lunedì 20 maggio 2013

Cortese ed educato dibattito petrolifero.

Qui di seguito, vi passo un esempio del livello del cosiddetto "dibattito" cosi come certa gente lo intende. Vi copio e incollo un commento a un mio post sul "Fatto Quotidiano" nel quale sostenevo che la fama di grande statista di Margaret Thatcher non è stata tanto dovuta alle sue ricette economiche liberistiche, ma alla fortuna di essere andata al potere nel periodo di massima resa dei pozzi petroliferi del Mare del Nord.

Questa mia proposta non è piaciuta tanto a un tale che si firma Drapon, che sembra aver ritenuto il mio post offesa sufficiente da indurlo a mollare il ramo dal quale si stava dondolando mentre mangiava una banana per raggiungere la tastiera del suo computer.

Credo che sia istruttivo vedere come certa gente non riesce a discutere se non infilando un insulto ogni tre righe. Cosa c'è nell'inernet di così profondamente sbagliato che spinge questi qui a comportarsi in questo modo? Boh? Ho trovato, tuttavia, che prendendoli gentilmente si riesce anche a rabbonirli un po'.



Drapon

Come lei mi insegna, la correlazione (soprattutto una sola) non significa dipendenza. Per esempio io nel 79 ho iniziato a perdere i capelli, e lei probabilmente si è bruciato l'ultimo neurone rimasto, ma nessuno dei due eventi è conseguenza dello sfruttamento del petrolio del nord.

Uno scienziato con un minimo di onestà intellettuale questo lo sa, e non rigurgiterebbe la prima correlazione venuta in mente sulla tazza, leggendo il manifesto o la Pravda Quotidiana.

Del resto, diamo un occhiata ai dati, vuole?

Sa quella cosa antipatica, numerica e fastidiosa che è la base di ogni scienza? Bene, guardiamoli.

Se come lei sostiene, la crescita Britannica è dovuta al petrolio, sovrapponendo la curva di produzione e quella del GDP noteremmo una bella co rrelazione.

E infatti...
http://www.tradingeconomics. com/charts/united-kingdom-gdp.png?s=wgdpuk&d1=19730101&d2=19960430

E infatti una bella s3ga.

La sua curva sale ininterrottamente tra il '75 e l'85, anni in cui il GDP britannico è stazionario (un picco nell'81, poi addirittura decresce). Il GDB britannico inizia ad esplodere nell'86, quando la curva di produzione ed esport... decresce.

Insomma, non solo incompetente, ma anche parecchio sfortunato.

Compatimento.

Poi, diamo un'occhiata ad altri numeri vuole? Quanto è influente la produzione di petrolio sul GDP?

Facciamo un conto semplice. Diciamo che la produzione è di 3 milioni di barili di petrolio/giorno. Noti che è decisamente inferiore, ma voglio stare largo.

Ricaviamo il prezzo del barile da questo grafico:
http://www.wtrg. com/oil_graphs/oilprice1947.gif

Ancora una volta teniamoci larghi: 50$ al barile.
Se facciamo 3x50x365=54750 milioni di dollari per anno, conto tondo: 55 miliardi di dollari all'anno.

Un sacco di soldi, non c'è che dire.

Però però però, se li confrontiamo con il grafico precedente notiamo come persino questo conto estremamente generoso (non conta i costi di estrazione, per esempio) sia meno del 20% del GDP Britannic o, addirittura meno del 10% nell'81, meno del 5% nell' 89. Insomma: irrilevante.

Insomma, sembra proprio che lei usi i dati come un ubriaco usa un lampione.

Per farsi sorreggere, non per farsi illuminare.

Lei dovrebbe chiedere scusa.

Ma non a me. All'università italiana ai poveri gonzi che le hanno creduto.

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Ugo Bardi

Gentile sig. Drapon,

vedo che ha trovato il mio post poco soddisfacente. Mi permetta allora di illustrarle meglio la mia posizione anche in luce delle sue cortesi osservazioni, che mi permetto di riassumere come basate sul fatto che i ricavi petroliferi erano poca cosa rispetto al PIL del Regno Unito.

Mi permetta rispettosamente di dissentire su questa sua interpretazione. Le faccio l'esempio dell'Italia. Come lei sa, ultimamente siamo costretti a varie "manovre" economiche per toglierci dai guai. Mi sembra che l'ultima manovra fosse di 34 miliardi. Ma cosa sono 34 miliardi in confronto al PIL italiano di circa 1500 miliardi? Poco più del 2%. Eppure, la manovra ci pesa, eccome!

Consideri allora che importiamo oggi 66 miliardi all'anno di combustibili fossili. Se non avessimo questa spesa, non avremmo bisogno della manovra. Anzi, avremmo a bilancio oltre 30 miliardi extra. Pensi quante cose ci potremmo fare: sanità, istruzione, infrastrutture, eccetera.... Se, poi, per qualche miracolo, 66 miliardi all'anno li potessimo incassare esportando combustibili fossili, allora sì che ne potremmo fare di cose!!

L'Inghilterra si è trovata ad avere proprio questo "miracolo" per due decenni. Non cerchi precise correlazioni fra la crescita del PIL e la produzione petrolifera. Sono queste svariate decine di miliardi di dollari che gli sono arrivati che hanno permesso all'Inghilterra di fare parecchie cose; inclusa una bella guerra all'Argentina. In parte, però li ha anche sprecati distruggendo le proprie infrastrutture: si chiama la “malattia olandese.” La ricchezza petrolifera viene quasi sempre spesa male.


venerdì 17 maggio 2013

400 ppm: un punto di non ritorno della comunicazione


Di Ugo Bardi



Da “The frog that jumped out”. Traduzione di MR
Immagine da Celsias

La cifra tonda di 400 ppm di concentrazione di CO2 nell'atmosfera non ha nessun significato fisico particolare. Il temuto “punto di non ritorno” atmosferico che ci porterà alla catastrofe climatica potrebbe essere già passato o forse potrebbe trovarsi da qualche parte a concentrazioni più alte che raggiungeremo in futuro.  

