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sabato 7 ottobre 2023

Il "miracolo" del fracking spiegato. Potrebbe accadere di nuovo?


Un'immagine dalla presentazione della tesi di Louis Delannoy all'INRIA di Grenoble il 15 settembre 2023. Louis (lo vedete in basso a sinistra nell'immagine) ha lavorato sulla transizione energetica utilizzando modelli che prendevano esplicitamente l'EROEI (rendimento energetico dell'energia investita) in considerazione. I risultati sono in linea con quanto già sappiamo: la transizione è possibile ma non facile. Tuttavia, l'approccio di Delannoys ai calcoli ha portato a diversi spunti interessanti. Il primo riguarda il modo in cui il tight oil ha rivoluzionato il mercato petrolifero negli anni 2010. Si scopre che lo shale oil è stato un piccolo miracolo tecnologico. Può essere ripetuto? Una questione cruciale per il futuro dell’umanità. Il testo che segue si ispira alla tesi di Delannoy, pur riportando mie riflessioni personali. 


“Game Changer” è un termine abusato, ma si applica perfettamente all’impatto del fracking sul mercato petrolifero negli anni 2010. Mentre gli esperti erano in gran parte concordi nel ritenere definitivo il calo della produzione petrolifera statunitense, inaspettatamente il mercato è stato inondato dal nuovo “tight oil” o “shale oil” prodotto dal “fracking”, che ormai supera la produzione di petrolio convenzionale negli Stati Uniti con un rapporto superiore al 60%/40%. La produzione USA di tight oil è ancora in aumento, e potrebbe continuare ad aumentare almeno per qualche anno, anche se a costi di estrazione in aumento.  (fonte immagine)


Il successo dell’operazione tight oil solleva diverse domande: perché ha avuto tanto successo? Perché non è arrivato prima? Perchè non è stato previsto? Quanto durerà? Può essere replicato al di fuori degli Stati Uniti?  

La visione biofisica dell’estrazione petrolifera presuppone che le risorse “facili” (cioè quelle a basso costo) vengano estratte per prime. Queste sono le risorse che forniscono il più alto EROI (rendimento energetico per l'energia investita) e quelle che forniscono il ritorno economico più elevato. Man mano che queste risorse si esauriscono, lo sforzo di estrazione si sposta verso un EROI inferiore e quindi risorse più costose. I prezzi devono essere aumentati per mantenere il profitto e ciò influisce negativamente sulla domanda. Il risultato è la familiare "curva di Hubbert" a forma di campana. (qui visto in un'illustrazione dell'articolo originale del 1956 di Marion King Hubbert).


È stato a causa di questa visione che, negli anni 2000, molti esperti tendevano a liquidare il petrolio di scisto come una moda passeggera. Quando l’industria ha iniziato a estrarlo, la reazione è stata che, dal momento che il petrolio di scisto è arrivato molto dopo l’inizio del declino del petrolio convenzionale, doveva trattarsi di un tentativo disperato di estrarre da risorse a basso EROI. In effetti, la complessità e la sofisticazione dei macchinari necessari per le varie operazioni di trivellazione dello shale oil sono impressionanti. Si potrebbe pensare che l'intero macchinario sia inefficiente e costoso, un'impressione rafforzata dalle molteplici dichiarazioni nei media finanziari secondo cui gli investitori per la maggior parte non hanno guadagnato nulla con il fracking. 

Ma non sembra essere così. Diamo un'occhiata alla tabella all'inizio di questo post. Mentre il greggio convenzionale negli Stati Uniti ha ora un EROI di circa 10 alla bocca del pozzo, la stima riportata da Delannoy da un articolo di Brandt et alè intorno a 30 per lo shale oil, sempre alla bocca del pozzo. Non c'è da riporre troppa fiducia in questi numeri; sono affetti da grandi incertezze. Ma sono in contrasto al modello biofisico semplificato che vede l’estrazione muoversi gradualmente da risorse con EROI elevato a risorse con EROI basso. 

Allora, cosa è successo? Ebbene, è una delle regole dell'universo che " Dio sceglie le cose stolte per confondere i saggi ( 1 Corinzi 1:27 ). I saggi, ovvero gli "esperti", tendono a concentrarsi su ciò che sanno e a respingere ciò che sanno. Non funziona così.  Il record degli esperti nella comprensione delle rivoluzioni tecnologiche è estremamente scarso. In campo energetico, tendono a riporre molta fiducia nelle "nuove tecnologie", ma quasi sempre scommettono su quelle sbagliate, ad esempio l'idrogeno. Parallelamente, si perdono le vere rivoluzioni, come quella dello shale oil. 

Anche di recente, gli esperti sono totalmente incapaci di credere o comprendere il nuovo punto di svolta, l’energia fotovoltaica, che ora ha un EROI abbastanza grande da distruggere tutte le alternative fossili. La maggior parte degli esperti non ha familiarità con la tecnologia fotovoltaica. Non riescono proprio a capire come una lastra grigia apparentemente semplice possa competere e superare le gigantesche turbine a vapore azionate da un enorme impianto nucleare. Fortunatamente, le tecnologie efficienti tendono ad affermarsi per la pura forza della loro efficienza. È successo per lo shale oil; sta accadendo per il fotovoltaico. Osserviamo i cambiamenti che avvengono anche se spesso non li comprendiamo. Come al solito, il futuro decide per noi. 

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Alcuni altri punti da considerare

1. L’ascesa del tight oil viene talvolta usata per denigrare i modelli biofisici e la curva di Hubbert. Questo è un grave errore. Il modello biofisico descrive perfettamente ciò che è accaduto negli Stati Uniti negli ultimi 20 anni se si tiene conto dell’elevato EROI dello shale oil. La tecnologia è uno dei fattori che possono cambiare la partita: gli aerei non invalidano la legge di gravitazione universale di Newton. 

2. Il tight oil è stato un successo, ma ciò non significa che sia una buona cosa, né che durerà per sempre. Ci mantiene dipendenti dai combustibili liquidi e rinvia la transizione tanto necessaria alle energie rinnovabili. Fortunatamente, anche questa risorsa ad alto EROI non può durare per sempre. Nonostante alcune affermazioni ottimistiche su “secoli di prosperità”, è probabile che raggiunga il suo picco nei prossimi anni, per poi iniziare a diminuire in modo irreversibile. 

3. La storia secondo cui gli investitori non hanno guadagnato nulla con lo shale oil è un po’ più difficile da comprendere. Se lo shale oil ha un EROI così buono, come è possibile che le persone non ne abbiano tratto profitto? In via provvisoria, ciò può essere spiegato assumendo che i profitti siano stati quasi completamente reinvestiti in nuove trivellazioni. Si noti, infatti, quanto è ripida la curva di crescita della produzione di shale oil. A quanto pare, gli investitori hanno aspettato che il petrolio di scisto guadagnasse un posto stabile nel mercato prima di iniziare a pensare ai profitti. Leggiamo sui giornali finanziari che la maggior parte degli investitori hanno dichiarato che ora smetteranno di buttare denaro in nuovi pozzi di shale, concentrandosi ora sulla massimizzazione dei profitti. Potrebbe essere uno dei motivi del recente aumento dei prezzi. Il che vuol dire, ovviamente, che la produzione si avvia verso il declino. 

3. È una cosa buona che l'EROI delle tecnologie di produzione di liquidi alternative allo shale oil, come Coal to Liquids (CTL) e Gas to Liquids (GTL), abbiano un EROI così basso (guardate l'immagine della tesi di Delannoy sopra ). Ciò significa che quando il tight oil inizierà a diminuire, non vedremo una corsa ai combustibili sintetici (grazie a Dio!). Potremmo assistere a un tentativo di spostarsi verso le sabbie bituminose, ma anche in quel caso l’EROI è probabilmente troppo basso per ripetere il miracolo dello shale oil. 

4. Resta una questione aperta in un contesto geopolitico. Perché il tight oil viene estratto solo (o quasi solo) negli Stati Uniti? Chiaramente, l’industria statunitense ha sviluppato tecnologie efficienti per la perforazione orizzontale e la fratturazione idraulica. Ma questi non sono così complessi da non poter essere replicati altrove, e la stessa industria statunitense potrebbe essere interessata ad applicarli in altri paesi. Allora perché, ad esempio, la Russia non sta sviluppando il petrolio di scisto della Formazione Bazhenov, situata nella Siberia occidentale ? Lo afferma l' Energy Information Administration statunitense, l'intera area potenziale dello shale di Bazhenov dispone di risorse di tight oil pari a più di mille miliardi di barili. Forse è un'esagerazione (spesso queste stime lo sono), ma è una cifra enorme che corrisponde a circa 30 anni di consumo ai ritmi attuali. Esistono molte altre potenziali risorse di tight oil nel mondo, ma nessuna viene sfruttata a un ritmo significativo. Questa partita geopolitica è destinata a rimanere per ora un mistero, e possiamo solo sperare che la rivoluzione fotovoltaica renda presto obsoleti i combustibili liquidi.



