lunedì 28 giugno 2010

Il pianeta e i nostri corpi.


Dei vari guai che ci affliggono, uno è l'epidemia di obesità che colpisce in particolare gli Stati Uniti. E' un vero disastro umano e economico; una ragione di sofferenza, malattie e morte precoce per decine - forse centinaia - di milioni di persone. Ne sappiamo anche le cause e i rimedi; eppure, non riusciamo a metterli in pratica. Il nostro corpo è un po' come l'intero pianeta, non riusciamo a gestire bene nessuna delle due cose.


Se vivi negli Stati Uniti per un po', non puoi fare a meno di notare come sia ossessiva e onnipresente la pubblicità dei fast food. C'è uno spot che mi è rimasto in mente; ancora dopo parecchi anni. Era la storia di una bambina che tornava a casa dopo essere stata in un campo scout o qualcosa del genere. Si intuiva che al campo le avevano dato da mangiare una sana dieta bilanciata, poveretta, dato che, in macchina con il babbo e la mamma, guardava con aria famelica tutti i ristoranti di fast food che incrociavano. Il babbo, diabolico, le faceva l'occhiolino e le diceva "niente patatine fritte al campo, vero?" e poi si fermava per portarla, tutta contenta, a mangiarsi una bella porzione di roba fritta e inzuppata nel ketchup e nella maionese.

E così quella bambina, con gli anni, sarebbe diventata una gran palla di lardo, anche se questo, ovviamente, non c'era nello spot. Infatti, un'altra cosa che non potete fare a meno di notare negli Stati Uniti è l'epidemia di obesità che pervade la nazione. E' una cosa che non si può descrivere; bisogna vederla per capirla. Qui da noi, per fortuna, le cose vanno meglio, ma il problema esiste.


Sappiamo cosa dovremmo fare per evitare questi problemi: dovremmo fare una dieta variata che comprenda giuste quantità di proteine, carboidrati e grassi. Ma, nella pratica, la dieta americana include quantità veramente eccessive di "junk food" ovvero "cibo spazzatura:" merendine, snack, panini, patatine fritte, bibite sintetiche, caramelle, dolci, biscotti, eccetera. Questo è il cibo che si mangia tipicamente nei ristoranti di fast food, ma è comunque una caratteristica della cucina moderna, soprattutto in termini di eccesso di carboidrati, anche di quella casalinga. I risultati si vedono, purtroppo.

Come è stato possibile ridursi in queste condizioni? In effetti, è stato il risultato inevitabile della nostra struttura economica e decisionale.

La prima causa dell'epidemia di obesità è la politica dell'industria alimentare. Come per tutte le industrie, la salute della gente non è cosa di cui loro si debbano occupare; il loro scopo è vendere i loro prodotti. E, per vendere, bisogna fare pubblicità. Avvertire la gente del danno che viene da una dieta scorretta è compito di altre entità, come la FDA (Food and Drugs Administration). Così, da una parte vediamo il bombardamento mediatico ossessivo che invita a mangiare cibo spazzatura; dall'altra comunicati che invitano a mangiare cibo sano. Ben pochi sono i consumatori che sono in grado di valutare correttamente i messaggi contraddittori che ricevono. E' una forma di vera schizofrenia sociale e specialmente i poveri non hanno gli strumenti culturali per riuscirci e sono i più colpiti dall'epidemia di obesità.

C'è poi un altro effetto perverso che favorisce il cibo spazzatura: il suo costo. Il cibo ad alto contenuto di carboidrati (merendine, bibite, patatine, ecc.) è quello che fornisce la maggior quantità di calorie a parità di costo. In confronto a una merendina o alle patatine inzuppate nel ketchup, una quantità equivalente di calorie in forma di spinaci o broccoli è molto più costosa. Così, quello che succede è che la gente ottimizza il valore del dollaro in termini di calorie alimentari, senza preoccuparsi del danno che si procura a lungo andare in termini di obesità e di altri problemi di salute.

Questi fattori sociali ed economici che portano la gente all'obesità sono esattamente gli stessi che ci portano a surriscaldare il pianeta. L'industria dei fossili gioca lo stesso ruolo dell'industria alimentare nel promuovere aggressivamente i propri prodotti, denigrando il più possibile le alternative, come pure chi si preoccupa del riscaldamento globale. Lo scopo dell'industria dei fossili è di vendere i propri prodotti, non di preoccuparsi del surriscaldamento del pianeta. Così, anche qui ci troviamo di fronte a una forma di schizofrenia sociale in cui il pubblico è bombardato di messaggi contraddittori senza avere gli strumenti culturali per discernere

Poi, avere energia sana - così come mangiare sano - costa ancora abbastanza caro. Così, anche per quanto riguarda l'energia, tendiamo a ottimizzare il valore del dollaro (o dell'euro) in termini di chilowattora prodotti. Quindi, continuiamo a usare i combustibili fossili senza preoccuparci dei danni che ci procuriamo a lungo andare. E' una specie di epidemia planetaria che non riusciamo a controllare.

Per evitare questi danni, bisognerebbe cominciare a pensare a lungo termine. Dovremmo evitare la trappola mortale del profitto immediato e fornire al pubblico delle informazioni chiare sui danni di certi comportamenti. Ma non lo stiamo facendo. L'epidemia di obesità continua, come pure continua il riscaldamento globale.


(Per fortuna, l'epidemia di obesità sembra mostrare qualche segno di rallentamento negli Stati Uniti. Magari succedesse lo stesso per il riscaldamento globale!)

domenica 27 giugno 2010

Chiodo non scaccia chiodo: il picco non ci salva dal riscaldamento globale



Picco del petrolio o riscaldamento globale, qual'è il problema più importante? Difficile dirlo, ma una cosa è sicura; non possiamo aspettarci di risolvere un problema con un altro. Ovvero: chiodo non scaccia chiodo.


Quello di Parigi, nel 2003, fu il primo convegno ASPO - l'associazione per lo studio del picco del petrolio - al quale partecipai. Erano tempi in cui tutto era ancora nuovo per me; la prima volta in cui incontrai i grandi maestri del petrolio in carne ed ossa: Jean Laherrere, Colin Campbell, Kenneth Deffeyes, Ali Morteza Samsam Bakthiari e tanti altri.

A quel convegno, non ero il solo che rimase impressionato dal messaggio di ASPO. Mi ricordo che a un certo punto qualcuno del pubblico prese la parola; evidentemente piuttosto scosso. Disse, più o meno, "non è possibile che abbiamo sprecato tanto tempo a preoccuparci del clima per poi accorgerci che il petrolio finisce e allora finisce anche il problema del riscaldamento globale".

Quel tale aveva torto marcio, come mi accorsi più tardi. Ma, in quegli anni, mi parve veramente che il picco del petrolio avesse tolto importanza al riscaldamento globale. Certo c'era stata la grande ondata di calore estivo del 2003  che provocò la morte di decine di migliaia di persone in Europa. Ma a me sembrò più che altro un evento speciale, non un sintomo di una tendenza. Gli scenari dell'IPCC indicavano un graduale riscaldamento che si stemperava all'orizzonte verso la fine del ventunesimo secolo. Invece, il picco del petrolio veniva previsto entro un decennio e il solo concetto di "picco" indicava qualcosa di drammatico, un cambiamento epocale. Sembrava veramente che fosse fuori luogo preoccuparsi di eventi lontani e poco definiti come le temperature della fine del secolo.

Eppure, via via che mi approfondivo l'argomento del petrolio, mi accorgevo che non potevo trascurare la questione del clima. Con gli anni, credo di aver capito bene come stanno le cose. Per centinaia di milioni di anni il clima è stato controllato (e tuttora lo è) dallo scambio di carbonio fra l'atmosfera e il sottosuolo. Quel carbonio che si trova sottoterra non è lì per essere bruciato da noi; è lì come risultato dei processi di controllo climatico che permettono la vita sulla terra. Tirarlo fuori, e bruciarlo è una cosa pericolosissima perchè andiamo ad alterare quei cicli che ci fanno vivere.

