lunedì 4 maggio 2015

Arabia Saudita: il grande gioco del petrolio

Da “Resource Crisis”. Traduzione di MR

Di Ugo Bardi




L'Arabia Saudita ha appena aumentato la produzione petrolifera a un livello record, mai raggiunto nella storia. Lo stanno facendo in un momento di prezzi del petrolio da record negativo. Cosa hanno in mente? (Immagine da Arthur Berman). 

Quando è cominciato il collasso dei prezzi del petrolio, nell'estate 2014, tutti hanno notato che l'Arabia Saudita non stava giocando il suo ruolo tradizionale di “produttrice tampone”, cioè di variare la propria produzione in modo tale da mantenere prezzi ragionevolmente costanti. Di fronte ad un crollo della domanda, dovrebbe ridurre la produzione, ma non lo ha fatto, almeno non abbastanza.

Inizialmente, ho pensato che i sauditi fossero stati presi semplicemente di sorpresa e che fossero lenti a reagire. Ma ora, col recente aumento della produzione saudita, è chiaro che hanno qualcosa in mente. Forse non hanno progettato il collasso del mercato, ma in qualche modo lo stanno cavalcando.

In questa pazzia, c'è del metodo. Ma quale metodo potrebbe esserci nell'aumentare la produzione proprio mentre i prezzi sono i più bassi? Qualsiasi testo di economia vi dirà che il mercato si deve adattare ai cambiamenti della domanda e dell'offerta in modi esattamente opposti: di fronte ad una riduzione della domanda, la produzione deve scendere a sua volta.

Naturalmente, come sappiamo tutti, ciò che si legge nei libri di testo di economia ha poco a che fare col mondo reale. E nel mondo reale c'è una strategia di mercato ben conosciuta che consiste nel far fallire i tuoi concorrenti vendendo sotto costo. L'idea è di creare un monopolio e ricuperare dopo ciò che il vincitore della lotta ha perso all'inizio. Naturalmente, è illegale, ma il fatto stesso che ci siano leggi per impedirlo significa che si fa.

Tuttavia, c'è un piccolo problema nell'applicazione di questa strategia al mercato del petrolio. Ha a che fare col fatto che il petrolio è una risorsa finita. Quindi, se i produttori riescono ad ottenere un monopolio, ciò significa che finiranno la risorsa prima degli altri. Immaginate di essere dei mercanti d'arte: vendereste i vostri Picasso a basso costo per tagliare fuori gli altri mercanti d'arte e ottenere un monopolio? Naturalmente no, ciò che otterreste è semplicemente di finire in fretta i vostri preziosi quadri di Picasso e poi di lasciare il mercato completamente aperto ad altri.

Per cui, cosa stanno facendo esattamente i sauditi? Art Berman suggerisce che stiano combattendo contro le banche che hanno reso possibile la bolla del tight oil. Dopo l'eliminazione della bolla, il mercato potrebbe ritornare a prezzi relativamente alti e massimizzare gli introiti della saudita Aramco.

L'interpretazione di Berman è certamente possibile ma, come in tutti questi casi, stiamo guardando i governi come se fossero delle “scatole nere” intenti a capire i meccanismi interni che li fanno muovere. Questo è molto rischioso: proprio come vediamo nelle nuvole delle facce che non esistono, potremmo vedere in un atto di governo un'intelligenza che non c'è. I sauditi stanno realmente pianificando un profitto a lungo termine? O stanno semplicemente valutando male l'estensione delle loro risorse?

Dopotutto, abbiamo diversi esempi di risorse non rinnovabili che sono state gestite come se fossero infinite. Considerate solo a come le risorse petrolifere del Mare del Nord sono state estratte al tasso più alto possibile quando il mercato petrolifero stava sperimentando prezzi bassi storici. Ciò ha lasciato i produttori con campi petroliferi in declino quando i prezzi di mercato hanno cominciato ad aumentare. Non è stata una strategia molto intelligente, a dir poco.

Nel caso del Mare del Nord, non c'è stata pianificazione a lungo termine, è stato solo che il problema dell'esaurimento a lungo termine non è stato capito. I sauditi sono quindi ciechi al concetto stesso di “esaurimento”? (*) E' impossibile dirlo al momento. Il solo fatto certo è che l'era dei combustibili fossili a buon mercato è finita, anche se qualche oscillazione selvaggia potrebbe farci credere che sono tornati i bei tempi – ma solo per un attimo.

