mercoledì 30 settembre 2015

Lo scioglimento catastrofico del permafrost: una cosa “reale e imminente”.

Da “Robertscribbler”. Traduzione di MR (via Sam Carana)

C'è molto carbonio immagazzinato nel permafrost dell'Artico che fonde. Secondo le nostre migliori stime, intorno ai 1.300 miliardi di tonnellate (vedete Cambiamento climatico e retroazione del permafrost). E' più del doppio della quantità di carbonio già emesso dai combustibili fossili globalmente dagli anni 80 del 1800. E la triste ironia è che il continuo bruciare combustibili fossili rischia di superare un punto di svolta oltre il quale una rapida destabilizzazione e rilascio di quel carbonio diventa irreversibile.


Copertura globale del permafrost come è stata registrata dalla World Meteorological Organization. In generale si pensa che una soglia di riscaldamento globale di 2°C sia il punto in cui una parte sufficiente del permafrost artico si destabilizzerà in modo catastrofico, diventando una retroazione di amplificazione del riscaldamento globale che quindi fonde gran parte o tutto il resto. La soglia di 2°C è stata scelta perché è il limite minimo del Pliocene – un periodo in cui è iniziata la formazione di questa riserva di permafrost. Tuttavia, potrebbero esserci dei rischi che una parte sufficiente della riserva possa diventare instabile a livelli più bassi di riscaldamento – superando quel punto di svolta prima di quanto ci si attende. Fonte dell'immagine: WMO.

martedì 29 settembre 2015

L’invenzione del Progresso.


di Jacopo Simonetta


Per noi il progresso è un fatto auto-evidente che ha portato l’uomo dalle caverne alle stelle e che lo porterà verso sempre più elevate mète.    Al netto di incidenti di percorso, magari drammatici, ma temporanei.   Si tratta di un’idea per noi così scontata e congeniale che ci pare debba essere sempre esistita.
   
Ebbene no. Il progresso è stato inventato nel 1794 dal signor Marie-Jean-Antoine-Nicolas de Caritat, marchese di Condorcet.  Matematico, enciclopedista e rivoluzionario.

Ovviamente, come tutti, anche Condorcet elaborò le sue idee a partire di quelle di altri che lo avevano preceduto.   Può quindi essere di un qualche interesse tracciare l’origine di questa idea che, vedremo, ha parecchio a che fare con quel divorzio fra scienza, filosofia e teologia cui facevo riferimento in un precedente post.

Spesso, quale “padre nobile” del progresso si cita nientedimeno che Leonardo da Vinci, in forza delle centinaia di marchingegni più o meno strampalati che aveva disegnato nei suoi appunti.   Tuttavia, Leonardo studiava le leggi della Natura tramite l’osservazione delle forme e tuonava contro la superbia dell’uomo che osa attaccare il creato.   Un approccio decisamente medioevale alla scienza.
Più appropriatamente, vengono indicati quali precursori dell’idea di progresso alcuni dei padri della rivoluzione scientifica del XVII secolo: gente del calibro di Bacone, Galileo e Cartesio.   Effettivamente,  costoro avevano inteso la scienza come motore di un sempre maggiore potere dell’Uomo sulla Natura, ma non avevano mai letto la storia come una marcia trionfale verso forme di civiltà sempre superiori.   

La vera culla dell’idea di “progresso”, così come oggi lo intendiamo oggi, è stata dunque l’Enciclopedia.   Fu infatti nel circolo di coloro che curarono quest’opera epocale, tutti amici di Condorcet,  che prese corpo l’idea che il costante miglioramento delle conoscenze scientifiche e delle capacità tecniche avrebbe condotto necessariamente ad un miglioramento indefinito delle condizioni di vita umane e, di conseguenza, ad un miglioramento indefinito dell’uomo stesso.   Venendo meno il bisogno, sarebbero infatti venute meno la ferocia, l’avidità e tutti gli altri vizi che da sempre ostacolano lo sviluppo spirituale dell’umanità.   

Non era certo la prima utopia, ma questa presentava alcuni caratteri esclusivi e nuovi che la differenziavano nettamente da precedenti illustri quali “Utopia” (di Tommaso Moro - 1516) e “La Città del Sole” (di Tommaso Campanella - 1602), entrambe di chiara ispirazione platonica.
  
Tanto per cominciare, il Progresso non fu l’idea di un solo pensatore e non fu narrato in un solo libro, descrivendo la società ideale.   Al contrario, fu il prodotto di un’intera generazione di filosofi, scienziati e scrittori; e divenne un modello mentale mediante il quale leggere ed interpretare passato, presente e futuro.
   
Un secondo punto assolutamente nuovo dell’utopia progressista fu l’avere nel suo cuore “La Macchina”.   Non più vista come un mero oggetto utile, divenne lo strumento principe per affrancare l’uomo dalla miseria materiale e morale.    La meccanizzazione divenne quindi sinonimo di progresso ed il progresso sinonimo di un miglioramento della condizione umana che sarebbe avvenuto  grazie, soprattutto, allo sviluppo di macchine sempre più potenti e perfezionate.   Fino, in prospettiva, alla possibilità di sostituire interamente il lavoro manuale con il lavoro meccanico, liberando così del tutto le infinite potenzialità dell’intelletto umano dai ceppi del lavoro manuale.   Insomma, una riedizione della schiavitù, ma priva dei problemi etici connessi con questa.    Un sogno tuttora ben vivo nella cultura contemporanea.

Un terzo punto fondamentalmente nuovo fu che, in questo salvifico disegno, un ruolo fondamentale fu  assegnato alla nascenda scienza economica.   Anche se il principale teorico di questo aspetto del mito fu uno scozzese: un certo Adam Smith, per la precisione.

Infine, un ultimo punto che caratterizzò i principali enciclopedisti, e che influenzò moltissimo il pensiero occidentale seguente, fu il considerare la religione, quale che fosse, un ostacolo anziché un ausilio al sapere.   In pratica, fu l’illuminismo a celebrare il divorzio fra filosofia e scienza da una parte e teologia dall'altra.   La Ragione da una parte, ignoranza e superstizione dall'altra; nel mezzo un baratro incolmabile.

L’utopia progressista, ben prima di essere formalizzata nell'ultimo libro di Condorcet, impregnò di sé l’intera opera dell’Enciclopedia, ma non solo.   Fu divulgata in tutto l’occidente e nelle colonie da un fiume di scritti, opera di un gran numero di entusiasti sostenitori, primo fra tutti François-Marie Arouet, meglio conosciuto come Voltaire (1694-1778).

Un altro canale di rapida diffusione e profondo radicamento di questa idea fu la Massoneria.   Nata in una birreria di Londra nel 1717, agli albori del movimento illuminista, ne divenne il principale strumento di diffusione.   Massone era infatti Condorcet, come lo erano Voltaire e tutti i principali protagonisti di questa stagione del pensiero europeo, assieme a migliaia di anonimi adepti.

Dunque l’idea di progresso fu il frutto di un’intera epoca, ma nel suo “Equisse d’un tableau historique des progrès de l’esprit humain” Condorcet fu il primo a riscrivere l’intera storia dell’umanità usando come filo conduttore l’idea di un miglioramento infinito ed inarrestabile della nostra specie.   Per l’appunto quella marcia trionfale dalle caverne alle stelle che ancora da forma al nostro modo di intendere noi stessi, la storia, il mondo che ci circonda ed il futuro che ci attende.
Emblematico il fatto che questo suo testamento spirituale sia stato pubblicato postumo, nel 1795, dopo che il suo autore si era suicidato in carcere per sfuggire alla ghigliottina di quella stessa rivoluzione che egli aveva contribuito a scatenare in nome e per conto del progresso.

Il paradigma progressista fu da più parti respinto. Tutti conoscono Rousseau ed il romanticismo, ma non furono solo scrittori e filosofi a criticare l’ideale del progresso.   Ad esempio, fra la fine del ‘700 ed i primi decenni dell’800, in Inghilterra, i luddisti tentarono di fermare la meccanizzazione della produzione tessile con sommosse ed attentati.   Più pacificamente, nel 1781, sempre in una birreria londinese, nasceva il druidismo moderno.   Una confraternita per molti aspetti simile alla Massoneria, ma di segno filosofico opposto.