Messo il problema in prospettiva, mi è chiaro oggi che il riscaldamento globale non è da trascurare rispetto al picco. La fisica del riscaldamento è altrettanto chiara di quella dell'esaurimento del petrolio: come il petrolio si deve esaurire a furia di estrarlo, così il clima terrestre si deve scaldare a furia di immettere gas serra nell'atmosfera. Ma le incertezze sulle conseguenze del riscaldamento sono molto più grandi di quelle per l'esaurimento.

Del picco, in fondo, sappiamo tante cose. Tutte le previsioni che avevamo fatto nel 2003, al tempo del convegno ASPO di Parigi, si sono avverate o si stanno avverando: aumento dei prezzi petroliferi, produzione statica o in calo, recessione economica, guerre per il petrolio, crisi politica planetaria. Non sappiamo esattamente se il picco del petrolio sia già arrivato nel 2008, oppure debba ancora arrivare entro qualche anno. Ma non fa molta differenza. La strada è tracciata, sappiamo dove andiamo, sappiamo cosa dobbiamo fare: imparare a fare a meno del petrolio. Potremo riuscirci più o meno bene ma, di per se, il picco del petrolio non distruggerà la civiltà umana.

Ma per il riscaldamento globale, dove andiamo a finire, esattamente? E cosa possiamo fare nel caso si avverassero certi scenari estremi? L'IPCC parla di sei gradi in più come una possibilità reale per la fine del secolo. E' uno scenario fisicamente possibile dato che, nel remoto passato, ci sono stati periodi in cui alte concentrazioni di CO2 hanno portato a temperature del genere. Ma sei gradi in più sono sufficienti per distruggere quella cosa che si chiama "civilizzazione." Probabilmente ne bastano anche di meno per per distruggerci. Che danno ci possono fare i famosi "due gradi" in più che si cerca disperatamente di stabilire come limite massimo ammissibile? E in quanto tempo cominceremo ad avere questi danni? Chi ci dice che dovremo aspettare la fine del secolo?

Non c'è un limite preciso al danno che possiamo fare al pianeta e a noi stessi con il riscaldamento globale, e nemmeno un tempo preciso sul quale possiamo fare affidamento prima che arrivi il peggio. Questo fa paura, molta più paura di quanta non ne faccia la scarsità di petrolio.

Una cosa che abbiamo capito di recente è che il picco del petrolio non riduce le emissioni di CO2 nell'atmosfera; anzi, la ricerca disperata di "alternative" ci sta spingendo a tirar fuori combustibili "sporchi" (carbone, sabbie bituminose, eccetera) che fanno enormemente più danni. Insomma, chiodo non scaccia chiodo; il picco non ci salva dal riscaldamento.  Se non cominciamo a considerare entrambe i problemi insieme, non ci salveremo.

giovedì 24 giugno 2010

Clima: cambia il vento.

Di Ugo Bardi


I ghiacci artici sono al collasso (immagine da "the cost of energy"). Nonostante qualche patetico tentativo di nascondere la verità, la situazione sta diventando sempre più evidente; con il 2010 che si avvia a essere l'anno più caldo della storia. Questo è uno dei fattori che stanno portando alla sconfitta dell'azione propagandistica contro la scienza del clima che era cominciata l'anno scorso con il "Climategate"


L'offensiva del negazionismo climatico sta perdendo colpi. Era cominciata con grande fanfara con il furto dei dati dell'università di East Anglia, a Novembre del 2009 (il "climategate"). Con tanti soldi a disposizione, gentilmente forniti dalle Koch industries e da altre lobby dei combustibili fossili, l'onda mediatica del climategate sembrava in grado di travolgere completamente la scienza del clima. Gli scienziati erano resi oggetto di pubblico ludibrio con tecniche che ricordavano il tempo di Stalin; alcuni di loro portati vicino al suicidio. L'IPCC, criticata per ogni piccola imprecisione nei suoi rapporti, sembrava vicina a essere classificata, insieme ad Al Qaeda e il partito comunista, fra le organizzazioni da estirpare per il bene dell'umanità.

E invece, tutto sta cambiando. Il negazionismo climatico ha perso forza: a corto di argomenti, in discesa nei sondaggi, in generale difficoltà a mantenere l'offensiva. Vediamo cosa è successo ultimamente:

1. I sondaggi di opinione negli Stati Uniti indicano una chiara inversione di tendenza. Ci sono oggi molte più persone che ritengono che il riscaldamento globale esista e sia causato dall'attività umana di quante non ce ne fossero sei mesi fa, al momento di picco dell'offensiva del climategate. Si sa che i sondaggi vanno su e giù, ma questa è una forte indicazione che la strategia del climategate sta perdendo forza

2. I blog dei negazionisti climatici principali (climateaudit, wattsupwiththat, e altri) stanno perdendo lettori. Anche qui, si sa che i rating dei blog vanno su e giù; ma dopo il "picco" di attenzione del climategate abbiamo una chiara evidenza che i negazionisti si sono cacciati in un vicolo cieco.

3. A maggio, è uscito un editoriale sulla prestigiosa rivista "Science"a supporto della scienza del clima, firmato da 250 scienziati di prestigio, incluso 11 premi Nobel. Qualcuno, evidentemente, ha cominciato a capire che bisogna muoversi per contrastare la propaganda anti-scienza.

4. Un recente studio, pubblicato su PNAS, ha dimostrato come gli scienziati che sono convinti dell'interpretazione antropogenica del cambiamento climatico sono nettamente più attivi, pubblicano di più e su riviste migliori di quelli che invece negano quella interpretazione (vedi anche questo commento di J. Roff). Questo risultato è un duro colpo contro quelli che continuano a sostenere che la posizione negazionista sia scientificamente alla pari con quella standard.

5. Il Sunday Times si è visto costretto a ritrattare ufficialmente e pubblicamente un vergognoso attacco contro l'IPCC - accusata di aver esagerato il pericolo che il riscaldamento globale causa alla foresta pluviale amazzonica. Anche qui, dopo che l'IPCC era diventata un pò il bersaglio di tutto e di tutti, è un evidente segnale di un cambiamento di tendenza.

6. Christopher "Lord" Monckton - negazionista climatico a tempo pieno -  è stato demolito da John Abraham, professore dell'università del Minnesota.  Non solo demolito, ne è uscito letteralmente devastato: praticamente ogni cosa che Monckton dice è una bugia. E' uno psicopatico; un mentitore patologico. Monckton è rimasto così privo di argomenti che non ha potuto rispondere in altro modo che  prendersela personalmente contro Abrahms. Gli imbrogli di Monckton sono stati anche messi in luce in un recente articolo sul "Guardian". Monckton è un pagliaccio, certamente, ma non va sottovalutato perché c'è chi gli da retta. Questa sua disfatta è sintomatica della situazione.

7. Naomi Oreskes e Richard Conway sono usciti in pubblico con una fortissima accusa contro i "mercanti del dubbio" mostrando come i moderni negazionisti climatici stanno utilizzando le stesse tecniche usate nel passato dalla lobby del tabacco per negare il legame fra fumo e cancro. Anche questo è un sintomo della reazione in corso.


Ci sono altri esempi che dimostrano come il vento sta cambiando, anche se i nostri tronfi intellettuali sembrano un po' lenti ad accorgersene. Questo cambiamento si può attribuire a vari fattori. In parte è dovuto al fatto che il 2010 si sta rivelando un anno caldissimo, forse l'anno più caldo della storia. Questo lo si vede anche dalla situazione tragica dei ghiacci artici. C'era stato, ad Aprile, qualche patetico tentativo di far credere che  "I ghiacci ritornano!", salvo poi stare zitti quando si è visto come stanno veramente le cose.

Ma non è soltanto il caldo del 2010 che sta rovesciando la situazione mediatica. C'è anche una reazione da parte degli scienziati e da parte di tutti quelli che capiscono come stanno le cose. Gli scienziati rimangono - in generale - degli ingenui in campo comunicativo, ma alcuni hanno tirato fuori le unghie e hanno detto le cose come stanno, soprattutto negli Stati Uniti. C'è anche - evidentemente - la debolezza intrinseca delle argomentazioni dei negazionisti climatici che si sono ridotti a basarsi su sottili chiose di qualche messaggio scritto 10 anni fa.