Ma 400 ppm potrebbero annunciare un diverso punto di non ritorno – uno che ha a che fare con la percezione dell'urgenza del problema climatico. Un punto di non ritorno della comunicazione. 

Forse, il punto più basso nella consapevolezza climatica è stato raggiunto lo scorso anno, quando le elezioni presidenziali degli Stati Uniti sono passate senza che il cambiamento climatico sia stato nemmeno menzionato nel dibattito. Pensateci: che un di cadere più in basso di così? Ma le cose stanno cambiando. La scritta sul muro è impossibile da ignorare: la rete sta ribollendo di siti, blog, furum, video. C'è una comprensione generale del fatto che se abbiamo ancora una possibilità di evitare il disastro, dobbiamo coglierla adesso. Anche il blog che state leggendo, “The frog that jumped out” è il risultato di questa nuova percezione. E questo avrà degli effetti.

La “sfera della comunicazione” è un sistema complesso che è soggetto a punto di non ritorno proprio come molti sistemi fisici. Finora, è rimasto in un equilibrio precario in una situazione in cui la negazione organizzata è stata capace di bloccare la consapevolezza del pericolo che abbiamo di fronte invadendo lo spazio comunicativo. Ma, se raggiungiamo il punto di non ritorno, il sistema di comunicazione subirà una transizione che cambierà ogni cosa. Riporterà il problema climatico nel posto che gli compete, nella lista delle priorità che abbiamo: la più preoccupante, pericolosa, terribile minaccia che l'umanità abbia mai affrontato in tempi storici. La cifra “400” potrebbe essere il segno di questo punto di non ritorno della comunicazione. 

Riconoscere che il problema esiste è il primo passo per risolverlo. Una piccola spinta nella giusta direzione potrebbe essere proprio ciò di cui abbiamo bisogno per passare al prossimo livello. Quindi spingiamo tutti insieme!






domenica 12 maggio 2013

Comunicare il cambiamento climatico con un solo grafico

 

Di Alexander Ac.

Da “The frog that jumped out”. Traduzione di MR

A volte si dice che una (buona) immagine vale mille parole. Proviamo a fare un esperimento. Prendiamo le registrazioni strumentali della temperatura dal 1880 ad oggi abbinate alle paleo-ricostruzioni delle temperature globali usando vari “proxy” durante gli ultimi 540 milioni di anni ed aggiungiamo ad questo lo scenario della rana bollita (per esempio il “business as usual”) con uno scenario di emissioni di gas serra senza restrizioni:


*Questo grafico mostra le ricostruzioni della temperatura globale durante gli ultimi 542 milioni di anni, unitamente il caso peggiore di aumento di temperatura dalla fine di questo secolo, seguendo lo scenario 8,5 RCP - Representative Concentration Pathway  scenario(van Vuuren et al., 2011). 8,5 è la quantità di forzante radiante (in W/m2) relativa al periodo preindustriale. L'aumento della temperatura » 4,7°C (8,5°F) proviene dall'ultima bozza del rapporto dello statunitense Global Change Research Program (p33, PDF). Notate anche che la scala dell'asse delle ascisse in caso di variazione e che tale periodo di rapida corrente+aumento di temperatura proiettata non è avvenuto durante questo periodo. Fonte del grafico: Wikipedia.

Così anche se consideriamo le grandi incertezze delle registrazioni della temperatura paleoclimatiche, come faremmo avvicinandoci allo scenario peggiore, a lungo termine il nostro pianeta verrebbe completamente liberato dai ghiacci. Il cambiamento climatico in sé probabilmente non permetterà un tale aumento della temperatura globale, mai visto per 10 milioni di anni, ma questo è chiaramente qualcosa che vorremmo collettivamente evitare. 

Un commento di Ugo Bardi: questo post di Alexander Ac è un buon esempio del tema di questo blog. Stiamo tentando di “impacchettare” l'informazione sul cambiamento climatico in modi che non siano solo comprensibili, ma anche diretti ed efficaci. Questo riassunto “un solo grafico” sul cambiamento climatico va nella giusta direzione, ma vorrei aggiungere un avvertimento.

Non dovremmo dimenticare che gran parte delle persone là fuori non sono in grado di leggere anche un semplice grafico ascisse-ordinate (x-y). Questo grafico specifico, con una scala delle ascisse variabile, non è facile da leggere e creerà confusione alle persone che non hanno imparato il “linguaggio specifico dei grafici” che gli scienziati trovano così ovvio. Tuttavia, questo grafico potrebbe essere un'arma vincente per penetrare “l'analfabetismo climatico” che affligge un buon numero di scienziati e professionisti che non sono specialisti in clima. 



giovedì 9 maggio 2013

La rana che è saltata via


Cari lettori,

vi annuncio la nascita di un nuovo blog sul cambiamento climatico, intitolato "La rana che è saltata via" (the frog that jumped out). E' uno sforzo collaborativo del modesto sottoscritto insieme ad alcuni colleghi.

