà degli anni Settanta del Novecento, proponeva di sostituire il consumo della massa delle merci con spese per i servizi, dalla difesa del suolo, all’approvvigionamento idrico e alla depurazione delle fogne, alla ristrutturazione delle città, ma fu ben presto spazzata via.

Quarant’anni di conferenze, di chiacchiere, da Rio de Janeiro a Johannesburg, di promesse di sviluppo sostenibile, e oggi? La popolazione mondiale è aumentata a quasi 7 miliardi di persone, due miliardi di nuovi consumatori in Asia si affiancano aidue miliardi di abitanti dei Paesi già industrializzati affannandosi a bruciare carbone e petrolio, a produrre macchine e merci, a immettere nell’atmosfera gas nocivi e che alterano il clima, a gettare nelle discariche e negli inceneritori, miliardi di tonnellate all’anno di rifiuti, oltre cento milioni di tonnellate ogni anno solo in Italia; residui di plastica galleggiano addirittura sugli oceani. Grandi città costiere anche in Italia, spacciata come quarta o quinta o sesta potenza economica mondiale, gettano tranquillamente le acque di fogna non trattate nel mare e nei fiumi. Molti Paesi dell’Africa, dell’America Latina, dell’Asia sono devastati da guerre per lo sfruttamento delle riserve di minerali, di petrolio, per la distruzione delle foreste.

Si intensifica la rivoluzione merceologica per cui terre agricole sono impiegate per produrre biocarburanti, la fame di spazio per edifici, centrali, fabbriche, quartieri urbani, svettanti grattacieli simboli del lusso, rendono più fragili le collinee le coste, fanno aumentare frane e alluvioni; l’illusione della felicità implicita nel possesso di cose materiali rende miliardi di persone schiave del potere finanziario che si arricchisce vendendo pezzi di natura, addirittura speculando sul commercio dei gas serra.

Forse bisognerebbe fermarsi e guardarsi intorno, forse bisognerebbe riscoprire l’ecologia e le sue lezioni, forse occorrerebbe trasformare la rituale stanca e svogliata celebrazione annuale della ricorrenza del 22 aprile in una voglia di rilanciare un nuovo rapporto fra gli esseri umani con le risorse naturali, una nuova richiesta di giustizia nella distribuzione dei beni della Terra. Davvero, come diceva Pogo, occorre scoprire che il nemico siamo noi.

giovedì 22 aprile 2010

Earth Day: non vi sembra che la terra stia cercando di scrollarsi via di dosso gli esseri umani?


Una piccola riflessione per il "giorno della terra". Non è questione di salvare il pianeta: è questione di salvare noi stessi. 


Qualche anno fa, mi è capitato di sentire parlare Sharon Stone a un convegno sull'ambiente a Rimini. Poco dopo l'uragano Katrina e lo Tsunami dell'Indonesia, disse a un certo punto, "non vi sembra che la terra stia cercando di scrollarsi via di dosso gli esseri umani?"

Affermazione da "ecologia profonda" che mi sembra adatta per essere citata in occasione del "Giorno della Terra". Certo, se ci ragioniamo sopra in termini razionali, dire che la Terra sta cercando di scrollarsi gli umani di dosso è una fesseria. Però, è il contraltare dell'ondata di vago buonismo che si appiccica tutti gli anni a questa giornata. "Salviamo il pianeta" si dice. Fesseria ancora peggiore. E' vero che siamo perfettamente in grado di fare dei grossi danni all'ecosfera terrestre - ma sono danni fatti più a noi stessi che al pianeta.

La Terra non ha nessun bisogno di scrollarsi di dosso gli esseri umani. Le nostre emissioni di CO2 saranno riassorbite in tempi che sono difficili da stimare - forse migliaia di anni, forse centinaia di migliaia, ma comunque saranno riassorbite dal processo naturale di erosione dei silicati. Dopo di che, l'ecosfera terrestre continuerà indisturbata il cammino verso la sua vecchiaia; gia cominciato almeno un centinaio di milioni di anni fa. Un cammino che la porterà gradualmente a sparire fra qualche centinaio di milioni di anni - quando il sole sarà diventato troppo intenso per la vita terrestre.


Nel frattempo, abbiamo tutte le possibilità di fare molto male a noi stessi.

mercoledì 21 aprile 2010

Ma quanto CO2 viene fuori da questo benedetto vulcano?



Continuano le polemiche su questo benedetto vulcano islandese, che non è niente di eccezionale ma che ha avuto il cattivo gusto di andare a buttare un po' di polvere proprio dove passano le rotte Europee e intercontinentali dell'aviazione.