Louis Delannoy durante la discussione della sua tesi il 15 settembre 2023 a Grenoble. Indossa una maglietta "Limiti alla Crescita" (potete comprarne una su Zazzle ). 




martedì 21 marzo 2023

Petrocalisse: il Necronomicon dell'Energia

 



Un libro molto interessante, ma un tantino pessimista. Non dico che vi può fare l'effetto del "Necronomicon" (il libro che fa impazzire chiunque lo legga), ma, insomma, potreste trovarlo un tantino impattante se non siete preparati su certi argomenti. 


Antonio Turiel lo conosco piuttosto bene. Ci siamo incontrati in varie occasioni a Barcellona, dove lui lavora all'Istituto delle Scienze del Mare, Institut de Ciències del Mar - ICM-CSIC. Vi posso dire che è uno dei ricercatori più preparati al mondo nel campo delle risorse energetiche e del cambiamento climatico. Il suo blog, "The Oil Crash," (anche se al momento un tantino trascurato) è stato e rimane uno dei punti di riferimento fondamentali per chi si occupa di risorse petrolifere e di picco del petrolio. 

La mia impressione e che Turiel, da solo, sia stato uno dei fattori principali che ha influenzato il dialogo pubblico in un intero paese, la Spagna, che al momento è molto più sensibile di paesi come l'Italia al problema dell'esaurimento delle risorse e del cambiamento climatico. Al punto che in Spagna hanno tradotto in Spagnolo il mio libro "Before Collapse." In Italia, di questi argomenti sembra che non glie ne importi niente a nessuno. Anzi, direi che non è che "sembra" -- è proprio così!

Allora, ben venga l'iniziativa di Logos Edizioni di tradurre l'ultimo libro di Turiel "Petrocalisse" che è uscito in Spagna nel 2020. Un libro senza dubbio di grande interesse che vale assolutamente la pena di leggere anche se, e mi scuserà Antonio per questo, mi ha lasciato un po' perplesso. Da catastrofista di rango, come alcuni mi considerano, direi che questo libro è un tantino troppo catastrofista anche per me. Se ne rende conto anche Turiel stesso, quando scrive nel suo blog che:

Pensare a tutte quelle persone che mi criticano per essere così negativo nelle mie valutazioni, per non essere in grado di vedere lo splendido futuro che ci aspetta, per boicottare con il mio atteggiamento le soluzioni che ci vengono vendute... Ho esaminato più volte i miei dati e le mie analisi e continuo a trovare enormi lacune e carenze nel modello di Elettricità Rinnovabile Industriale che vogliono imporci, carenze a cui nessuno risponde se non con attacchi personali, mai con dati.

E qui, se non altro Turiel azzecca in pieno l'essenza del dibattito attuale. Non puoi più dire niente senza essere immediatamente attaccato sul piano personale. Non esiste più niente di simile al dibattito nell'antico senso della "disputatio" medievale, parte dell'ancora più antica e nobile arte della retorica. Sono rimasti solo gli insulti. Forse meglio che il "soft banning" che colpisce tutti quelli che si provano a criticare i vari potentati dominanti, ma non entriamo in questo argomento. 

Così, il libro di Turiel è un testo meditato e argomentato che demolisce una buona frazione delle varie bufale che ci raccontano e che continuano a raccontarci. Turiel è un fisico, quindi non perdona con la sua analisi, sempre quantitativa, dettagliata, e impietosa. Certi bersagli, per la verità, sono un po' come sparare sulla crocerossa, come la banda di ciarlatani delle energie gratuite (tradotto come "energie libere" nella versione italiana, che è un po' impreciso, ma comunque la faccenda è quella). Su questo, basta ricordare come Turiel sia stato uno dei primi a identificare e demolire la truffa del cosiddetto "E-Cat," lo scaldabagno atomico dell'ing. Rossi. E si va avanti demolendo i biocombustibili, il motore ad acqua, il risparmio e l'efficienza, i vari miracoli petroliferi, l'energia nucleare, certe esagerazioni sulle rinnovabili, e così via. A mio parere, certe volte la demolizione di Turiel è un po' eccessiva, ma i suoi ragionamenti non sono mai banali. 

Ahimé, molto spesso Turiel ha ragione, ma io mi immagino il lettore medio che, a metà strada di questa demolizione all'ingrosso, rischia di trovarsi perduto in un oceano di pessimismo, e non sa più che pesci pigliare. Certo, alla fine del libro c'è un capitolo intitolato "cosa bisogna davvero cambiare," ma uno si può ragionevolmente domandare per quale ragione gli stessi argomenti demolitivi che Turiel applica un po' a tutto non si possano anche applicare a queste possibili soluzioni. La cancellazione del debito e la ridefinizione del denaro, e altre cose che Turiel propone sembrerebbero essere buone idee. Ma anche il motore ad acqua e l'E-cat potevano sembrare buone idee quando sono stati proposti. 

Insomma, come dicevo all'inizio, questo è un libro che vale veramente la pena di leggere, specialmente per il trattamento della situazione delle risorse petrolifere, argomento del quale Turiel è uno dei maggiori esperti mondiali. Ma fate attenzione, è un libro che può impattare sulla vostra salute mentale se non siete preparati a certe cose. Non dico che vi può fare l'effetto del "Necronomicon" di H.P. Lovecraft, ma un certo scombussolamento cerebrale ve lo potete aspettare. D'altra parte, potete sempre scegliere un'altra strategia: accendete la TV e ascoltate il telegiornale. Così state tranquilli e beati e non vi accorgerete di niente. Fino a che non potrete fare a meno di accorgervene. 


 

venerdì 2 dicembre 2022

Il grafico più impressionante del ventunesimo secolo: L'impero colpisce ancora!

 Domenica 27 novembre 2022


Nel 1956, Marion King Hubbert aveva previsto che la produzione di petrolio degli Stati Uniti avrebbe seguito una curva "a campana", iniziando un declino irreversibile intorno al 1970. Aveva sostanzialmente ragione ma, intorno al 2010, la curva di produzione ha ripreso a crescere. Questo brusco rimbalzo è stato un evento sorprendente che ha riportato gli Stati Uniti al ruolo di maggior produttore mondiale di greggio e a diventare sensibilmente più aggressivi in termini geopolitici. Sostenuto dalla sua grande produzione di petrolio, l'Impero sta tornando a colpire, ma per quanto tempo? (immagine di Paul Kedrosky)


Anni fa, James Schlesinger ha osservato che gli esseri umani hanno solo due modalità operative: la compiacenza e il panico. È un'osservazione che suona vera e che possiamo generalizzare in termini di gruppi: alcuni esseri umani sono catastrofisti e altri cornucopiani. Io tendo a schierarmi con i catastrofisti, al punto che ho creato il termine"effetto Seneca" o "precipizio di Seneca" per definire il rapido declino che si verifica dopo l'arresto della crescita. In effetti, le catastrofi sono un evento comune nella storia umana, ma è anche vero che a volte (raramente) un declino catastrofico può essere invertito: ho chiamato questo effetto il "Rimbalzo di Seneca".


Un esempio impressionante di rimbalzo è rappresentato dalla storia della produzione petrolifera statunitense. Probabilmente sapete che nel 1956 Marion King Hubbert propose la sua idea della curva "a campana". La sua previsione si rivelò approssimativamente corretta: la produzione petrolifera statunitense iniziò a diminuire dopo il picco del 1970, seguendo una traiettoria che sembrava irreversibile. All'inizio degli anni 2000, dopo quasi 40 anni di declino, nessun geologo sano di mente avrebbe detto che il declino poteva essere fermato, per non dire invertito. Non si trattava di essere catastrofisti o cornucopiani: i membri di entrambe le categorie erano normalmente d'accordo sul fatto che estrarre grandi quantità di petrolio da fonti "non convenzionali" era semplicemente impensabile in termini economici.