Credo che sappiate tutti la storia della rana bollita, raccontata anche nel film di Al Gore "Una scomoda verità". Si dice che se si mette una rana in pentola e si alza gradualmente la temperatura, la rana non se ne accorgerà e si farà bollire senza saltar via; come invece potrebbe.

L'idea è che questo è esattamente quello che sta succedendo. Stiamo finendo bolliti senza rendercene conto. Allora, è fondamentale essere in grado di comunicare l'urgenza di fermare il riscaldamento globale. Siamo ancora in tempo a saltar fuori dalla pentola.

Quindi, un blog centrato non tanto sulla scienza del clima ma sulla comunicazione dei risultati della scienza del clima. Mi dispiace che per ora sia soltanto in inglese, ma speriamo di riuscire a farne una versione italiana il prima possibile.

Commenti, collaborazioni, suggerimenti, sono tutte cose benvenute. Scrivetemi pure a ugo.bardi(scribillostrambo)unifi.it


UB

lunedì 6 maggio 2013

Il picco della tecnologia

Da “The Oil Crash di Antonio Turiel. Traduzione di MR


Cari lettori,

Juan Carlos mi ha inviato questo post sul tema che io stesso volevo sviluppare qualche tempo fa, ma lui lo ha fatto con più grazia ed eleganza di quanto non sarei capace di farlo io. Il post che segue smentisce coi fatti il mito del progresso nel quale vive immersa questa società; un articolo imprescindibile, insomma.

Saluti.
AMT

Il picco della Tecnologia

di Juan Carlos

Immagine: invenzioni per migliorare la vita www.cincodias.com


Un tema polemico che ha sempre attirato la mia attenzione è l'esaltazione del progresso tecnologico alla categoria di totem protettore di una gran parte della società moderna post-industriale. Alla scienza si ricorre come via di salvezza da tutte le sfide alle quali l'umanità si sta sottoponendo, non solo per esistere, ma per continuare a svilupparsi in modo esponenziale. E convinzioni tecno ottimiste si confrontano abitualmente con visioni del mondo meno ideali. Le diverse correnti hanno i loro rispettivi difensori e detrattori. Considero del tutto legittimo allinearsi con una qualsiasi delle correnti che ci presentano un determinato futuro. Non ci sono inconvenienti se provengono dal ragionamento individuale e non dalla propaganda e dalla manipolazione di gruppi di interesse mediatico ed economico.

La corrente fondata dallo scienziato Raymond Kurzweil ci invita alla fede cieca nella scienza per superare tutti i limiti dell'essere umano. Secondo questo movimento, le tecnologie informatiche e l'intelligenza artificiale trascenderanno le nostre possibilità biologiche in modi inimmaginabili. Kurzweil ha pubblicato il saggio “La legge dei rendimenti accelerati” per spiegare la spettacolare evoluzione del progresso tecnologico. In questa legge, egli menziona un'altra legge, quella di Moore, che preconizza la crescita esponenziale della complessità dei circuiti integrati. Tuttavia, studi recenti mettono in discussione l'inflazionata legge di Moore a causa di limiti fisici nella geometria interna dei microprocessori e degli alti costi che comporta la costruzione di nuove fabbriche specializzate, fattori che possono neutralizzarla. Len Jelinek, direttore di iSuppli, crede che la regola d'oro dei semiconduttori smetterà di essere valida nel 2014. I tecno ottimisti propongono che l'essere umano sia più predisposto a captare notizie negative che positive a causa di un organo alloggiato all'interno del nostro cervello chiamato amigdala, il quale ci da l'impulso ad essere più attenti nei confronti del pericolo e per questo motivo tendiamo al pessimismo. Secondo loro, percepiamo in modo distorto la realtà, visto che ci aspetta un mondo di abbondanza dove si risolveranno i problemi di energia, scarsità d'acqua, educazione e salute mondiale. Il problema di scarsità di acqua potabile ha come soluzione un impianto di potabilizzazione chiamato slingshot, il problema dell'energia si risolverà con i pannelli fotovoltaici e il problema di salute ed educazione globale si risolverà attraverso una rete di migliaia di milioni di persone connesse permanentemente a internet con degli smartphone.

La corrente di pensiero che si oppone a Raymond Kurzweil ha origine dal fisico Jonathan Huebner. Questo scienziato argomenta che i tassi di innovazione globale considerati importanti per gli esseri umani sono andati diminuendo negli ultimi decenni, dal 1914, per mezzo di un'analisi dei brevetti degli Stati Uniti. Pretende di dimostrare che il ritmo di innovazione umana diminuisce dalla rivoluzione industriale e si dirige verso un limite di innovazione molto basso.


Un altro grafico a forma di campana Gaussiana dello stesso autore mostra l'evoluzione delle innovazioni tecnologiche dal 1453, mostrando il picco delle invenzioni a metà del diciannovesimo secolo.



Huebner trae alcune conclusioni impattanti, per esempio il tasso globale di innovazione che si realizza in sette aree di sviluppo tecnologico importanti coincide col ritmo di innovazione dell'anno 1600. E' più difficile per la popolazione attuale sviluppare nuove tecnologie, nonostante esistano tassi più alti nell'educazione e nel finanziamento massiccio di Informazione e Sviluppo (I + D). Huebner afferma che ci stiamo avvicinando ad ere oscure, visto che il tasso di innovazione è lo stesso del Medio Evo. Il fisico nordamericano prevede una collisione imminente coi limiti della tecnologia, mentre Theodore Modis, un analista d'affari, crede che la discesa sarà lunga e lenta.