Se ci fidiamo di Michel Greer, arcidruido americano ben noto nella ristretta cerchia dei "picchisti", la molla che portò alla nascita di questo movimento fu infatti lo shock psicologico prodotto dalla diffusione delle prime aree industriali nelle periferie urbane.  

Come è andata poi lo sappiamo:  né druidi, né luddisti; né Rousseau né Schelling riuscirono a contrastare la forza del mito del Progresso che, fra continui rimaneggiamenti ed aggiornamenti, è giunto intatto fino a noi.   Anzi, col tempo si è evoluto giungendo ad una nuova sintesi tra filosofia, scienza e religione che ha chiuso il cerchio da cui l’idea moderna di progresso era nata.

Precisiamo.  Se consideriamo “religione” un insieme di credenze afferenti ad una o più divinità, certo l’idea di “Progresso” non può assolutamente essere considerato una religione, semmai il contrario.   Tuttavia, uno dei maggiori storici delle religioni, Georges Dumézil, ha proposto una diversa e, secondo me, scientificamente più valida definizione: “La religione è una spiegazione generale e coerente dell’universo che sostiene ed anima la vita delle società e degli individui.”

In questo senso allargato, la religione è dunque il modello mentale attraverso il quale cerchiamo di capire la realtà e prendiamo le nostre decisioni.   In questo senso dunque, la fede nel progresso è, a mio avviso, pienamente assimilabile ad una religione.   Fra l’altro, una religione che, non avendo divinità proprie, ha potuto svilupparsi sia in maniera atea, sia assorbirsi ad altre religioni precedenti.   Un po’ come aveva già fatto il Buddismo, altra grande religione priva di Dei, oltre duemila anni prima.

Del resto, chi oggi mette in dubbio l’esistenza del progresso facilmente suscita sentimenti assai negativi fra i suoi simili.    In un suo post che non saprei ritrovare, Michael Greer fece un’analogia polemica, ma azzeccata.   In sostanza, sostenne che oggi dire a qualcuno che il progresso e la tecnologia non possono fare niente per risolvere i suoi problemi è come dire ad un contadino medioevale che le ossa del suo santo patrono non possono far cessare la siccità.   Se è di buon umore ti guarda con commiserazione, se è nervoso ti insulta, o peggio.

Si può capire.   E’ indubbio che la sinergia fra scienza e tecnologia sia alla base delle straordinarie conquiste dell’Uomo nei due secoli che seguirono la morte di Condorcet.   Perlomeno nei paesi occidentali abbiamo potuto credere di aver raggiunto o quasi quell'empireo che il progresso aveva promesso ai nostri avi.   E ciò in forza del centinaio di “schiavi meccanici” che, mediamente, ognuno di noi ha avuto a disposizione grazie all'industria petrolifera.   Ma tanto progresso aveva un prezzo nella devastazione della biosfera e del clima, così come nell'annientamento di innumerevoli civiltà, quando non di interi popoli.

Man mano che questi  “effetti collaterali” sono diventati evidenti, sono andati maturando altri divorzi. Quello fra scienza e filosofia, oramai separati in casa da tempo.   E perfino fra tecnica ed alcune delle branche in cui la scienza di è intanto parcellizzata. La prima proiettata verso fare sempre di più, le seconde sempre più preoccupate di ciò che, viceversa,  era bene non-fare.   Di qui il conflitto filosofico, scientifico e religioso che, dalla fine degli anni ’60, anima l’occidente senza peraltro aver finora prodotto alcun risultato pratico.   In fondo, se ad oggi nessun provvedimento serio è stato preso per contrastare la distruzione del Pianeta è proprio per non rinunciare al mito fondante della nostra civiltà.

Tuttavia, qualcosa forse sta cambiando.   Da un lato, abbiamo infatti l’accumulo e la divulgazione di conoscenze scientifiche sempre maggiori al riguardo dei come e dei perché del disastro che si svolge sotto i nostri occhi.   Dall'altro assistiamo al diffondersi di movimenti religiosi di ispirazione “naturalista” come i citati druidi ed altri movimenti neo-pagani, senza dimenticare l’epocale svolta francescana voluta dall'attuale pontefice e l’attenzione all'ambiente del Patriarca di Costantinopoli.

Si tratta di una moda passeggera o dell’inizio di una nuova età nella storia del pensiero?   Lo sapranno i nostri discendenti fra un paio di secoli.   

lunedì 28 settembre 2015

I Limiti della Crescita nell'Unione Sovietica e in Russia: storia di un fallimento

Da “Resource crisis”. Traduzione di MR



Qui sopra potete vedere la registrazione completa di una lezione del 2012 data a Mosca da Dennis Meadows, uno degli autori del rapporto sui “Limiti dello Sviluppo” del 1972. E' lungo, più di un'ora, se non avete il tempo di guardarlo tutto, vi suggerisco di andare al minuto 21 e guardare Dennis Meadows che mostra questo libro:



Si intitola “Unione Sovietica nel sistema globale”. Secondo Meadows, negli anni 80, Viktor Gelovani, primo autore del libro, ha adattato all'Unione Sovietica il modello del mondo usato per “I Limiti dello Sviluppo” e lo ha fatto girare, scoprendo che l'Unione Sovietica stava per collassare. Poi, Meadows dice “è andato dalla dirigenza del paese e ha detto: 'la mia previsione mostra che non avete alcuna possibilità. Dovete cambiare le vostre politiche'. E i dirigenti hanno detto: 'no, abbiamo un'altra possibilità: tu puoi cambiare la tua previsione'”. 

L'aneddoto di Meadows è di fatto confermato da Rindzevičiūtė, che ha scritto un eccellente articolo che racconta la storia completa. Viene fuori che non è vero che “I Limiti dello Sviluppo" è stato ignorato in Unione Sovietica, come potrebbe sembrare dai documenti disponibili in occidente. Lo studio dei “Limiti” è stato tradotto in russo, anche se è stato distribuito solo in circoli molti limitati (generando, a proposito, un florido mercato nero, come descrive a pagina 6 Rindzevičiūtė). Diversi scienziati sovietici conoscevano molto bene lo studio, avevano contatti coi loro autori e diversi di loro hanno fatto uno sforzo considerevole per avvertire la dirigenza dell'Unione che il sistema stava per collassare. Non hanno avuto un gran successo, come dice Meadows nella sua conferenza. 

Teoricamente, si può pensare che la dirigenza sovietica avrebbe potuto vedere “I Limiti dello Sviluppo” come uno strumento di pianificazione utile. In linea di principio, avevano alcuni modi di mettere in pratica le raccomandazioni ottenibili dai modelli per evitare il collasso. Ma così non è stato. La reazione della dirigenza sovietica è stata la stessa di quella dell'occidente. Sia i dirigenti sovietici che quelli occidentali erano del tutto legati al concetto di “crescita ad ogni costo” e refrattari ai cambiamenti. Quindi l'avvertimento è stato ignorato da entrambi i lati della cortina di ferro. 

Un altro elemento enormemente interessante di questa storia è il modo in cui mostra che il collasso sovietico è stato sistemico. E' stato causato dalle enormi spesi militari e burocratiche che il settore della produzione dell'economia non era in grado di sostenere. In altre parole, sembra chiaro che non è stato causato da Mishka Mecheny (il matto Gorbaciov) o da un piano malvagio dei servizi segreti occidentali (anche se entrambi potrebbero aver giocato un ruolo). Nel complesso, qui abbiamo una conferma notevole della forza predittiva della modellazione del mondo: negli anni 80 è riuscita a prevedere il collasso di un grosso pezzo dell'economia mondiale. Un altro pezzo, persino più grande, sta collassando in questo momento. 

Un ulteriore punto interessante proviene dall'esaminare se l'attuale dirigenza russa ha imparato qualcosa dall'esperienza della vecchia Unione Sovietica. Apparentemente no, perché oggi non sembra esistere un dibattito serio sull'esaurimento dei minerali in Russia. La maggior parte dei russi sembra essere convinta che le loro risorse minerali siano abbondanti e di potervi attingere a volontà nel prossimo futuro. Quindi, l'esaurimento non è un problema di cui si devono preoccupare. 