Poi è successo qualcosa che ha cambiato tutto. Ci sono voluti alcuni anni prima che la nuova tendenza fosse chiara ma, a metà degli anni 2010, non poteva più essere ignorata. Nel 2018, la produzione statunitense era tornata ai livelli del picco del 1970. Nel 2019 lo ha superato e ha continuato a crescere. La produzione di gas naturale ha seguito la stessa tendenza, salendo rapidamente a livelli mai visti prima. Nel 2020, la crisi del Covid ha causato un nuovo calo della produzione, attualmente solo parzialmente recuperato. Ma lasciamo perdere il Covid, per il momento. Cosa è successo per cambiare così tanto le cose nell'industria petrolifera statunitense?

Probabilmente sapete che la causa ha un nome e una storia: si chiama "tight oil" o"shale oil", ("petrolio di scisto") estratto tramite "fracking". Di per sé, non è nulla di particolarmente nuovo, il concetto era già noto negli anni 1930. L'idea è quella di utilizzare l'alta pressione per fratturare la roccia che contiene il petrolio. In questo modo il liquido può fluire in superficie. Il problema del fracking è che è costoso. Tanto che si dice comunemente che fino ad oggi nessuno ci abbia guadagnato. Nel 2017, un'analisi del Wall Street Journal è arrivata alla conclusione che, dal 2007, "le compagnie energetiche hanno speso 280 miliardi di dollari in più di quanto hanno generato dalle operazioni sugli investimenti nello scisto". Altri analisti hanno espresso gli stessi concetti: si può estrarre petrolio dagli scisti, ma non aspettatevi di farci soldi sopra. Allora, perché si insiste a buttare denaro buono dentro pozzi cattivi?

Ci sono buone ragioni. Quelli che hanno scartato la possibilità di estrarre il tight oil erano perfettamente in grado di valutare la convenienza economica del processo, ma non hanno considerato che il "mercato" è un'astrazione che non funziona sempre, anzi, non funziona quasi mai. Quindi, le entità finanziarie che forniscono denaro per l'esplorazione petrolifera fanno parte di un mix di interessi che comprende l'industria petrolifera, l'industria aerospaziale, l'industria militare e altri. Questo mix è ciò che tiene in vita l'economia statunitense. Ma non ci sarebbero industrie aerospaziali o militari se l'industria petrolifera non fosse in grado di produrre petrolio in abbondanza.

È impossibile dire come sia stata presa la decisione di riversare immense quantità di denaro nel tight oil. Forse è stata una decisione strategica presa dalla lobby militare del governo statunitense (si può anche notare una curiosità: perché gli Stati Uniti sono stati l'unico Paese a investire nell'estrazione di shale oil? Dopo tutto, ci sono giacimenti di petrolio di scisto in molti altri Paesi. Mi viene in mente una spiegazione, ma lascio ai commentatori il compito di tirar fuori teorie cospirazioniste). O forse, la lobby finanziaria si è resa conto di poter sopravvivere alle perdite dei propri investimenti nel petrolio se questi investimenti mantenevano altri settori dell'economia in grado di generare profitti. O, forse anche, è stata una decisione collettiva nata dal grande panico del 2008, quando il prezzo del petrolio è schizzato a 150 dollari al barile. Quell'evento ha spaventato tutti a sufficienza da convincere alcuni dei protagonisti che investire nel petrolio era una buona idea. In ogni caso, con il secondo decennio del XXI secolo, il mondo è cambiato.




L'immagine qui sopra è di Michael Roscoe. Non è aggiornata agli ultimi livelli di produzione di petrolio, ma mostra come gli Stati Uniti abbiano dominato il mercato petrolifero (e il mondo) fino agli anni Sessanta. Per un certo periodo sono stati sfidati dalla Russia e dall'Arabia Saudita, ma ora gli Stati Uniti stanno tornando al comando. Come tutti i sistemi complessi, l'impero americano dipende dall'afflusso di energia dall'esterno. Non sorprende quindi che l'impero stia ritornando a colpire!


Una delle conseguenze visibili del ritorno dell'Impero è l'abbandono dell'Afghanistan, che aveva invaso 20 anni fa alla ricerca di nuove risorse petrolifere in Asia centrale. Queste risorse si sono rivelate evanescenti, forse inesistenti, ma gli Stati Uniti hanno insistito ostinatamente per rimanere nell'area. Poi, con il tight oil, i poteri forti si sono resi conto che gli Stati Uniti non avevano più bisogno di quelle risorse. E che potevano concentrarsi su obiettivi più succosi, muovendosi in modo aggressivo per spingere il suo principale concorrente, la Russia, fuori dal mercato europeo del gas. Gli Stati Uniti si stanno comportando in modo aggressivo anche nei confronti della Cina, che considerano giustamente il loro principale concorrente a lungo termine. Se questo porterà a una guerra ancora peggiore di quella che è in corso è tutto da vedere. Ma è l'energia che rende possibili le guerre.

Ma quanto durerà l'abbondanza creata dagli scisti? Come sempre, il futuro è oscuro, ma non del tutto. Il petrolio di scisto rimane una risorsa limitata, per quanto spesso si senta dire che ci regalerà secoli di prosperità o addirittura che la tecnologia lo ha reso illimitato. Dopo lo tsunami del Covid, la produzione di shale oil ha ripreso a crescere, ma non ha ancora raggiunto il livello del 2019. Inoltre, la sua crescita sta chiaramente rallentando, mentre l'Impero sta affrontando nuovi vincoli in termini di risorse sovrasfruttate: terra, acqua, cibo, suolo fertile e altro ancora.


Il tight oil raggiungerà di nuovo un picco e, questa volta, per sempre? Non possiamo dirlo. Possiamo solo dire che l'impero americano sta seguendo il flusso e il riflusso delle risorse che lo fanno esistere. Questo è il potere dell'energia, e gli imperi non sono che schiavi delle forze che governano l'universo!


 

venerdì 18 novembre 2022

Colin Campbell (1931-2022). Un omaggio al padre del concetto di "Peak Oil"

Colin Campbell è morto a 91 anni, il 13 novembre 2020, nella sua casa di Ballydehob, in Irlanda. Amava illustrare il concetto di picco del petrolio usando la birra. Nessuna teoria fantasiosa, nessuna ideologia, nessuna creazione di risorse: la birra è una cosa reale che non puoi creare dal nulla. E dopo averla bevuta, non ne rimane più! 


Ho incontrato Colin Campbell per la prima volta in Italia, nel 2003, quando l'ho invitato a tenere una conferenza all'Università di Firenze. Quel giorno era chiaro che Colin ci stava portando un messaggio importante. Sapeva che il nostro mondo, la nostra orgogliosa civiltà e le nostre (forse) grandi conquiste erano tutte basate sulla disponibilità di petrolio a buon mercato. Niente petrolio, niente energia. Nessuna energia, nessuna civiltà.

Non tutti quelli che lo ascoltavano, in quel momento, capirono il suo messaggio, ma alcuni di noi sì. Erano passati solo due anni da quando le Torri Gemelle di New York erano crollate. Era stato un evento che chiedeva una spiegazione, ma che non poteva essere compreso nel quadro del mondo così come ci veniva presentato dai media ufficiali. Fu quel giorno che un piccolo gruppo di scienziati e ricercatori italiani si riunì nel mio ufficio per incontrare Colin dopo la sua conferenza. È stata un'esperienza elettrizzante: tutti abbiamo avuto l'impressione che si stesse sollevando un velo, che si potesse vedere cosa c'era dietro il sipario della propaganda, che si potesse finalmente percepire il meccanismo che faceva muovere il mondo. Una nuova realtà ci veniva rivelata.

Colin non era uno scienziato accademico. Era principalmente un "petroliere", una di quelle persone che sono la versione moderna degli antichi esploratori. Persone che hanno opinioni pratiche e senza fronzoli, che non possono essere facilmente influenzate da ideologie o tendenze alla moda. Persone temprate dall'esperienza, abituate a porsi obiettivi realistici e a raggiungerli. Colin non era un uomo che potesse essere facilmente intimidito.

In qualità di ex petroliere, Colin ha avuto accesso a dati che per la maggior parte di noi sono troppo costosi o semplicemente non disponibili. Insieme al suo amico e collega di lunga data, Jean Laherrere, hanno rivisitato un vecchio modello che Marion King Hubbert aveva proposto nel 1956, lo hanno rinnovato con nuovi dati e hanno pubblicato i loro risultati in un articolo del 1998 su "Scientific American" intitolato " The End del petrolio a buon mercato ". Il modello era semplice e i dati ancora incerti, ma lo studio andava diritto al suo obiettivo e giungeva a una chiara conclusione: le risorse petrolifere del mondo stavano diventando sempre più costose e la crescita economica sarebbe diventata una cosa del passato in un futuro non remoto. Le conseguenze erano sconosciute ma potenzialmente disastrose. Più tardi, chiamai il declino che ci aspettava, "La Rupe di Seneca".