Insomma, la battaglia non è ancora vinta, ma io credo che questa inversione di tendenza sia un momento storico. Continuiamo a tenere duro, ma possiamo aspettarci che la scienza del clima ritornerà ad essere il paradigma accettato - come è giusto che sia. A questo punto, potremo smettere di perdere tempo con inutili polemiche e tornare cercare soluzioni contro il disastro del riscaldamento globale. Su questo, dobbiamo ancora cominciare: il bello deve venire.

domenica 20 giugno 2010

La sconfitta dei mercanti del dubbio?





Qui sopra: risposte alla domanda se il riscaldamento globale sia in corso nell'ultimo sondaggio eseguito dalla Mason University. La gente è stata confusa non poco dall'offensiva dei negazionisti che è cominciata con il "Climategate" l'anno scorso ma c'è un'inversione di tendenza che fa ben sperare per il futuro.  


Sembra che la grande offensiva dei negazionisti climatici stia perdendo forza. I sondaggi indicano una netta inversione di tendenza dopo il momento di smarrimento che era seguito al "climategate". Negli Stati Uniti, che è un po' il banco di prova di tutto quello che succede al mondo, ci sono più persone oggi che credono che il riscaldamento globale esista e che sia causato dall'uomo di quante non ce ne fossero sei mesi fa. E' vero che questi sondaggi sono un po' stagionali, influenzati dal caldo e dal freddo, ma ancora non abbiamo avuto ondate di calore negli Stati Uniti, per cui non è questa la ragione dell'inversione.

Non siamo ancora ritornati ai valori di un paio di anni fa, ma questa inversione nella tendenza è particolarmente importante se pensiamo che l'operazione mediatica del climategate era partita con grande supporto finanziario e  - per un certo periodo - era parsa quasi inarrestabile. Si correva veramente il rischio di vedere la scienza del clima seppellita da una valanga di bugie; più o meno come era successo negli anni '80 ai "Limiti dello Sviluppo". Invece, la scienza sta riprendendo fiato e vigore.

Ci sono vari motivi che hanno portato a quello che sembra essere l'inizio del fallimento dell'offensiva dei mercanti del dubbio. Il primo - e forse quello fondamentale -  è l'estrema debolezza della posizione dei negazionisti. Se si sono ridotti a cercare di contrastare l'evidenza dei dati sperimentali sulla base di qualche messaggio scritto dieci anni fa, beh, vuol dire proprio che non hanno altri argomenti.

In più, abbiamo visto anche una certa reazione da parte degli scienziati. Certo, gli scienziati sono spesso dei pessimi comunicatori e - soprattutto - non sono preparati allo scontro sui media. Però, c'è un limite a tutto e molti scienziati, trascinati a forza nell'arena mediatica, hanno finito per mostrare i denti e rispondere a tono. Ne hanno ancora da imparare, ma sembra che molti abbiano capito che stare zitti e subire non è la strategia migliore.

Insomma, stiamo facendo meglio di quanto non si potesse pensare pochi mesi fa, anche se possiamo e dobbiamo fare di più e di meglio. In fondo, alla base dell'azione dei mercanti del dubbio c'è soltanto una banda di mentitori patologici la cui sola virtù è una certa capacità di manipolare quella cosa che si chiama "opinione pubblica". Possiamo batterli, soprattutto se pensiamo che abbiamo la verità dalla nostra parte. Non è un vantaggio da poco.

Ma la verità non vince da sola - ci vuole anche un po' di strategia. In fondo vi passo un testo di Juan Cole, un esperto di comunicazioni che pubblica una serie di considerazioni su come condurre il dibattito sul clima. Dalla lettura di Cole, ho tratto alcune raccomandazioni che vi passo qui di seguito.



1. Quello sul clima non è un "dibattito" è una lotta contro dei professionisti della disinformazione pagati dalle lobby dei fossili. Per cui, non vi aspettate che questi giochino secondo le regole - sono dei bugiardi professionisti. Dice Cole "E' un lavoro da macellaio"

2. Aspettatevi attacchi personali. Dato che i vostri avversari non hanno argomenti scientifici, faranno ricorso a bugie sul vostro conto cercando di mettervi in cattiva luce.

3. Non è una lotta ad armi pari: questi hanno molti soldi forniti dalle lobby e i soldi si tirano dietro i politici e la grande stampa. Dovete combattere con intelligenza, sfruttando bene i mezzi che avete. Anche se non potete pubblicare sui grandi quotidiani o apparire in TV, un messaggio ben costruito su un blog può sempre raggiungere chi lo può capire

4.  Non cadete nella trappola di mettervi a tu per tu con un negazionista climatico. I media vivono di controversia e i negazionisti vivono spargendo dubbi. Se vi mettete a dibattere in pubblico, farete un favore a negazionisti e giornalisti, ma non lo farete al pubblico e a voi stessi. Ricordatevi la vecchia massima "non metterti a discutere con un imbecille, chi ti sta intorno potrebbe non capire la differenza" Dice Cole. "Qualsiasi trasmissione che mette a confronto un negazionista climatico e un climatologo è automaticamente una vittoria per il negazionista, dato che si da spazio e legittimazione a una posizione falsa".

5. Insistete, insistete, insistete. Nella confusione mediatica, il messaggio deve essere ripetuto. Solo così finisce prima o poi per passare. Questa è una tattica che i negazionisti conoscono benissimo e sfruttano al massimo per diffondere bugie. Se diffondete verità, funziona ancora meglio

6. Fatevi il vostro blog. Credo che questo sia il punto fondamentale - quello che può veramente essere decisivo. Semplicemente: fatevi sentire. E nel mondo di oggi il mezzo più efficace per farsi sentire è attraverso i blog. E' il modo di raggiungere le persone intelligenti che possono capire il messaggio. Cole dice "ogni climatologo dovrebbe tenere un blog" ma non importa essere climatologi: farsi sentire è un dovere per tutti quelli che hanno capito le regole del gioco. Se ci tenete a voi stessi, ai vostri figli, ai vostri nipoti a tutti quanti e a questo pianeta, fatevi il vostro blog! Davvero, fatelo.


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Advice to Climate Scientists on how to Avoid being Swift-boated and how to become Public Intellectuals

Climate Scientists continue to see persuasive evidence of global warming and climate change when they speak at academic conferences, even though, as Andrew Sullivan rightly put it, the science is being ‘swift-boated before our eyes.’ (See also Bill McKibben at Tomdispatch.com on Climate Change’s OJ Simpson moment).

This article at mongabay.com includes some hand-wringing from scientists who say that they should have responded to the attacks earlier and more forcefully in public last fall, or who worry that scientists are not charismatic t.v. personalities who can be persuasive on that medium.

Let me just give my scientific colleagues some advice, since as a Middle East expert I’ve seen all sorts of falsehoods about the region successfully purveyed by the US mass media and print press, in such a way as to shape public opinion and to affect policy-making in Washington:

1. Every single serious climate scientist should be running a blog. There is enormous thirst among the public for this information, and publishing only in technical refereed journals is guaranteed to quarantine the information away from the general public. A blog allows scientists to summarize new findings in clear language for a wide audience. It makes the scientist and the scientific research ‘legible’ to the wider society. Educated lay persons will run with interesting new findings and cause them to go viral. You will also find that you give courage to other colleagues who are specialists to speak out in public. You cannot depend on journalists to do this work. You have to do it yourselves.