Nel libro di Tyler Cowen La grande stagnazione (2011), si sostiene che gli Stati Uniti sono stati un plateau economico dal 1973 e una delle ragioni principali è la decelerazione dell'innovazione tecnologica. Secondo questo prestigioso economista statunitense, la produzione di nuove invenzioni è diminuita. Si può apprezzare solo un perfezionamento tecnologico sulle grandi invenzioni degli anni precedenti. Internet ha portato a tutti un miglioramento nel divertimento e nell'intrattenimento, ma non è chiaro quale sia il suo contributo al reddito complessivo. Di base, c'è uno spostamento degli acquisti da offline a online, ma questa è solo una sostituzione. E non c'è un grande contributo dal punto di vista dell'impiego. Facebook è gestito da 200 programmatori, Twitter ha 300 impiegati, invece la General Motors è arrivata a dar lavoro a 600.000 persone negli Stati Uniti.

Charles Jones, un economista che si è dedicato all'analisi delle statistiche dell'incremento del PIL nelle diverse epoche, ha scoperto che l'80% della crescita dei paesi sviluppati fra il 1950 e il 1983 è dovuto alle nuove applicazioni di vecchie idee. Una cucina del 1970 avrebbe meravigliato una persona del 1900, ma se qualcuno del 1970 viaggiasse nel futuro fino all'attualità, la cucina gli sembrerebbe volgare. Questa analisi riafferma la mia ipotesi per cui la notevole crescita demografica mondiale non porta con se in modo proporzionale una esplosione di invenzioni. Ciò che potrebbe essere un vantaggio emerso dalla crescita inarrestabile ed accelerata della popolazione non si traduce nella stessa misura in quanto ad apparizione di geni, né di nuove innovazioni.

Le grandi invenzioni e scoperte del diciannovesimo e ventesimo secolo continuano ad essere la colonna vertebrale dell'attuale civiltà: la teoria dell'atomo (1803), la locomotiva (1825), il frigorifero (1834), il telefono (1876), la corrente elettrica e le lampadine a incandescenza (1879), l'automobile e i motori a combustione (1886), gli aerei ad elica (1890), il cinematografo (1894), la stufa elettrica (1896), la televisione (1926), la penicillina (1928), il radar (1931), il motore a turbina (1939), il transistor (1947), il microprocessore (1971), eccetera. In tutti questi apparecchi, è stata migliorata solo la tecnologia ad essi associata. Vengono perfezionati ma non c'è un salto qualitativo dell'invenzione umana come è avvenuto nei due secoli precedenti. I tecno ottimisti hanno previsto colonie sulla Luna e viaggi su Marte nel ventunesimo secolo, mentre come novità abbiamo solo reti sociali e giochi 3D al computer. Una banalizzazione dell'avanzamento computazionale, visto che con computer meno potenti l'uomo ha conquistato lo spazio.

Sono d'accordo con la tesi di Tyler Cowell, Internet a parte; le generazioni nate a partire dalla seconda metà del ventesimo secolo hanno contemplato poche invenzioni che possano essere considerate rivoluzionarie, la maggior parte delle quali sono collegate alle tecnologie informatiche. E' facile immaginare un mondo di forte sviluppo economico con enormi navi da trasporto, camion, aerei da carico, aerei passeggeri, agroindustrie, grandi macchine che estraggono grandi quantità di materie prime, fabbriche di trasformazione, eccetera. Al contrario, è difficile concepire un mondo con una crescita economica esponenziale con i soli Internet, nanotecnologie, nuovi materiali, intelligenza artificiale e biotecnologia. Le nuove tecnologie hanno prosperato grazie alle grandi scoperte ed invenzioni dei secoli diciannovesimo e ventesimo. Pertanto sono dipendenti ed accessorie.

Viviamo in una civiltà che ha un'enorme capacità agricola e industriale assicurata fondamentalmente da petrolio, gas e carbone. E' impossibile che possano evolversi tecnologie superflue per la sopravvivenza umana, come la nanotecnologia, se non c'è un'infrastruttura sufficientemente robusta che le protegga. Si da per scontato che l'infrastruttura vigente che divora sempre più energia non si incrinerà, fornendoci una base di sopravvivenza solida, necessaria e comoda che permette lo sviluppo di nuove tecnologie.

Più crescita non significa più benessere. Lo confermiamo con  la crescita demografica che in assoluto non genera una valanga di geni, piuttosto questa crescita esponenziale ci obbliga a spendere sempre più risorse in un mondo in cui cominciano ad essere già scarse. La tecnologia non è una religione alla quale dobbiamo indirizzare le nostre preghiere ed orazioni. Come nel settore dei combustibili fossili, la tecnologia ha a sua volta superato un picco di produzione. I tecno ottimisti usano gli avanzamenti scientifici come alibi perfetto per continuare a proiettare il futuro della singolarità e, anche se riconoscono i gravi problemi attuali, di solito li sottostimano a causa della forza mistica che la tecnologia suscita in loro, poiché vedono nella scienza e nella tecnologia strumenti invulnerabili contro tutte le sfide affrontante dall'uomo per perpetuare una società complessa. Il tecno ottimismo è una visione utopica del futuro portata al parossismo con l'intento sublime di fondere l'uomo e la macchina come via per raggiungere l'immortalità.