Colin si stava muovendo lungo un percorso parallelo a quello creato, circa 30 anni prima, dagli autori di "The Limits to Growth" e dai loro sponsor, il Club di Roma. Colin era un grande fan dello studio dei "Limiti dello Sviluppo" e, acuto come al solito, riusciva a riconoscere le idee che erano radicate nel mondo reale. Non avrebbe mai dato retta alle vaghe argomentazioni che erano state prodotte contro lo studio, come ad esempio che le risorse sono "create" dall'intelligenza umana. No, le risorse sono qualcosa di reale, qualcosa di fisico, qualcosa che puoi pesare e misurare. E non arrivano gratis: devi pagare per quello che estrai, e il costo potrebbe essere superiore a quello che puoi permetterti di pagare. Questa è l'essenza dell'idea di esaurimento graduale che porta alla curva "a campana". È stata la base dello studio "Limits to Growth", e la base della teoria del "picco del petrolio". Di seguito è riportato il risultato principale dello studio del 1998.


All'inizio degli anni 2000, Colin fondò la "Associazione per lo studio del picco del petrolio e del gas" (ASPO). Era un gruppo di scienziati, intellettuali e semplici cittadini che avevano capito un concetto semplice: il futuro non sarebbe stato quello che ci era stato detto di aspettarci. È stato un tentativo di allertare i governi e tutti quanti sui pericoli futuri.

Ripensando a quella storia, oggi, è davvero sorprendente come Colin sia riuscito, da solo e solo con i propri mezzi, a creare un'organizzazione che era arrivata ad avere un certo effetto sul dibattito globale. I politici di alto rango hanno ascoltato il messaggio, anche se spesso hanno reagito criticandolo. Per un certo periodo, l'ASPO è stato anche un forum dove si riunivano tutti i tipi di sovversivi, compreso l'arci-teorico della cospirazione Michael Ruppert, che ho incontrato personalmente a Vienna in uno degli incontri dell'ASPO. Sono ragionevolmente sicuro che ASPO sia stata infiltrata dalla CIA , non ho prove, ovviamente, ma sarei sorpreso se non avessero sondato ASPO per vedere cosa stavamo facendo. Evidentemente decisero che eravamo innocui (avevano ragione) e ci lasciarono in pace.

ASPO ha attraversato un ciclo di popolarità che è durato circa 10 anni. Per un po', sembrava che potessimo influenzare il mondo, che le persone che avevano il potere di fare qualcosa ascoltassero il nostro messaggio e intervenissero. Nel 2005, Colin Campbell propose il suo "Protocollo petrolifero" (detto anche "Protocollo di Rimini") che avrebbe posto un limite al tasso di estrazione del petrolio e degli altri fossili. E questo ha suscitato molto interesse a metà degli anni 2000. Ma non durò a lungo.

La traiettoria dell'ASPO ha seguito un percorso simile a quello del Club di Roma e del suo studio "Limiti alla crescita". In entrambi i casi, un gruppo di intellettuali ha cercato di allertare i governanti mondiali sulla finitezza delle risorse materiali su cui si basava l'economia e che bisognava fare qualcosa per evitare la "trappola del consumo eccessivo" che avrebbe necessariamente portato a un crollo. Ma, così come era successo per il messaggio del Club di Roma, anche il messaggio dell'ASPO è stato rifiutato e demonizzato, e poi ignorato.

Nel 2008, le previsioni dell'ASPO sembravano confermate quando i prezzi del petrolio sono saliti a livelli mai visti prima. Stava arrivando il "picco del petrolio"? Probabilmente si, almeno per quel che riguardava il petrolio "convenzionale", ma le conseguenze furono inaspettate. I poteri forti hanno reagito in modo aggressivo alla crisi, pompando enormi quantità di denaro e risorse nello sfruttamento di nuove risorse di petrolio e gas negli Stati Uniti. Era l'inizio dell'era del "fracking". Dal 2010 in poi, un'enorme quantità di petrolio ha iniziato a fuoriuscire dai pozzi di "tight oil", invertendo la tendenza al ribasso iniziata 40 anni prima. Per molti è stata la liberazione da un incubo. Alcuni hanno parlato di una "nuova era di abbondanza" che avrebbe potuto durare secoli, se non per sempre.

Nessuno dei geologi in ASPO o fuori di ASPO aveva previsto questo sviluppo. Cornucopiani e catastrofisti, allo stesso modo, ritenevano che i ricavi dello shale oil in un mercato libero non potessero giustificare i costi di estrazione. Non potevano credere che l'industria petrolifera si sarebbe imbarcata in un'avventura così costosa e incerta. In effetti, il fracking non ha portato profitti: è stata soprattutto una decisione politica, intesa a mantenere al potere le attuali élite. In questo senso ha funzionato, anche se nessuno può dire per quanto tempo.

Il fracking è stato la fine di ASPO. Dopo il 2010, il pubblico ha perso rapidamente interesse per il picco del petrolio, e forse era inevitabile. In generale, ci dimentichiamo facilmente le verità inquietanti, mentre preferiamo di gran lunga le bugie comode. Ed è quello che è successo. L'ASPO non è mai ufficialmente morta, ma è scesa a un livello di attività molto inferiore di quello che aveva alla sua nascita. Colin Campbell si è ritirato nella sua casa nell'Irlanda del Sud e il suo ultimo commento sul picco del petrolio è stato pubblicato su " Cassandra's Legacy " nel 2018.

Ripensando oggi all'eredità di Colin, possiamo vedere che non aveva sempre ragione nelle sue valutazioni. Uno dei limiti del suo approccio era che si concentrava troppo su petrolio e gas. I suoi modelli a volte erano eccessivamente semplificati e, a volte, non aveva capito come le nuove tecnologie avrebbero cambiato il quadro degli eventi. Forse il suo limite principale è stato quello di aver sopravvalutato l'importanza della data del picco come punto di svolta per l'umanità e di aver creduto che potesse essere determinata dai modelli. So bene che aveva capito che il picco era solo un punto in una curva, e lo ha detto più volte in dichiarazioni pubbliche. Ma molte persone hanno frainteso il significato di "picco del petrolio" e lo hanno visto come equivalente alla "fine del petrolio". Per alcuni, era l'equivalente del concetto religioso di apocalisse,

Va da sé che le idee di Colin erano tanto lontane dal millenarismo quanto avrebbero potuto esserlo. Il suo approccio era rigoroso: solo scienza basata sui dati. Gli piaceva citare Keynes dicendo: "quando ho nuovi dati, cambio idea, voi cosa fate?" (in effetti, l'ha detto Samuelson). La capacità di Colin di analizzare i dati senza farsi influenzare da fardelli ideologici lo ha portato a evitare gli errori commessi da altri membri dell'ASPO, come riporre tutte le loro speranze nell'energia nucleare o rifiutare di accettare la scienza del clima come campo scientifico valido.

Quindi, anche se in questo momento il concetto di "picco del petrolio" sembra fuori moda, le buone idee rimangono. Sono come le anime: passano da una generazione all'altra, rinascendo come nuove incarnazioni se sono buone. Le idee di Campbell hanno quel potere, in questo momento sono quasi dimenticate, ma aspettano di riapparire in un corpo adatto, come lo spirito del Dalai Lama. Noi umani dimentichiamo le cose così facilmente, specialmente le cose importanti. Ma un giorno capiremo il messaggio principale di Campbell secondo cui ciò che otteniamo dalla Terra può sembrare gratuito, ma deve essere ripagato, prima o poi. E l'agenzia di recupero crediti alle dipendenze di Gaia è spietata e non la si può corrompere.

Dal momento in cui ho incontrato Colin per la prima volta, quel giorno del 2003, l'ho considerato il mio mentore quando mi sono trasferito in un campo di ricerca, l'esaurimento delle risorse, che era completamente nuovo per me. È stato in gran parte con il suo aiuto, che era sempre felice di fornire, che sono riuscito a ritagliarmi una nicchia in questo nuovo e affascinante settore. Nel corso degli anni ho conosciuto bene Colin e sua moglie Bobbins. Non era il tipo di uomo che si prendeva cura della propria immagine pubblica, né era abituato a vantarsi dei suoi successi, ma posso dirvi una cosa: era una brava persona. Era al livello più alto della scala dell'empatia , come la definisce il mio amico Chuck Pezeshky.