La conferenza di meadow conferma questa impressione. Anche senza fare attenzione a quello che dice Meadows, guardate le facce e la postura del corpo dei giovani fra il pubblico – vengono di tanto in tanto mostrati nel video. Posso dirvi che negli anni ho sviluppato un certo livello di capacità telepatiche nel comprendere i sentimenti del pubblico. E vi posso dire che gran parte degli studenti che ascoltano Meadows non gli credono affatto – o così sembra a me (anche una mia amica russa ha detto che questo è stata “la conferenza più noiosa che abbia mai sentito”). Notate anche le domande sciocche e marginali che gli studenti hanno posto a Meadows alla fine della conferenza. Lui gli ha raccontato dell'arrivo della fine del mondo e loro gli chiedono se è conveniente investire nelle società che producono acqua... Ma dai!

Ma la mancanza di comprensione dei limiti della crescita in Russia non è niente di speciale. E' la regola in tutto il mondo. In più, la Russia in questo momento è in piena modalità di emergenza e la principale priorità dei russi è quella di salvare la loro economia dagli attacchi esterni. Non si possono biasimare se non hanno (e, probabilmente, non ne hanno bisogno) il gruppo di Cassandre che abbiamo in occidente, gente con i capelli bianchi che continua a raccontare cose oscure e terribili in arrivo e che nessuno ascolta. 

Con o senza Cassandre, la situazione in Russia potrebbe non essere così male. Dmitry Orlov ha descritto in che modo l'economia sovietica fosse meglio attrezzata dell'economia di mercato dell'occidente per adattarsi e sopravvivere al tipo di collasso sistemico descritto da “I Limiti dello Sviluppo”. Le stesse considerazioni potrebbero valere per l'attuale sistema russo. Quindi il futuro, come sempre, è opaco, ma se mi chiedete quale sarà la prossima economia a collassare, non scommetterei che sarà quella russa.



domenica 27 settembre 2015

Ora siamo tutti cinesi: il dilemma dell'apocalisse ecologica

Dalla pagina FB di Bodhi Paul Chefurka. Traduzione di MR

Stavo rileggendo la valutazione rivelatrice di Richard Smith dell'attuale situazione politica, economica ed ecologica cinese (L'apocalisse ecologica comunista-capitalista della Cina) recentemente pubblicata da Truth-Out.org. Raccomando caldamente di leggere l'intero articolo.

Mentre il dilemma descritto da Smith in Cina è dichiaratamente più estremo di quanto sta accadendo nel mondo occidentale industrializzato (perlomeno per adesso...), le due situazioni sono sorprendentemente congruenti nei loro tratti più generali. Infatti, alcune delle analisi sono valide per gli Stati Uniti e il resto del mondo sviluppato praticamente parola per parola, solo cambiando il nome del soggetto.

Questa analogia implica che le considerazioni dell'articolo potrebbero essere un modello utile per pensare a cosa servirebbe per tirar fuori gli Stati Uniti così come la Cina – e, per estensione, tutto il mondo – dal loro attuale carico sul burrone ecologico. Questo esame potrebbe rendere più chiaro ciò che ci possiamo e non possiamo realisticamente aspettare nel tempo che ci rimane prima che i raccolti comincino a mancare sul serio.

Nel resto di questa nota ho estratto alcuni dei punti salienti dell'argomentazione di Richard Smith e le ho leggermente modificate per metterle in un contesto globale. Le mie modifiche sono in corsivo. Ho cercato di cambiare il testo originale il meno possibile, principalmente sostituendo “il mondo” ai riferimenti originali alla Cina. Confido che Smith troverà la mia parafrasi accettabile sotto il cappello delle disposizioni di “uso giusto” del diritto d'autore.

Mi sono fatto le mie opinioni sulla probabilità che tali cambiamenti avvengano realmente e potete probabilmente indovinare quali siano.

"Gli scienziati del clima ci dicono che, date tutte le promesse non mantenute fino a questo momento, la marcia indietro e l'aumento delle emissioni di biossido di carbonio, ora siamo di fronte ad una “emergenza climatica”. Con le attuali tendenze ci troviamo in rotta per un riscaldamento di 4-6°C prima della fine di questo secolo: se non sopprimiamo radicalmente la combustione di combustibili fossili nei prossimi decenni per mantenere il riscaldamento al di sotto della soglia dei 2°C, il riscaldamento planetario accelererà oltre ogni possibilità umana di fermarlo ed il collasso ecologico globale sarà inevitabile. Per avere una possibilità di restare al di sotto dei 2°C, le nazioni industrializzate e la Cina devono tagliare le emissioni dal 40 al 70% globalmente entro il 2050 rispetto a quelle del 2010, cosa che richiederebbe tagli nell'ordine del 6-10% all'anno. La Cina dovrebbe tagliare le sue emissioni industriali dal 30 al 90% rispetto a quelle del 2010, la variazione dipende dai tassi di crescita attesi e da altre ipotesi. 
Il solo modo in cui il mondo potrebbe sopprimere le sue emissioni di gas serra di qualcosa di vagamente simile a quella quantità sarebbe quello di imporre una contrazione economica drastica e a tutto campo, compresi ridimensionamenti e chiusure di gran parte delle industrie che sono state costruite negli ultimi tre decenni di mania di mercato. Sono certo che questo suoni estremo, se non completamente folle. Ma non vedo quale altra conclusione possiamo trarre dalla scienza. Il lato positivo, come ho esaminato sopra, visto che lo spreco di così tante delle risorse e dell'inquinamento del mondo sono semplicemente e completamente non necessari e dannosi, ciò che sembra un'estrema austerità potrebbe dimostrarsi proprio l'opposto: una liberazione, un passo verso quello “stile di vita migliore”. Un tale piano di emergenza dovrebbe comprendere perlomeno gli elementi seguenti: 