Allora - comincia ieri il sito "Information is Beautiful" a sparare una robusta fesseria dando per le emissioni del vulcano un valore di 15.000 tonnellate al giorno. E' un errore (se guardate il sito adesso, è stato corretto) - le emissioni reali sono molto maggiori: circa 150.000 tonnellate al giorno; ovvero circa 10 volte tanto. Ma il dato è stato ripreso dalla stampa internazionale, per esempio dal Guardian e da noi dal Manifesto. Dato che le emissioni dall'aviazione sono circa 350.000 tonnellate di CO2 al giorno, tutti hanno concluso che l'arresto dei voli causato dal vulcano ha generato una riduzione delle emissioni di CO2 nel bilancio totale, aggiungendoci varie considerazioni più o meno filosofiche.

Nel frattempo, è intervenuto il sito di Anthony Watts "Watts up with that" che fa notare la scemenza nella quantità di emissioni di CO2 e fa vedere il dato giusto. Ovviamente, non perde l'occasione di farne un'ulteriore attacco contro la scienza del clima sostenendo che per gli ambientalisti il CO2 del vulcano non conta mentre quello degli aerei si. Il concetto è illustrato con un bel disegnino che mostra il CO2 "buono" (faccina sorridente) emesso dal vulcano e il CO2 "cattivo" (faccina triste) emesso dagli esseri umani. Ci crediate o no, questo disegnino dal sito di Watts illustra la cattiveria degli ambientalisti:



Il bello della faccenda è che la conclusione iniziale di "Information is Beutiful" era comunque giusta, a parte l'errore numerico. La frazione di CO2 emessa dai vulcani è trascurabile rispetto alle emissioni umane. E il vulcano islandese, che non è che sia niente di speciale, non fa eccezione. Per scoprire questa grande verità bastava farsi un giretto in internet - io l'avevo detto in due post sull'argomento (qui, e qui)

Insomma, quelli che scrivono sui giornali e sui blog di successo sembrano sempre gente che è uscita dalla foresta una settimana prima, tanto sono ignoranti delle cose più elementari. Per altri, invece, la tentazione di attaccarsi a qualsiasi cosa pur di dir male della scienza e degli scienziati del clima è sempre fortissima, come per esempio nel caso del "vulcanone" che ho descritto qui.

Magari un giorno riusciremo ad essere un pò più seri in queste cose, ma per ora non ci siamo proprio.

martedì 20 aprile 2010

La scienza del clima ha sempre torto, anche quando ha il 100% ragione



"Un vulcanone che erutta! Che grande fortuna perchè: se le temperature scendono e’ colpa delle polveri emesse. Se le temperature restano stazionarie il vulcano ha mascherato l’aumento di temperatura dovuto all’AGW. E se le temperature salgono e’ sempre colpa della CO2 antropica che andandosi ad aggiungere anche quella del vulcano supera come volevasi dimostrare il tipping point. Certo che e’ bello stare in mainstream c’e’ una giustificazione per tutto. Anzi forse forse l’eruzione del vulcano e’ pure colpa dell’AGW." da Climatemonitor


Questo notevole paragrafo si trova su "climatemonitor" dove viene attribuito a Teo Georgiadis. Manca un link che ne confermi la paternità ma, indipendentemente da chi sia l'autore, illustra bene l'estrema superficialità con la quale certa gente abborda il problema climatico.


Georgiadis (o chi sia che scrive) elenca alcune ipotesi perfettamente lecite basate sul fatto che l'emissione di polveri dal vulcano avrà come effetto una certa riduzione della temperatura dell'atmosfera dovuta al loro effetto schermante. Queste sono cose ben note: è un fatto storico che le eruzioni vulcaniche molto intense hanno un temporaneo effetto di raffreddamento sulla temperature, come si vede bene in questa figura:


Ne consegue che se l'eruzione islandese si rivelerà molto forte, avrà effetti climatici di raffreddamento; altrimenti non li avrà. Ciononostante, il fatto stesso che gli effetti del vulcano siano perfettamente compatibili con quello che sappiamo del clima terrestre è per l'autore motivo di ironia; come se il "vulcanone" lo avessero fatto eruttare i climatologi per dar ragione alle loro teorie. In sostanza, per il nostro autore, qualunque cosa avvenga sarà comunque un fallimento della scienza del clima.

E' stato già notato che i negazionisti climatici sono riusciti a far passare uno standard per il quale l'IPCC può aver ragione il 99.9% delle volte e comunque quello 0.1% di errore lo mette dalla parte del torto (vedi il caso dei ghiacci dell'Himalaya). Al contrario, i negazionisti possono aver avere torto nel 99.9% dei casi, ma quello 0.1% di volte che dicono qualcosa di giusto li mette dalla parte di quelli che hanno ragione.