Juan Carlos

Bibliografia

Video di Peter Diamandis
http://www.ted.com/talks/lang/it/peter_diamandis_abundance_is_our_future.html 
Video Tyler Cowen - The Great Stagnation
http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=_93CXTt2K7c

http://en.wikipedia.org/wiki/Accelerating_change#Criticisms
http://www.innovadirectivos.es/estrategia/rafael-martnez-estratega/la-actitud-ante-el-futuro-3-las-sectas-del-futuro/
http://www.newscientist.com/article/dn7616-entering-a-dark-age-of-innovation.html
http://accelerating.org/articles/huebnerinnovation.html
http://anthonyburgoyne.com/2011/10/12/jonathan-huebner-john-smart-and-the-rate-of-technological-change/

http://www.ieco.clarin.com/economia/Tyler-Cowen-Termino-crecimiento-rapido_0_523147904.html
http://elrincondelacienciaytecnologia.blogspot.com/2011/10/el-fin-de-la-ley-de-moore.html
http://jesusgonzalezfonseca.blogspot.com/2012_11_01_archive.html
http://www.asifunciona.com/que_quien/fecha/fecha_invento_5.htm



venerdì 3 maggio 2013

La verità in faccia

Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR



Di Antonio Turiel

Cari lettori,

negli ultimi tempi il problema dell'energia e della necessità di trovare alternative energetiche occupa uno spazio maggiore nei mezzi di comunicazione, molte volte mascherato da un pietoso manto di preoccupazione ambientale e altre più apertamente posto come un problema di disponibilità economica – anche se ancora rimane lontana la possibilità di accettare che ci troviamo al tramonto del petrolio, con tutte le conseguenze che comporta.

Osservo, tuttavia, che negli articoli e nei dibattiti che appaiono nei mezzi di comunicazione vengono ripetuti in continuazione certe argomentazioni molto trite e ritrite, a volte infondate e in generale poco sostenute dai dati e dalle conoscenze tecniche. Questo fa sì che la popolazione a volte riproduca dibattiti falsati (come, ad esempio, petrolio contro rinnovabili o fracking contro rispetto dell'ambiente), quando il vero asse del problema è quasi perpendicolare a quello di queste discussioni. Alla fine, ho creduto conveniente far un piccolo riassunto dei fatti rilevanti che sono stati discussi in questo blog durante questi tre anni. Fatti contrari a quello che si sente dire di solito in questi dibattiti, forse perché non interessa impostarli in termini scomodi perché non vengono offerte soluzioni semplici  che permettano di fare cambiamenti minimi, ma che in realtà serve un grande cambiamento, trasversale nella società – proprio quello che non si vuole fare. Ma se vogliamo andare avanti in questo dibattito, è importante tirar fuori la gente da queste false trincee perché comprendano che alla fine non si tratta del fatto che mi piaccia di più la tecnologia A della tecnologia B, ma che nessuna delle due darà la soluzione ai suoi problemi e che questo è ciò che in fondo fa sì che stiamo discutendo sempre della stessa cosa mentre non si va avanti e le cose volgono al peggio. Questo è un post riassuntivo, così tenterò di renderlo il più schematico possibile perché chiunque possa usarlo come riferimento. Non do spiegazioni dettagliate di tutti i punti, ma in ogni capoverso metto dei riferimenti rilevanti perché chi ha dubbi su quello che dico possa informarsi ulteriormente e verificare la veridicità e la portata delle mie affermazioni.

Altra cosa importante: non parlerò degli aspetti ambientali. Non perché questi non siano importanti. Il fatto è che i conti già non tornano dal punto di viste energetico ed economico. Introdurre la variabile ambientale, anche se naturalmente molto rilevante, complica solo e distrae dalla discussione, posto che in realtà le cose non hanno senso da proprio punto di vista iniziale.

Ecco il riassunto:

Sul fracking (consultare il post corrispondente per ampliare l'informazione):

- Gli Stati Uniti non stanno vivendo nessun boom del gas naturale grazie al fracking:
Il consumo é solo leggermente al di sopra del livello del 2000, nonostante i prezzi record della benzina e del gasolio i quel paese. Il prezzo del gas naturale ha fluttuato molto ed ogni volta che sale (ogni volta che entra più gas da fracking in quello complessivo) la domanda sprofonda ed i prezzi si abbassano.

- L'industria del fracking non è redditizia:
Le aziende che si dedicano allo sfruttamento del gas di scisto hanno perso 10.000 milioni di dollari solo nel 2012, con perdite ancora più gonfiate nel 2010 e nel 2011, come denuncia Dave Hughes nel suo articolo di analisi pubblicato niente meno che per la rivista Nature (di grande prestigio internazionale). Persino l'amministratore delegato di Exxon Mobile, Rex Tillerson, ha riconosciuto, in dichiarazioni rese al New York Times nell'agosto dello scorso anno, che le aziende del settore “avevano perduto anche la camicia”. Il problema di fondo è che la produzione di ogni pozzo decade ad un ritmo incredibilmente rapido (a causa della bassa qualità della risorsa, molto dispersa e difficile da estrarre), il che obbliga a scavare sempre più pozzi che producono sempre meno, in una assurda (e carissima) fuga in avanti.

In quanto al petrolio di roccia compatta (tight oil), che si estrae bene mediante fracking, ci sono molti meno giacimenti che nel caso del gas di scisto e anche se sono marginalmente redditizi in alcuni casi, anch'essi decadono molto rapidamente e in poco tempo smettono di essere redditizi a causa della necessità di aprire nuovi pozzi senza sosta. Negli Stati Uniti, si stima che la sua produzione giungerà al suo massimo nel 2017.