  • Chiudere tutte le centrali a carbone tranne quelle essenziali, necessarie come misura temporanea per mantenere le luci e il riscaldamento accesi ed i servizi pubblici essenziali operativi finché le sostituzioni rinnovabili non possano essere messe in servizio. Abbandonare i progetti di gassificazione del carbone ed eliminare gradualmente le centrali alimentate da petrolio e gas il più rapidamente possibile. Forzare una rapida transizione a fonti rinnovabili di energia come eolico, idroelettrico e solare ma con l'obbiettivo di produrre molta meno energia complessivamente, una quantità più vicina a quella che il mondo produceva nei primi anni 80, prima del boom di industrializzazione alimentato dal mercato. Gli Stati Uniti ed altri paesi sviluppati devono essere obbligati a fornire un'assistenza tecnica e materiale estesa per facilitare questa transizione. 
  • Chiudere gran parte dell'industria dell'auto. Questa industria è solo un totale spreco di risorse e costituisce il secondo contributo al riscaldamento globale. La maggior parte del trasporto pubblico dovrà tornare a bici, bus, treni e metropolitane – fondamentalmente una versione modernizzata ed estesa di ciò che i cinesi avevano nei primi anni 80 prima della mania dell'auto. Ma l'aria sarà più pulita, i trasporti più rapidi, le persone saranno più sane e verranno conservate risorse immense.
  • Chiudere gran parte delle industrie esportatrici costiere. Gran parte delle industrie esportatrici costiere del mondo sono orientate alla produzione di prodotti usa e getta insostenibili, come osservato in precedenza. Non c'è semplicemente nessun modo di avere un'economia sostenibile da nessuna parte se non aboliamo le industrie del consumo ripetitivo usa e getta nel mondo. 
  • Ridimensionare o chiudere l'aviazione, le spedizioni via mare ed altre industrie dei trasporti ridondanti ed insostenibili. Abbandonare l'inutile progetto del “superpotere dell'aviazione”. Abbandonare l'ulteriore espansione della rete di treni ad alta velocità. Il mondo ha già costruito più aerei, treni e metropolitane di quanto abbia bisogno secondo un qualsiasi conto delle necessità. La stessa cosa vale per l'industria delle costruzioni navali, gran parte della quale è orientata alla costruzione di navi container e grandi navi. Quest'industria dev'essere drasticamente ridotta, le importazioni ed esportazioni del mondo declinano con la contrazione industriale. 
  • Chiudere gran parte dell'industria delle costruzioni. Persino con l'enorme popolazione mondiale, il pianeta è eccessivamente sovra-costruito e disseminato di edifici, appartamenti, autostrade, ponti aeroporti, ecc. inutili e superflui. Alcuni di questi possono essere riconvertiti. Alcuni devono essere demoliti e le terre ritrasformate in terreni agricoli, zone umide, parchi o ad altri usi benefici. 
  • Abbandonare la spinta all'urbanizzazione e promuovere attivamente la ri-ruralizzazione. La vita urbana ha i suoi vantaggi ma i residenti urbani consumano diverse volte tanto l'energia e le risorse naturali e generano diverse volte tanto l'inquinamento rispetto alle famiglie rurali. Inoltre, gran parte delle centinaia di milioni di persone che sono state spostate verso le città negli ultimi tre decenni non ci sono andate volontariamente, sono state costrette ad andarsene dalle loro fattorie dall'accaparramento di terre, con profitto dei funzionari locali. A questi ex agricoltori che desiderano tornare alla terra deve essere permesso di farlo. Non c'è alcuna legge della natura che dice che le famiglie agricole devono essere povere. Nel mondo di oggi, le famiglie di agricoltori con terra e tecnologia adeguate, che possono vendere i propri prodotti di modo da non essere derubati da intermediari e che non siano sotto il giogo di banche, padroni o padroni di stato, possono passarsela molto bene. I piccoli contadini del mondo sono poveri perché lo stato e delle multinazionali li hanno strizzati per sovvenzionare l'industrializzazione. Il modo migliore per alzare gli standard di vita rurali è dar loro sicurezza nelle loro fattorie e pagar loro prezzi giusti per i loro prodotti. 
  • Abbandonare la colonizzazione di saccheggio imperiale sul mondo in via di sviluppo. Se i governi mondiali abbandonano le loro strategie di sviluppo basate sul mercato, non avrebbero alcun “bisogno” di saccheggiare le risorse naturali del mondo in via di sviluppo. Quelle persone possono essere lasciate in pace a sviluppare il proprio ritmo e in accordo coi propri limiti ecologici. E dopo aver distrutto una così grande parte del loro ambiente, le nazioni industrializzate devono loro un po' di aiuto. 
  • Lanciare un piano globale di emergenza per il risanamento ambientale e il ripristino della salute pubblica. Gli esperti di ambiente e di salute pubblica hanno fatto appello per un piano complessivo integrato per affrontare i problemi ambientali e di salute pubblica del mondo. Gli esperti dicono che ci potrebbero volere generazioni per ripristinare le terre agricole, i fiumi ed i laghi del mondo ad un livello di salute biologica tollerabile, anche se, come osservato sopra, in alcuni posti ciò potrebbe essere impossibile. Una parte significativa dei costi di questa bonifica dovrebbero anche essere portati dalle nazioni occidentali, le cui aziende hanno cinicamente contribuito a questo inquinamento delocalizzando le loro industrie più sporche nel mondo in via di sviluppo.
  • Lanciare un programma nazionale per l'occupazione. Se il mondo dovrà chiudere così tanta della sua economia industriale per frenare la corsa verso il collasso ecologico, allora dovrà trovare o creare nuovi lavori per tutti quei lavoratori disoccupati. (…) Ma aria irrespirabile, acqua imbevibile, cibo non sano, terre agricole inquinate, epidemia di cancro, aumento delle temperature e del livello dei mari lungo le regioni costiere sono problemi più grandi. Così non c'è proprio modo di aggirare questa verità molto scomoda. Il fatto di fare robaccia deve finire. Fermando queste produzioni renderà disoccupati un gran numero di lavoratori e per loro devono essere trovati o creati altri lavori non distruttivi e a basso tenore di carbonio. Per fortuna, non c'è carenza di altri lavori socialmente ed ambientalmente utili da fare: bonifica ambientale, riforestazione, transizione ad agricoltura biologica, transizione all'energia rinnovabile, ricostruzione ed allargamento dei servizi sociali pubblici, ricostruzione delle reti di sicurezza sociale e molto altro. 
Pan Yue è stato di sicuro premonitore: il miracolo cinese (e, per esteso, il miracolo economico globale dell'ultimo secolo) è giunto alla fine perché l'ambiente non può più tenere il passo. La domanda è: il mondo può trovare un modo per afferrare i freni e portare questa locomotiva a fermarsi prima che scagli la civiltà dal burrone?  
Rivoluzione o collasso?
Una cosa è certa: questa locomotiva non verrà fermata finché l'alleanza empia fra le multinazionali e i loro politici ammaestrati ha le mani sui controlli. Il mondo è incastrato in una spirale di morte. Non riesce a tenere a freno il vorace consumo di risorse e l'inquinamento suicida perché, data la sua dipendenza dal mercato per generare nuovi posti di lavoro, deve dare priorità alla crescita rispetto all'ambiente, come fanno i governi ovunque. Finché questo assetto strutturale di fondo calasse/proprietà rimane effettivo, nessuna “guerra all'inquinamento” o “guerra alla corruzione” cambierà questo sistema o interromperà la traiettoria del mondo verso il collasso ecologico. Dato il precedente, non vedo proprio come la spirale del mondo verso il collasso possa essere invertita a meno di una rivoluzione sociale.  
Chi lo sa quale scintilla accenderà la prossima esplosione sociale?"

Post Data del traduttore: sfugge sempre ai più che tra le due, rivoluzione o collasso, ce ne potrebbe essere una terza, più difficile, anche più improbabile, ma sicuramente più efficace e duratura: l'evoluzione.  



sabato 26 settembre 2015

Gli errori dei "contraristi" climatici

Da “The Guardian”. Traduzione di MR

Un nuovo articolo scopre errori comuni fra il 3% dei lavori scientifici climatici che rifiutano il consenso sul riscaldamento globale. 


Galileo mentre dimostra le sue teorie astronomiche. I "contraristi" (dall'inglese "contrarian") climatici non hanno praticamente niente in comune con Galileo. Foto: Tarker/Tarker/Corbis

Di Dana Nuccitelli

Coloro che rifiutano il 97% del consenso fra gli esperti sul riscaldamento globale antropogenico spesso invocano Galileo come esempio di quando una minoranza scientifica ha rovesciato la visione dominante. In realtà, i "contraristi" climatici (dall'inglese "contrarians") non hanno quasi niente in comune con Galileo, le cui conclusioni erano basate su prove scientifiche empiriche, sostenute da molti contemporanei scientifici e perseguitato dall'establishment politico-religioso. Ciononostante, c'è una debole possibilità che la minoranza del 2-3% abbia ragione e il consenso climatico del 97% torto. Per valutare quella possibilità, un nuovo articolo pubblicato su Journal of Theoretical and Applied Climatology esamina una selezione della ricerca climatica contraristae tenta di riprodurre i loro risultati. L'idea è che la ricerca scientifica veritiera debba essere riproducibile e tramite la riproduzione possiamo anche identificare qualsiasi errore metodologico in quella ricerca. Lo studio cerca anche di rispondere alla domanda perché questi saggi contrari giungono a conclusioni diverse rispetto al 97% della letteratura scientifica climatica?

Questo nuovo studio è stato condotto da Rasmus Benestad, me (Dana Nuccitelli), Stephan Lewandowsky, Katharine Hayhoe, Hans Olav Hygen, Rob van Dorland e John Cook. Benestad (che ha fatto la parte del leone nel lavoro di questo articolo) ha creato uno strumento usando il linguaggio di programmazione R per riprodurre i risultati e i metodi usati in alcuni degli articoli che rifiutano il consenso degli esperti sul riscaldamento cui si fa spesso riferimento. Usando questo strumento, abbiamo scoperto alcune cose in comune fra gli articoli di ricerca contraristi. Il Cherry picking è stata una caratteristica molto comune che hanno condiviso. Abbiamo scoperto che molti articoli contraristi hanno omesso informazioni contestuali importanti o ignorato dati chiave che non si adattavano alle conclusioni della ricerca. Per esempio, nella discussione di un lavoro del 2011 di Humlum et al. nel nostro materiale supplementare osserviamo,
Il cuore dell'analisi portata a termine [Humlum et al.] comportava l'adattamento alla curva basata su wavelet, con una vaga idea che la luna e i cicli solari in qualche modo possano condizionare il clima della Terra. Il problema più grave dell'articolo, tuttavia, era che ha scartato una grande frazione di dati dell'Olocene che non si adattavano alle loro dichiarazioni. 
Quando abbiamo provato a riprodurre il loro modello dell'influenza lunare e solare sul clima, abbiamo scoperto che il modello simulava  i loro dati della temperatura in modo ragionevolmente preciso soltanto per il periodo di 4.000 anni che hanno considerato. Tuttavia, per i dati che valgono per i 6.000 anni precedenti, che hanno buttato via, il loro modello non era in grado di riprodurre i cambiamenti di temperatura. Ma non c'è motivo di fidarsi della previsione di un modello se questo non è in grado di riprodurre con precisione il passato.