Qui, con questo paragrafo, l'autore è arrivato ancora più avanti: la scienza del clima ha torto anche quando ha il 100% di ragione.


Non so come siamo arrivati a questo punto, eppure ci siamo arrivati. Considerando poi che non c'è limite al peggio, non c'è di che essere ottimisti per il futuro.

lunedì 19 aprile 2010

La torre d'avorio dei nerd

George Mombiot sta pubblicando una serie di articoli sulla questione climatica che sono tutti estremamente ricchi di elementi di riflessione. Ne avevo già pubblicato uno, notando come Monbiot non è certamente tenero con gli scienziati, ma fa delle considerazioni inoppugnabili sulla necessità di smetterla di fare i nerd (cosa che condivido in pieno) e cominciare a capire che bisogna aprirsi al mondo reale e far vedere che la scienza serve a qualcosa.

Qui, Monbiot parte dall'audizione di Phil Jones al parlamento britannico per arrivare a una serie di brillanti considerazioni sulla separazione fra "le due culture" che ci ha portato a una situazione di ignoranza generalizzata: "Da quel punto in poi ci siamo separati in due culture e tale processo ci ha reso tutti degli idioti. Forse arriveremo a dividerci in due specie. Riproducendoci tra di noi, gli scienziati diventeranno presto così geneticamente isolati che non saranno più in grado di accoppiarsi con gli altri esseri umani."
 

Decisamente da leggere e da rifletterci sopra (ringrazio Carlo Fusco per la traduzione)

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Chiudersi dentro una torre d'avorio

La scienza e gli studi umanistici si guardano l’un l’altro senza capirsi: la colpa è del nostro stupido e ristretto sistema scolastico.

Di George Monbiot, pubblicato sul Guardian del 6 Aprile 2010. - Traduzione di Carlo Fusco.

I parlamentari sono stati davvero gentili col professor Phil Jones. Durante l’audizione il comitato sulla Scienza e la Tecnologia non ha chiesto all’uomo al centro della crisi delle email rubate di giustificare neppure la parte più importante delle accuse da cui egli doveva difendersi, ovvero il fatto che egli abbia esortato altri scienziati a cancellare il materiale oggetto della richieste di divulgazione conformi alla legge sulla libertà di informazione [NDT: Freedom of Information, FOI, ovvero un corpo di regole che garantisce l'accesso ai dati posseduti dallo stato] (1). La scorsa settimana il comitato ha reso pubbliche le proprie conclusioni e ha dato la colpa alla sua università per questa "cultura della segretezza" sulla quale era Jones a presiedere (2).

Forse i parlamentari Forse i parlamentari si sono orientati a suo favore a causa della prestazione disastrosa del suo capo durante l’audizione. Edward Acton, vice rettore dell’università della East Anglia si è mostrato in modo teatrale, untuoso e falso (3). D’altra parte Jones è sembrato allo stesso tempo mortalmente noioso e assolutamente onesto. Come ha potuto questo classico topo di laboratorio [NDT: Nerdy forma aggettivata di Nerd], chiaramente una brava persona, aver combinato un simile disastro?

Nulla di tutta questa storia ha alcun senso: il suo rifiuto intollerante di adempiere alla richiesta di rilascio dei dati non pubblici, la sua completa mancanza di reazione alla pubblicazione delle email rubate, il rifiuto di altri ricercatori di riconoscere che ci fosse qualche cosa che non andava in tutta questa vicenda. Ma ad un certo punto ho letto un articolo di un ricercatore informatico, Steve Easterbrook, e per la prima volta mi si è accesa una lampadina (4).

Easterbrook nel tentativo di difendere Jones ed i suoi colleghi, descrive una cultura ripiegata su se stessa nel quale il resto del mondo è solo una noiosa quanto incomprensibile distrazione. "Gli scienziati normalmente interagiscono solo con i loro colleghi. Noi viviamo una vita piuttosto protetta ... per uno scienziato, chiunque sia così stupido da provare ad ottenere dei dati scientifici con delle richieste di FOI abbastanza chiaramente si merita solo del disprezzo. Jones aveva semplicemente espresso (in privato) un sentimento comune alla maggioranza degli scienziati - ovvero una frustrazione estrema verso degli individui che chiaramente non capiscono."

