venerdì 29 giugno 2012

Importare energia, esportare miseria

Da The Oil Crash. Traduzione di Massimiliano Rupalti. 


Immagine da  http://www.indiacause.com


Il recente ribasso dei prezzi del petrolio ha prodotto una reazione di ottimismo da parte degli operatori, del pubblico e dei politici rispetto alla possibilità che abbiamo di mantenere la produzione attuale a prezzi accessibili. E' un ottimismo forse un po' eccessivo, come ci fa notare Antonio Turiel in questo post uscito su "The Oil Crash" del 4 Maggio 2012




di Antonio Turiel

Cari lettori,

ieri, durante la conversazione su Radio Barbuja, è uscito un tema interessante. Fin dall'inizio del dibattito abbiamo constatato che, secondo i dati dell'ultimo Oil Market Report dell'Agenzia Internazionale per l'Energia (IEA), la produzione di petrolio mondiale è aumentata nel primo trimestre di quest'anno, chiudendo così un periodo di due anni (tutto il 2010 e il 2011) durante i quali la produzione non è stata in grado di soddisfare la domanda e si è dovuto ricorrere alle riserve dell'industria per mantenere un'apparenza di normalità. A prezzi molto alti, questo sì. La parte del leone nel chiudere questo buco l'ha fatta il grande aumento di produzione del OPEC (in gran parte dal progressivo ristabilimento della produzione libica), ma è anche significativa la crescita della produzione degli Stati Uniti. Negli ultimi anni gli Stati Uniti hanno aumentato costantemente la loro produzione di petrolio (precisiamo, di tutti i liquidi di petrolio) e stanno già arrivando ai 10 milioni di barili al giorno, come mostrato nel grafico  che segue queste righe, preso dal post “Il mito secondo il quale gli Stati uniti saranno presto esportatori di petrolio” di Gail Tverberg, pubblicato sul suo blog Our Finite World (in inglese).

Immagine da http://ourfiniteworld.com


Sembra, pertanto, che effettivamente gli Stati uniti siano riusciti ad invertire una tendenza di decenni e stiano rimontando la caduta dal momento del loro picco del petrolio, avvenuto nel 1970. In realtà, la tendenza nelle produzione di petrolio greggio degli Stati Uniti non si è affatto invertita significativamente: quello che sta succedendo veramente è che la produzione di altri liquidi del petrolio sta aumentando molto: biocombustibili, petrolio di scisti (shale oil), liquidi del gas naturale... Tutti petroli sintetici, fabbricati con un enorme ingresso di energia ed altre materie (in genere acqua e gas naturale), con un potere energetico inferiore al petrolio greggio – tipicamente contengono circa il 70% di energia in volume, il che rende il conteggio attuale in milioni di barili molto confuso – e con EROEI molto bassi e che oscillano, a seconda del tipo di liquido, del petrolio e all'autore del calcolo, fra 1,5:1 e 5:1. Se si guarda anche nei dettagli il piccolo aumento di produzione del petrolio greggio, vediamo che esso proviene soprattutto, come osserva Gail Tverberg, dalla produzione di tight oil, petrolio intrappolato in rocce poco permeabili come gli scisti. Questo petrolio ha proprietà simili al petrolio greggio (contrariamente ai petroli di scisto, oil shale, che sono in realtà idrocarburi poco cotti e che poi devono essere lavorati per ottenere un succedaneo del petrolio per sintesi col gas naturale), e se ora si è potuto cominciare a sfruttare è per via dello sviluppo dello sfruttamento del petrolio da scisti, che si estrae col fracking delle lastre di scisto. L'uso di una tecnica tanto complessa ed aggressiva per estrarre una risorsa marginale fa sì che l'EROEI del tight oil sia a sua volta molto basso, in ogni caso inferiore a 5.


Abbiamo, quindi, che gli Stati Uniti stanno aumentando significativamente la loro produzione, ma lo stanno facendo con petroli a basso EROEI. Come sappiamo, esiste un valore minimo o soglia dell'EROEI medio delle fonti energetiche di una società strutturata che alcuni autori situano intorno a 10. Pertanto, si potrebbe dire che l'attuale aumento produttivo degli Stati uniti è un semplice miraggio e se si può mantenere è perché il petrolio greggio che importano ha un EROEI migliore e quindi in questo modo l'EROEI medio statunitense rimane superiore. Tuttavia, abbiamo già visto che il rendimento economico dipende dal rendimento energetico espresso con l'EROEI (salvo se ci sono sovvenzioni che diminuiscono i prezzi, come segnalava puntualmente Juan Carlos Barba ieri), cosicché tale aumento di produzione di petrolio a basso EROEI per l'autoconsumo dovrebbe essere nocivo per l'economia statunitense, visto che riducendosi il suo rendimento energetico si riduce anche quello economico. Ma questo non è assolutamente così: l'economia statunitense, nonostante non sia stata risanata, si mantiene in buona forma in questi primi vagiti della nuova recessione. Come si spiega questo paradosso?