Abbiamo scoperto che l'approccio del “adattamento della curva” dell'articolo di Humlum è un altro tema comune della ricerca climatica contrarista. L''adattamento della curva' descrive prendendo alcune variabili diverse, di solito con cicli regolari, allungandole finché la combinazione non combaci con una data curva (in questo caso, quella dei dati della temperatura). E' una pratica di cui parlo nel mio libro e della quale il matematico John von Neumann una volta ha detto,
Con quattro parametri posso misurare un elefante e con cinque posso fargli muovere la proboscide.
La buona modellazione limiterà i valori possibili dei parametri usati, così che questi riflettano la fisica conosciuta, ma un cattivo 'adattamento della curva' non limita sé stesso alle realtà fisiche. Per esempio, discutiamo la ricerca di Nicola Scafetta e Craig Loehle, che spesso pubblicano saggi che cercano di dare la colpa del riscaldamento globale ai cicli orbitali di Giove e Saturno. Questa argomentazione particolare mostra anche una chiara mancanza di fisica plausibile, che è stata un tema comune che abbiamo identificato nella ricerca climatica contraria. In un altro esempio, Ferenc Miskolczi sosteneva, in degli articoli del 2007 e del 2010, che l'effetto serra è diventato saturo, ma come anch'io dico nel mio libro, il mito dell''effetto serra saturato" è stato sfatato all'inizio del XX secolo. Come osserviamo nel materiale supplementare del nostro saggio, Miskolczi ha omesso una parte importante della fisica conosciuta per ridare vita a questo mito secolare. Ciò rappresenta solo una piccola parte dei studi contrari e delle metodologie errate che abbiamo identificato nel nostro saggio.

Abbiamo esaminato 38 articoli in tutto. Come osserviamo, lo stesso approccio di replicazione potrebbe essere applicato agli articoli che sono coerenti col consenso degli esperti sul riscaldamento globale antropogenico e, indubitabilmente, alcuni errori metodologici verrebbero scoperti. Tuttavia, questi tipi di errori erano la norma, non l'eccezione, fra gli articoli contraristi che abbiamo esaminato. Come l'autore principale Rasmus Benestad ha scritto,
abbiamo deliberatamente scelto una selezione mirata per scoprire perché avessero ottenuto risposte così diverse e il modo più facile per farlo era quello di scegliere i lavori contraristi più visibili... La nostra ipotesi era che i saggi contraristi scelti fossero validi ed il nostro approccio era quello di falsificare questa ipotesi ripetendo il lavoro con occhio critico. 
Se potevamo trovare errori o debolezze, allora eravamo in grado di spiegare perché i risultati fossero diversi dal mainstream. Altrimenti, le differenze sarebbero la conseguenza di una vera incertezza.
Dopo tutto ciò, le conclusioni sono state sorprendentemente non sorprendenti per me. La replicazione ha rivelato un'ampia gamma di tipologie di errori, difetti ed imperfezioni che coinvolgevano sia la statistica sia la fisica.  

Potreste aver notato un'altra caratteristica della ricerca climatica contrarista – non c'è una teoria alternativa coesa e coerente al riscaldamento globale antropogenico. Alcuni danno la colpa del riscaldamento globale al sole, altri ai cicli orbitali di altri pianeti, altri ai cicli oceanici e così via. C'è un 97% di consenso degli esperti su una teoria coesa che è sostenuta in modo schiacciante dalle prove scientifiche, ma il 2-3% dei saggi che rifiutano quel consenso sono del tutto sconclusionati, persino in contraddizione fra di loro. La sola cosa che sembrano avere in comune sono gli errori metodologici come il cherry picking, l'adattamento delle curve, l'ignorare dati scomodi e il trascurare la fisica conosciuta. Se mai qualcuno dei bastian contrari fosse un Galileo dei giorni nostri, presenterebbe una teoria supportata dalle prove scientifiche e non una basata su errori metodologici. Una tale solida teoria convincerebbe gli esperti scientifici e comincerebbe a formarsi un consenso. Invece, come mostra il nostro saggio, i contraristi hanno presentato una varietà di alternative contraddittorie basate su errori metodologici, che pertanto non hanno convinto gli esperti scientifici. La teoria del riscaldamento globale antropogenico è la sola eccezione. E' basata su prove scientifiche schiaccianti e coerenti e pertanto ha convinto oltre il 97% degli esperti scientifici che è giusta.



La Risultante

Guest post di Gianni Tiziano




Immaginiamo un grande prato, con l'erba bassa.

Al suo centro, una donna, in piedi.

Alla sua vita, una cintura.

A questa cintura, lungo tutta la sua circonferenza, sono attaccate tante corde colorate di varia lunghezza, al cui capo sono altre donne, disposte a formare un cerchio, che tirano.

Ogni donna che tira ha forza diversa dalle altre donne.

La donna al centro si sposterà in una direzione che sarà determinata dalle varie forze nelle varie direzioni applicate alla sua cintura, supponendo che lei non opponga forza propria alcuna.

Questa è la RISULTANTE.
.----
Sostituiamo la donna con la mente di un singolo essere umano, uno dei 7 miliardi e 300 milioni che popolano il pianeta Terra.

La sua mente prenderà le convinzioni e le decisioni come risultante di tutte le forze applicate ad essa.

Tali forze sono soggettive in ogni individuo, e possono essere:

.- la fame
.- la sete
.- l'amore per i figli
.- il bisogno di soldi
.- il bisogno di lavorare
.- il bisogno di una casa
.- la voglia di divertimento
.- la voglia di stare sereni
.- le credenze derivanti dalla religione
.- le credenze derivanti dall'istruzione ricevuta da scuola e genitori
.- le credenze derivanti da letture di libri, visione di documentari e film, partecipazione a dibattiti e seminari, a blog
.- eccetera

I divulgatori del problema del Cambiamento Climatico (scienziati ed altri), applicano poca forza sulla mente della maggioranza dei singoli individui.

La Stampa e la Televisione potrebbero avere grandissima forza divulgativa circa i pericoli derivanti dal Cambiamento Climatico, ma la mente di chi ci lavora ha delle forze che l' inducono a non occuparsene.


La politica tende a non occuparsene perchè è un argomento scomodo da trattare e a quasi tutti i personaggi politici interessa altro (secondo me si salva un solo movimento, in Italia).

Allora ?

Col BAU (Business As Usual, Sistema Vigente), ci siamo infilati in un vicolo cieco alla fine del quale c'è un muro terribile contro cui ci schianteremo (secondo me prima del 2100 d.C.).

Allora ?

SIAMO FREGATI.

Allora ?

venerdì 25 settembre 2015

Il gioco di Hubbert: un gioco da tavolo per simulare le dinamiche dell'esaurimento delle risorse

Da “www.academia.edu”. Traduzione di MR

La "curva di Hubberrt" generata dal gioco di simulazione in una sessione con gli studenti del corso di "Risorse, Economia, e ambiente" del corso di laurea SECI (Sviluppo Economico e Cooperazione Internazionale) dell'Università di Firenze. Quello che segue è un articolo scientifico moderatamente formale pubblicato nella forma di "preprint" su academia.edu


Il gioco di Hubbert: un gioco da tavolo per insegnare le dinamiche dell'esaurimento delle risorse

Di Ugo Bardi

Dipartimento di Scienze della Terra, Università di Firenze
Polo Scientifico di Sesto Fiorentino
Via della Lastruccia 3, 50021 Sesto Fiorentino, Fi, Italy
ugo.bardi@unifi.it


Abstract

Questo articolo descrive una simulazione del processo dinamico dell'esaurimento delle risorse sotto forma di gioco operativo. E' pensato come un semplice gioco da tavolo, concepito per fornire agli studenti un'esperienza pratica che potrebbe aiutarli a capire le caratteristiche fondamentali dell'approccio dinamico all'esaurimento. Il gioco non necessita di computer o di materiali particolari. Può essere giocato da quattro squadre per un tempo di gioco di una-due ore.