Colin si prendeva cura delle persone. Per la sua famiglia, i suoi amici, i suoi colleghi e anche per l'umanità nel suo complesso, altrimenti non avrebbe fatto quello che ha fatto con ASPO. Aveva capito come le risorse, e il petrolio greggio in particolare, siano alla base di gran parte dell'oppressione e della sofferenza imposte alla maggioranza degli esseri umani , e ha cercato di fare il possibile per liberare l'umanità da questo immenso fardello. Oggi possiamo vederlo come una delle grandi menti degli ultimi decenni che hanno cercato di allertare l'umanità sui pericoli futuri, come Aurelio Peccei, Donella Meadows, Rachel Carson, Herman Daly e molti altri. Non sono stati ascoltati, ma la loro memoria non sarà dimenticata.

Che Colin riposi in pace tra le braccia di quella Terra che tanto ha studiato da geologo.

venerdì 25 febbraio 2022

Ritorno alla realtà: Siamo tutti figli del petrolio




In questi giorni, mi sono capitati in mano per caso alcuni documenti della conferenza "ASPO-5," il convegno dell'associazione per lo studio del picco del petrolio che io e altri membri di ASPO-Italia avevano organizzato a Pisa nel 2004. Sembra che sia passato un secolo da quando ci eravamo illusi che sarebbe stato possibile convincere quell'entità nebulosa che si chiama "umanità" che stavamo esaurendo le nostre risorse naturali, petrolio in primo luogo, e che dovevamo fare qualcosa in proposito prima che fosse troppo tardi.

All'epoca, non sapevamo quanto tempo avevamo. I nostri dati ci davano il picco del petrolio "convenzionale" intorno al 2012, ma in realtà siamo riusciti a tirare avanti fino quasi ad oggi spremendo le riserve al massimo possibile. Abbiamo avuto quasi vent'anni di tempo per prepararsi ma, come ci si poteva aspettare, non abbiamo fatto quasi niente di serio in proposito. 

Al contrario, sono stati 20 anni di ottovolante alla ricerca disperata di un nemico. L'entità chiamata "umanità" ha dimostrato la maturità e la saggezza di un indemoniato in preda a convulsioni parossistiche. Il nemico è stato additato come Osama, Saddam, Assad, Qaddafi, Putin, e tanti altri, incluso una creaturina peduncoluta invisibile a occhio nudo che ci ha terrorizzato per due anni. Anche il picco del petrolio è stato demonizzato, come tutte le cose che ci fanno paura. Non lo si poteva bombardare, e nemmeno ci si poteva vaccinare contro di esso. Ma lo abbiamo marginalizzato, ridicolizzato e fatto scomparire dalla vista, come se l'avessimo sconfitto. 

Ma, ogni volta che ci sembrava di aver distrutto il nemico del giorno, questo si ripresentava in un'altra forma, più grosso e più brutto di prima. E ogni volta, nella lotta contro il mostro di turno, perdevamo qualcosa della nostra saggezza, della nostra libertà, della nostra umanità.

E ora? E ora siamo in trappola. Come ha detto uno dei nostri televirologi alla moda, "come sorci." I paesi europei (e l'Italia in particolare) si fanno trovare completamente impreparati in una situazione in cui dipendono pesantemente dall'estero per la loro produzione energetica. Senza energia a basso prezzo, l'industria non produce, e nemmeno l'agricoltura. E i sorci muoiono di fame. Se questa guerra non finisce presto, i sorci siamo tutti noi. 

UB

Nel seguito, un testo di Jacopo Simonetta. Come tutto quello che viene scritto nel mezzo di una crisi, molte cose che contiene potrebbero rivearsi sbagliate ma, secondo me, Jacopo qui le azzecca quasi tutte. 


Trappola per Topi in Ucraina

Di Jacopo Simonetta
https://www.apocalottimismo.it/trappola-per-topi-in-ucraina/

E così, questa volta gli americani avevano ragione: nella notte fra il 23 ed il 24 febbraio la Russia ha lanciato un attacco in grande stile sull’intero territorio ucraino senza neppure darsi la briga di una dichiarazione formale di guerra. Tutti, legittimamente, si chiedono se intenda conquistarla tutta o solo una parte. Sotto alcuni aspetti somiglia ad una riedizione dell’invasione dell’Ungheria del 1956 su ben più vasta scala, ma in un contesto completamente diverso ed un rischio consistente di escalation a livello continentale, se non mondiale, in ragione di molti fattori ignoti. Per esempio: cosa faranno gli USA con i loro satelliti (non la NATO come tale che interviene solo in caso di attacco al territorio di uno dei membri)? Esistono degli accordi segreti sulla partizione dell’Ucraina? La Cina approfitterà dell’occasione per attaccare Taiwan? E molti altri.

In un articolo apparso sul “Fatto Quotidiano”, Loretta Napoleoni ha ricordato che Putin da ragazzo andava a caccia di topi e che è solito chiosare le sue memorie ricordando che questo sport gli ha insegnato che non bisogna mai intrappolare un grosso ratto nell’angolo senza una via di fuga perché allora attacca e può fare molto male. Eccellente metafora, solo che in questo caso l’impressione è che ci siamo cacciati in trappola tutti quanti, a cominciare proprio da Putin. Forse, gli unici che ci guadagneranno qualcosa saranno proprio gli americani, ma vedremo.

Il contesto.

Tutti, nessuno escluso, stiamo impattando brutalmente contro il Limiti della Crescita (chi non conoscesse il libro lo legga, è fondamentale). Solo per dirne qualcuna, abbiamo certamente superato il picco del greggio e probabilmente anche quello di tutti i petroli. Il picco del gas e del carbone è alle spalle per molti e nel prossimo futuro per tutti, ergo il temuto “picco di tutto” è alle porte. Assai più grave è che la biosfera è stata devastata a tal punto che ha almeno parzialmente perduto la capacità di controllare i cicli bio-geo-chimici. Ciò significa che le variabili chimico-fisiche del pianeta sono fuori controllo e che più nulla ci garantisce che restino ancora a lungo compatibili con la vita o, perlomeno, con una civiltà complessa.

Anche se nessuno ne parla, tutto questo ha già da parecchi anni delle conseguenze dirette sulle persone, una delle quali è che le condizioni di vita della stragrande maggioranza peggiorano e sempre di più peggioreranno, mentre quelle di alcuni migliorano a vista d’occhio. I modi ed i tempi con cui questo accade differiscono profondamente a seconda dei luoghi e delle classi sociali, ma la tendenza è generale perché generali sono le forzanti principali alla base di essa (ivi compresa l’incapacità della classe dirigente ad affrontare e mitigare questo fenomeno). In UE questa tendenza è assai meno sviluppata che nella maggior parte degli altri paesi (inclusi Russia, USA e Cina), ma comunque è evidente e crescente.

Questo crea malcontento e delegittimazione della classe dirigente. Chi vuole scalare il potere soffia sul questo fuoco in molti modi spesso disonesti. Chi invece lo detiene cerca di mantenerlo ed i metodi disponibili sono molti: rafforzare la polizia segreta e non, controllo sempre più capillare della popolazione, perseguitare i dissidenti, ecc. Ogni oligarchia sceglie il mix che preferisce, ma arriva un punto in cui tutto questo non basta più ed occorre qualcosa che ricompatti la popolazione sotto la propria bandiera. Costi quel che costi e di solito si ricorre ad una minoranza interna (etnica, culturale, politica o altro) come capro espiatorio; oppure ad un bel nemico estero, specie se già conosciuto e temuto per tradizione.

Le due opzioni possono anche andare insieme ed è per questo che il nazionalismo è quasi sempre la carta che viene giocata sia da chi teme di perdere il potere, che da chi vi spira. Quasi sempre funziona benissimo perché fa appello a sentimenti molto profondamente radicati e già sapientemente manipolati per un paio di secoli. La fregatura è che rappresenta una strada a senso unico: una volta imboccata si può solo alzare progressivamente la posta, anche se diventa controproducente, perché altrimenti si passa di colpo da “eroe nazionale” a “Traditore della Patria”. In una parola, è una trappola.

Una politica estera aggressiva può quindi essere tanto la manifestazione di una potenza imperialista in fase espansiva, quanto il disperato tentativo di un’oligarchia in declino di restare attaccata al potere. Distinguere i due casi è spesso difficile, ma importante perché i risultati sono spesso opposti.

La trappola.

Vediamo telegraficamente i principali protagonisti di questa tragicommedia:

Ucraina.