Quando ho letto ciò sono rimasto colpito dalla vastità dell'oceano che divide i nostri due mondi. Per quelli di noi che si sono battuti per instaurare una legge sulla libertà di informazione tali richieste legali sono sacre. La promulgazione di tali leggi è stata una vittoria rara per la democrazia; queste sono tra i pochi mezzi a nostra disposizione per assicurarci che i politici ed i servitori dello stato debbano rispondere delle loro azioni ai cittadini. Quello che gli scienziati considerano triviale e fastidioso i giornalisti e i promulgatori della democrazia vedono come centrale e irriducibile. Noi parliamo lingue diverse e abitiamo mondi diversi.

So bene come questo possa succedere. Come quasi tutti quelli che hanno ottenuto una laurea scientifica, io ho lasciato l'università con un patrimonio di conoscenze recondite che non potevo dividere con praticamente nessuno. Non in grado di capire un qualsiasi soggetto che non fosse quello per cui ho studiato, mi sono sentito tagliato fuori dal resto del pianeta. La tentazione di ritirarmi in un posto sicuro è stata quasi irresistibile. Solamente l'estrema specializzazione che sarebbe stata necessaria per ottenere un dottorato di ricerca, cosa che mi avrebbe isolato come un anacoreta, mi ha dissuaso dall'intraprendere una simile strada.

Io ho odiato tale isolamento. Avevo un interesse appassionato per la letteratura, la storia, le lingue straniere e le arti, ma all'età di 15 anni sono stato costretto, come tutti gli studenti, a scegliere se studiare le scienze o le materie umanistiche. Da quel punto in poi ci siamo separati in due culture e tale processo ci ha reso tutti degli idioti. Forse arriveremo a dividerci in due specie. Riproducendoci tra di noi, gli scienziati diventeranno presto così geneticamente isolati che non saranno più in grado di accoppiarsi con gli altri esseri umani.

Noi detestiamo i mondi arroccati e recintati: il Vaticano e il suo congedarsi dagli scandali sulla pedofilia definendoli "chiacchiere inutili" (5), il Palazzo di Westminster [NDT: la sede delle due Camere del Parlamento del Regno] i cui membri non riescono a capire la furia popolare riguardo le loro spese, le forze di polizia che rifiutano di disciplinare gli agenti che non si attengono al proprio dovere (6). La maggior parte di noi abbraccerebbe volentieri la tesi di George Bernard Shaw che tutte le professioni sono delle cospirazioni contro la laicità. Gran parte della pubblica ostilità verso le scienze origina dalla percezione che queste sono possedute da una razza a cui noi non apparteniamo.

Ma succede che la scienza sia quel particolare mondo arroccato e recintato con la più efficace forma di autoregolamentazione: il processo di Revisione dei Pari [NDT Peer-Review, la procedura per la quale un articolo scientifico viene pubblicato solo dopo aver passato il vaglio congiunto di esperti del settore scelti dagli editori della rivista, normalmente due o tre]. Questo mondo è anche altamente competitivo e la competizione consiste nel tentativo continuo di stendersi a vicenda. L'apice del trionfo scientifico è quello di dimostrare la falsità di una teoria dominante. Questo succede molto raramente dato che solo le teorie che hanno resistito ad attacchi portati continuamente riescono a restare in piedi. Chiunque riuscisse a ribaltare i canoni della scienza climatica sarebbe immediatamente considerato come Newton o Einstein. Non c'è alcun premio nel concordare con i colleghi e degli incentivi tremendi nel provare i loro errori. Queste sono le circostanze meno favorevoli nelle quali si potrebbe schiudere una genuina cospirazione.

Ma non è più sufficiente per gli scienziati parlare solo tra di loro. Per doloroso e disorientante che sia, occorre che questi si confrontino con quella distrazione così irritante chiamata resto del mondo. Tutti debbono qualche cosa alla laicità e la scienza morirebbe se non fosse per i miliardi che ci spendiamo sopra. Gli scienziati non devono scendere a compromessi con la razionalità, ma hanno non di meno il dovere di capire il contesto nel quale essi operano. Non è più accettabile che i ricercatori del clima si barrichino nel loro mondo e lascino ad altri la difesa della loro professione.

Ci sono segni che tutto questo sta cambiando. Un importante membro della comunità di ricercatori che sostengono la validità del cambiamento climatico, Simon Lewis, ha appena inviato un lungo reclamo alla commissione di vigilanza della stampa [NDT: Press Complaints Commission, PCC] riguardo una falsa rappresentazione delle sue posizioni perpetrata dal Sunday Times (7). Il giornale ha sostenuto che la commissione intergovernativa sul cambiamento climatico [NDT: Intergovernmental Panel on Climate Change, IPCC] avrebbe affermato che il riscaldamento globale potrebbe distruggere fino al 40% della foresta pluviale amazzonica "basandosi su delle affermazioni arbitrarie di attivisti politici verdi con nessuna competenza scientifica" (8). Ed il giornale ha quotato Lewis suggerendo che egli supportasse questa storia. L'articolo e le sue affermazioni sono state riprodotte in tutto il mondo.