1. Introduzione

I giochi hanno una lunga storia come metodo per simulare sistemi complessi. Questi sistemi sono caratterizzati da anelli di retroazione che interagiscono e che li rendono non lineari e li fanno reagire in modo esteso anche per piccoli cambiamenti di alcuni parametri. I fattori umani e gli eventi casuali a loro volta giocano spesso un ruolo importante in questi sistemi. Da qui la necessità di un metodo di studio che colga il loro comportamento in rapida mutazione e la loro imprevedibilità. Quasi ogni sistema può essere trasformato in un gioco e i giochi spesso vengono usati allo scopo di formare gli studenti con un approccio pratico in aree come le simulazioni militari (giochi di guerra) e giochi di commercio. In questa forma, vengono chiamati spesso “giochi operativi”.

mercoledì 23 settembre 2015

Cosa possiamo imparare dal "caso Volkswagen? Principalmente, che il motore a scoppio è obsoleto

Da "Cassandra Legacy", traduzione di UB


Credo che a questo punto non sia rimasto più nessuno sull'intero pianeta che non ha sentito dire che la Volkswagen ha imbrogliato i suoi clienti falsificando i dati dei test di emissione dei suoi motori diesel. Forse ci sono delle buone ragioni per questa caccia alle streghe, ma credo che andrebbe anche presa con una certa cautela. In effetti, con molta cautela.

Ho lavorato per circa vent'anni in progetti in collaborazione con l'industria automobilistica e credo di sapere come funzionano queste ditte. E vi posso dire che non sono attrezzate per "imbrogliare", nel senso di infrangere la legge o ignorarla. Non lo fanno, capiscono benissimo che il risultato potrebbe essere qualcosa tipo quello che sta succedendo oggi alla Volskwagen, che corre seriamente il rischio di scomparire come industria automobilistica. Al contrario, le industrie automobilistiche tendono a un approccio estremamente legalistico e ad applicare alla lettera le regole e le leggi.

Ciò detto, è chiaro anche che le industrie automobilistiche lavorano per il profitto e che i loro manager devono "ottenere risultati". Ne consegue che, se le leggi e le regolazioni non sono chiare, o se non dicono esplicitamente che una certa cosa è proibita, se quella cosa porta un vantaggio all'industria, è possible che la si metta in pratica.

Questo è, credo, quello che è successo in questo caso. E' ben noto che i risultati dei test di emissione fatti in laboratorio sono sempre molto migliori di quelli su strada. Ed è ben noto che le prestazioni dei veicoli sotto test in condizioni standardizzate sono sempre molto migliori di quelli dei veicoli normali. Lo si sa bene, per esempio potete guardare quiqui. (h/t G.Meneghello).

Allora, se tutti imbrogliano (oppure, più gentilmente "interpretano" la legge), perché prendersela in particolare con la Volkswagen? Forse hanno fatto qualcosa di particolarmente orribile, ma non sarei sorpreso se venisse fuori che non erano i soli a usare il trucco di cui sono accusati per nascondere le emissioni di ossidi di azoto. In ogni caso, sono sicuro che, prima di fare quello che hanno fatto, hanno sentito il loro ufficio legale e ne hanno avuto un qualche tipo di autorizzazione a procedere, probabilmente basata sul ragionamento che tutto quello che non è esplicitamente proibito è legale. Lascio comunque ai complottisti di ragionare sulle ovvie implicazioni di questa faccenda.

Piuttosto, vorrei concentrarmi su qualcosa che ho imparato nel mio lavoro con l'industria automobilistica; ovvero che la riduzione dell'inquinamento nei motori a scoppio è un buon esempio dei ritorni decrescenti della tecnologia. E non solo questo; illustra anche come le buone intenzioni sono spesso in conflitto con la realtà, e alle volte danno risultati opposti a quelli sperati.

E' una storia lunga e affascinante che, qui, posso solo riassumere nelle sue linee principali (*). Comunque, il concetto di "inquinamento" era diventato popolare negli anni 1970 e divenne rapidamente chiaro che una delle maggiori sorgenti di inquinamento erano le emissioni dai motori autobobilistici. Questo ha portato a un esteso dibattito: secondo alcuni, bisognava liberarsi dai motori a scoppio e rimpiazzarli con motori elettrici. Secondo altri, era possibile ridurre a livelli accettabili l'inquinamento prodotto dai motori tradizionali. La seconda posizione si è imposta, non senza una dura lotta (vi ricordate il film "chi ha ucciso l'auto elettrica"?). Questo ha portato a promulgare un gran numero di leggi che miravano a produrre motori più efficienti e meno inquinanti. Nel complesso, i risultati sembrano essere stati buoni (vedi, per esempio,qui).

Tuttavia, lo scandalo Volkswagen ci dice che, probabilmente, i miglioramenti degli ultimi anni tempi sono stati ottenuti, se non proprio imbrogliando, perlomeno mediante un'interpretazione creativa delle leggi. Un punto particolarmente importante qui ha a che vedere con lo specifico inquinante che ha condotto all'incriminazione di VOlkswagen: l'abbattimento degli ossidi di azoto. E' un problema particolarmente rognoso perché deriva da esigenze contrastanti. Una è di avere un basso livello di inquinamento, l'altro bassi consumi. Per avere bassi consumi, bisogna migliorare l'efficienza del motore e questo si può fare con il motore diesel, invece di quello convenzionale a benzina. I motori diesel lavorano a più alte temperature e pressioni e questo li rende più efficienti. Ma questo fa anche si che producano più ossidi di azoto. E' un problema che ha a che vedere con la termodinamica della combustione, e tutti sanno (o dovrebbero sapere) che se uno prova a far la guerra alla termodinamica, la termodinamica vince sempre. Il problema è sostanzialmente irrisolvibile, perlomeno a costi compatibili con il prezzo di un veicolo ordinario. E quando uno si trova di fronte a un problema irrisolvibile, la tentazione è spesso quella di imbrogliare. Questo è, evidentemente, quello che è successo con l'industria automobilistica e i risultati ci appaiono evidenti oggi con lo scandalo  Volkswagen.

Tuttavia, se è vero che non possiamo vincere contro la termodinamica, è anche vero che non dobbiamo necessariamente combatterla. Una battaglia contro il motore a scoppio è stata persa negli anni 1970, ma possiamo ancora vincere la guerra. L'auto elettrica sta avendo un ritorno spettacolare. I motori elettrici non producono alcun tipo di inquinamento gassoso, sono molto più efficienti dei motori a scoppio e, in più, sono compatibili con l'energia rinnovabile. Che cosa possiamo chiedere di più? Questa volta, vediamo di evitare gli errori del passato!




 (*) E' una storia che spero di poter raccontare in un nuovo libro sul quale sto lavorando.

Oltre il 99% l'accordo fra gli scienziati sull'origine umana del cambiamento climatico di origine umana

Da “Cleantechnica”. Traduzione di MR (via Dante Lucco)


... E ora parleremo col Dr. Jenkins del National Institute of Health a proposito dei risultati del suo studio di tre anni. E poi per un'opinione differente parleremo con Roger, qui, che mi sembra di capire ha raggiunto conclusioni opposte smplicemente pensandoci sopra mentre era seduto sul divano.


Di Sandy Dechert

James L. Powell, direttore del Consorzio Nazionale di Scienze Fisiche e informatore sul negazionismo del cambiamento climatico, ha la missione di aggiornare media e lettori su quanti scienziati credono che la gente causi il cambiamento climatico. Il numero del cambiamento climatico antropogenico è maggiore di quanto pensiate.

martedì 22 settembre 2015

La nascita del positivismo.

di Jacopo Simonetta

Cercando le tracce della nascita della nostra civiltà, mi sono fatto l’idea che questa sia stata concepita sostanzialmente in casa di Bacone e sia poi stata portata in grembo da Galileo e Descartes, fra gli altri.  Nacque, direi, a cavallo della manica, nella seconda metà del XVIII secolo con l’aiuto di molte levatrici, fra cui le più importanti furono, forse, Adam Smith, Diderot e Condorcet. Nel frattempo, Voltaire e l’intera fratellanza massonica si impegnavano a diffondere la nuova utopia del Progresso.   Un concetto del tutto nuovo per quei tempi e foriero di immense conseguenze.