Gli ucraini si sono sbarazzati di Jankovic nel 2014. Certo, la goccia che ha fatto traboccare il vaso fu il voltafaccia repentino a proposito di un trattato commerciale con l’UE, ma la rivolta fu soprattutto contro livelli di malgoverno e corruzione arrivati a livelli intollerabili. Tanto che grandi manifestazioni contro il governo si tennero anche in città e regioni a larga maggioranza russa.

Il governo provvisorio pensò però di legittimarsi giocando sulle mal sopite rivalità storiche fra ucraini e russi annunciando lo sfratto della base russa di Sebastopoli. Trappola: il governo ucraino non aveva alcuna possibilità di sloggiare i russi da un territorio per loro fondamentale sotto tutti i punti di vista (militare, politico, psicologico, ecc.). Dunque dirlo servì solo a porsi con le spalle al muro, senza più alcuna possibilità né di recuperare il territorio perduto, né di trattare e nemmeno di normalizzare la propria posizione sia con il potente vicino, sia con gli altri paesi del mondo. A livello internazionale, avere contese territoriali irresolubili preclude infatti moltissime opzioni fra cui quella di entrare nella famigerata NATO.

Russia.

La popolarità di Putin crebbe a dismisura con la ripresa economica che coincidette con i suoi primi anni di “regno”. Finita la ripresa, il suo partito cominciò a perdere seguito e non ha mai più recuperato. Alle lunghe, l’indurimento della repressione ed una vasta rete di appoggi fra i miliardari locali ed internazionali non possono bastare e, per Putin, rilanciare periodicamente la propria popolarità personale è quindi vitale. Gli va riconosciuto di essere riuscito in una specie di miracoloso paradosso: piacere sia ai nostalgici dello Zar che a quelli di Stalin. Notevole, ma al prezzo di dipendere sempre di più dalla chiesa e da una politica estera aggressiva che certo non giova al suo paese.

Tuttavia, fino al 2014, si è sempre mosso con abilità, riuscendo ad avere risultati tangibili per i suoi fans, senza creare crisi internazionali irreparabili. Anche il colpo di mano con cui occupò la Crimea quasi senza colpo ferire fu accolto con un “minimo sindacale” di proteste internazionali: tutti sanno che nessun governo russo, per nessuna ragione, può rinunciare alla Crimea senza cadere. Ma con l’annessione è invece scattata la prima trappola. Questa ha infatti degradato in maniera irreparabile i rapporti della Russia con la maggior parte degli altri paesi, ma soprattutto ha galvanizzato eccessivamente i nazionalisti russi che, circa un mese più tardi, hanno lanciato la rivolta nelle regioni orientali dell’Ucraina (a larga maggioranza russa). Un pasticcio irreparabile che già prima dell’invasione era costato caro sia agli ucraini che ai russi, entrambi intrappolati nella logica nazionalista secondo cui il primo che fa una cosa sensata “è un vile che vende la patria al nemico”. Trappola rilanciata in questi mesi con la minaccia di guerra e poi di nuovo l’occupazione formale delle due città contese, fino ad oggi con l’avvio di una guerra senza precedenti fin dal 1945, che mette ancora di più la Russia in un angolo dal quale può oramai solo attaccare.

Fra le poche cose certe di questa vicenda vi è che Putin ha deciso di giocarsi il tutto per tutto, visto che non mette sul piatto solo il suo paese, ma anche il suo formidabile patrimonio personale, pazientemente accumulato in decenni di potere ininterrotto.

Europa.

L’Europa (qui intesa come UE), si è messa in trappola da sola già dagli anni ’90. Allora avrebbe infatti potuto pretendere il rispetto degli accordi siglati fra Regan e Gorbaciov che impedivano l’allargamento ad est della NATO, ma non quello della UE. Questo apriva per noi un’opportunità unica per creare uno strumento militare europeo autonomo dagli americani, uno strumento che ci avrebbe permesso di tornare ad esercitare un’almeno parziale sovranità sul nostro continente. Forse Gorbaciov sperava proprio in questo, per far sorgere una potenza geopolitica, intermedia fra la Russia e gli USA, con cui sarebbe stato forse possibile collaborare visti gli evidenti e numerosi interessi che avevamo e tuttora avremmo in comune. Di sicuro del pericolo se ne accorsero però gli americani che ebbero cura di impedire una simile eventualità, con la piena collaborazione dei governi europei.

Oggi, anche volendo e nessuno lo vuole, un simile programma non sarebbe possibile perché non ci sono più né i tempi, né le risorse necessarie. Non ci rimane dunque altro da fare che seguire più o meno diligentemente le veline che ci vengono da Washington, sperando che non ci costino troppo care (il che non è detto).

Bielorussia.

Per Lukashenko la crisi russo-ucraina è stata una benedizione. Nel suo ruolo di mediatore, ha fatto ottimi affari con tutti i soggetti in causa sia a livello personale che nazionale, ma tutto questo è finito. Con una situazione interna esplosiva ed il paese di fatto sotto occupazione russa l’ex “ultimo dittatore d’Europa” è oramai solo un patetico burattino nelle mani di Putin che lo terrà finché gli farà comodo, non un giorno di più. Nel frattempo i bielorussi pagano il conto.

USA.

Se Atene piange, Sparta non ride. L’assalto al Campidoglio da parte di migliaia di cittadini che volevano sovvertire il risultato delle elezioni presidenziali è stata la clamorosa dimostrazione che gli USA sono ormai uniti solo di nome, ma non più di fatto. Il rischio di una parziale disintegrazione delle stato non è più un’ipotesi fantascientifica e sembra che la politica interna non sia in grado di farci molto. Così, come spesso accade, la politica estera può sopperire al bisogno con un nemico per combattere il quale occorre fare nuovamente fronte comune. Non sempre funziona (talvolta l’effetto è anzi contrario), ma spesso si. Riguardo all’Ucraina, finora l’amministrazione Biden si è limitata ai discorsi roboanti e poco più; nulla lascia pensare che davvero sia disposto ad intervenire militarmente. Del resto, la sua preoccupazione principale rimane la Cina, ma non è detto che non cambi idea. Presentarsi alle elezioni di medio termine come paladino della libertà dei popoli oppressi è una cosa che può far molto comodo.
Comunque, già ora ha incassato alcuni dei regali di Putin: ha rafforzato la presa statunitense sull’Europa, rimesso i fila anche i più riottosi dei suoi satelliti e dimostrato per l’ennesima volta che per parlare con “il mondo occidentale” esiste un unico numero di telefono: quello della casa Bianca. Del resto, indebolire l’UE è sempre stato forse l’unico interesse comune fra i governi americani e russi succedutisi negli ultimi 50 anni, con l’unica eccezione di Gorbaciov che tentò la carta contraria, invano.

Possibili sviluppi.

Il futuro sta in grembo a Zeus, ma sembra molto improbabile che Putin si possa accontentare di poco. Scatenando una guerra su vasta scala in Europa (qui in senso geografico) si sta giocando il tutto per tutto: una trappola da cui può uscire solo sconfitto o vincitore, senza più spazi di manovra. Una duplice trappola particolarmente perversa perché, con l’offensiva, a messo nell’angolo anche gli americani che, se lasceranno fare, perderanno completamente di credibilità e, dunque, di potere sul mondo. E come lui stesso insegna, i topi nell’angolo sono pericolosi.

L’esercito ucraino non può competere con quello russo in campo aperto, ma assediare le grandi città potrebbe richiedere molti morti e, soprattutto, molto tempo ai russi. Forse, un tempo sufficiente per convincere gli USA ed alcuni dei suoi satelliti, per esempio la Polonia, ad intervenire. Se preparare l’invasione ha richiesto ai russi alcuni mesi di lavoro, preparare una contro-invasione non può essere fatto nel giro di giorni e neppure di settimane.

Potrebbe quindi finire con la capitolazione dell’Ucraina, o potrebbe nascerne una vera grande guerra o, forse, una partizione fra un’Ucraina est occupata dai russi e un’Ucraina ovest occupata dagli americani. Nel mezzo la Bielorussia che si troverebbe quasi accerchiata, mentre con l’occasione probabilmente si chiuderebbe la partita in Transnistria (dove sono di stanza altre truppe russe) e la NATO imbarattolerebbe Kaliningrad come a suo tempo la Russia aveva imbarattolato Berlino. Come minimo, tutti i dispositivi militari euroamericani saranno rafforzati (anzi si stanno già rafforzando). In pratica, se davvero Putin voleva allontanare la Nato dai suoi confini, rischia di ottenere il risultato esattamente opposto.