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(*) Sul fatto di essere incapaci di percepire che una risorsa minerale è finita, un caso particolarmente tragico è quello dello Yemen. Per alcuni anni, ho seguito lo “Yemen Times” e, in tutto quel tempo, non sono stato in grado di leggere nessuna dichiarazione che indicasse che il problema dell'esaurimento del petrolio fosse stato capito. Ogni qualvolta veniva menzionato il declino della produzione, veniva attribuito al terrorismo, ai disordini sociali e ad altri problemi temporanei. Da ciò che ho potuto leggere, mi pare che la società yemenita fosse (ed è ancora) completamente e totalmente cieca rispetto al fatto che hanno gradualmente finito il petrolio e che l'esaurimento del petrolio è la causa principale di tutti i guai che hanno avuto e che stanno avendo ora (grafico da “our finite world”)


sabato 2 maggio 2015

La grande catastrofe in arrivo: l'esplosione del metano artico

DaArctic News”. Traduzione di MR 

Di Sam Carana

Il grande dispiegamento del modo in cui la catastrofe climatica si sta manifestando sulla terraferma e negli oceani, nell'atmosfera e nella criosfera, sta diventando sempre più chiaro di mese in mese. Le temperature di marzo 2015 sono state le più alte a marzo nel periodo di 136 anni di registrazioni. L'analisi del NOAA mostra che la temperatura media di tutte le temperature di superficie insieme di terraferma e oceano di marzo 2015 è stata 0,85°C più alta della media del XX secolo di 12,7°C. Le anomalie della temperatura dell'oceano dell'Emisfero Nord di marzo 2015 sono state le più alte mai registrate. Per diversi aspetti, la situazione sembra destinata a peggiorare. Nel periodo di 12 mesi da aprile a marzo, i dati dal 1880 contengono una linea di tendenza che punta ad un aumento di 2°C per il 2032, come illustrato dall'immagine sotto.


giovedì 30 aprile 2015

Cambiamento climatico:l'effetto Seneca può salvarci?

Da “Resource Crisis”. Traduzione di MR

Di Ugo Bardi




Il “Dirupo di Seneca” (o “Collasso di Seneca”). L'antico filosofo Romano disse che “La strada dell'ascesa è lenta, ma quella della rovina è rapida”. Un Collasso di Seneca” dell'economia mondiale ridurrebbe sicuramente le possibilità di un disastro climatico, ma sarebbe un grande disastro in sé e potrebbe anche non essere sufficiente. 

Niente di ciò che facciamo (o cerchiamo di fare) sembra essere in grado di fermare l'accumulo di biossido di carbonio in atmosfera. E, di conseguenza, niente sembra essere in grado di fermare il cambiamento climatico. Con la situazione che peggiora in continuazione (guardate qui, per esempio), siamo a sperare che un qualche tipo di accordo internazionale per limitare le emissioni possa essere raggiunto. Ma, dopo molti tentativi e molti fallimenti, possiamo davvero aspettarci che la prossima volta, miracolosamente, possiamo avere successo?

Un'altra linea di pensiero, invece, sostiene che l'esaurimento ci salverà. Dopotutto, se finiamo il petrolio (e i combustibili fossili in generale) dovremo smettere di emettere gas serra. Questo non risolverà il problema? In linea di principio sì, ma succederà?

Il nocciolo del dibattito sull'esaurimento dei combustibili fossili è che, nonostante le risorse teoricamente abbondanti, il tasso di produzione è fortemente condizionato da fattori economici. Questi fattori costringono normalmente la curva di produzione a seguire una forma “a campana”, o “di Hubbert”, che raggiunge il picco e comincia a declinare molto prima che le risorse finiscano in senso fisico. In pratica, gran parte degli studi che tengono conto del fenomeno del “picco” giungono alla conclusione che gli scenari del IPCC spesso sovrastimano la quantità di carbonio fossile che si può bruciare (vedete questa recente rassegna di Hook et al.). Da questo, alcuni sono giunti alla conclusione ottimistica che il picco del petrolio ci salverà dal cambiamento climatico (vedete questo mio post). Ma questo è troppo semplicistico.