Appena battezzato da Condorcet, il bimbo ebbe però una grave malattia che rischiò di spacciarlo: il romanticismo.   Tuttavia sopravvisse, dimostrando quella straordinaria resilienza e plasticità che sono necessarie affinché un concetto possa divenire il mito fondante di un’intera civiltà.

Uno che lo aiutò moltissimo in questo periodo particolare fu un altro aristocratico francese: Claude-Henri de Rouvroy, conte di Saint-Simon (1760 – 1825).   Un personaggio singolare che merita di essere conosciuto.

A 17 anni partì volontario con Lafayette per combattere in America.   Tornato, non fece mai più l’errore di farsi coinvolgere di persona in vicende pericolose. Al contrario di parecchi promotori del progresso, riuscì così a passare indenne attraverso la macelleria rivoluzionaria.  Anzi, colse l’occasione per rimpinguare abbondantemente le esauste finanze familiari speculando sui beni requisiti alla Chiesa, ma senza compromettersi troppo.   Riuscì anche ad evitare qualunque coinvolgimento durante la dittatura di Napoleone e, dunque, non ebbe problemi nemmeno con la restaurazione, malgrado ne fosse un dichiarato oppositore.

Potrebbe essere il ritratto di un qualunque furbo, ed invece stiamo parlando di uno dei grandi idealisti del XIX secolo ispiratore, fra gli altri, di nientedimeno che Karl Marx.   Qui mi interessa perché fu anche il padre (o forse meglio dire nonno) di un passaggio cruciale della nostra civiltà: la nascita del Positivismo.

Già durante la Rivoluzione Francese un nutrito gruppo di illuministi “d’assalto” avevano inteso tributare un culto religioso alla “Dea Ragione”: divinizzazione dell’intelletto umano.   Una vera e propria funzione si svolse a Notre Dame di Parigi, con tanto di ragazza in costume da Pallade Atena.   Una carnevalata che non fu replicata, ma l’idea che la mente umana fosse la vera divinità cui fare riferimento rimase e trovò altri modi per affermarsi.   Uno che fece molto in questo senso fu proprio il conte di Saint-Simon.

Dotato di una cultura scientifica eclettica, ancorché superficiale, Saint-Simon era infatti un autentico “fan” della scienza moderna, fino a vagheggiare apertamente di tributarle un vero culto.   La legge di gravitazione Universale di Newton per lui era l’equivalente della Sacra Scrittura per i cristiani.   Anzi di più: era Dio stesso.   Saint-Simon fu il primo a dire chiaro e tondo che ogni decisione politica doveva essere presa sulla base di una rigorosa analisi scientifica e che, su questa base, lo Stato doveva unicamente sviluppare l’economia, l’industria e la meccanizzazione.   Tre aspetti di un unico processo che avrebbe immancabilmente portato al benessere per tutti, all’eliminazione delle ingiustizie, eccetera.   In pratica rilanciando in stile romantico lo stesso copione utopico che era stato degli illuministi e che fu poi fatto proprio tanto dai liberali, quanto dai socialisti.   Non a caso, questo “aristò” riciclatosi industriale fu l’unico personaggio a ricevere onori postumi contemporaneamente in USA ed URSS.

Sul piano scientifico, il conte ebbe un’intuizione importante, che ancora oggi sta alla base di molte realizzazioni rilevanti.   Da imprenditore intelligente qual’era, capì che per garantire lo sviluppo dell’economia e dell’industria era necessario che strade, ferrovie e canali costituissero un sistema integrato, analogo al sistema circolatorio in un organismo.  Un concetto che è andato molto lontano.   Non solo i canali di Suez e di Panama (fra gli altri) furono opera di suoi seguaci, ma la teoria delle reti è oggi un settore di ricerca vivacissimo.   Credo proprio che se Saint-Simon potesse vedere internet penserebbe di aver raggiunto il paradiso.

Un altro punto cardinale per lui era l’eliminazione dei parassiti sociali, identificati con i redditieri, i preti ed i militari.   Un altro dei punti su cui il nostro gode tuttora di un ampio seguito.  Secondo il suo modo di vedere, il vertice della società spettava agli scienziati che dovevano costituire una sorta di clero laico, incaricato di compulsare costantemente la natura alla ricerca di nuove scoperte per spingere la gioiosa macchina del progresso verso sempre più elevate vette.   Viceversa, l’amministrazione doveva essere appannaggio degli industriali, dei mercanti e dei banchieri i quali avrebbero sicuramente provveduto ad evitare la dilapidazione di risorse in attività inutili, così come avrebbero evitato accuratamente ogni guerra e scontro sociale per il semplice fatto che queste cose non convengono a nessuno.

Oggi è facile sorridere di queste idee e, a dire il vero, nell'ultimo periodo della sua vita anche Saint Simon si rese conto che l’interesse privato non era sufficiente a garantire la prosperità e la pace comune.  Andò quindi alla ricerca di un’etica più profonda che trovò, o pensò di trovare, in una versione profondamente rimaneggiata del cristianesimo.   Riforma che teorizzo e descrisse nelle sue ultime opere.

Saint-Simon ebbe un enorme seguito e la sua influenza, più o meno diretta, risulta evidente ancora oggi in moti ambienti.   Ma ancor più di lui ebbe influenza un altro augusto conte, stavolta per nome e non per tutolo.   Intendo Auguste Comte (1798 - 1856), che per circa sei anni fu segretario personale del conte.

Ancor più di Saint Simon, Comte spinse agli estremi la concezione romantica della scienza come valore assoluto; strumento di riscatto e sublimazione definitiva dell’Uomo.   Ma se la scienza voleva essere degna di tanto onore, doveva evitare accuratamente alcune tendenze che, già allora, si manifestavano.  Non doveva infatti suddividersi in specializzazioni: sei e solo sei dovevano essere le scienze e nessuna contaminazione fra queste doveva essere ammessa.  

La sociologia era la scienza suprema, articolata in “statica” e “dinamica” sulla falsariga della meccanica newtoniana.   La Sociologia statica era fondata sul concetto di “Ordine” e doveva studiare le cause del disordine sociale e, dunque, i modi per prevenirlo.   La Sociologia dinamica doveva invece dare attuazione al concetto di “Progresso”, inteso come destino ineluttabile e ragion d’essere di un’umanità divinizzata.

A tal fine, gli scienziati non dovevano sprecare tempo e risorse a ricercare il “PERCHÉ” avvengono i fenomeni in quanto dietro ogni causa se ne cela sempre un altra, all’infinito.  In uno spirito di sobria economia, Il compito della scienza era solo quello di capire “COME” avvengono i fenomeni che ci riguardano e, dunque, come si possono manipolare a nostro vantaggio.

Nelle sue opere più mature, pensò anche che una fede religiosa fosse necessaria per il buon ordine della società positiva.   Si inventò dunque a tavolino una vera e propria dottrina religiosa devoluta all'Umanità, chiamata “Grande Essere”.   Una sorta del Leviatano di Hobbes, ma dotato di una dimensione storica e sacrale del tutto nuova.

Al di la dei dettagli del culto immaginato da Comte, il Positivismo ebbe un’importanza determinante sul successivo sviluppo della civiltà europea prima, e mondiale poi.  In particolare, ebbe grande seguito la tripartizione della storia del pensiero umano in fasi: teologica (ovvero fittizia), metafisica (o astratta) e scientifica (o positiva).   La prima sarebbe caratteristica dei popoli primitivi che, non capendo niente di quello che gli succede intorno, si immaginano degli esseri sovrannaturali che fanno e disfano.  Nella fase metafisica la gente, già un po’ più sveglia, sostituisce gli Dei con dei concetti astratti come l’Essere o la Natura.   Nella fase scientifica, finalmente, la realtà si schiude all’occhio umano per quello che è e l’umanità apprende a dominare la natura.