- Il fracking non è altro che una bolla finanziaria orchestrata da Wall Street:
La frase non è mia, ma di Deborah Rogers, dell'Energy Policy Forum, un'analista di energia con molti anni di esperienza, che ha studiato l'economia delle estrazioni e chi sta dietro ai suoi programmi di finanziamento – vedasi il rapporto qui (in inglese). Di fatto, la strana struttura del capitale sociale delle imprese che arrivano dall'Europa promettendo questo miracolo da molto di che sospettare, in particolare quelle dalla Spagna.

A volte dal mondo finanziario si argomenta, in risposta a queste critiche, che se quest'industria non è redditizia è inutile proibirla e che solo il mercato si regolerà. Tuttavia, tale punto di vista non tiene conto del fatto che, se alla fine questo affare è una manovra per tirare su capitali, si sta permettendo una truffa sapendo di farlo (come, per esempio, lasciare che si nominino prodotti finanziari di alto rendimento nominale su ipoteche di scarsa qualità o su francobolli rari), con le conseguenze già conosciute dall'economia (e in questo caso con un'aggravante ambientale diretta).

Sulla sostituibilità energetica:

- Il gas naturale non rimpiazzerà il petrolio:
Si insiste molto sul fatto che adattare i motori a benzina all'uso del gas naturale non sia troppo caro e che pertanto una transizione al gas naturale come combustibile sostitutivo al sempre più scarso petrolio sia una buona opzione. Chi pensa così lo fa in termini di economia domestica, senza rendersi conto del gigantesco costo connesso alla attuale rete di stazioni di servizio. Se si dovessero sostituire le pompe di benzina o aggiungere a quelle attuali pompe di gas naturale compresso, si dovrebbe fare un gigantesco investimento in infrastruttura. Servirebbero anche più impianti di stoccaggio di gas e alla fine impianti di rigasificazione (costo di più di un miliardo di euro ad impianto) e navi metaniere (200 milioni di euro cadauna) per fornire i paesi che non possiedono un buon collegamento via gasdotto. E' più che dubbio che si facciano investimenti così giganteschi quando il picco o massima produzione del gas naturale (compreso il non convenzionale) è atteso attorno al 2020.

- L'elettricità non rimpiazzerà il petrolio:
Chi dice questo, pensa logicamente di generare questa elettricità in modo rinnovabile, visto che ciò che mancherà presto è l'energia di origine fossile e nucleare. Ma contrariamente a quello che si è soliti pensare, i sistemi di generazione di energia rinnovabile non daranno mai una quantità di energia che si possa paragonare a quella delle 4 principali fonti di oggi (petrolio, carbone, gas ed uranio, che insieme forniscono il 92% di tutta l'energia primaria e la cui produzione congiunta ci si aspetta che cominci a declinare a partire dal 2017). Non potranno perché non abbiamo sufficiente capitale, tempo, materiali, la scala massima di attuazione è limitata tanto per l'eolico quanto per il fotovoltaico, l'eolico ha un potenziale insufficiente su scala globale e il fotovoltaico soffre un un basso tasso di ritorno energetico (EROEI) – e in realtà è legittimo porsi il problema se in una società al 100% elettrica queste fonti avrebbero un buon EROEI. Ma anche si comparisse la fonte miracolosa a basso prezzo, rapida da attuare, redditizia energeticamente e con capacità di scala della quale ancora non abbiamo notizie, sussisterebbero altri problemi per niente minori. Uno di essi è che per rinforzare la rete attuale servirebbero grandi quantità di rame (senza di esso, le perdite sono eccessive), ma questo metallo sta cominciando a scarseggiare. Un altro è che servirebbero sistemi di immagazzinamento su una scala grandissima scala, una cosa molto più complessa di quanto potrebbe sembrare, indipendentemente dalla tecnologia da usare (che siano batterie, pompaggio dell'acqua ed altre). Ma è che per di più l'elettricità non è un buon vettore energetico per tutti gli usi; di fatto, lo è per una frazione limitata di tutti gli usi dell'energia: in Spagna nel 2011, l'elettricità ha costituito solo il 21% di tutta l'energia finale utilizzata. Ci sono molti usi finali per i quali è difficile rimpiazzare il petrolio. Per prima cosa si deve far notare che, a parte la chimera assurda dell'auto elettrica, non si parla né di trattore elettrico, né di camion elettrico, né di escavatrici elettriche, né in generale di macchinari pesanti elettrici. Non se ne parla perché non sono fattibili in assoluto: la dimensione della batteria sarebbe di varie volte più grande dello stesso macchinario e per quanto si voglia includere il carissimo grafene (economicamente ed energeticamente), la densità energetica delle batterie continua ad essere cento volte inferiore a quella dei combustibili convenzionali. Ma il fatto è che per di più è difficile fare forni elettrici per la fusione dei metalli, o forni cementiferi, eccetera. Ed è grazie a tutti questi usi e macchinari che la società può funzionare come funziona.

La Spagna è un buon esempio del fatto che, anche se sulla carta i kWh sono tutti uguali, nella pratica non possiamo scambiare kWh di energia fossile per kWh di elettricità, almeno non tutti. In Spagna proprio ora ci sono 108 GW di potenza installata, ma l'energia consumata equivale ad una potenza media di 32 GW e la massima potenza istantanea richiesta è stata nel luglio 2008, di circa 45 GW. Anche se la potenza installata deve essere maggiore del picco massimo di potenza (perché non tutte le installazioni possono funzionare al massimo rendimento in tutti i momenti), per coprire le necessità della Spagna con il mix attuale basterebbero 80 o come massimo 90 GW. L'espansione della disponibilità energetica non è stata seguita da un aumento degli usi di elettricità, nonostante gli alti prezzi dei carburanti. Al contrario: la caduta del consumo di prodotti del petrolio (per gli alti prezzi e la conseguente crisi economica) ha portato con sé la caduta del consumo di elettricità. Stando così le cose, le aziende generatrici spagnole offrono troppa elettricità, il che fa sì che in alcuni momenti il prezzo del kWh nel mercato all'ingrosso si di zero euro (ed è ciò che porta l'industria a ripetuti appelli perché si riduca l'offerta, cosa che finalmente il Governo sta per accettare). Tutto questo non succederebbe se l'elettricità potesse realmente sostituire i combustibili fossili.