Il problema del cambiamento climatico non è che le temperature continueranno a crescere dolcemente da adesso alla fine del secolo. Il problema è che ci troveremo in grossi guai molto prima se lasciamo aumentare le temperature oltre un certo limite. Aumento del livello del mare, acidificazione dell'oceano e desertificazione sono soltanto alcuni dei problemi, ma uno peggiore potrebbe rivelarsi il “punto di non ritorno climatico”. Cioè che, oltre un certo punto, l'aumento delle temperature comincia ad essere alimentato da una serie di effetti di retroazione interni all'ecosistema e il cambiamento climatico diventerebbe inarrestabile.          

Non sappiamo dove possa essere situato il punto di non ritorno climatico, ma c'è un consenso sul fatto che dobbiamo impedire che le temperature aumentino oltre un certo limite. Spesso il livello di 2°C è considerato il limite per evitare la catastrofe. Grazie al saggio del 2009 di Meinshausen et al. possiamo stimare che, da ora in avanti, non dobbiamo rilasciare più di circa 1x10+12 t di CO2 nell'atmosfera. Considerando che finora abbiamo rilasciato circa 1,3x10+12 t di CO2 (fonte: global carbon project), il totale non deve essere più di circa 2,3x10+12 t di CO2.

Cosa possiamo aspettarci quindi in termini di emissioni totali considerando uno scenario di “picco”? Lasciate che vi mostri alcuni dati di Jean Laherrere, che è stato fra i primi a proporre il concetto di “picco del petrolio”.


In questa figura, fatta nel 2012, Laherrere elenca le quantità di combustibili bruciate, con una “U” ("ultimate"), misurate in Tboe (Terabarrels of oil equivalent, vedete più in fondo i fattori di conversione usati). Come prima approssimazione, se tutte le emissioni fossero da petrolio greggio, emetteremmo 4,5x10+12 t di CO2. Le cose cambiano un po' se separiamo i contributi dei tre combustibili fossili. Il petrolio greggio, da solo, produrrebbe 1,3x10+12 t di CO2. Il carbone produrrebbe 2,8x10+12 t e il gas naturale 0,95x10+12 t. Il risultato finale è quasi esattamente  5x10+12 t di CO2.

In breve, anche se seguiremo una traiettoria di “picco” nella produzione di combustibili fossili, emetteremo circa due volte il biossido di carbonio di quello che al momento è considerato essere il limite “di sicurezza”.

Naturalmente, ci sono moltissime incertezze in questi calcoli e il punto di non ritorno potrebbe essere più lontano di quanto stimato. Ma potrebbe anche essere più vicino. A dobbiamo tenere conto del problema dell'aumento delle emissioni di CO2 per unità di energia man mano che progressivamente passiamo a combustibili più sporchi e meno efficienti. Così, stiamo davvero giocando col disastro, con una buona possibilità di correre dritti in una catastrofe climatica.

Ciononostante, potrebbe anche essere che Laherrere fosse ottimista nella sua stima. Infatti, la curva quasi simmetrica “a campana” o “di Hubbert” è il risultato dell'ipotesi che l'estrazione venga eseguita in un'economia pienamente funzionante. Ma, una volta che il sistema economico comincia a disfarsi, una serie di retroazioni distruttive accelerano il declino. Si tratta del “Collasso di Seneca” che genera una curva di produzione asimmetrica “il “Dirupo di Seneca”).

Il dirupo di Seneca ci può salvare? Perlomeno ridurrebbe considerevolmente la quantità di carbonio fossile bruciato. A titolo di prova, se il collasso dovesse cominciare entro i prossimi 10 anni e dovesse tagliare più della metà della produzione potenziale di carbone, allora potremmo rimanere entro il limite di sicurezza. Laddove Hubbert non può salvare l'ecosistema, Seneca potrebbe (forse).