L’idea che la civiltà industriale europea fosse superiore a tutte le altre in quanto più “avanzata” ha radice soprattutto negli scritti polemici di Voltaire, ma Comte portò l’idea a sistema.   E come sistema è ancora alla radice del nostro modo di vedere noi stessi.   Di qui, ad esempio, la nostra classificazione dei popoli in “sviluppati”, “in via di sviluppo” o “sotto-sviluppati” in rapporto a quanto distano da noi: astro fulgente cui tutti, necessariamente, tendono.

Difficile immaginare qualcosa di più lontano dal “Noi moderni siamo nani assisi sulle spalle di giganti” di uno scienziato del calibro di Blaise Pascal.  Va detto, del resto, che Comte non era uno scienziato e che, per sua stessa dichiarazione, praticava una rigida “igiene mentale”.  Vale a dire che leggeva pochissimo di ciò che non era in linea con le sue idee.   Evidentemente neanche i classici, visto che per cambiare idea gli sarebbe bastato leggere un qualunque autore antico.   Magari solo “nuvole”,  in cui Aristofane si fa beffe, fra gli altri, di un sempliciotto che crede che “a far piovere sia Zeus pisciando nel crivello”.

Destino beffardo.   Comte è stato smentito in praticamente ogni punto del suo pensiero proprio da quel progresso scientifico cui tanto anelava.   Per esempio, contrariamente a quanto da lui previsto, lo studio dei popoli antichi e dei “primitivi” tuttora viventi  ha rivelato conoscenze ed elaborazioni teoretiche sorprendenti.   Le scoperte scientifiche principali sono avvenute nei campi della scienza pura e, soprattutto, nelle interfaccia fra le diverse specializzazioni.   La moltiplicazione di queste, d'altronde, ha non poco favorito la messa a punto di una massa di dettagli senza i quali non sarebbe mai stato possibile verificare l’attendibilità delle teorie generali.   Il progresso della tecnologia ha portato immensi vantaggi, creando nel contempo i presupposti per la più grande catastrofe della storia dell’umanità.    Il calcolo delle probabilità è fondamentale in molti campi d’avanguardia come la fisica delle particelle e le dinamiche caotiche.   L’astronomia ha dato il meglio di se sondando i limiti dell’universo conoscibile.   La microbiologia ha potuto spiegare molti dei segreti del mondo vivente.   Lo studio delle civiltà del passato ha arricchito enormemente la nostra cultura e fertilizzato numerose scienze contemporanee.   Per citare solo i punti principali su cui Comte aveva certamente torto.  

Ciò nondimeno, le idee basilari di Comte ebbero un’immensa eco e si concrezionarono nei manuali scolastici, così come in molte ideologie politiche.   Ancora i miei figli, pochi lustri addietro, tornavano da scuola raccontando, assai poco convinti, che i maestri gli avevano spiegato di come gli antichi, nella loro ignoranza, pesassero che la pioggia fosse l’urina di Zeus e simili amenità.   Che in tempi più moderni i filosofi avevano cercato di spiegare razionalmente il mondo, ma che solo la scienza moderna era stata in grado di svelare ogni segreto e porre finalmente la natura al servizio dell’uomo.

Insomma, anche se la scienza non cessa di smentire il Positivismo, questo continua ad informare di sé gran parte della scienza odierna e l'intera nostra civiltà.  Tanto che quando gli scienziati dicono cosa NON si deve fare e perché vengono perlopiù ignorati (o marginalizzati).   Compito della scienza, si sa, è scoprire come dominare sempre meglio e sempre più i fenomeni naturali, non certo quello di porre dei limiti al Progresso!

Ma spesso un eccesso ne provoca un altro di segno opposto.   E, difatti, proprio negli stessi anni in cui si esaltava il ruolo sommamente “positivo” della scienza, nasceva dalla penna di una donna, Mary Shelley, la figura dello “scienziato pazzo”.   Una contro-narrativa non meno fantasiosa e potente di quella di Comte e, come quella, destinata ad avere un peso nella nostra civiltà.







lunedì 21 settembre 2015

Ce la facciamo a sostituire i fossili con le rinnovabili prima che sia troppo tardi?


Il risultato di uno dei modelli sviluppati da Alessandro Pulvirenti per descrivere la "Transizione Energetica." Vedete il declino della produzione fossile e il rapido aumento di quella rinnovabile.

Dicevano i Cinesi che vivere in tempi interessanti è una maledizione. In effetti, c'è poco da dubitare che viviamo in tempi interessanti. A parte le varie guerre, stermini di massa, migrazioni, e tutto il resto, abbiamo davanti un problema cruciale: Siamo in grado smettere di bruciare combustibili fossili prima che il cambiamento climatico ci spazzi via? E siamo in grado di sostituirli con qualcosa che ci dia altrettanta energia da permetterci di sopravvivere? E siamo in grado di farlo prima che le risorse fossili si esauriscano?

Bella domanda. Diciamo che vale qualche trilione di dollari; il valore monetario di un'intera civiltà. Ci prova a dare una risposta Alessandro Pulvirenti con una serie di calcoli molto dettagliati e molto interessanti. Come vi potete immaginare, non è un calcolo facile e le assunzioni necessarie sono tante e tutte piuttosto incerte. Ma, in breve, comunque, Pulvirenti basa i suoi calcoli su una diminuzione progressiva dell'EROEI (resa energetica) dei fossili, su una "curva di Hubbert" per i consumi fossili, e sull'idea che una certa frazione dell'energia prodotta (fossile e rinnovabile) verrà riutilizzata per costruire nuovi impianti rinnovabili che, alla fine, sostituiranno completamente quelli fossili.

I risultati variano a seconda delle assunzioni iniziali. Ecco le conclusioni alle quali arriva Pulvirenti.

Visti i risultati dei 4 modelli utilizzati, ci si rende conto che:

E' quasi impossibile escludere totalmente l'uso dei combustibili fossili con le sole fonti rinnovabili, utilizzando le tecnologie attuali e la capacità di produzione delle aziende.

Invece, soddisfare le esigenze di energia elettrica attuali e future (il 50% dell'energia primaria) è una cosa fattibile, ma richiede grandi investimenti per gli impianti di produzione (aziende).

Rinviare ulteriormente la transizione e cercare di effettuarla in futuro in minor tempo, richiederà maggiori risorse energetiche annuali, sia per la produzione dei manufatti (celle PV o aerogeneratori) che investimenti per gli impianti delle aziende prodruttrici; con il rischio che l'eccessiva sottrazione di risorse energetiche, causi una crisi economica e sociale molto intensa.

Questi risultati sono diversi da quelli miei e dai miei collaboratori (Sgouridis et al.), dove troviamo che in effetti è possibile sostituire l'energia fossile con altrettanta energia netta di origine rinnovabile in una arco di tempo di una cinquantina di anni. Anche Greenpeace è venuta fuori con una proposta di arrivare al 100% di energia rinnovabile per il 2050.

Ma non mi sembra che ci siano contrasti fondamentali: dipende dalle assunzioni iniziali. Come tutti sappiamo, anche senza bisogno di calcoli dettagliati, la transizione è complessa e richiede dei sacrifici che, al momento, nessuno ha voglia di fare. E se nessuno ha voglia di fare sacrifici, alla transizione non arriveremo mai, di certo.

Comunque, date un'occhiata al post di Pulvirenti, con il quale mi congratulo per il lavoro svolto. Potete commentare qui, su "effetto risorse," che Alessandro segue normalmente.



domenica 20 settembre 2015

La fine annunciata della civiltà

Da “bastamag.net” Traduzione di MR (via Luca Pardi)

Di Ivan Du Roy


Dei nove limiti vitali al funzionamento del “sistema Terra”, almeno quattro sono già stati superati dalle nostre società industriali, con il riscaldamento globale, il declino della biodiversità o il tasso insostenibile di deforestazione. Superare questi limiti significa prendersi il rischio che il nostro ambiente e le nostre società reagiscano “in modo improvviso ed imprevedibile”,avvertono Pablo Servigne e Raphaël Stevens nel loro libro “Come tutto può collassare”. Ricordando tutti i dati e gli avvertimenti scientifici sempre più allarmanti, i due autori fanno appello ad uscire dalla negazione. “Essere catastrofisti non significa né essere pessimisti né ottimisti, significa essere lucidi”. Un'intervista.