Ma tali affermazioni erano del tutto errate: ci sono solide ricerche che mostrano come un danno di tale portata è del tutto plausibile in Amazzonia (9, 10). Lewis afferma che il Sunday Times ha riportato la propria posizione in modo del tutto falso. Lui ha lasciato un commento sul sito web, ma questo è stato cancellato. Ha poi mandato una lettera al giornale, ma questa non è stata pubblicata. Solo dopo il reclamo al PCC il Sunday Times gli ha risposto. Il giornale ha lasciato un messaggio sulla sua segreteria telefonica che lui ha reso pubblico: "riconosciamo che la storia era sbagliata" (11). Dopo diverse settimane in cui il giornale ha tergiversato, finalmente il Sunday Times si è offerto di pubblicare la sua lettera. Ma non hanno né ritrattato l'articolo errato né pubblicato una correzione.

Buona fortuna a Simon Lewis, ma come la commissione di vigilanza della stampa ha mostrato col suo comportamento in occasione dello scandalo sulle intercettazioni telefoniche perpetrate dal giornale News of the World [NDT: http://en.wikipedia.org /wiki/News_of_the_World_phone_hacking_affair], è probabile che egli si troverà al di fuori dal recinto difensivo di un altro mondo arroccato su se stesso, il giornalismo, in cui i
meccanismi di autoregolamentazione chiaramente non funzionano (12). Ecco una professione che sembra davvero cospirare contro la laicità, persino dal suo interno.

L'incomprensione con cui gli studenti di scienze e discipline umanistiche si confrontano l'uno con l'altro è una tragedia di opportunità perdute. Una specializzazione precoce permetterà anche di competere in un mercato sempre più specializzato, ma non ci equipaggia con null'altro. Come il professor Don Nutbeam, vice rettore della Southampton University, lamenta, "le nuove generazioni imparano sempre di più su sempre meno cose" (13).

Noi veniamo privati da uno stupido sistema scolastico della maggior parte delle meraviglie del mondo, delle capacità e conoscenze necessarie alla sua navigazione e sopra tutto della capacità di comprensione reciproca. Il nostro ristretto, antiquato sistema educativo ci spinge a separarci come i protagonisti in un ritratto di Francis Bacon, ognuno rinchiuso all'interno di una scatola, incapaci di comunicare.

www.monbiot.com

Bibliografia:

1. http://www.publications.parliament.uk/pa/cm200910/cmselect/cmsctech/387/387ii.pdf

2. http://www.publications.parliament.uk/pa/cm200910/cmselect/cmsctech/387/387i.pdf

3. Watch from 01.29.30, at
http://www.parliamentlive.tv/Main/Player.aspx?meetingId=5979&player=windowsmedia

4. http://climateprogress.org/2010/03/29/how-scientists-think-peer-review-global-warming/

5. http://www.guardian.co.uk/world/2010/apr/04/pope-defiant-child-sex-abuse

6. http://www.monbiot.com/archives/2010/03/29/morality-policing/

7. http://climateprogress.org/2010/03/24/simon-lewis-jonathan-leake-richard-north-amazon-gate-ipcc-sunday-times-complaint-pcc/

8. http://www.timesonline.co.uk/tol/news/environment/article7009705.ece

9. DC Nepstad et al, 2004. Amazon drought and its implications for
forest flammability and tree growth: a basin-wide analysis. Global
Change Biology, 10, 704-717.

10. eg DC Nepstad et al, 2007. Mortality of large trees and lianas
following experimental drought in an Amazon forest. Ecology 88(9):
2259-2269.

11. http://climateprogress.org/2010/03/25/audio-sunday-times-leake-simon-lewis-ipcc-amazon-story/

12. http://www.guardian.co.uk/media/2010/mar/01/phone-hacking-pcc

13. http://www.guardian.co.uk/education/2009/nov/17/a-levels-degrees-narrow-education-broaden

domenica 18 aprile 2010

Vulcani, supervulcani e clima


  Il vulcano islandese dal nome impossibile di Eyjafjallajokull sta facendo dei discreti danni al traffico aereo e potrebbe farne ancora per un bel pezzo. Ma non ci si aspettano altro che effetti minimali a lungo termine sul clima. Ho già accennato agli effetti climatici di queste eruzioni, in questo post cerco di approfondire un po' la cosa.