Ma, anche se ciò dovesse avvenire, un collasso di Seneca è un grande disastro in sé per l'umanità, quindi c'è poco di cui rallegrarsi al pensiero che potrebbe salvarci dal cambiamento climatico fuori controllo. In pratica, la sola speranza di evitare il disastro sta nell'assumere un ruolo più attivo nel sostituire i fossili con le rinnovabili. In questo modo, possiamo costringere la produzione di combustibili fossili a diminuire più rapidamente, ma senza perdere la fornitura energetica di cui abbiamo bisogno. E' possibile – è un grande sforzo, ma possiamo farlo se siamo disposti a provarci (vedete questo saggio di Sgouridis, Bardi e Csala per una stima quantitativa dello sforzo necessario).
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Unità di conversione

Un Boe di petrolio greggio = 0,43 t CO2 (http://www.epa.gov/cleanenergy/energy-resources/refs.html)

Un Boe di carbone = 0,53 t CO2 (calcolo da https://www.unitjuggler.com/convert-energy-from-Btu-to-boe.html?val=1000000 e da http://www.epa.gov/cpd/pdf/brochure.pdf)

Un Boe di gas naturale: 0,31 t CO2 (calcolo da https://www.unitjuggler.com/convert-energy-from-Btu-to-boe.html?val=1000000 e da http://www.epa.gov/cpd/pdf/brochure.pdf)

martedì 28 aprile 2015

Perché la democrazia non funziona (e come sistemarla)

Da “Resource Crisis”. Traduzione di MR

Di Ugo Bardi





“Non sono un truffatore” Non è stato uno scambio di armi per ostaggi” “Non ho fatto sesso con quella donna” (fonte dell'immagine)

Questo post non è una proposta di riforma della democrazia. Ogni vera riforma sembra essere impossibile in un mondo in cui la regola principale (e forse la sola) sembra essere “non pensarci nemmeno di cambiare qualcosa di importante”. Detto questo, ho notato un recente articolo di Dean Burnett su "The Guardian" che ha cercato di rispondere alla domanda del perché le persone continuano ad eleggere degli idioti. Questo ha messo in moto la mia mente e mi sono uscite fuori alcune considerazioni sulla base dell'effetto delle “pubbliche relazioni” (PR) sul processo democratico. Non dico di essere un esperto in PR ma, se avete a che fare col cambiamento climatico, come spesso faccio io, è impossibile perdersi il ruolo delle PR in un dibattito che è stato basato su bugie ed esagerazioni volte a demonizzare la scienza e gli scienziati. Così, questo post è più che altro una riflessione mia sull'importanza della PR nel nostro mondo. 


Sembra che non ci sia categoria peggio vilipesa e disprezzata di quella dei politici. Eppure, in teoria gli elettori possono votare per chi vogliono. Perché continuano ad eleggere persone che disprezzano? (Somiglia alla vecchia barzelletta: 'un masochista è uno a cui piacciono le cose che gli fanno schifo'). La maggioranza degli elettori è masochista o cosa?

Penso che ci sia una spiegazione a questo comportamento apparentemente bizzarro degli elettori. Ha a che fare coi metodi di PR usati nelle campagne elettorali e, in particolare, con la pubblicità negativa che ha generato un vilipendio auto-inflitto generale su tutti i politici. Lasciate che vi spieghi.

Nelle pubbliche relazioni ci sono due approcci fondamentali per promuovere le idee o i prodotti di qualcuno: uno negativo ed uno positivo. L'approccio negativo (demonizzare l'avversario) di solito è molto più potente di quello positivo (idolatrare l'amico) Devono esserci ragioni psicologiche profonde per questo, ma è così che vanno le cose (*).

Il problema della pubblicità negativa è lo stesso che si ha con le armi chimiche: fa miracoli, ma può ritorcersi contro chi la usa. Questa è una cosa che gli eserciti della prima guerra mondiale hanno imparato quando il vento riportava indietro su di loro il gas che avevano diretto contro i loro nemici.

Infatti, la pubblicità negativa è così potente – e così pericolosa – che non viene quasi mai usata nella pubblicità commerciale (**). Pensate cosa accadrebbe se, diciamo, la Pepsi dovesse mettere in piedi una campagna basata sull'accusa che la Coca Cola fa venire il cancro. Ed immaginate che la Coca Cola dovesse ribattere dicendo che la Pepsi causa attacchi di cuore. Un'idea non buona, ovviamente: ci sarebbe qualcuno che berrebbe ancora una bibita gassata? E' un principio ben conosciuto: se la butti sul ventilatore, si diffonde dappertutto.