2. It is not your fault. The falsehoods in the media are not there because you haven’t spoken out forcefully or are not good on t.v. They are there for the following reasons:

a. Very, very wealthy and powerful interests are lobbying the big media companies behind the scenes to push climate change skepticism, or in some cases (as with Rupert Murdoch’s Newscorp/ Fox Cable News) the powerful and wealthy interests actually own the media.

b. Powerful politicians linked to those wealthy interests are shilling for them, and elected politicians clearly backed by economic elites are given respect in the US corporate media. Big Oil executives e.g. have an excellent rollodex for CEOs, producers, the bookers for the talk shows, etc. in the corporate media. They also behind the scenes fund “think tanks” such as the American Enterprise Institute to produce phony science. Since the AEI generates talking points that aim at helping Republicans get elected and pass right wing legislation, it is paid attention to by the corporate media.

c. Media thrives on controversy, which produces ratings and advertising revenue. As a result, it is structured into an ‘on the one hand, on the other hand’ binary argument. Any broadcast that pits a climate change skeptic against a serious climate scientist is automatically a win for the skeptic, since a false position is being given equal time and legitimacy. It was the same in the old days when the cigarette manufacturers would pay a ‘scientist’ to go deny that smoking causes lung cancer. And of course we saw all the instant Middle East experts who knew no Arabic and had never lived in the Arab world or sometimes even been there who were paraded as knowledgeable sources of what would happen if the United States invaded Iraq and occupied it.

d. Journalists for the most part have to do as they are told. Their editors and the owners of the corporate media decide which stories get air time and how they are pitched. Most journalists privately admit that they hate their often venal and ignorant bosses. But what alternative do most of them have?

e. Journalists for the most part do not know how to find academic experts. An enterprising one might call a university and be directed to a particular faculty member, which is way too random a way to proceed. If I were looking for an academic expert, I’d check a citation index of refereed articles, but most people don’t even know how to find the relevant database. Moreover, it is not all the journalists’ fault. journalism works on short deadlines and academics are often teaching or in committee and away from email. Many academics refuse (shame on them) to make time for media interviews.

f. Many journalists are generalists and do not themselves have the specialized training or background for deciding what the truth is in technical controversies. Some of them are therefore fairly easily fooled on issues that require technical or specialist knowledge. Even a veteran journalist like Judy Miller fell for an allegation that Iraq’s importation of thin aluminum tubes in 2002 was for nuclear enrichment centrifuges, even though the tubes were not substantial enough for that purpose. Many journalists (and even Colin Powell) reported with a straight face the Neocon lie that Iraq had ‘mobile biological weapons labs,’ as though they were something you could put in a winnebago and bounce around on Iraq’s pitted roads. No biological weapons lab could possibly be set up without a clean room, which can hardly be mobile. Back in the Iran-Iraq War, I can remember an American wire service story that took seriously Iraq’s claim that large numbers of Iranian troops were killed trying to cross a large body of water by fallen electrical wires; that could happen in a puddle but not in a river. They were killed by Iraqi poison gas, of course.

The good journalists are aware of their limitations and develop proxies for figuring out who is credible. But the social climbers and time servers are happy just to host a shouting match that maybe produces ‘compelling’ television, which is how they get ahead in life.

3. If you just keep plugging away at it, with blogging and print, radio and television interviews, you can have an impact on public discourse over time. I could not quantify it, but I am sure that I have. It is a lifetime commitment and a lot of work and it interferes with academic life to some extent. Going public also makes it likely that you will be personally smeared and horrible lies purveyed about you in public (they don’t play fair– they make up quotes and falsely attribute them to you; it isn’t a debate, it is a hatchet job). I certainly have been calumniated, e.g. by poweful voices such as John Fund at the Wall Street Journal or Michael Rubin at the American Enterprise Institute. But if an issue is important to you and the fate of your children and grandchildren, surely having an impact is well worth any price you pay.




mercoledì 16 giugno 2010

Sconfiggere i mercanti del dubbio

Di Ugo Bardi


Naomi Oreskes e Charles Conway hanno pubblicato su "Nature" una sintesi del loro libro recente  "Mercanti di dubbio". L'articolo è estremamente interessante in quanto mette a nudo le tattiche e le bugie dell'attacco contro la scienza del clima concertato recentemente dalle lobby dei combustibili fossili.


Vi ho già passato un pezzo dell'articolo in un post precedente. Ora, Valerio Fabbroni lo ha tradotto in italiano. Purtroppo, non lo possiamo mettere per intero su questo sito per ragioni di copyright e quindi ne metto soltanto la prima parte. Credo che sia lecito comunque, scambiarsi questo articolo a livello individuale nell'ambito del concetto di "peer to peer". Per cui, se volete leggere il testo completo, mandate un messaggio a ugo.bardi chiocciola unifi.it oppure a Valerio Fabbroni a bobmouldisold chiocciola gmail.com, e ve lo spediamo via email.

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Sconfiggere i Mercanti del Dubbio
Di Naomi Oreskes e Erik Conway
Nature, Volume: 465, 10 June 2010

Traduzione di Valerio Fabbroni

Da quando Charles Keeling iniziò le misurazioni sistematiche sui livelli di biossido di carbonio nell'anno 1957–58 come studio per l'International Geophysical Year, gli scienziati hanno continuato a lavorare per capire gli effetti di questi cambiamenti atmosferici sul clima.

Fin dalla fine degli anni '70, venne formato un consesso per occuparsi del riscaldamento causato dall'uomo e, nel 1992, la Convenzione di studio delle Nazioni Unite incaricò i suoi firmatari per prevenire la pericolosa interferenza dell'uomo nel sistema climatico. Dopo quasi venti anni, i progressi registrati sono molto pochi.

Nel frattempo, i sondaggi d'opinione hanno ripetutamente mostrato come una gran parte dei cittadini statunitensi – e molti di quelli canadesi, australiani e parte degli europei – non credono alle affermazioni degli scienziati. Nel dicembre del 2009, il sondaggio di Angus Reid rivelò che solo il 44% dei cittadini statunitensi era d'accordo sul fatto che il riscaldamento climatico fosse causato principalmente dalle emissioni dei veicoli e delle industrie”1. Non ci sono stati cambiamenti rilevanti nell'accettazione da parte del pubblico delle conclusioni scientifiche dal 19802, con l'opinione pubblica che confonde gli argomenti, credendo, ad esempio, che il buco nell'ozono è la causa principale del cambiamento climatico3.

Una delle ragioni per le quali il pubblico è confuso è dovuto al fatto che ci sono state persone che hanno voluto disorientarlo, per gran parte con campagne sovvenzionate proprio con l'intento di mettere in dubbio il cambiamento climatico.

Il 'commercio del dubbio' è una vecchia strategia; funziona, perché se la gente pensa che la scienza è opinabile, sarà alquanto improbabile che essi sostengano politiche pubbliche che si appoggino sulla scienza stessa.

Così come riportiamo nel nostro nuovo libro, Merchants of Doubt (Mercanti del Dubbio), questa è una strategia che è stata perseguita, spesso dalle stesse persone, per combattere l'idea che il fumo di sigaretta causasse il cancro, che le piogge acide o il buco nell'ozono fossero causati dall'inquinamento creato dall'uomo, che il pesticida DDT dovesse essere bandito, che il pianeta si stia riscaldando o, anche nel caso si riscaldi, che tutti dovremmo iniziare a preoccuparci. Malgrado questa lunga storia, gli scienziati sono male equipaggiati e mal preparati per affrontare i sofisti del dubbio.

Dalla fine degli anni '80, uno dei punti di riferimento delle affermazioni degli scettici e dei negazionisti del cambiamento climatico è costituito dal 'George C. Marshall Institute', un think tank di Washington DC; l'istituto fu fondato nel 1984 da Frederick Seitz, un fisico dello stato solido ed ex presidente della 'National Academy of Sciences', Robert Jastrow, un astrofisico e direttore del 'Goddard Institute for Space Studies', e William Nierenberg, un fisico nucleare a capo della 'Scripps Institution of Oceanography'. Tutti e tre erano uomini di successo, carismatici e brillanti e tutti e tre erano pervicacemente contrari al comunismo e forti sostenitori dell'iniziativa privata.

Nel 1984, queste persone unirono le loro forze per difendere il progetto dell'allora presidente Ronald Reagan, Strategic Defense Initiative, meglio conosciuto come 'Guerre Stellari'; ma solo pochi anni più tardi, l''indistruttibile e implacabile' nemico si disintegrò davanti agli occhi del mondo occidentale.
In questo periodo, i tre fisici avevano tutti passato la sessantina e si sarebbero potuti ritirare in pensione, felici nella consapevolezza di aver aiutato a vincere la guerra fredda; invece, diressero le loro attenzioni verso gli ambientalisti, che ai tempi venivano anche chiamati “watermelons” (cocomeri), verdi fuori e rossi dentro. Tramite l'istituto, iniziarono a sfidare le evidenze scientifiche dell'influenza dell'uomo sul cambiamento climatico.