I vulcani sono spesso cose molto spettacolari ma, in pratica, che effetto possono avere sul clima terrestre? Una cosa la possiamo dire con buona certezza: il loro effetto diretto - ovvero in termini di calore emesso - è praticamente nullo. I vulcani sono una manifestazione del calore geotermico che viene dall'interno della terra e questo calore è soltanto circa lo 0.01% del calore che arriva dal sole. I "grandi fornelli artici" ai quali qualcuno attribuisce la perdita dei ghiacci polari sono di gran lunga troppo deboli per avere un effetto del genere.

Quindi, l'effetto dei vulcani sul clima è dovuto al pulviscolo emesso ed è sempre di raffreddamento. Un effetto che, ovviamente, dipende dall'intensità dell'eruzione. La potenza di un vulcano si misura su una scala detta VEI (Volcanic Explosivity Index) che va da 0 a 8 e che, come le scale usate per i terremoti, è logaritmica. Ovvero, va su di un fattore 10 per ogni tacca. Il vulcano islandese ha un VEI non molto alto. Da quello che si legge sulla stampa, pare che sia intorno a 2-3. Non è di più di quello di altre eruzioni recenti, tipo quelle dell'Etna di qualche anno fa. Il problema è più che altro nel fatto che il pulviscolo emesso è andato a finire in zone abitate e zone agricole in Europa - queste ultime potrebbero riceverne danni non piccoli. C'è un post recente su The Oil Drum di David Summers ("Heading Out") che va a esaminare la questione. E' probabile, comunque, che se non succede niente di nuovo, questa eruzione non avrà effetti importanti - anche se potrebbe fare grossi danni al traffico aereo.

Tuttavia, ci sono stati dei vulcani ben più potenti del nostro Eyjafjallajokull. Per esempio, il vulcano Laki che è andato in eruzione nel 1783 - sempre in Islanda - ha causato carestie in Europa per via del pulviscolo che ha bloccato la radiazione solare. Potrebbero essere state queste carestie a scatenare la rivoluzione francese, pochi anni dopo. Pare che Laki avesse un VEI=6, ovvero fosse un buon mille volte più potente di Eyjafjallajokull. Sempre in quel periodo, Napoleone era partito per conquistare la Russia proprio nell'anno (1815) dell'esplosione del vulcano Tambora (VEI=7); cosa che ha causato un raffreddamento globale e qualche problema a Napoleone durante la ritirata da Mosca.

Ma ci sono state eruzioni anche molto più potenti di Tambora e quando si arriva a VEI=8 e oltre, si parla di un "supervulcano." Non c'è stato nessun supervulcano in tempi storici. Il più recente è quello noto con il nome di Ouranui, che ha eruttato in Nuova Zelanda 26500 anni fa. Ancora più potente (circa 5 volte tanto) è stata l'eruzione di Toba, a Sumatra, 74000 anni fa (vedi questo link). Non erano tempi storici, ma i nostri antenati "sapiens" esistevano già. Da quello che sappiamo, Ouranui non ha fatto danni agli esseri umani che sembra non esistessero in Nuova Zelanda. Molto peggio ha fatto Toba, che è stato un evento globale. Il raffreddamento che ne è seguito sembra abbia sterminato gran parte degli umani dell'epoca, riducendone il numero a meno di 10000. Tuttavia, per quanto tremenda sia stata l'eruzione di Toba, il suo effetto si vede appena nei record climatici, come si vede per esempio a questo link.

Insomma, i vulcani hanno brevi effetti di raffreddamento che possono causare gravi danni - specialmente se proprio in quel momento vi state ritirando dalla Russia. Ma non hanno effetti a lungo termine, nemmeno se sono dei supervulcani. Tutto questo ha una sua logica e si spiega molto bene nell'ambito della comprensione che abbiamo del sistema climatico. Quello che ha l'effetto più importante nel clima sono i gas serra, e le eruzioni vulcaniche - per quanto spettacolari siano - contribuiscono pochissimo alla variazione della concentrazione dei gas serra. Questo diagramma chiarisce la cosa molto bene (da un articolo di Lisa Moore):

 

Vedete che i vulcani degli ultimi decenni non hanno nessun effetto sulla curva. E' interessante notare come l'effetto dell'attività umana sia tanto più importante di quella naturale su queste scale di tempo.