Ma in politica? Non si applicano gli stessi limiti. In politica, la dimensione del mercato è fissa: è una poltrona in parlamento (o nel comune, o dove sia). Non importa quante persone si presentano a votare ai seggi elettorali, qualcuno avrà lo stesso la poltrona. Per cui, per un politico, le PR negative non comportano un rischio di contrazione del mercato. Di conseguenza, le PR sono uno strumento fondamentale per venire eletti. E' risaputo: vilipendere il proprio avversario fa miracoli (***). Ma, naturalmente, se tutti se ne avvalgono il risultato è la demonizzazione generalizzata di tutti i politici. Ancora una volta, si vede l'effetto di buttarla sul ventilatore; si sparpaglia dappertutto.

Così, è probabile che la sfiducia diffusa rispetto ai politici sia il risultato di una lunga serie di campagne di demonizzazione politica che hanno portato il pubblico a concludere che tutti i politici siano ladri, bugiardi, psicopatici, maniaci sessuali, idioti, inetti e cose simili. Forse alcuni di loro meritano di essere definiti così, ma il problema è che le campagne di vilipendio tengono lontane le persone oneste dalla corsa. E questo è il problema della democrazia, in poche parole.

Possiamo fare qualcosa per migliorare? In linea di principio, sì. Dopotutto, gran parte dei governi hanno promulgato leggi pensate per proteggere i consumatori dalla pubblicità ingannevole. Spesso, la pubblicità dispregiativa verso il prodotto di un concorrente è proibita e persino la pubblicità comparativa è strettamente regolamentata. Ma nessuna di queste regole si applica alla politica, dove tutto è lecito ed arrivare a regole simili sembra essere semplicemente impensabile.

Possiamo usare una tattica diversa? Possiamo rendere le campagne negative una cattiva idea per coloro che usano questo metodo? Possiamo, per esempio, rendere il “mercato” politico più simile al mercato commerciale nel senso che il numero totale di poltrone in parlamento potrebbe diventare come la dimensione del mercato di un prodotto. Cioè, che il numero di poltrone in parlamento potrebbe essere proporzionale al numero delle persone che votano realmente. Così, se si presenta solo metà degli elettori, vengono assegnate metà delle poltrone. Quelle che restano rimangono vuote, o forse riassegnate da una lotteria nazionale. In questo modo, i politici diffiderebbero dell'uso di tattiche che rischiano di ridurre la dimensione del mercato (per esempio il numero di poltrone assegnate).

Potremmo quindi pensare modi di sistemare la democrazia. Ma il problema non è che ci sia qualcosa di sbagliato nella democrazia. Il problema è con le PR – e con le PR negative in particolare. Non andiamo da nessuna parte in nessun campo finché non capiamo il potere straordinario delle PR negative nella nostra percezione del mondo. E' davvero un'arma di distruzione della mente, come testimonia quanto siano state efficaci le PR nell'attaccare la scienza del clima e gli scienziati del clima e nel convincere un gran numero di persone che il cambiamento climatico sia una truffa.

C'è solo un'arma buona contro questo tipo di PR: è ricordare che, come ha detto Baudelaire, “Il miglior inganno del diavolo è persuaderti che non esiste”.

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(*) Sul maggior potere del negativo, vedete per esempio “Il cattivo è più forte del buono”.
Baumeister, Roy F.; Bratslavsky, Ellen; Finkenauer, Catrin; Vohs, Kathleen D.
Review of General Psychology, Vol 5(4), Dec 2001, 323-370 http://psycnet.apa.org/index.cfm?fa=search.displayRecord&uid=2001-11965-001 

(**) Un caso famoso di pubblicità commerciale negativa potrebbe essere la campagna “dov'è la ciccia?” ("where's the beef?") usata da Wendy's nel 1984 per denigrare i sandwiches venduti dai loro concorrenti, McDonald's e Burger King. Notate, tuttavia, che non era realmente una pubblicità negativa; era una pubblicità comparativa ('i nostri hamburger sono più grandi dei loro'). Ciononostante era abbastanza aggressiva che è stata copiata da Walter Mondale che ha usato con successo lo stesso slogan contro il suo avversario nelle primarie di quell'anno.  