Ritorno al contesto

Ci sono ben pochi punti sicuri in questa vicenda ed uno di questi è che europei, russi, bielorussi ed ucraini hanno tutto da perdere; forse gli americani invece ci guadagneranno qualcosa, vedremo. Ma se allarghiamo un tantino lo sguardo, vediamo che siamo tutti nella stessa trappola globale in cui ci siamo cacciati viribus unitis fra gli anni ’80 e ’90, quando abbiamo deciso di rilanciare il consumismo e globalizzare il capitalismo, anziché usare il poco tempo che ancora avevamo a disposizione per smantellare entrambi e tentare di slittare in una “steady state economy” senza scossoni troppo dolorosi.

E’ all’interno di questo trappola planetaria che i topi, non contenti del loro destino, si incantonano da soli per poi azzuffarsi fra loro.

Comunque vada, questa guerra accelera ulteriormente il consumo delle residue risorse che abbiamo e, se poi davvero scoppierà una guerra in grande stile, le distruzioni saranno tali da essere solo in parte recuperabili. Come disse credo Einstein: “Non ho idea di quali armi serviranno per combattere la terza Guerra Mondiale, ma la quarta sarà combattuta coi bastoni e con le pietre”. Lui temeva l’uso di armi nucleari, ma oggi non ne abbiamo più bisogno: anche con armi convenzionali abbiamo i mezzi per distruggere molta più roba di quella che potremmo poi ricostruire.

Forse, quello cui mira Putin è riconquistare più territorio possibile prima di calare una nuova “cortina di Ferro” attraverso l’Europa e sembra che su su questo punto USA, Russia e Cina siano d’accordo: una bella guerra fredda è quello che ci vuole per rifondare il potere degli stati più importanti. In effetti la “Cortina di Ferro” giocò un ruolo molto stabilizzante per 50 anni, ma il contesto era completamente diverso da oggi. Allora, le economie dei soggetti principali erano quasi completamente indipendenti, tutti avevano a disposizione abbondanti materie prime ed usufruivano di una biosfera funzionale. Oggi non c’è più nessuno di questi presupposti. Solo pochi mesi fa abbiamo sperimentato come il banale incagliamento di una grande nave in un canale possa mettere in crisi le economie mondiali, figuriamoci cosa accadrà se la guerra dovesse sbrodolare fuori dall’Ucraina o, perfino, coinvolgere la Cina. Per non parlare della catena di disastri irreparabili se qualcuno cominciasse a colpire obbiettivi strategici come piattaforme petrolifere, centrali nucleari e simili.

Ma forse chissà? Questa potrebbe essere la strada che inconsapevolmente abbiamo scelto per ridurre definitivamente la nostra impronta ecologica e la nostra popolazione. La peggiore possibile, come spesso accade, ma sempre meno peggio della “Sindrome di Venere”.

Il futuro sta in grembo a Zeus, ma neppure Lui ha il potere di modificare il Fato: una trappola in cui spesso ci cacciamo da soli.

venerdì 26 marzo 2021

Il problema della visuale ristretta. In che modo l'esaurimento dei minerali è diventato completamente incomprensibile

 

Fonte dell'immagine

Qualche giorno fa ho inviato un commento a un blog dove l'autore aveva citato l'ipotesi del "petrolio olio abiotico" di Thomas Gold. Aveva letto il libro di Thomas Gold " The Deep, Hot Biosphere " e, non essendo un esperto in materia, aveva creduto che le idee di Gold fossero corrette e che l'autore fosse stato ingiustamente ignorato dalla comunità scientifica e dall'industria petrolifera. 

Nel mio commento, ho discusso brevemente l'argomento e ho citato un articolo che avevo scritto insieme ad altri autori in cui abbiamo discusso le idee di Gold, dimostrando che sono incompatibili con ciò che sappiamo sulla geosfera e sui processi di formazione degli idrocarburi fossili. 

Alcuni dei commentatori sembravano essere completamente all'oscuro della questione, e questo era già preoccupante. Ma la cosa sorprendente è che una delle risposte che ho ricevuto è stata che avrei dovuto evitare di discutere questioni politiche come il "picco del petrolio" in una discussione scientifica. 

Così, dopo 20 anni di studi scientifici sul concetto di esaurimento del petrolio - di per sé una conseguenza necessaria del fatto che le risorse petrolifere sono limitate - l'idea di "picco del petrolio" è stata trasformata in uno slogan politico che non trova posto in una discussione seria. 

E non è solo il caso del picco del petrolio. Provate a menzionare "l'esaurimento dei minerali" in qualsiasi discussione sull'attuale situazione economica e verrete trattati come dei rintronati che sono completamente fuori dal contatto con la realtà. Vi risponderanno che i nostri problemi, in questo momento, sono completamente diversi come sanno tutti coloro che sono sani di mente.

Sembra che noi esseri umani non possiamo pensare a molti problemi contemporaneamente. Tendiamo a concentrarci su uno, al massimo due, ma poi gli altri problemi vengono dimenticati o ignorati. Un esempio spesso citato è l'incidente del volo 173 della United Airlines nel 1978 , quando l'equipaggio si concentrò così tanto su un problema con il carrello di atterraggio che nessuno si ricordò di controllare il livello del carburante. Succede più spesso in politica, dove è tipico che slogan e campagne mediatiche portino il pubblico a concentrarsi su un singolo problema e dimenticare tutti gli altri. Un buon esempio è quando l'amministrazione Bush si è concentrata sull'invasione dell'Iraq, nel 2003.

Potremmo chiamare questo fenomeno il "problema della visuale ristretta". Forse possiamo trovarne la migliore descrizione in un romanzo di Kurt Vonnegut, " Slaughterhouse Five " (1969) dove uno degli alieni tralfamadoriani descrive come i terrestri percepiscono il mondo

La guida ha invitato la folla a immaginare di guardare attraverso un deserto una catena montuosa in una giornata che brillava luminosa e limpida. Potevano guardare un picco, un uccello o una nuvola, una pietra proprio di fronte a loro o persino giù in un canyon dietro di loro. Ma tra loro c'era questo povero terrestre, e la sua testa era racchiusa in una sfera d'acciaio che non avrebbe mai potuto togliere. C'era solo un buco attraverso il quale poteva guardare, e saldati a quel buco c'erano sei piedi di tubo.

"Questo era solo l'inizio delle sofferenze di Billy nella metafora. Era anche legato a un reticolo d'acciaio che era imbullonato a un pianale su binari, e non c'era modo che potesse girare la testa o toccare il tubo. Il tubo poggiava su un carrello che era anche imbullonato al pianale. Tutto ciò che Billy poteva vedere era il puntino all'estremità del tubo. Non sapeva di essere su un pianale, non sapeva nemmeno che ci fosse qualcosa di strano sulla sua situazione.
E così vanno le cose (un'altra citazione da Slaughterhouse Five). Siamo condannati a guardare il mondo attraverso uno stretto tubo mentre veniamo lanciati su un pianale su rotaie e non sappiamo dove stiamo andando. 


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Per quanto riguarda l'esaurimento, tuttavia, non tutti sono legati a quel pianale. Ecco un messaggio che ho ricevuto dal  Dr. MLCM Henckens,  Senior Research Fellow presso l'Università di Utrecht, che ha correttamente identificato il problema dell'esaurimento. Peccato che il problema sia ormai del tutto incomprensibile al pubblico e ai decisori allo stesso modo

Gentile Signora, Signore, con la presente le invio, in qualità di scienziato senior nel campo dell'uso sostenibile delle materie prime, una recente pubblicazione con i miei principali risultati sulla scarsità di materie prime. L'articolo è stato pubblicato su Resources, Conservation & Recycling nel febbraio 2021 e si intitola “Scarse risorse minerarie: estrazione, consumo e limiti di sostenibilità”.

Le conclusioni principali sono:

- L'implementazione immediata delle misure di risparmio delle risorse più rigorose potrebbe estendere i periodi di esaurimento stimati delle materie prime di un fattore quattro, anche aumentando contemporaneamente il livello di servizio globale di queste risorse di un fattore quattro.

- Che, senza sufficienti misure di risparmio delle risorse, sarà difficile o impossibile per una parte sostanziale della futura popolazione mondiale raggiungere il livello di servizio delle risorse minerarie prevalente nei paesi sviluppati in questo momento.

- Che il periodo di tempo in cui i futuri cittadini dei paesi ricchi possono continuare a godere dell'attuale livello di servizio di alcune delle risorse minerarie più scarse nei loro paesi, sarà gravemente limitato, se non verranno adottate misure di risparmio rigorose.