Da notare che, mentre il Marshall Institute stava facendo i suoi primi passi all'inizio degli anni '80, Nierenberg era a capo di un gruppo peer-review, riunito dall'amministrazione Reagan per sminuire i danni causati dalle piogge acide, e Seitz stava lavorando per l'industria del tabacco. Dal 1979 al 1985, lo stesso Seitz diresse un programma per la R. J. Reynolds Tobacco Company, finanziando ricerche biomediche che poi vennero utilizzate per difendere i propri prodotti da chi sosteneva che il tabacco fosse responsabile del cancro, delle malattie cardiache e di altre patologie.

La storia dell'industria del tabacco è ampiamente documentata. Quello che è veramente importante da capire è in che modo l'industria riesca ad utilizzare le magagne della scienza a proprio vantaggio. A questo scopo, l'industria ha istituito il Council for Tobacco Research (originariamente Tobacco Industry Research Council, ma poi tolse di mezzo la parola 'industria' dopo esser stati consigliati da un'agenzia che si occupava di pubbliche relazioni), insieme a varie riviste, giornali e istituti, appositamente per pubblicare reclami. E ha ingaggiato scienziati per diffondere tutto questo, perché era ovvio che i dirigenti dell'industria del tabacco avrebbero perso credibilità, anche se spesso gli scienziati hanno poco e nessuna conoscenza di medicina, oncologia o epidemiologia.

continua.....

lunedì 14 giugno 2010

CO2: record assoluto di concentrazione


Sul sito della NASA, si legge che l'ultima misura della concentrazione del CO2 atmosferico è arrivata a 392.94 ppm (parti per milione). E' un record: nel passato milione di anni, circa, la concentrazione di CO2 non era mai salita oltre le 300 ppm. A questo ritmo non ci vorranno molti anni prima di arrivare a sfondare il limite delle 400 ppm.

Considerando che il CO2 è un gas-serra, non c'è da stupirsi se stiamo battendo record dopo record di temperature: il 2010 si sta configurando come l'anno più caldo della storia, da quando si fanno misure di temperatura.

E' impressionante questa crescita inarrestabile della CO2 nell'atmosfera. Ma la cosa più impressionante è come tanta gente continui a credere che il vero problema stia in qualche messaggio scritto da alcuni climatologi 10 anni fa.

sabato 12 giugno 2010

Il linciaggio dei climatologi

Di Ugo Bardi


In questo caldissimo Sabato di Giugno, mi è capitata sotto gli occhi la vignetta che vi riproduco qui sopra. Direi che non c'è bisogno di traduzione per il cartello "stop global warming," mentre vale la pena di notare che l'espressione "get him" ha una valenza aggressiva molto superiore a quella della sua traduzione letterale in italiano, "prendetelo".

Le vignette dovrebbero far ridere, ma questa è piuttosto agghiacciante e non solo per la temperatura alla quale si svolge la scena. Quello che vediamo si configura letteralmente come un linciaggio dei climatologi e di tutti quelli che sostengono la realtà del cambiamento climatico generato dall'uomo

La parola "linciaggio" viene dall'inglese "lynching" che pare a sua volta derivi da un giudice americano di nome "Charles Lynch" che non andava troppo per il sottile con le pene che comminava. Secondo alcuni, invece, viene da una parola cinese che indicava la pena capitale. Ma poco importa: il linciaggio è quando una folla fuori controllo uccide - di solito per impiccagione - persone che, in qualche modo, si sono messe al di fuori dalla comunità

Sotto molti aspetti, il linciaggio è una tradizione americana, diretto quasi sempre contro gli Afro-Americani. Non si sa quante siano state le vittime ma probabilmente sono state abbastanza da giustificare il termine "Olocausto dei neri". Per farvi un'idea di cosa è stato, potete dare un'occhiata al sito "without sanctuary." sono impressionanti le parole di John Allen, uno dei fondatori del sito, quando parla del "grilletto di freddo acciaio che sta dentro al cuore umano".

Ma sarebbe sciocco pensare che il linciaggio è solo una tradizione americana. L'eliminazione fisica delle minoranze è comune ovunque, magari sotto altri nomi. Le minoranze possono essere etniche, oppure intellettuali o religiose. Per il momento, nessun climatologo è stato linciato se non virtualmente. Ma l'atmosfera di odio e di violenza che pervade il dibattito non fa presagire niente di buono - come del resto vediamo in quella vignetta che ho messo all'inizio.

venerdì 11 giugno 2010

Climatologi, balocchi, cemento e quattrini

Di fronte all'infame campagna di odio e di bugie scatenata contro la scienza e gli scienziati che è stata scatenata da un gruppo di gente senza scrupoli, non sono pochi quelli che stanno cominciando a pensare che è ora di reagire. Qui, è Silvano Molfese che si leva qualche sassolino dalle scarpe dicendo le cose che vanno dette.




di Silvano Molfese



A causa dell emissioni di gas ad effetto serra prodotte dall’uomo (antropiche), la temperatura globale sta aumentando. Uno degli effetti più preoccupanti, legato all’innalzamento della temperatura, è la diminuzione delle produzioni agricole: tutto questo si sta verificando con una popolazione mondiale in aumento. Ed allora perché buttare fango sui climatologi per confondere l’opinione pubblica sul cambiamento climatico in atto?

Oltre due decenni addietro lo scienziato della NASA, James Hansen, dichiarò: “E’ ora di smetterla di perderci in chiacchiere, dobbiamo affermare che ci sono prove piuttosto concrete che l’effetto serra si sta facendo sentire” “Il mondo sembrava mobilitarsi per combattere il più vasto e complesso problema che l’umanità si fosse mai trovata di fronte”   però   “...un gruppetto di scettici del clima, molti dei quali hanno conseguito il dottorato grazie ai finanziamenti del settore petrolifero, riuscirono a collocare il cambiamento climatico nell’ambito del dibattito scientifico anziché considerarlo una triste realtà” (1)

In vista della conferenza mondiale sul clima di Copenaghen, il prestigioso Worldwatch Institute aveva dedicato il rapporto sullo “Stato del Pianeta 2009” al clima intitolandolo: “In un mondo sempre più caldo”; nella pubblicazione i ricercatori hanno spiegato in modo chiaro gli effetti delle emissioni antropiche di gas serra. Come indicatori evidenti del riscaldamento in atto possiamo prendere i ghiacciai; per esempio in Abruzzo il ghiacciaio Calderone in meno di cento anni ha perso oltre 3 milioni di metri cubi di ghiaccio. (nuke.ilcalderone.biz)



Ghiacciaio Calderone

Ma ecco che all’approssimarsi del vertice di Copenaghen, viene messa in circolazione la posta privata, risalente al 1999, scambiata tra alcuni climatologi. Inizia così una campagna diffamatoria contro gli scienziati del clima con l’intento di rendere inaffidabili le persone e, soprattutto, ciò che i climatologi sostengono.


Due pesi e due misure

Qualcuno ha incaricato dei predoni informatici di spiare e rubare la posta elettronica privata dei climatologi Michael Mann e Phil Jones: non contenti di ciò li hanno messi alla gogna mediatica e poi sono state aperte addirittura delle inchieste giudiziarie a carico di questi scienziati che sono finite in una bolla di sapone.

Per un grave incidente ad una piattaforma petrolifera nel Golfo del Messico gestita dalla BP, dal 20 aprile scorso si stanno disperdendo in mare tra 5 mila e 25 mila barili di petrolio al giorno! Inizialmente i dirigenti della società petrolifera dichiararono, mentendo, perdite giornaliere di mille barili di petrolio. E’ una grave catastrofe per l’ecosistema e per l’economia della pesca di una vastissima area. (Su http//petrolio.blogosfere.it Debora Billi ha scritto quasi ogni giorno su questa vicenda.) Se i dirigenti delle società coinvolte nel disastro, non riuscissero a ripristinare lo stato dei luoghi precedente l’esplosione della piattaforma, pagheranno di persona con qualche annetto al fresco?