- L'energia di fusione o il nucleare di 4ª Generazione non rimpiazzeranno il petrolio:
Per il semplice fatto che sono orientate alla produzione di elettricità e pertanto i problemi indicati sopra si possono applicare anche ad esse. A margine, sappiamo già che sono tecnologie molto complicate che forse non arriveranno mai a vedere la luce: la 4ª Generazione è stata oggetto di costosissimi studi durante gli ultimi 60 anni senza giungere a prototipi realmente praticabili commercialmente (anche il Super-Phenix ha avuto costi elevatissimi), mentre l'energia di fusione potrebbe non giungere mai ad essere praticabile.

- L'idrogeno non rimpiazzerà il petrolio:
Come vettore energetico, l'idrogeno è ancora meno efficiente dell'elettricità. Cioè, la produzione di idrogeno comporta una maggior perdita energetica di quella della produzione dell'elettricità (contrariamente a quello che sembrano pensare alcuni politici, non ci sono miniere di idrogeno puro sul pianeta e quello che c'è si deve produrre con reazioni chimiche o elettrolitiche, consumando più energia di quella che poi ci ritorna). L'idrogeno ha i problemi legati alla necessità di un nuova infrastruttura ed ai suoi costi simili a quelli del gas naturale e, inoltre, ha alcuni problemi specifici (come l'impossibilità di utilizzare le condutture convenzionali del gas perché le corrode, come il fatto che servono contenitori dalle pareti spesse a causa del fatto che è molto volatile e che le celle a combustibile che utilizzano l'idrogeno più efficienti richiedono materiali costosi come il platino).

- In realtà, nulla rimpiazzerà il petrolio:
Dovremo imparare a vivere senza di esso, facendo le cose su scala più ridotta. E questo porta problemi molto più urgenti del fatto di fare a meno della macchina (il pianeta non ha risorse per mantenere le attuali 1000 milioni di macchine in circolazione), ma da dove verrà il cibo o l'acqua di cui abbiamo bisogno. E non parlo dei paesi del Terzo Mondo: il problema finirà per colpire l'attuale opulento primo mondo. Inoltre, senza un cambiamento del sistema economico, questa crisi non finirà mai.


Sulla crisi economica:

- I problemi economici non si risolveranno con una migliore gestione: 

Migliorare la gestione in generale ed in particolare diminuire la corruzione nella vita pubblica sono mete più che desiderabili e senza dubbio utili per sfruttare meglio le risorse esistenti... ma questo non aumenterà le risorse del pianeta Terra. E se le risorse fondamentali per il funzionamento del nostro attuale sistema economico stanno cominciando a diminuire, il nostro sistema economico per forza deve cambiare. Che ci piaccia o no; nessuno sta chiedendo la nostra opinione, è una mera questione di fatto.

Insistere sulla dinamica dei mercati, sull'importanza delle variabili macroeconomiche, sulle sulle opportunità di investimento, eccetera, occulta un fatto fondamentale, come dice il rapporto di Tullett Prebon: “L'economia è solo il linguaggio; il contenuto è l'energia netta”. Tutta le parole vuote ripetute in maniera acritica dai media, tutti i germogli verdi, l'austerità necessaria per riprendere la crescita, il miglioramento della produttività, il contenimento dei salari, i tagli all'assistenza sociale e la maggior parte delle misure, non sono riuscite a tirarci fuori dalla crisi; al contrario, dopo quasi sei anni ci vediamo sempre più immersi in essa. Semplicemente perché la crisi è una crisi di risorse, perché non ci può essere crescita senza crescita del consumo di petrolio, carbone, rame, acciaio... Il risparmio e l'efficienza non hanno senso in un'economica alla quale serve la crescita e ciò che qualcuno smette di sprecare lo consuma un altro, perché c'è un incentivo economico a consumarlo (maggiore produzione, migliori prodotti...). Se non cambiamo il sistema economico con un altro che consideri che le risorse sono finite e che l'economia è un sottosistema del mondo naturale, allora siamo perduti.

Ma i mezzi di comunicazione trovano mille scuse prima di approcciarsi alla questione di fondo: non si tratta di scegliere, per il fatto di essere individui consapevoli, la via della decrescita. Si tratta del fatto che la diminuzione della basi materiali del nostro sistema economico non si potrà evitare. Questo provoca stupore e rifiuto nei ministeri.

Nascondiamo il fatto che non vogliamo cambiare e ci inganniamo sulla possibilità di andare avanti con un sistema agonizzante. Dobbiamo scegliere la vita, dobbiamo passare all'azione.

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Spero che tutto questo sia utile a qualcuno.

Saluti.
Antonio

mercoledì 1 maggio 2013

La Follia della Crescita Infinita in un Pianeta Finito

Di John Atcheson


Da “Common Dreams”. Traduzione di MR



Chiedete ad ogni secchione di politica, politico o opinionista – Repubblicano, Indipendente o Democratico (di destra, di sinistra o di centro) – sulla condizione sine qua non della politica economica e ci sono buone probabilità che le loro risposte si ridurranno ad una sola parola: crescita. A prescindere dalla loro appartenenza, un'economia in crescita è praticamente sinonimo di buona economia.