Sono anche l'autore di un libro dal titolo “Governance of the world mining resources. Oltre il prevedibile futuro ”. Questo libro sarà pubblicato più tardi nel 2021 da Elsevier (ISBN 9780128238868). Nel libro, verrà prestata particolare attenzione alle seguenti 13 risorse relativamente scarse: antimonio, bismuto, boro, cromo, rame, oro, indio, molibdeno, nichel, argento, stagno, tungsteno, zinco.

Se avete domande, commenti o suggerimenti, fatemelo sapere

Cordiali saluti,

Dr. MLCM Henckens (Theo)

Senior Research Fellow presso il Copernicus Institute of Sustainable Development dell'Università di Utrecht, Paesi Bassi

domenica 14 marzo 2021

Seneca e il virus: perché la pandemia cresce e poi cala?

 

Tradotto da "The Seneca Effect"

di Ugo Bardi

Seneca, il filosofo romano, conosceva il termine "virus", che per lui aveva il significato del nostro termine "veleno". Ma ovviamente non aveva idea che un virus, inteso in senso moderno, fosse una creatura microscopica che si riproduceva all'interno della cellula ospite. Visse anche in un'epoca, il I secolo d.C., in cui le grandi epidemie erano praticamente sconosciute. Fu solo più di un secolo dopo la sua morte che una grave pandemia, la peste antonina, colpì l'Impero Romano. 

Ma Seneca era un ottimo osservatore della natura e quando diceva che "la rovina è rapida" aveva sicuramente in mente, tra molte altre cose, quanto rapidamente una persona sana poteva essere colpita da una malattia e morire. Naturalmente Seneca non aveva strumenti matematici che gli permettessero di proporre una teoria epidemiologica quantitativa, ma la sua osservazione, che ho chiamato " Effetto Seneca ", rimane valida. Non solo le persone possono essere rapidamente uccise dalle malattie, ma anche le epidemie spesso seguono la curva di Seneca, crescendo, raggiungendo un picco e diminuendo. 

Naturalmente, i concetti di crescita e collasso dipendono dal punto di vista. In molti casi la fortuna di un uomo è la rovina di qualcun altro. Ciò che vediamo come una buona cosa, la fine di un'epidemia, è un collasso visto dal lato del virus (o dei batteri, o qualsiasi altra cosa). Ma allora, perché le epidemie divampano e poi si placano? È una storia affascinante che ha a che fare con il comportamento dei sistemi complessi. Per raccontarlo dobbiamo partire dall'inizio. 

Una cosa da notare dell'attuale pandemia di Covid-19 è la notevole ignoranza non solo del pubblico in generale sull'epidemiologia, ma anche di molti degli esperti altamente propagandati. Basta notare quante persone hanno detto che l'epidemia cresce "in modo esponenziale". Dopo di che, si sono dati da fare per estrapolare la curva all'infinito, prevedendo centinaia di migliaia, o addirittura milioni, di morti. Ma, parafrasando Kenneth Boulding, "qualcuno che afferma che i sistemi naturali crescono in modo esponenziale deve essere un pazzo o un economista". Semplicemente non funziona in questo modo!

Ma come cresce esattamente un'epidemia? La forma di base di una curva epidemiologica è "a campana" (sì, proprio come la curva di Hubbert per l'estrazione del petrolio). 

Il motivo di questa forma è facile da capire in termini qualitativi. Inizialmente, il virus (o l'agente patogeno) ha un'intera popolazione da infettare, quindi cresce rapidamente (quasi, ma non esattamente, in modo esponenziale). Quindi, man mano che cresce, il suo numero di obiettivi diminuisce. Alla fine il virus non può più crescere per mancanza di bersagli. Raggiunge un picco e inizia a diminuire. 

Queste considerazioni possono essere poste in forma matematica: si tratta del modello denominato "SIR" (suscettibile, infetto, rimosso), sviluppato già nel 1927. Potreste essere sorpresi di scoprire che le equazioni SIR sono esattamente le stesse che descrivono la crescita dell'industria petrolifera e il fenomeno del "picco del petrolio". Sono anche le stesse equazioni che descrivono il comportamento di una catena trofica in un sistema biologico. Non entrerò nei dettagli, qui. Con i miei colleghi Perissi e Lavacchi, stiamo preparando un documento che descrive come questi e altri sistemi fisici sono collegati tra loro. 

Ovviamente, i moderni modelli epidemiologici sono molto più complicati del semplice modello SIR, ma è un approccio che ci dice cosa aspettarci. Nessuna epidemia cresce per sempre e anche se non fai nulla per fermarla, alla fine svanirà da sola. Dopotutto, gli agenti patogeni hanno lo stesso problema che abbiamo con il petrolio greggio: stanno sfruttando una risorsa limitata (noi).

Ora, tornando all'effetto Seneca, abbiamo detto che implica che la rovina deve essere più veloce della crescita. In altre parole, la forma della "curva Seneca" dovrebbe essere qualcosa del genere:
 
 
Ci sono casi di questo tipo nella storia delle epidemie. Per esempio, l'epidemia di colera che colpì Londra a metà del XIX secolo ( dati da Wikipedia Commons )
 

E qui si vede chiaramente la forma "tipo Seneca". Il declino del ciclo del colera è stato significativamente più veloce della sua crescita. I dati per le epidemie di colera più recenti mostrano la stessa forma. 

Tuttavia, quella "tipo Seneca" non è comune nelle epidemie. Spesso vediamo il tipo opposto di asimmetria. Ecco un esempio: Epatite A, con dati tratti da Wikipedia . Vedete come la curva declina più lentamente di quanto non cresca. 

Ecco un altro esempio pre-Covid: la sindrome respiratoria acuta del 2003 a Hong Kong. 


Non esiste una regola fissa in questi casi storici, diciamo solo che questa forma asimmetrica è piuttosto comune. Quindi, passiamo all'attuale pandemia, ed ecco alcuni dati per il primo ciclo del 2020. (Immagine da "The Economist"). Anche qui la tendenza è chiara: il declino è più lento della crescita.

 

 
 
È una tendenza comune in tutto il mondo e potremmo chiamarlo effetto "Anti-Seneca". Ma, oltre a dargli un nome, perché questa forma?

La risposta non è univoca: sono diversi i fattori che possono influenzare la forma della curva. In questo caso, la spiegazione più semplice ha a che fare con il parametro che descrive la velocità con cui le persone infette smettono di essere infettate, o perché sono guarite o perché muoiono. Se guariscono / muoiono velocemente, la curva scende velocemente, altrimenti è il contrario. E' un'interptretazione sensata: il colera può uccidere le persone colpite in poche ore, se non è curato. Invece, le persone infettate dal Sars-Cov-2 possono sopravvivere una o due settimane. Questo spiegherebbe la diversa forma delle curve.
 
Ma attenzione! Come ho detto, ci sono altre possibili spiegazioni. Ad esempio, se confrontiamo la Svezia con l'Italia, vediamo che la curva di mortalità è più asimmetrica per la prima. Perché? Probabilmente è una questione di geografia. La popolazione svedese è concentrata nelle regioni meridionali, dove la pandemia ha colpito per prima. Ci è voluto del tempo prima che il virus si diffondesse verso nord e questo spiega la "coda" nella curva di mortalità. In Italia, invece, la prima ondata pandemica si è limitata alle regioni del Nord, relativamente omogenee per popolazione. Probabilmente, gli effetti geografici spiegano le forme curve asimmetriche comunemente osservate dell'epidemia di COVID-19 in altre regioni del mondo. 
 
Con le vaccinazioni, il modello SIR mostra che dovremmo vedere le curve epidemiche cadere rapidamente, almeno se le vaccinazioni vengono avviate prima del picco. Finora, questo effetto non si è visto da nessuna parte, potrebbe essere troppo presto. Con il progredire delle vaccinazioni, dovremmo essere in grado di dire di più su questo argomento.

Come per tutto ciò che riguarda la scienza, l'epidemiologia richiede un po 'di lavoro per essere appresa, una virtù difficile da trovare nella discussione sui social media. Anche gli esperti di virologia e malattie non studiano realmente l'epidemiologia, il loro lavoro è curare le persone, non creare modelli matematici. Questo è il motivo per cui il comportamento del virus è così ampiamente frainteso. Ma, come diceva Einstein, "Il Signore Dio è sottile, ma non malvagio". L'epidemiologia può essere sottile, ma non è impossibile capire come crescono e si diffondono le epidemie.