La gabbia di ferro del consumismo

Qualche mese fa c’era chi non voleva vedere dentro al cannocchiale di Galileo; poi c’è stato chi proponeva il suicidio collettivo per i climatologi. (2)  In “Effetto Cassandra” ci sono numerosi articoli di Ugo Bardi sull’argomento. Facendo leva sull’immaginario collettivo, per far girare la giostra del consumismo più sfrenato, dopo anni e anni di bombardamento pubblicitario, il proverbio “usa le cose come cosa, non farti usare dalle cose come cosa” è stato sepolto da ogni genere di scorie, da milioni di colate di cemento e da miliardi di tonnellate di anidride carbonica.

Ma le reazioni di pancia si possono spiegare anche con questo forte attaccamento agli oggetti verso cui siamo portati come genere umano. Siamo intrappolati nella “gabbia di ferro” del consumismo. (3) Dopo alcuni decenni di massicci e sfolgoranti messaggi pubblicitari, l’auto è diventata il simbolo sacro a cui anteponiamo perfino gli affetti; qualche volta ho sentito dire: “tengo più a questa macchina che a mia moglie”. Siamo al culto dell’auto: di fatto molti l’ hanno messa al posto del proprio Dio!

L’auto non è solo una tonnellata e passa di ferro, vetro e gomma ma anche strade, cioè catrame, cemento, ferro e perdita di fertile terreno.  A Berlino il monumento che ricorda il genocidio degli ebrei (nella foto a lato) è costituito da parallelepipedi via via più alti: all’inizio tutto sembra visibile ma poi, andando avanti, ci si perde in un labirinto. Ebbene il consumismo, come il nazismo, è cresciuto poco alla volta e, passo dopo passo, ha annebbiato le nostre menti. 
   
Il consumismo si è trasformato in religione di stato, direi che è diventato religione mondiale.In TV i messaggi pubblicitari sono come il gatto e la volpe che riescono a truffare Pinocchio. I centri commerciali, luoghi del culto consumista, sono paragonabili al Paese dei balocchi: alla fine però si finisce asini, ovvero animali da fatica. Cosa potrebbe accaderci sulla strada dello spreco e dello sfrenato ricorso all’ usa e getta?

Questa confusione sui cambiamenti climatici, orchestrata dalla lobby del petrolio, fa comodo anche all’ industria del cemento.




Il ponte in primo piano, più nuovo, unisce gli stessi luoghi del secondo ponte più piccolo.


Con tratte di otto corsie si perdono circa 3 ettari di suolo per ogni chilometro di strada.

In Italia negli ultimi lustri sono stati costruiti molti doppioni e triploni (storcendo l’italiano), con i soldi pubblici.


A mali estremi, estremi rimedi.

In Italia, per produrre una sola tonnellata di cemento, si immettono in atmosfera ben 700 kg di anidride carbonica (4). In base ai dati pubblicati dall’AITEC  (www.aitecweb.com) per una produzione annua di 43 milioni di tonnellate di cemento (anno 2008) si immettono in atmosfera ben 30 milioni di tonnellate di anidride carbonica. Equivalgono alle emissioni di centonove centrali elettriche turbogas a metano della potenza di 100 MW !

Secondo il Rapporto Stern sarebbe urgente tassare le emissioni antropiche di CO2 con 85 dollari per tonnellata emessa. Se un euro vale 1,20 $ ogni tonnellata di CO2 emessa deve essere tassata per 70,8 euro. Questo significa 49,5 euro in più per tonnellata di cemento: è necessario internalizzare i costi di produzione per dare un chiaro messaggio al mercato. (5) Tassare la produzione di 43 milioni di tonnellate di cemento significa ottenere un gettito di 2,12 miliardi di euro. Se, per effetto delle imposte, la produzione di cemento si dimezzasse, con un miliardo di euro si potrebbe incentivare il solare termico. In alternativa al bonus sul gas, alle famiglie più povere si potrebbe dare un contributo a fondo perduto di duemila euro per istallare i pannelli solari termici: si otterrebbe un concreto risparmio energetico ed una duratura riduzione di gas serra per un milione di famiglie nel giro di due anni.

Oggi molte persone, nelle società definite sviluppate, dopo aver soddisfatto i propri bisogni primari; pensano a sostituire il televisore in ogni stanza e ad acquistare l’auto più potente; progettisti e costruttori delle TAV invece sono proiettati mentalmente al possesso dell’aereo personale e della nave con sommergibile incorporato come fanno i petrolieri più danarosi. (6) Queste spese furono definite consumi cospicui da Veblen.

Negli ultimi anni si è parlato molto di cambiamento, flessibilità, elasticità: tuttavia nell’ ultimo decennio, con le dovute eccezioni, oltre a fare ben poco di sostanziale per il riciclaggio, il risparmio energetico, la conservazione dei suoli agricoli e forestali, si ostacolano in tutti i modi queste iniziative; saranno gli effetti della pigrizia mentale di una consistente fetta del club manageriale (inter)nazionale concentrata sul Jet privato?

E pensare che in Italia, solo per fare la raccolta differenziata dei rifiuti porta a porta, si dovrebbero aggiungere oltre quarantacinquemila operatori: non è cosa da poco in un momento di grave crisi occupazionale. (*)

Forse i climatologi sono attaccati perché molti di questi scienziati si occupano di previsioni meteorologiche. I climatologi hanno conquistato credibilità perché ogni giorno milioni di persone nel mondo hanno modo di apprezzare l’elevata attendibilità delle previsioni meteo ed utilizzano proficuamente queste preziose informazioni. Per questa ragione i climatologi, quando parlano di legame tra cambiamento climatico ed emissioni di gas serra ad opera dell’uomo, trovano un vasto uditorio pronto ad ascoltare ciò che dicono: ecco l’attacco violento e pernicioso guidato sotto sotto da fortissimi gruppi di interesse.

Gli uomini possono anche aggirare le regole che si sono dati tant’è che una massima dice: “la legge si applica al nemico e si interpreta per l’amico”. Al contrario le leggi di natura non ammettono deroghe o prescrizioni: sono ineludibili ed inappellabili.


Bibliografia

(1) Flavin C., Engelman R. - 2009. La tempesta perfetta. - State of the World 2009, Edizioni Ambiente, 41

(2) Bardi U. – 2010.  Ammazzare i climatologi .  http//www.ugobardi.blogspot.com del 12 febbraio 2010

(3) Jackson T. – 2008. La sfida del vivere sostenibile – State of the World 2008, Edizioni Ambiente, 147

(4) Marco Pagani - 2008 . Il bel paese di cemento /4 Aumentano le emissioni di CO2.  http//ecoalfabeta.blogosfere.it del 6 giugno 2008

(5) Jackson T., Ibid.,  153

(6) Caprarica A. – 2009.  Granduchi di soldonia. Sperling & Kupfer, 64

(*) Calcolo fatto sulla base delle esperienze realizzate nel comune di Capannori,
      Lucca, e cortesemente fornite dal Sindaco Giorgio Del Ghingaro.

giovedì 10 giugno 2010

Sconfiggere i mercanti del dubbio

La reazione contro l'attacco delle lobby anti-scienza si sta sviluppando, sia pure con una certa lentezza e con un certo ritardo. A tutti i livelli si sta cercando di costruire un fronte comune e di ribattere ai pagati e ai confusi che stanno combattendo la loro battaglia di retroguardia contro il concetto di "cambiamento climatico causato dall'uomo".

Naomi Oreskes e il suo collega Erik Conway discutono la situazione in un articolo su "Nature" intitolato "sconfiggere i mercanti del dubbio". Oreskes, in particolare, ce la ricordiamo come autrice dei primi studi che cercavano di stabilire il concetto di "consenso" sul concetto di cambiamento climatico, cosa che le è valsa insulti e fulminazioni da parte dei negazionisti climatici.

Oreskes e Conway dicono parecchie cose giuste in questo articolo; rifacendo tutta la storia dei vari loschi figuri che hanno operato - per esempio - al soldo della lobby del tabacco per cercare di confondere il pubblico sul legame fra fumo e cancro. Questi stessi loschi figuri stanno adesso lavorando al soldo dell'industria dei combustibili fossili per confondere il pubblico sul legame fra attività umana e riscaldamento globale.