Tuttavia, bisogna anche dire che l'attività vulcanica è fondamentale per determinare il clima terrestre - ma su scale estremamente lunghe rispetto a quelle che ci possono interessare. La terra emette ("degassa") CO2 dal suo interno attraverso l'attività vulcanica. Si ritiene (Derrill Kerrick, 2001) che il totale degassamento di CO2 annuale odierno sia intorno a 2x10^12 (duemila miliardi) di "moli" all'anno. Questo è molto poco dato che l'atmosfera contiene circa 6x10^16 moli di CO2, ovvero più di 10000 volte tanto. Invece, l'aumento che vediamo nella concentrazione di CO2 si spiega molto bene con la quantità di combustibili fossili che bruciamo

Ma su scale di tempi molto lunghe, il degassamento del CO2 - ovvero i vulcani - sono fondamentali per mantenere i livelli di CO2 nell'atmosfera a un livello tale da non trasformare il pianeta in un blocco di ghiaccio. Se non ci fossero i vulcani, la reazione del CO2 atmosferico con i silicati lo farebbe sparire completamente in qualche decina o centinaia di migliaia di anni e forse meno. Senza vulcani, la vita sulla terra sarebbe morta appena nata - anzi, probabilmente non sarebbe mai esistita.

Ma è anche vero che ci può essere troppo di una cosa buona: troppi vulcani possono emettere troppo CO2 e scaraventare il pianeta in una fase di surriscaldamento. E' il caso delle "grandi province magmatiche" che sono il "top" della classifica dei vulcani. Sono aree di centinaia di migliaia di chilometri quatrati (per intenderci, dell'ordine dell'area dell'intera Italia) che eruttano per centinaia di migliaia di anni. In queste condizioni, il degassamento di CO2 non è certamente trascurabile e - nel remoto passato - queste eruzioni hanno causato alcuni disastri veramente planetari. Da quello che sappiamo è stata una di queste grandi provincie che si è formata alla fine dell'era Paleozoica in Siberia a causare un riscaldamento planetario che ha portato all'estinzione di forse il 90% di tutte le specie esistenti all'epoca. Questa ed altre estinzioni di massa sono dei malfunzionamenti del ciclo "lungo" del carbonio che equilibra - più o meno - il CO2 che degassano i vulcani con quello che viene rimosso per reazione con i silicati.


Insomma, un argomento molto affascinante quello dei vulcani e dei supervulcani che, fra le altre cose, è una continua conferma delle fondamenta della scienza del clima, ovvero al fatto che i gas serra sono il fattore predominante nel determinare la temperatura dell'atmosfera.

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Si veda anche l'ottimo post di Steph sull'argomento. 

sabato 17 aprile 2010

Era glaciale ancora in ritardo: questo Marzo il più caldo della storia


Sono disponibili i dati del NOAA per le temperature del Marzo 2010. Stiamo accumulando record su record - questo Marzo è stato il più caldo in assoluto da quando si fanno queste misure.

Secondo il NOAA, la combinazione delle temperature medie delle terre emerse e degli oceani per Marzo ci da un "anomalia" (ovvero la differenza rispetto alla media del ventesimo secolo) di 0.77 gradi centigradi in più. Questo è, appunto, il Marzo più caldo mai misurato, nonché il trentaquattresimo in fila che risulta più caldo della media.

Sulle terre emerse, questo Marzo è stato il quarto più caldo mai misurato, mentre il record assoluto vale per le temperature degli oceani. Per quanto riguarda il primo trimestre del 2010, abbiamo il quarto anno più caldo della storia da quando si fanno queste misure.


Ulteriori dati li trovate sul sito del NOAA , comunque, dopo questo bel record (per così dire), mi piace citare quello che scriveva poco tempo fa Paolo Granzotto sul "Giornale" ovvero "qui non si scalda un bel niente".

A parte le battute di pessimo gusto da parte dei vari tromboni che scrivono sulla stampa, la situazione è particolarmente preoccupante in quanto questa impennata delle temperature sta avvenendo in una fase di minimo dell'attività solare che tenderebbe, invece, a portare a un certo raffreddamento. In più, c'è un effetto di raffreddamento dovuto al pulviscolo atmosferico generato dalle attività industriali. Nonostante questi effetti, tuttavia, la temperatura sale al di là di tutte le aspettative. In sostanza, si conferma ancora una volta (semmai ce ne fosse stato bisogno) che i gas serra, e in particolare il CO2, sono il fattore principale nel determinare la temperatura dell'atmosfera. Più CO2 mettiamo nell'atmosfera, più il pianeta si scalda - c'è poco da fare. (Ah.... già, ma ci sono delle email di dieci anni fa che dimostrano che è tutto falso.... sicuro!)

venerdì 16 aprile 2010

Bugie, bugie, bugie - seconda parte



La seconda parte del "debunking" di Lord Monckton, fatto da Peter Sinclair per la serie "L'imbroglione climatico della settimana" (la prima parte, la trovate qui). E' in inglese, ma vale la pena di guardarselo - è un inglese molto facile e Sinclair parla lentamente, scandendo le parole. Comunque c'è la trascrizione completa del testo sul sito.