(***) Circa le campagne negative in politica, c'è un sacco di documentazione sul Web. Potete cominciare, per esempio, da questo articolo su Wikipedia.





domenica 26 aprile 2015

Il 2015 sarà più caldo del 2014?

Non si può ancora dire, ma non comincia bene.....


h/t Greg Laden Nota: il grafico non riporta temperature assolute sull'asse delle Y, ma "anomalie"; ovvero differenze di temperatura rispetto a una media. In questo caso, la media è l'intero database del GISS (Goddard Institute for Space Studies) della NASA. La media è lo "zero" del grafico e le anomalie sono in centesimi di grado centigrado. Ovvero, l'anomalia di "84" per il Marzo 2015 vuol dire la temperatura globale media è stata più alta da di 0,84 oC rispetto alla media di tutte le misure disponibili fino ad oggi. 

sabato 25 aprile 2015

Come costruire un'economia “lagomista”

DaThe Guardian”. Traduzione di MR

di Robert Costanza

Il termine svedese “lagom” è perfetto per descrivere un sistema economico in cui viene prodotto e consumato solo quello che serve. Ma è un obbiettivo raggiungibile? 


Un nuovo modello economico deve raggiungere un'alta qualità della vita per noi stessi e i nostri figli sostenibile ed equa. Foto:  Dio Liveson/Glogster

L'attuale sistema economico capitalista è in continua crisi. Come ha detto Thomas Friedman in un editoriale del New York Times: “E se la crisi del 2008 rappresenta qualcosa di molto più fondamentale di una semplice recessione? E se ci sta dicendo che l'intero modello di crescita che abbiamo creato negli ultimi 50 anni è semplicemente insostenibile economicamente ed ecologicamente e che il 2008 è stato il momento in cui ci siamo scontrato col muro, quando madre natura e il mercato hanno entrambi detto 'basta'”? Nel XXI secolo ci serve un nuovo modello economico per ottenere un'alta qualità della vita per noi stessi e i nostri figli sostenibile ed equa. Questo modello deve superare gli “ismi” convenzionali (comunismo e capitalismo) del XX secolo, tutti concentrati sulla “crescita ad ogni costo”. Ottenere un giusto equilibrio fra privato, bene comune e proprietà di stato è cruciale in questo nuovo modello. Il Comunismo (più che altro povertà comune) e il capitalismo (più che altro proprietà privata) hanno entrambi fallito nell'ottenere il giusto equilibrio. La crisi economica ed ambientale globale in atto presenta l'opportunità di trovare un nuovo equilibrio.

Trovare una strada alla prosperità sostenibile ha bisogno che noi raggiungiamo quell'equilibrio. Abbiamo bisogno anche di un nuovo termine per descrivere questo modello. Ci serve un termine che implichi un miglior equilibrio fra beni costruiti, umani, sociali e naturali. Ci serve un termine che implichi un passaggio dal modello economico della “crescita a tutti i costi” ad uno concentrato sul benessere umano sostenibile – basato sulla misura, l'equità e la sostenibilità. Gli svedesi hanno un termine che connota molte delle qualità di un'economia del genere. Il termine è “lagom”, che significa “solo la quantità giusta”. L'origine del termine è nelle antiche storie vichinghe sul far girare l'idromele in un corno nell'accampamento dove tutti ne prendono solo la quantità giusta, di modo che ne rimanesse ancora un po' per l'ultima persona del cerchio.

giovedì 23 aprile 2015

“La terra secca bruciava come erba” . La via siberiana all'inferno di 'Permafuoco'

Darobertscribbler”. Traduzione di MR (via Maurizio Tron)




(I residenti della regione russa di Trans Baikal scappano attraverso un furioso incendio del permafrost il 13 aprile del 2015. Fonte del video: La strada per l'inferno Registrato da: Vladislav Igorevich). 

Il copione è come una scena di film post-apocalittico. La glaciale Siberia inizia uno scongelamento epico – uno scongelamento scatenato da uno scarico inarrestabile di gas che intrappolano calore nell'atmosfera dall'industria umana dei combustibili fossili. Alla fine, dopo anni di riscaldamento, la stessa terra che si scongela diventa combustibile per gli incendi. Uno spesso strato di materiale organico simile alla torba che funge da accensione per gli alberi seccati dal caldo e le erbe che ci sono sopra.