L'opinione di Oreskes e Conway è che dobbiamo smettere di menare il can per l'aia con le sofisticherie che sono tipiche del modo di esprimersi degli scienziati. Dobbiamo dire a chiare lettere che il riscaldamento globale antropogenico è un fatto. Aggiungo io che dobbiamo anche dire che è un pericolo gravissimo per noi e per le generazioni future. Questo non basterà a tacitare i negazionisti climatici, ma sarà perlomeno un passo avanti.

Qui vi posto un pezzetto dell'articolo; non sono sicuro se sia lecito metterlo tutto, purtroppo mi sembra che non sia "free access" sul sito di nature.

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Nature | Opinion

Defeating the merchants of doubt



As climate scientists battle climate sceptics, they should note that we have been here before, say Naomi Oreskes and Erik M. Conway. History holds lessons for how researchers can get their message across.


Ever since Charles Keeling began systematic measurements of carbon dioxide levels as part of the 1957–58 International Geophysical Year, scientists have been working to understand the effects of that atmospheric change on our climate. By the late 1970s, a consensus was forming about anthropogenic warming and, in 1992, the UN Framework Convention on Climate Change committed its signatories to preventing dangerous human interference in the climate system. Nearly two decades later, little progress has been made.

Meanwhile, opinion polls have repeatedly shown that large numbers of US citizens — and many in Canada, Australia and some parts of Europe — disbelieve the scientific conclusions. A December 2009 Angus Reid poll found that only 44% of Americans agreed that “global warming is a fact and is mostly caused by emissions from vehicles and industrial facilities”1. There has been essentially no change in public acceptance of the scientific conclusions since the 1980s2, with the public continually muddling the facts — believing, for example, that the ozone hole is the main cause of climate change3.

One reason that the public is confused is that people have been trying to confuse them, in large part by intentionally waging campaigns of doubt against climate science. Doubt-mongering is an old strategy. It works because if people think the science is contentious, they are unlikely to support public policies that rely on that science. As we recount in our new book, Merchants of Doubt4, it is a strategy that has been pursued — often by the same people — to combat the ideas that cigarette smoking causes cancer, that acid rain or the ozone hole is caused by man-made pollution, that the pesticide DDT should have been banned, that the world is warming or, if warming, that we ought to be worried. Yet, despite this long history, scientists are still ill-equipped, and ill-prepared, to deal with doubt-mongering.

From the late 1980s, one of the major sources of sceptical and contrarian claims about global warming was the George C. Marshall Institute, a think tank in Washington DC. The institute was founded in 1984 by Frederick Seitz, a solid-state physicist and one-time president of the National Academy of Sciences, Robert Jastrow, an astrophysicist and head of the Goddard Institute for Space Studies, and William Nierenberg, a nuclear physicist and head of the Scripps Institution of Oceanography. All three were successful, prominent and brilliant. And all three spoke strongly against communism and in favour of free enterprise.

In 1984, the men joined forces to defend then US president Ronald Reagan's Strategic Defense Initiative (popularly known as Star Wars). But just a few years later the supposedly implacable enemy disintegrated before Western eyes.
By this time the three physicists were all over 60 and might have retired, happy in the knowledge that they had helped to win the cold war. Instead, they turned their attention to environmentalists, who some at the time called “watermelons”— green on the outside, 'red' on the inside. Through the institute they began to challenge the scientific evidence of anthropogenic causes of the ozone hole and global warming. Tellingly, as the Marshall Institute was getting going in the early 1980s, Nierenberg chaired a peer-review panel assembled by the Reagan administration that played down the severity of acid rain. And Seitz was working for the tobacco industry. From 1979–85, Seitz directed a programme for the R. J. Reynolds Tobacco Company, funding biomedical research used to defend its products against claims that tobacco was responsible for cancer, heart disease and other illnesses.
The story of tobacco-industry obfuscation has been amply documented5. What is particularly important to understand is how the industry used the trappings of science to make its case. It created the Council for Tobacco Research (originally the Tobacco Industry Research Council, but it dropped 'industry' on advice from a public-relations firm), along with various newsletters, journals and institutes, to publish claims. And it recruited scientists to speak up for this work, because it was obvious that tobacco-industry executives would lack credibility — although often the scientists had little or no expertise in medicine, oncology or epidemiology.
“Scientists should now label anthropogenic warming a fact.”
Testo completo

mercoledì 9 giugno 2010

OT: ma come fai a scrivere tutti quei post?


Da "GTD Times" ("GTD" vuol dire "Getting Things Done", ovvero "riuscire a fare le cose"


Più di uno mi ha chiesto come faccio a scrivere tutte le cose che scrivo sui vari blog, Cassandra, NTE, ASPO-Italia e anche altri, occasionalmente. Beh, succede esattamente quello che vedete succedere nell'immagine qui sopra. Non ve lo traduco parola per parola, ma il povero topino è li' che cerca di scrivere il suo CV e si trova distratto da milioni di cose sul web: messaggi, facebook, il suo blog, eccetera. Succede così anche a me e uno dei risultati è che alle volte mi viene da scrivere un post; proprio come sto facendo adesso.

Credo che l'internet, con tutte le sue cose buone, sia stato un gran disastro. Fra le altre cose, ho cercato un software che ti dica quanto tempo stai connesso e - opzionalmente - ti disconnetta brutalmente quando hai passato un limite massimo; diciamo quattro ore al giorno. Non l'ho trovato. Qualcuno sa dare un suggerimento per stare davanti al computer senza perdersi su un milione di cose nel web?


lunedì 7 giugno 2010

CO2: la molecola che controlla il clima


La molecola del CO2 (immagine da Watt's up with that) in due versioni: triste e sorridente a indicare che il CO2 è essenziale per la vita ma può anche fare grossi danni. A parte l'umore, buono o cattivo che sia, la molecola è costituita da due atomi di ossigeno legati a uno di carbonio. Era detta una volta "acido carbonico." Più tardi è andata sotto il nome di "anidride carbonica" - termine che si usa ancora oggi ogni tanto. Ma il termine corretto è "biossido di carbonio", perciò, è bene dire "il CO2" e non "la CO2".  Il "2" dovrebbe essere un deponente, ma quasi nessun blog o sito internet permette di scrivere deponenti. Comunque, l'importante è capire di cosa si parla.


E' curioso quanta confusione si faccia sul ruolo del biossido di carbonio (CO2) nel determinare il clima terrestre. C'è chi non ci crede proprio, chi dice che questo ruolo è sovrastimato, chi accusa i climatologi di essersi fissati sul "solo CO2" e di trascurare tutto il resto, chi dice che l'atmosfera è già satura di CO2 e chi nota che il CO2 è utile per le piante e quindi più ce n'è, meglio è.

Forse allora è bene ricominciare dall'inizio e notare che non stiamo parlando soltanto di modelli, ma anche di dati sperimentali che hanno una lunga storia. Solo il fatto che esistesse una molecola di biossido di carbonio è una cosa relativamente recente. Fu scoperta nel 1600, da Van Helmont che, all'epoca, la chiamo "gas di legna". Ci volle molto tempo per capire il ruolo della CO2 nella chimica delle piante mentre i primi esperimenti di assorbimento della luce solare da parte dei vari gas atmosferici furono fatti dall'Irlandese John Tyndall, nel 1859. Già a quei tempi, Tyndall si rendeva benissimo conto degli effetti riscaldanti dei vari gas serra. Prima di Tyndall, ci aveva speculato sopra Joseph Fourier (quello della serie di Fourier), ma senza avere dati sperimentali.

Dopo il lavoro di Fourier e Tyndall, ci ha pensato Svante Arrhenius in un lavoro del 1896 a sistematizzare l'effetto del CO2 in una teoria che è tuttora perfettamente compatibile con quelle moderne. Arrhenius aveva già capito che l'effetto del CO2 non è lineare con la concentrazione e aveva proposto la legge logaritmica che si usa ancora oggi. Aveva anche fatto qualche calcolo approssimato sulla quantità di CO2 emessa dall'attività umana e concluso che non ci sarebbero stati problemi. Ahimé, questa conclusione era valida solo per le piccole emissioni dei suoi tempi.