Non varrebbe la pena perdere tempo dietro a un trombone come il cosiddetto "Lord" Monckton. Però, credo che sia importante osservare il meccanismo mentale di un mentitore di professione. E' affascinante vedere come quest'uomo riesce a sfruttare qualsiasi cosa si trova davanti per portare avanti la propria ideologia (o quella di quelli che lo pagano).

Qui, per esempio, Monckton va a esaminare l'evidenza geologica della fine dell'episodio glaciale detto "palla di neve terra" ("snowball earth"). Questo episodio è uno dei tantissimi elementi che confermano il meccanismo climatico dei gas serra, ma lui riesce a rivoltarlo in modo tale da interpretarlo come se desse ragione a lui.

E' l'apoteosi del mentitore di professione che si autoconvince di quello che dice e poi - forse - crede davvero, come Monckton, di aver trovato la cura dell'AIDS e della sclerosi multipla. Il problema, al solito, è che questa gente riesce anche a trovare chi gli da retta.

giovedì 15 aprile 2010

Il vulcano islandese: quali effetti sul clima?



La questione che viene subito fuori alla notizia dell'eruzione in Islanda è se avrà effetti sul clima, e quali.

Se si rivelerà veramente un'eruzione di grandi proporzioni, ne avrà certamente. I vulcani rilasciano polveri nell'atmosfera e questo fa aumentare la riflessione della luce solare causando un raffreddamento. L'effetto è comunque debole e limitato nel tempo come potete vedere in questa figura, dove troviamo la variazione globale della temperatura insieme con le eruzioni principali del ventesimo secolo.



In sostanza, l'eruzione islandese potrebbe darci un paio di anni di respiro, mantenendo la temperatura ai livelli attuali; salvo poi ripartire con il riscaldamento.

Una pausa ci potrebbe dare un po' di tempo in più per lavorare sulla riduzione delle emissioni. Ma, ovviamente questo farà peggio se i soliti negazionisti climatici sfrutteranno il possibile temporaneo raffreddamento per proclamare - al solito - che il riscaldamento globale è una bufala.

mercoledì 14 aprile 2010

Politici, contadini e scienziati


Al tempo del fascio, Mussolini si improvvisava contadino. Ancora peggio è quello che stanno facendo i nostri politici quando si improvvisano scienziati. Senza commenti, ecco la prima parte  dell'ottimo articolo di Antonio Cianciullo da "Repubblica" del 13 Aprile.



Italia, la mozione anti-europea che snobba la green economy


L'ha presentata la maggioranza al Senato e di fatto chiede all'Europa di abbandonare la linea che ha trasformato la Germania in uno dei leader mondiali nel settore efficienza e delle rinnovabili. E mette in discussione i dati forniti dall'IPCC: "Sono tesi catastrofiste"

di ANTONIO CIANCIULLO

L'Unione europea è malata di catastrofismo ma l'Italia può salvarla con una ricetta semplice semplice: via gli impegni a difesa della stabilità climatica, avanti con la vecchia economia basata sul petrolio e sul carbone. Mentre i paesi che fanno da locomotiva all'economia globale si sfidano sulla green economy per scire dalla crisi economica, la maggioranza che guida l'Italia ha presentato al Senato una mozione in cui si insegna la scienza agli scienziati dell'Ipcc (l'Intergovernmental Panel on Climate Change) e si chiede all'Europa di abbandonare la linea che ha consentito alla Germania di diventare uno dei leader mondiali nel settore efficienza e delle rinnovabili.

La mozione - firmata dai senatori D'Alì, Possa, Fluttero, Viceconte, Izzo, Sibilia, Nespoli, Vetrella e Carrara - prima mette in discussione "la serietà e la correttezza nella divulgazione dei dati forniti dall'IPCC, nonché la moralità di alcuni suoi principali esponenti". Poi, mentre la commissione parlamentare inglese conferma l'allarme legato al caos climatico, parla di "tesi catastrofiste basate sui contenuti dei rapporti Onu-Ipcc e di alcuni studiosi inglesi alle quali gli altri governi si sono criticamente accodati condividendo analisi, oggi rivelatesi errate e non sufficientemente supportate dal dato scientifico". Infine invita a far saltare l'obiettivo europeo al 2020 di una riduzione del 20 per cento dei gas serra, di un aumento del 20 per cento dell'efficienza energetica e di una quota del 20 per cento di energia da fonti rinnovabili richiedendo "l'attivazione in sede di Unione europea della clausola Berlusconi nel senso di dichiarare decaduto, in quanto non più utile, l'accordo del 20-20-20".

continua sul sito di Repubblica