Si spiega perché l'economia statunitense non è un sistema isolato, ma ha una forte interrelazione con il resto delle economie mondiali. Inoltre, gli Stati Uniti hanno una divisa forte, il dollaro, che è accettato in tutte le transazioni internazionali. Quindi, ciò che sta succedendo è che gli Stati Uniti stanno comprando all'estero i materiali che servono per lo sfruttamento interno (i tubi d'acciaio per i pozzi del fracking, i fertilizzanti per coltivare i propri campi, il petrolio greggio che importano...). Pagano tutti quei materiali in dollari, dei quali controllano l'emissione (sapete già che gli Stati uniti sono stati sottoposti a due turni di alleggerimento quantitativo - quantitative easing – il che in soldoni significa stampare banconote a bizzeffe per pagare i propri debiti).

Grazie alla conversione del costo energetico in costo monetario e al deprezzamento energetico reale della moneta, gli Stati Uniti sono in grado di sfruttare una risorsa locale di bassa qualità con un buon ritorno economico. Tuttavia, in termini energetici i conti non tornano. Gli Stati Uniti stanno importando energia contenuta nei materiali che gli vengono venduti da altri paesi ai quali danno un passivo di qualità bassa (JC Barba dixit), i dollari, cioé uno scambio asimmetrico nel quale l'energia rappresentata dalla loro moneta non equivale all'energia contenuta nei materiali importati. Insomma, questo tipo di transazione implica un pompaggio, da parte degli Stati Uniti, delle risorse energetiche del resto del mondo. Gli Stati Uniti possono sfruttare quelle risorse povere locali perché il resto del mondo li finanzia energeticamente.

Se si guarda su scala globale, questo comportamento degli Stati Uniti sta portando ad una diminuzione anticipata dell'energia netta, più rapida di quanto si potesse sperare. La soluzione non convenzionale degli Stati Uniti è buona per quel paese, ma nociva in termini globali. Lo spostamento di risorse per lo sfruttamento delle fonti locali statunitensi di bassa qualità sta facendo in modo, logicamente, che quell'energia non venga destinata allo sfruttamento di altre fonti di miglior rendimento e questo fa diminuire la disponibilità energetica del resto dei paesi. La situazione è simile a quelle di una mischia in mezzo al mare, dove uno si arrampica sull'altro per poter respirare meglio mentre il resto delle persone affoga.

I leader politici europei che guardano con invidia il nuovo paradigma energetico americano si sbagliano completamente nella loro analisi, se credono di poter esportare un tale modello in Europa. Al mondo pesa già mantenere il drenaggio energetico da parte delle risorse non convenzionali statunitensi, difficilmente potrebbe mantenere un altro giocatore allo stesso gioco. In realtà l'euro non è già più tanto forte quanto il dollaro. E in realtà noi ci troviamo nella parte bassa della mischia, forse subito sotto al piede americano, ma con le narici già al pelo dell'acqua. In realtà dovremmo capire che la strategia americana ci fa precipitare più rapidamente verso la scarsità energetica.

Quanto ancora durerà tutto questo? Tanto quanto il dollaro continuerà ad essere una divisa accettata a livello internazionale. Poco a poco i paesi esportatori si renderanno conto che il potere d'acquisto del dollaro fuori e dentro agli Stati Uniti non è lo stesso, che il dollaro costa troppo poco agli Stati Uniti. Forse tenteranno di usare i propri dollari per comprare massicciamente attività nel paese nordamericano, o forse diversificheranno il loro paniere di divise o, semplicemente, smetteranno di accettare dollari. In quel momento sopravverrà un cambiamento di paradigma, la vera rivoluzione che segnerà la fine dell'era presente.  Forse perdurerà altri cinque anni, forse dieci. Forse gli Stati Uniti, grazie a questa strategia, riusciranno rincuorarsi e a respirare confortevolmente durante questi anni di bonus, mentre il resto del mondo precipiterà lungo un declino dell'energia netta in modo più accelerato. Mentre la gran parte di noi affoga, ecco.

Saluti.
AMT