Dopo Arrhenius, la questione dell'effetto del CO2 sull'atmosfera è rimasta più o meno dormiente per diversi decenni. Mancavano dati e mancava anche una comprensione dettagliata dei meccanismi di riscaldamento dell'atmosfera. Solo negli anni '30 si è cominciato a notare sia l'aumento della concentrazione di CO2 come della temperatura globale. Il primo ad accorgersene è stato Guy Stewart Callendar che aveva già ipotizzato l'esistenza di una correlazione fra le due cose.  Ma si è dovuto aspettare il 1952 per i primi modelli fisici di Lewis Kaplan. Poi, negli anni '60, è stato il turno di  Roger Revelle, del quale forse vi ricordate come il maestro di Al Gore nel film "Una scomoda verità."  Con Revelle è cominciata la moderna climatologia e da allora le conferme sperimentali e teoriche si sono accumulate al punto che l'effetto fondamentale del CO2 sul clima è diventato una cosa ovvia per chiunque sappia qualcosa dell'argomento.

Rimane, tuttavia, una pervicace opposizione al concetto che il CO2 di origine umana abbia un effetto importante sul clima. E' un'opposizione sostanzialmente ideologica che però tende a riciclare argomentazioni scientifiche già usate ai suoi tempi contro l'interpretazione di Arrhenius. Ci vorrebbero parecchie pagine per demolire questi argomenti. Comunque, li ha già demoliti egregiamente Stefano Caserini con il suo libro "A qualcuno piace caldo" che consiglio a quelli che sono genuinamente curiosi di sapere come stanno le cose ma che rimangono perplessi di fronte alle bordate anti-scientifiche che si leggono su internet.

Tuttavia, vorrei spiegare una cosa che non appare sempre chiarissima nel dibattito: come mai diamo tanta importanza al CO2, apparentemente trascurando tutti gli altri gas serra? In effetti, ci sono molti gas serra (o climalteranti). Secondo i dati di un articolo di Kiehl e Trenberth (1996) il contributo del CO2 è certamente importante nel budget energetico dell'atmosfera - nettamente più importante di gas come il metano, l'ozono e altri. Ma il contributo del CO2 è solo al secondo posto - circa il 25% del totale. Quello del vapore acqueo è più del doppio; il 60% in una giornata senza nuvole.

Come mai allora si da tanta importanza al solo CO2? Non sarà veramente un complotto dei climatologi? Eh, beh, ci sono qui un paio di punti cruciali del quale bisogna ricordarsi. Il primo è il tempo di residenza dei vari gas nell'atmosfera.

La faccenda del tempo di residenza del CO2 va un po' spiegata. Ci sono vari effetti che possono rimuovere il CO2 dall'atmosfera. Ce ne sono alcuni che hanno scale di tempi di qualche anno, per esempio il ciclo biologico della fotosintesi e quello del discioglimento del CO2 alla superficie degli oceani. Altri cicli che coinvolgono il CO2 hanno scale dei secoli o millenni, ma nessuno di questi rimuove definitivamente il CO2 dal sistema. Per esempio il CO2 si dissolve in parte nelle acque profonde dell'oceano, ma questo si può saturare. Il ciclo che veramente rimuove in modo definitivo il CO2 dall'ecosfera è il ciclo "lungo", ovvero il lento processo di erosione dei silicati che a lungo termine trasporta il carbonio a grandi profondità nel "mantello" terrestre. Da li', il CO2 viene poi riemesso dai vulcani. E' un ciclo lunghissimo che dura centinaia di migliaia di anni, o forse anche milioni di anni.

Allora, è chiaro che il CO2 che immettiamo oggi nell'atmosfera rischia di rimanere lì per millenni o forse anche per milioni di anni. Qui sta la differenza con il vapore acqueo. Il vapore acqueo è un gas serra ma non è quello che si chiama una "forzante climatica." Anche se buttassimo nell'atmosfera una quantità di vapore acqueo tale da raddoppiarne la concentrazione, l'eccesso sarebbe eliminato per condensazione e ritornerebbe negli oceani in poche settimane.

E non finisce qui: il CO2 ha anche la caratteristica di avere un "feedback negativo," ovvero un effetto stabilizzante sulle temperature. Il ciclo "lungo" del carbonio dipende dalla velocità di erosione dei silicati. Più è caldo, più i silicati si erodono rapidamente e quindi riducono la concentrazione di CO2 nell'atmosfera, raffreddando il pianeta. Se il clima si raffredda, allora succede il contrario. Quindi, l'effetto tende a mantenere stabile la temperatura. ll vapore acqueo non ha un feedback negativo del genere.

A questo punto, credo che avrete capito perché il CO2 è tanto importante. Oltre a essere fondamentale per la vita, è la molecola che controlla il clima terrestre e che lo ha controllato per miliardi di anni.

E' tanto importante che meriterebbe un nome più descrittivo di quello della sua formula chimica (biossido di carbonio). Dopotutto, non diciamo "ossido di di-idrogeno" per l'acqua. Chissà, forse potremmo ritirar fuori il vecchio nome di "flogisto" che, in fondo, era il nome dato alla sostanza emessa dai corpi che bruciavano. E quando brucia una sostanza organica, si emette CO2. Ma è poco probabile che l'idea prenda piede e comunque non è importante il nome. L'importante è rendersi conto di quello che succede e che troppo CO2 nell'atmosfera non è una buona cosa.


Se volete leggere qualcosa in più sull'effetto del CO2 sulla temperatura, potete dare un'occhiata a questo articolo di Luigi Ferrari, pubblicato sul sito di ASPO-Italia, dove si dimostra che conoscendo un po' di fisica di base, si può calcolare l'effetto riscaldante della CO2 senza bisogno di modelli complicati. Segnalo anche il recente libro di Luca Mercalli "Mercalli L., Acordon V., Castellano C, Cat Berro D., 2009 - Che tempo che farà. Breve storia del clima con uno sguardo al futuro. Rizzoli"

mercoledì 2 giugno 2010

Cassandra si riposa un po'

Di Ugo Bardi


Un quadro di John William Waterhouse, un preraffaellita inglese. Non credo che rappresenti Cassandra, ma comunque è qualche tipo di profetessa presa dal sacro fuoco. 


Avrete notato un certo rallentamento dell'attività del blog "Effetto Cassandra". In effetti, preso dal sacro fuoco, per tre mesi ho fatto circa un post al giorno. Ora, bisogna che rallenti un po' e mi prenda un po' di pausa. Come vi ho raccontato in un post precedente, mi sono messo a scrivere un libro che verterà anche sulle tematiche che esaminiamo in questo blog. In più, mi sono anche messo all'anima di preparare una proposal per il programma "Intelligent Energy Europe" (che è, sostanzialmente, un ossimoro - per ora non sono riuscito a trovare alcuna traccia di intelligenza negli atti della commissione Europea). La proposta verte sull'interazione degli impianti fotovoltaici e l'agricoltura, in sostanza una continuazione del nostro progetto RAMSES.

Quindi, con queste discrete beghe che mi sono creato da solo, mi tocca rallentare notevolmente l'attività di posting. Il che credo sia un bene; diversa gente mi ha detto che i post su "Cassandra" gli piacevano molto, ma che erano troppi per seguirli tutti. Quindi, rallentiamo un po' e cerchiamo di approfondire di più

Avrete notato anche l'apparizione di Carlo Fusco fra gli autori di questo blog. Carlo è un biologo che lavora all'università di Losanna. Si occupa di biologia molecolare e biologia cellulare in particolare applicata allo studio dei tumori. Come ho detto altre volte, non importa essere climatologi professionisti per dire cose sensate sul cambiamento climatico. L'importante è la buona volontà, l'onestà intellettuale e seguire le regole del metodo scientifico. Quindi Carlo sta facendo un ottimo lavoro. Anche lui è sommerso da altri impegni e lo fa quando può e lo ringrazio molto per questo.

Se qualche altro volonteroso vuole contribuire a questo blog, è benvenuto. Il soggetto che trattiamo non è necessariamente il cambiamento climatico in se, ma la reazione umana al cambiamento. Quindi, non importa essere climatologi per dare un contributo utile a chi legge. Basta la buona volontà e - soprattutto - l'onestà intellettuale.