Tuttavia, questo contraddice totalmente la realtà. E' una disconnessione, un non sequitur, un'impossibilità, una follia di proporzioni immense. Perché la realtà dei fatti è che l'economia non può crescere continuamente in un mondo finito e stiamo già incocciando contro i limiti. In questo momento, ci vogliono l'equivalente di 1.5 Terre in risorse per mantenere la nostra attuale economia. Dal 2050, presumendo solo una crescita moderata, consumeremo l'equivalente di tre Terre. Ma, naturalmente, abbiamo solo un pianeta.

Quei mondi in più che consumiamo rappresentano il debito – un patrimonio preso ai nostri figli. In termini ecologici si chiama “overshoot (superamento)”. Ed i sistemi viventi non possono sopravvivere a lungo in modalità overshoot. Il termine overshoot viene dall'ecologia e potrebbe servire un esempio classico di un overshoot ecologico per rendere il concetto più reale. Quindi, eccolo qua. Nel 1944, la Guardia Costiera degli Stati Uniti ha liberato 29 renne sull'Isola di St. Mathew. Nell'estate del 1963, la popolazione di renne è esplosa a 6.000 animali. Un bel successo, no? Non proprio. Alla fine del 1963 la popolazione si è ridotta a meno di 50 animali magri ed affamati. Essi hanno sperimentato un overshoot ecologico.

E malgrado gli economisti ed i politici sostengano sempre più crescita, noi umani siamo molto vicini alla situazione critica delle renne nel 1963 e stiamo portando il resto delle specie con noi. Alimentati da una popolazione in crescita e dall'aumentato consumo pro-capite, siamo arroccati sull'orlo dell'abisso ecologico globale. Il cambiamento climatico deve essere l'allegato A. Le riserve di beni devono essere l'allegato B. Sono i due lati del perché la crescita economica non può essere la nostra stella polare. Quasi quattro decenni fa, l'economista Herman Daly ha indicato che i nostri modelli macroeconomici erano tutti circoli chiusi ed auto-contenenti, mentre in realtà l'economia era un sottoinsieme dell'ambiente che prende le risorse dal mondo naturale, le usa per fornire beni e servizi e scartando i rifiuti.

L'esaurimento delle risorse e rifiuti come le emissioni di carbonio non hanno prezzo nel nostro modello di mercato orientato alla crescita. Infatti, come ha dimostrato Robert Repetto, noi trattiamo l'esaurimento delle risorse come generazione di ricchezza, nei conti nazionali, sotto forma di PIL. La fornitura di merci è finita e, come indica Chris Martenson nel suo eccellente libro "The Crash Course", noi stiamo rapidamente esaurendo le risorse non rinnovabili. Dall'altro lato del modello della crescita economica, i rifiuti si stanno accumulando ad un ritmo allarmante. Le carcasse di balena contengono sufficienti sostanze chimiche organiche che potrebbero essere considerate rifiuti pericolosi. Il biossido di carbonio è passato da 285 ppm di concentrazione in atmosfera alla fine del 19° secolo ai 395 di oggi e sulla traiettoria attuale raggiungeremo quasi 1000 ppm nel 2100. L'acqua sta diventando sempre più scarsa e sempre più privatizzata. La desertificazione, alimentata dal riscaldamento globale, sì sta espandendo in tutto il mondo. Quindi sì, siamo proprio come le renne sull'isola di St. Mathew nei primi anni 60 – in rapida crescita e a rischio imminente di overshoot. Infatti, quando si tratta di clima, siamo già costretti a eoni di aumento del livello dei mari e di calotte glaciali che fondono. Ma se la crescita non può essere il nostro obbiettivo, cosa dovrebbe esserlo? C'è un'alternativa. Possiamo svilupparci.

Svilupparsi significa investire nella riduzione dell'utilizzo delle risorse e della produzione di rifiuti, mentre conserviamo la prosperità. Per esempio, secondo il Laboratorio Nazionale per l'Energia Rinnovabile (National Renewable Energy Laboratory), gli Stati Uniti potrebbero ottenere l'80% della propria energia dalle rinnovabili dal 2050, usando tecnologie già esistenti. Questo significherebbe esaurimento zero delle risorse e quasi zero emissioni per gran parte della nostra fornitura di energia. Analogamente, progettare per per la dismissione ed il riuso potrebbe ridurre drasticamente l'uso della risorsa e la produzione di rifiuti. E riattrezzare l'economia per realizzare questo creerebbe lavori ben pagati. Infatti, gli investimenti in energia pulita generano il triplo di posti di lavoro per dollaro investito dei combustibili fossili. Possiamo evitare l'overshoot 1) essendo più poveri 2) riducendo la produttività ecologica o 3) riducendo la popolazione. Un altro modo di vedere ciò è che migliori sono le nostre tecnologie e minore la nostra popolazione, più prosperità possiamo sostenere. Ma questo richiede un governo con una forte autorità di regolamentazione e questo richiede una popolazione educata in grado capace di pensiero critico. Non trattenete il respiro.

John Atcheson è autore del racconto "Un essere oscuramente saggio", un eco-thriller e Libro Primo della Trilogia centrata sul riscaldamento globale. Suoi scritti sono apparsi su The New York Times, The Washongton Post, The Baltimore Sun, The San Jose Mercury News ed altri grandi quotidiani. Le recensioni del libro di Atcheson si trovano su Climateprogess.org.